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Quando la democrazia è una frode PDF Stampa E-mail

30 Marzo 2023

 Da Comedonchisciotte del 19-3-2023 (N.d.d.)

La Democrazia sarà mai esistita? Il suo recente – e ormai tramontato – esperimento all’italiana ha avuto una forma, secondo me, efficace: lo Stato investitore e, al contempo, regolatore del mercato. Questa interessante forma di organizzazione può essere visualizzata a mo’ di “carrozza”, in cui la società (la carrozza) viene governata e trainata verso il progresso da possenti cavalli (i mercati) grazie alla guida del cocchiere (il governo). Tutti i supporti sociali, quali sanità pubblica, pensione, sussidio di disoccupazione o di invalidità, di cui oggi stiamo tristemente vedendo il degrado, sono tutti pietre miliari di quello che è il vero scopo della democrazia: il progresso sociale attraverso la ridistribuzione delle risorse. Un progresso dal volto umano, altruista e pieno di cure con l’implacabile intento di aiutare un numero sempre maggiore di persone a raggiungere quella sicurezza economica e sociale essenziale per vivere dignitosamente. Cosa allora è successo negli ultimi decenni? Come mai la vita sembra muoversi verso una sempre maggiore incertezza e precarietà per una larga fetta della popolazione?

Per tornare alla metafora della carrozza: la società ha perso completamente i contatti con il cocchiere (governo), e quest’ultimo invece di governare e trainare, limitando l’impeto selvaggio dei cavalli (i mercati) si fa direzionare da essi, che, rimasti senza freni, la lanciano a tutta velocità verso il precipizio della povertà diffusa e sistematica. Quello che sta succedendo non è nuovo, in realtà è un ritorno al passato, su scale che prima non si potevano neanche immaginare. Come già descrive Adam Smith nel 1776 nel suo la Ricchezza delle Nazioni “In Inghilterra, i principali architetti politici sono coloro che posseggono la società, cioè imprenditori e mercanti che facendosi Padroni dell’Umanità fanno in modo che i propri interessi vengano rispettati”. Il padre dell’odierna economia descrive una situazione in cui non esiste una vera divisione fra il settore politico e quello economico. Chi possiede i mezzi produttivi e di sostentamento della società, possiede la società stessa. Per secoli, l’illusoria separazione tra politica ed economia ha permesso a sistemi produttivi a stampo feudale di mantenersi e svilupparsi, con i suoi feudatari fin troppo spesso nascosti tra le stesse file governative a stampo democratico. Nonostante il feudalesimo sia stato apparentemente abolito nel XIX, esso persiste più prospero che mai nei nostri sistemi economici/produttivi. Per secoli, è stato possibile per i “pochi” proseguire indisturbati nell’accumulo delle risorse attraverso il ben noto processo della privatizzazione dello Stato e la libertà pressoché assoluta dei mercati. Tali processi hanno raggiunto dimensioni tali che i Padroni dell’Umanità, descritti da Smith, sono oggi i proprietari di multinazionali e di banche con profitti talmente alti da oscurare il prodotto interno lordo di intere nazioni; un potere tale che permette loro di sovraimporsi sull’autorità governativa della maggior parte degli stati sovrani di oggi. I cavalli si sono fatti cocchieri a tutti gli effetti. Sono loro a decidere che tipo di prodotti o servizi sono maggiormente distribuiti o in che tipo di ricerca scientifica o propaganda culturale valga la pena investire. Questi cavalli-cocchieri sono anche coloro che silenziosamente erodono la coesione sociale che storicamente è stato l’unico mezzo per controbilanciare queste forme di tirannia. Con politiche sociali volte a incrementare le disuguaglianze, combinate con tecniche di ingegneria sociale volte a fomentare individualismo, razzismo, pregiudizi ed isolamento, la nostra identità collettiva si è persa, facendo perdere forza a tutte quelle unioni di lavoratori e società civili che avevano dato realmente forma al progresso sociale per tutti. Riteniamo sia veramente giusto che tali multinazionali e banche, possano avere un tale potere? In fin dei conti esse sono delle istituzioni strutturalmente gerarchiche aventi vertici decisionali eletti in maniera non-democratica. Questo tipo di istituzioni collezionano inoltre i frutti della collaborazione di migliaia di persone per distribuirli, di fatto, ai soli vertici. Come possiamo considerare legittime tali istituzioni?

Penso che il grande problema storico di cui siamo eredi e vittime sia l’incapacità di creare efficaci meccanismi sociali per limitare l’avarizia. Soprattutto negli ultimi secoli, l’ideologia liberale ha permesso di sdoganare e perfino legittimare professioni dedite allo sfruttamento degli altri (come quelle degli usurai e degli strozzini) fino ad arrivare ai giorni d’oggi dove gli investitori internazionali più spietati vengono talvolta idolatrati come guru dell’economia. Se ciò non fosse già abbastanza assurdo, l’opinione pubblica fomenta costantemente il sogno della realizzazione personale attraverso l’accumulo di ricchezza e di potere, portando persino le fasce più povere a adottare gli ideali dei propri usurpatori e quindi a legittimarne le loro azioni ed autorità. L’avarizia si è fatta strada nelle nostre società grazie alla mancanza di freni o limiti alla proprietà privata che il singolo può possedere. Dato che viviamo su un pianeta avente dimensioni finite con un numero limitato di risorse, la necessità di porre dei paletti alla proprietà privata degli individui viene da sé, appunto per evitare situazioni estreme in cui il diritto all’incetta privata di pochi non lasci più spazio per la proprietà privata di tutti gli altri. Rispetto agli altri diritti, quello della proprietà privata è un diritto un po’ speciale in quanto la sua attuazione si ripercuote automaticamente sugli altri sia a livello temporale che spaziale. Nel concetto di proprietà privata senza limiti è intrinseco il detto “chi prima arriva, meglio alloggia” dando quindi il via libera a fenomeni di accumulazione di ricchezze che automaticamente danno luogo a concentrazioni di potere. Se la storia parlasse, essa starebbe continuando a ripeterci: non si può avere allo stesso tempo democrazia e concentrazione di potere nelle mani di pochi. E questo è vero soprattutto se si privatizzano sistemi di produzione su larga scala.

Quello che stiamo vivendo ora in Europa, con tutte le sue privatizzazioni delle imprese e dei servizi non si può dire indipendente dalla spinta dell’avarizia. Se riflettiamo un attimo su ciò che implica il processo di privatizzazione è impossibile non riconoscerne la natura antidemocratica. La privatizzazione automaticamente toglie qualcosa dal bene comune per darlo nelle mani di pochi privati, i quali non sono tenuti a giustificarsi con nessuno per le proprie decisioni. Ciò che viene sotto il nome di “apertura al mercato”, è in verità un attacco a tutte le comunità locali e alla loro autonomia, quella stessa autonomia inserita tra i principi fondamentali della Costituzione Italiana e così fortemente connessa all’attuazione della sovranità popolare. Questo attacco sta diventando la norma, supportata persino a livello legislativo nell’art 8 della Legge annuale per il mercato e la concorrenza del 2021. Fin troppo spesso si usa la “scusa dell’efficienza” per giustificare questo processo di concentrazione delle risorse, anche se tale efficienza persiste solo su scala lucrativa e solo se ignori tutti i costi sociali o ambientali esternalizzati che assicurano alti profitti. È tristemente ironico che ormai si richieda la “responsabilità sociale delle imprese”, richiedendone quindi una tirannia più benevola, senza invece metterne in dubbio la legittimità a comandare su tutti. La democrazia è una frode fintantoché i sistemi produttivi rimangono vincolati nelle mani di pochi privi di legittimazione democratica. Finché rimarrà plutocrazia. È ora di riconsiderare la tradizionale premessa sulla necessità di un cocchiere “esperto”, capace di guidare per noi la nostra società-carrozza. E se divenissimo cocchieri noi stessi?

Lea Ghisalberti 

 
Elogio dello sforzo PDF Stampa E-mail

28 Marzo 2023

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 Da Appelloalpopolo del 20-3-2023 (N.d.d.)

Bisogna essere enormemente ideologizzati e ingannati per negare che LO SFORZO (in tutto, anche nella memorizzazione) sia il fondamento dello sviluppo di tutte le qualità e capacità mentali, intellettive e intellettuali. Nello sport nessuno nega che l’allenamento consista nell’abitudine allo sforzo, che significa fare sempre di più man mano che si è più allenati, in modo da finire sempre quando si è molto stanchi (a parte le sedute leggere di chi si allena 12 volte a settimana). Invece i cretini, i pedagogisti da strapazzo, i new age, i buoni, i buonisti, i protettivi, gli angosciati per le sofferenze, le cacchette timorose che i figli vengano bocciati, gli odiatori del rischio della tensione e della sconfitta, gli amanti degli ecovillaggi, i narcisi che rimuovono i propri limiti, i mediocri contenti di se stessi – insomma tanti nostri amici e parenti, spesso bravissime persone – credono che la capacità di pensare, ossia l’intelligenza, non implichi un enorme e continuo sforzo. Tutto ciò è ridicolo e meschino ma È l’OCCIDENTE OGGI.

Non è un problema di classi dirigenti. È un problema di popoli, anche se una classe dirigente caduta dal cielo risolverebbe il problema, con una nuova dominanza. Intanto in questa fase storica prepariamoci ad essere sconfitti dall’oriente, sotto tutti i profili. È nella logica delle cose ed è inevitabile.

Stefano D’Andrea

 
La politica internazionale è conflitto fra interessi nazionali PDF Stampa E-mail

27 Marzo 2023

 Da Appelloalpopolo del 21-3-2023 (N.d.d.)

Io continuo a non capire l’entusiasmo per la narrativa del modello multipolare. L’idea sarebbe, in sostanza, che gli Americani sono cattivi quindi vogliono il modello unipolare, e che invece i Cinesi e i Russi sono buoni quindi vogliono il modello multipolare. Io però non capisco perché i Cinesi, una volta spezzato definitivamente l’impero americano (sperando che non ci costi una guerra nucleare) ed affermatisi come di gran lunga la più grande potenza mondiale, dovrebbero decidere di condividere il potere di influenza strategica (militare, economico, politico, ideologico, culturale) internazionale con diversi altri Paesi, anziché esercitare -o cercare di esercitare- un’egemonia globale non dissimile da quella che gli Stati Uniti hanno esercitato negli ultimi 100 anni circa, e in particolare negli ultimi 80.

Come è ridicolo pensare che Putin faccia la guerra in Ucraina perché è cattivo, è ridicolo pensare che la faccia perché è buono. Come è ridicolo pensare che Biden cerchi di conservare l’ordine unipolare delle relazioni internazionali perché è cattivo, è ridicolo pensare che Xi cerchi di abbatterlo perché è buono. Se la Russia e la Cina vinceranno la guerra che gli Stati Uniti stanno gradualmente scatenando contro di loro, nel tentativo ormai quasi disperato di conservare gli interessi americani nel mondo su cui si basa la tenuta della società americana in patria, passeremo -salvo esiti bellici estremi- attraverso una fase in cui certamente la distribuzione del potere di influenza globale sarà decentrata su più polarità. Ma chi ci dice che questo dovrà essere anche l’assetto stabile nel tempo (cioè nei decenni) delle relazioni internazionali? Chi ci dice che la Cina non appena ne avrà l’occasione non accentrerà il potere di influenza globale a Pechino, magari con la stessa vecchia scusa di portare pace nel mondo?

La politica internazionale è conflitto fra interessi nazionali.

Rossano Ferrazzano

 
Ogni scelta comporta una rinuncia PDF Stampa E-mail

26 Marzo 2023

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 Da Rassegna di Arianna del 24-3-2023 (N.d.d.)

Proviamo a leggere la questione della maternità surrogata da un altro punto di vista, come una riflessione sulla commedia umana e i suoi paradossi. C’è una sparuta minoranza che cerca di avere un figlio anche se non può averlo: coppie omosessuali, donne single o in età avanzata, coppie eterosessuali con problemi di sterilità. E c’è una maggioranza che un figlio potrebbe averlo ma non lo vuole; perché sarebbe una rinuncia alla libertà, al lavoro, alla pienezza della vita, al benessere. Sullo sfondo c’è un modello culturale senza precedenti nella storia umana che penalizza l’idea di maternità, fertilità, fecondità, procreazione; che elogia l’autorealizzazione, incompatibile con la gravidanza, la nascita e la cura di un figlio. E invece esalta e agevola chiunque desideri una maternità pur non essendo nelle condizioni di averla, in particolare se omosessuali, prima che coppie “sterili”, single o anziani.

Cosa accomuna chi rifiuta la maternità pur avendo la possibilità di procreare e chi desidera la maternità pur non essendo nelle condizioni di procreare? Il rifiuto del limite, che è il rifiuto della natura e dei suoi confini. Una gravidanza indesiderata pone limiti alla mia libertà e alla mia esistenza, quindi la respingo, fino all’aborto; così, all’opposto, una gravidanza impossibile, ad esempio tra coppie dello stesso sesso, pone limiti al mio desiderio; quindi cerco di aggirarla, fino all’utero in affitto. Così accade il paradosso di una società che rifiuta i figli eccetto coloro che non possono averli. Un paradosso che fa il paio con un altro: il rigetto del matrimonio e della famiglia, nel nome di relazioni libere e convivenze senza vincoli nuziali; salvo per le coppie omosessuali di cui invece si pretende la codificazione in matrimonio.

Ora, distinguiamo due piani. Uno soggettivo e particolare, e l’altro sociale e generale. Sul piano soggettivo, conosciamo tutti persone e coppie che rientrano in quei differenti travagli: chi rigetta i figli perché complicherebbero la loro vita, chi rigetta i matrimoni perché incompatibili con la loro vita fluida e magari nomade, chi vorrebbe avere o ha avuto figli con maternità surrogata, siano essi omosessuali o single. Di ognuno conosciamo e rispettiamo la storia, conosciamo le sofferenze e le difficoltà, non ci permettiamo di ergerci a giudici, hanno tutta la nostra comprensione. Poi, però, guardiamo alla società, vediamo cosa resta della vita, del mondo. La famiglia vista come un male assoluto, soprattutto se legata a un aggettivo che evoca legami e continuità, come famiglia naturale o tradizionale. La sostituzione delle identità con la fluidità dei soggetti e dei loro desideri; lo spostamento assoluto del baricentro dal noi, dalla natura, dall’identità all’io, alla volontà soggettiva, al desiderio. La sostituzione della persona – che ha un’identità, un volto, una storia, un’eredità – con l’individuo, che è neutro e asettico, anzi è ciò che vuole essere, rigetta ogni limite. Le singole storie meritano rispetto e affetto, ma il risultato che ne sortisce da questo modello di società è la fine della comunità, e alla lunga della società stessa, della civiltà, dell’umanità; è l’avvento del transumano. L’umanità è una corda tesa tra la natura e la cultura, esiste finché c’è una dialettica tra la libertà e la responsabilità, le scelte e le rinunce, i diritti e i doveri, il desiderio e il destino. Le facoltà e i limiti. Nel momento in cui salta uno dei due termini, l’umanità finisce e si perde nell’infinito. Stiamo sognando un’umanità senza limiti, senza doveri, senza spirito di rinuncia, dunque un’umanità senza umanità. È la fine della civiltà, il punto di non ritorno dell’umanità, la sostituzione di ogni prospettiva comunitaria – da quella famigliare a quella sociale, religiosa e territoriale – con una radicale soggettivizzazione dell’esistenza. Io sono ciò che voglio essere, la realtà non vale; prevale il mio desiderio. Voglio un figlio ma senza una famiglia; al più un libero e fluido consorzio tra un Io e un altro Io, con la fabbricazione, anche a pagamento, di un terzo Io. Tre singoli senza il contesto storico, affettivo, radicato della famiglia. Tre volontà singole e illimitate senza identità, legami, eredità.

L’argomento principale in difesa di questo modello è sempre uno: niente ti impedisce di vivere con i tuoi canoni tradizionali e naturali, ma lascia agli altri la possibilità di vivere come meglio credono. Il discorso varrebbe se la società fosse solo un arcipelago di solitudini radicali, un occasionale e superficiale consorzio di soggetti autonomi e atomizzati. Esistiamo come target, come audience, come utenti, fruitori; ma non come popolo, comunità, nazione, civiltà. La società è finita, restano individui infiniti. Che non potendo essere realmente infiniti sono in realtà non-finiti, abbozzati, abortiti, indefiniti. È permesso dire che una società deve invece avere una sfera privata di libertà personali ma anche una sfera pubblica in cui valgono principi e criteri superiori a quelli puramente individuali? È permesso dire che se fai una scelta di vita poi non puoi pretendere scorciatoie e salvacondotti per godere dei risultati di altre vite? Ogni scelta comporta una rinuncia. Sei libero di vivere, ad esempio, la tua omosessualità ma non pretendere di avere dei figli noleggiando altrui maternità, usando uteri come bancomat di figli delivery, grembi come bucce, gusci o container, asserviti ai propri desideri, concessi solo a chi può permetterseli. Non puoi subordinare ai tuoi desideri la vita di un’altra persona, privandola di un padre e una madre. Capisco il punto di vista di chi desidera i figli pur avendo fatto una scelta incompatibile con averli; ma se usciamo dal suo ambito soggettivo, quel desiderio è sfruttamento, abuso, depredazione. Ci sono due modi per disumanizzarci: se perdiamo la libertà, con le sue scelte, o se cancelliamo la natura, con i suoi limiti. Non siamo angeli né bestie, solo umani. E chi si pretende angelo diventa bestia.

Marcello Veneziani

 
Il ritorno del protezionismo PDF Stampa E-mail

25 Marzo 2023

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 Da Appelloalpopolo del 23-3-2023 (N.d.d.)

Il protezionismo venne negli anni Trenta del ventesimo secolo, dichiaratamente per riequilibrare la bilancia dei pagamenti di molti Stati militarmente potenti. Negli anni Venti del ventunesimo secolo, è tornato per la stessa causa, in particolare per riequilibrare la bilancia dei pagamenti statunitense e in più per contrastare il successo di un’economia (quella Cinese) fondata sugli aiuti di Stato e ammessa ingenuamente (dagli USA) nel commercio mondiale. Infatti, le sanzioni (contro Cina e Russia), la guerra in Ucraina e il green, promossi dagli USA, sono soltanto le false motivazioni ideologiche, per coprire le esigenze statunitensi di riordino della bilancia dei pagamenti.

E chi se la piglia in saccoccia? L’Unione Europea, che ha elevato a “costituzione economica” il liberoscambismo, credendo eterna efficiente e morale la scelta, del tutto contingente, fatta dagli USA nei primi anni Novanta, perché creduta utile (per gli USA) ma rivelatasi perdente. Per noi socialdemocratici (e quindi) antieuropeisti italiani, le cose stanno andando alla grande. Meglio non potevano andare.

La necessità di continui PIANI, fondati sugli aiuti di Stato, che si diffonderanno e si moltiplicheranno ovunque, nel prossimo decennio, metterà fine all’insensatezza dell’Unione Europea. Non sarà l’euro a far saltare l’UE ma il ritorno del protezionismo e la necessità assoluta degli aiuti di Stato.

Stefano D’Andrea

 
Una parodia della democrazia PDF Stampa E-mail

24 Marzo 2023

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 Da Comedonchisciotte del 21-3-2023 (N.d.d.)

In fondo i padroni del vapore, gli oligarchi al potere, non ci nascondono nulla, fanno tutto alla luce del sole, ombreggiando solo un poco qua e là per non essere sfacciati, ma il solco degli avvenimenti è perfettamente tracciato, basta aver voglia di buttarci un occhio. Che la Meloni ed il suo partito dovessero vincere le elezioni e successivamente fare tutto il contrario di ciò che a suo tempo avevano detto che avrebbero fatto, era assolutamente chiaro e palese, esposto al pubblico. Più o meno tutti quelli che commentavano gli avvenimenti politici (non ovviamente i propagandisti che non sono pagati per commentare), lo avevano detto, ridetto, assicurato e previsto: lo sapevano tutti. Almeno tutti coloro che sono nelle condizioni di poter sapere qualcosa. Del resto i Cinque Stelle avevano appena fatto altrettanto nella legislatura precedente. Notevole osservare che ciò non ha comunque cambiato di una virgola il corso degli avvenimenti. Pare insomma che essere a conoscenza del trucco, o quantomeno poterne venire a conoscenza con puerile semplicità, non impedisca alla stragrande maggioranza di caderci mani e piedi, in pratica volontariamente. Un po’ come se le persone recitassero la parte di se stesse quali le vogliono i media. Si sentono su un palcoscenico.

Un esponente della “maggioranza silenziosa” come si diceva una volta, intervistato in proposito, potrebbe rispondere qualcosa come: “sì, certo, anche lei fa come quelli di prima, ma tanto, si sa, sono tutti uguali”. Come a dire l’inganno lo conosco, ma comunque ci casco lo stesso, d’altra parta cosa dovremmo fare? Questo è il gioco, questa la nostra parte nello spettacolo. Hollywood. Credono tutti di stare in televisione solo perché postano qualche foto sui social provando disperatamente a suscitare l’altrui invidia. Il governo eletto, mentre obbedisce in tutto a Washington senza discutere, fa la riforma fiscale, cioè diminuisce la progressività delle tasse: in parole povere trasferisce una certa quota della ricchezza nazionale dai meno ricchi ai più ricchi, cosa che, dobbiamo rendergliene atto,  questa volta è inequivocabilmente di destra. Improvvisamente i problemi veri dell’Italia non sono più l’indipendenza nazionale o l’invasione degli immigrati, ma un passo in più verso il liberismo, gli anarchici, i rave party. Il ponte di Messina ci salverà.

Nel frattempo, gli “avversari” del PD, cioè gli altri neoliberisti atlantici che coi loro governi avevano ugualmente contribuito ad aumentare la polarizzazione sociale, fanno finta di eleggere democraticamente il leader tra due candidati “accuratamente selezionati”, poi presentano al pubblico plaudente il nuovo modello di segretario studiato e costruito da schiere di esperti in propaganda, marketing e pubblici inganni. Richiamerei l’attenzione di chi non l’avesse notato sul fatto che chiamano le loro elezioni interne “primarie” esattamente come fanno gli americani per la “scelta” del candidato presidente: sinceramente mi meraviglio che il nome del partito sia ancora PD, cioè partito democratico anziché DP,  cioè democratic party che sarebbe senz’altro molto più cool e politicamente corretto. Ma qualcosa al folklore locale bisogna concederlo. Direi che col nuovo leader siamo nella gamma commerciale di gran successo che potremo chiamare linea “Macron”: non si tratta di politici che si sono fatti le ossa attraverso una carriera ed una gavetta nelle file di un partito per imparare il mestiere, che poi hanno lottato per anni con altri aspiranti capi, magari creando una propria corrente che si caratterizzasse in qualche modo, che sono naturalmente dotati di un certo carisma sul pubblico, ma di personaggi nuovi, completamente artificiali, costruiti dall’alto a tavolino, secondo i canoni che al momento sono più i favorevoli per promuoverne l’immagine. Si dice immagine non a caso: spesso, infatti, non c’è dentro nulla, si tratta solo della pura epifania di un leader. Il candidato premier avrà quindi modo di farsi conoscere dagli elettori entrandogli in casa ogni giorno ad ogni ora per mezzo della televisione che raccoglie religiosamente ogni sua parola, dovesse chiedere che ore sono. Così che quando giungerà il momento di metterlo in lizza con l’attuale premier per sostituirlo, sarà una presenza conosciuta e rassicurante per tutti, quasi uno di famiglia e verrà votato assicurando così l’alternanza, non tanto per meriti suoi, che ovviamente non ce ne saranno, ma per i demeriti del concorrente che nel frattempo risulterà invotabile per aver tradito completamente la fiducia dei propri elettori impoverendoli ancora di più e soprattutto non facendo nulla di quanto promesso. Questa parodia della democrazia è ciò che i media chiamano un “buon funzionamento delle istituzioni”, un’ alternanza, cioè, tra una maggioranza e un’ opposizione equivalenti. È il sistema all’americana con due partiti unici che è stato fortemente voluto e costruito a partire dagli anni Novanta con l’introduzione del maggioritario.

Il canone del nuovo modello Schlein è facilmente riconoscibile e direi assolutamente tipico: è relativamente giovane e di aspetto gradevole e rassicurante, almeno rispetto a quello dei politici tradizionali (Andreotti non è mai stato propriamente bello); è una donna ed è oramai assodato che le donne sono intrinsecamente superiori agli uomini che si sono imposti in passato esclusivamente a mezzo della prepotenza e unicamente per procurare disastri; non dice mai nulla di politicamente originale, ma ripete diligentemente tutte le banalità retoriche sui temi che più stanno a cuore alla plutocrazia dominante: il favore ai migranti per costruire ciò che Marx chiamava  “l’esercito di lavoratori di riserva”  utile a distruggere i diritti acquisiti in anni di conflitti da parte dei lavoratori europei; la lotta al cambiamento climatico rigorosamente di origine antropica che sta “distruggendo il pianeta”; l’opportunità di costruire gabinetti nelle università per un numero di sessi biologici variabile a piacere; l’attribuzione di un valore superiore a certe minoranze particolari attentamente scelte rispetto alla normale maggioranza; l’imposizione culturale dei propri principi ideologici da far passare come leggi di natura a mezzo della riprovazione sociale e del senso di colpa, se bastano o della legge penale se occorre. Inoltre è ebrea aschenazita, condizione che in occidente è passata rapidamente dall’essere uno stigma sociale al dare l’opportunità di far parte di una delle minoranze privilegiate di cui sopra i cui desiderata possono essere fatti passare come “diritti”. Se qualcuno la contraddice troppo duramente, si può sempre tirare in ballo l’antisemitismo che è uno dei più comuni peccati mortali di oggi, ironicamente proprio nel momento in cui l’antirussismo è invece una delle virtù cardinali. Ma chi bada più all’ironia, chi la vede più. La va sans dire che sia lei che la sua rivale al potere sono di strettissima obbedienza americana: a quanto mi risulta la Schlein è addirittura cittadina americana, ci manca solo che lavori per una delle innumerevoli “agenzie governative”. Seppure ci manca. Immagino sia anche una sostenitrice convinta della cucina insettivora che i media ossessivamente continuano a presentarci nei talk show, nei telegiornali e persino nei documentari di divulgazione “scientifica”, con tanto di conduttori asini, ma gagliardamente raccomandati, a far la parte dei saputelli. Una delle osservazioni  che immancabilmente ci ammanniscono a proposito del raccapriccio che la maggior parte del pubblico prova davanti ad un bel piatto di insetti in umido è che in fondo si tratta “solo” di un pregiudizio culturale:  e via col solito non mangiamo forse i gamberetti che pure sono bruttini? Mai avuto il piacere di ascoltare qualche obiezione, che so, magari far presente che anche evitare di mangiare i cani è con tutta evidenza un pregiudizio culturale, eppure ciò non ha impedito a lorsignori politicamente corretti di inorridire davanti ai cinesi che lo facevano tacciandoli di ignominiosa inciviltà. C’è raccapriccio e raccapriccio, insomma.  Il solito doppiopesismo sotto cui si nasconde la dogmatica dittatoriale di sempre: alcune idee sono giuste, quelle che abbiamo noi, altre, guarda caso le vostre, sono anatema e abominio. Il fatto è che le culture sono appunto costruite su … una serie di pregiudizi culturali e si dà la ventura che lorsignori (e lordame) politicamente corretti non vogliono affatto eliminare i pregiudizi culturali, vogliono semplicemente imporre i propri (qualche volta, i più gonzi, addirittura senza accorgersene) e possono farlo esclusivamente perché hanno in mano tutti i media e ne vietano l’accesso a chi la pensa diversamente.

Purtroppo la costruzione dei leader politici avviene oramai con le stesse modalità con le quali si costruisce la campagna pubblicitaria della Coca Cola (che, en passant, fa probabilmente altrettanto danno alla salute mondiale quanto il fumo di tabacco, ma non è attualmente nel mirino dei puritani), oppure una finta popstar di “protesta” come Greta, oppure un capo del “terrore” addomesticato come Osama Bin Laden,  oppure  una “rivoluzione colorata” come quella ucraina che ha fatto e sta facendo centinaia di migliaia di morti. Ovviamente attribuiti agli “altri”, a coloro che alla fine ne sono state le vittime. E le masse occidentali lo vedono, in fondo in qualche modo lo capiscono, o almeno lo percepiscono istintivamente, ma non se curano: mica è affar loro. Del resto la politica è una cosa sporca, meglio lasciarla perdere ed occuparsi di qualcosa di spiritualmente più elevato. Oh Lord won’t you buy me a Mercedes Benz! Cantava Janis Joplin.

Nestor Halak 

 
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