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Un nonsenso costante e spudorato PDF Stampa E-mail

12 Marzo 2023

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 Da Rassegna di Arianna del 10-3-2023 (N.d.d.)

Sul piano materiale non ho mai dato credito all'idea che dopo aver toccato il fondo, magicamente inizi una risalita. Se bastasse sbattere contro un muro e stare veramente male per avviare un processo virtuoso la storia sarebbe un'ininterrotta serie di rivalse dei perdenti e degli sconfitti, cosa che può farci piacere pensare, ma non è. Però almeno sul piano del pensiero, delle credenze, qualcosa del genere potremmo aspettarcelo. Tutti i sistemi di credenze, da quelle del senso comune alle grandi teorie scientifiche funzionano per "slittamenti figurali", per grandi e di solito improvvisi cambiamenti di paradigma. Non funziona, nelle teorie scientifiche come nella visione media del mondo niente di simile al "falsificazionismo" di Popper, cioè non basta che ci sia una falsificazione empirica per considerare la teoria stessa nel suo complesso falsa. Ciò che accade è piuttosto l'accumularsi di falsificazioni, di incongruenze, di inconseguenze, fino al momento in cui, come negli slittamenti figurali della Gestaltpsychologie, di colpo si scorge una figura completamente diversa e la precedente credenza viene abbandonata. Questo processo, tuttavia, non è un processo conoscitivo "puro" (in effetti tale "purezza" della cognizione non esiste affatto). Il momento in cui il numero delle "cose che non tornano" è in grado di produrre uno slittamento figurale, un cambiamento di visione dipende da due variabili: 1) dall'esistenza di una "teoria alternativa", di una visione che ricompone i dati disponibili in una nuova unità; 2) dal costo emotivo implicito nell'accettare la nuova visione.

Ora, nel momento storico corrente in Occidente si stanno accumulando inesorabilmente falsificazioni e contraddizioni che, fossimo in un paradigma popperiano, avrebbero già comportato la dismissione di tutto quanto ci viene proposto come "visione ufficiale" almeno dal 2020 come spazzatura. Solo chi si sia tappato intenzionalmente occhi, orecchie (e naso) può non aver notato l'infinita serie di balle che ci sono state rifilate con tutta l'arroganza possibile per tre anni. Scrivendo su un mezzo (META) che funziona da gendarme delle verità ufficiali non ci provo neanche a nominare l'infinita serie di gravissime e oramai acclarate bugie che ci sono state rifilate durante la pandemia. Se non hanno cambiato l'algoritmo di segnalazione, se ci provassi mi ritroverei un ban di 30 giorni, dunque non ci provo neanche. Sulla guerra russo-ucraina invece sembra finora che la tolleranza sia maggiore, dunque si può provare sommessamente a ricordare che per i nostri robertisaviani Putin doveva essere a quest'ora morto male una decina di volte, e sostituito da una fronda interna una ventina; per le myrtemerline la Russia aveva esaurito da tempo le scorte di missili (ed è di ieri il più pesante attacco missilistico sulle infrastrutture ucraine dall'inizio della guerra); per i federichirampini la guerra non ci sta costando nulla anzi; per i parenzi l'esercito russo non ha i calzini e combatte colpi di vanga; per i massimigiannini la Russia è isolatissima nel mondo e la sua economia è già collassata più volte, e via quotidianamente delirando. Questo nonsenso costante e spudorato (e abbiamo taciuto le confabulazioni dei televirologi che farebbero arrossire il barone di Münchhausen) in condizioni normali sarebbe stato oggetto di stigmatizzazione interna al sistema della comunicazione.

Ma questa è proprio la grande novità del periodo: l'uniformazione dell'informazione "autorevole" sulla linea governativa (dell'unico governo che conta in Occidente, quello americano). Nessuno o quasi tra i "maggiori" della sfera dell'informazione coglie la palla al balzo di una qualunque delle mille menzogne conclamate, per avviare un'operazione di approfondimento e controanalisi. Al contrario, c'è un costante coordinamento nel produrre veline di copertura. A titolo di esempio basta vedere come fino all'inchiesta di Symour Hersch l'investigazione ufficiale sull'attentato al North Stream 2 era in piena fase di insabbiamento: era tutto un succedersi di piste inconcludenti, disinteresse ad approfondire e insinuazioni di autolesionismo russo. Una volta uscita l'inchiesta che puntava il dito sul governo americano, dieci giorni e sono iniziate a piovere "indiscrezioni" in tutti i principali media del mondo occidentale, "indiscrezioni" secondo cui ora sì che abbiamo le prove: l'attentato sarebbe da imputare ad un gruppetto privato filoucraino, rigorosamente indipendente da ogni governo (praticamente il club dello snorkeling del Mar Nero). La funzione di copertura di tali "indiscrezioni" è talmente ovvia da risultare imbarazzante, ma ha dalla sua una grande carta, la carta che sin dall'inizio rende questi castelli di bugie difficilmente scalfibili.

La visione che noi tutti dovremmo accogliere per comporre in unità alternativa e coerente i dati correnti è una visione che deve imparare a trattare come sistema ostile ed ingannevole l'intero blocco di potere occidentale, i vertici della politica, della finanza, dei media e tutto ciò che a cascata è da essi influenzabile. Il costo emotivo dell'accettazione di questo paradigma è però pesantissimo, perché ci chiama tutti ad un'allerta costante rispetto a soggetti dal cui potere in varia misura tutti dipendiamo. Essendo tutti già impegnati full-time nelle attività di quotidiana sopravvivenza in un mondo complicato, competitivo e faticoso, assumersi il carico di questa "configurazione gestaltica" può risultare intollerabile. Facciamo già enorme fatica a destreggiarci tra scadenze del mutuo, dichiarazioni dei redditi e burocratismi demenziali per poterci permettere il carico emotivo di percepire le maggiori forme di potere nel nostro mondo come qualcosa di cui dover diffidare, o da dover senz'altro temere. E il segreto del funzionamento del sistema sta tutto qua, nel deprivarci sistematicamente delle forze per poter accettare verità soggettivamente troppo faticose da affrontare.

Andrea Zhok

 
Un patto per l'immigrazione PDF Stampa E-mail

11 Marzo 2023

Due terribili episodi di cronaca-il naufragio sulle coste calabresi e gli accoltellamenti nei pressi della Stazione Centrale di Milano-hanno prepotentemente riaffacciato alla ribalta l' annoso e ormai spinoso problema dei flussi migratori,riaccendendo "more solito" lo scontro politico basato su posizioni antitetiche residuali di categorie novecentesche tra l' ormai cosiddetto "centro-destra" e il cosiddetto "centro-sinistra "( i virgolettati sono d' obbligo,ça va sans dire). Tanto per cambiare volano gli stracci,le accuse e le controaccuse,gli scaricabarile reciproci,le analisi cervellotiche e pseudo-intellettualoidi nel fumo dei talk show televisivi e nella giostra dei media ma alla fin fine nessun progetto,nessuna analisi concettuale di pensiero laterale e intelligenza critica -che significa il saper andare oltre ai propri concetti e/o giudizi e/o pregiudizi ; per farla breve,tutti bravi a battersi il petto e a sublimare il dolore quasi fosse un elemento catartico ma stringi stringi si è immersi nel nulla.

Che significa? Che non bisogna indignarsi,che non bisogna mostrare la presenza  dello Stato laddove batte maggiormente l' emergenza? Nulla di tutto ciò: indignarsi è necessario-guai se finisse l' indignazione,vero katechon baluardo a rassegnazione ed indifferenza; giusta la presenza in loco delle autorità come simbolo tangibile delle istituzioni ma al contempo urge la necessità di un piano,di una visione strategica ad ampio respiro,a 360 gradi e al di là delle vetuste categorie ideologiche sul fenomeno chiamato immigrazione: un fenomeno non contingente ma strutturale e purtroppo destinato a continuare per anni e anni: di fronte a tali fenomeni storici inarrestabili per una serie di ragioni che ora non staremo ad analizzare-tanto chi segue questo blog dovrebbe saperle a menadito-o ci si attrezza per poterli governare il più possibile(sempre tenendo conto delle singole variabili normali e fatali nell' entropia dentro la quale siamo immersi) oppure da tali fenomeni si rischia di essere travolti senza appello,in maniera irreversibile: tertium non datur,sta a noi dunque decidere e chiarire come vogliamo non dico proprio "governare" l' immigrazione (fenomeno ipercomplesso e sottoposto ad entropia e variabili,come già scritto) ma almeno provare a far correre questo treno su binari non sconnessi,in modo da far sì che la forza delle cose nel tempo vada a stabilizzarlo senza urti e scossoni violenti.

Noi dovremmo per prima cosa porci le seguenti domande essenziali e dare risposte secche ,precise,senza ambiguità: 1-Che tipo di immigrazione vogliamo? 2 -Quanto realmente serve l' immigrazione? 3-Da dove partire,da dove iniziare? Rispondiamo sin da subito,partendo dalla domanda 1: esistono due tipi di immigrazione,quella disordinata che alla lunga destabilizza un contesto etnico-culturale-ambientale e quella possibilmente ordinata che se ben orientata -al netto di epifenomeni purtroppo imponderabili e impossibili da prevenire-diventa una armonica fusione con la popolazione autoctona,rinvigorendola .E qui si arriva alla risposta alla domanda numero 2. Parlando per immagini-un tipo di comunicazione che resta maggiormente impresso nell' interlocutore-possiamo dire che il vecchio ulivo della civiltà plurimillenaria italiana ha ormai i rami secchi e smunti: il declino e il crollo di civiltà in atto in tutto l' Occidente si riverbera nella Penisola, che di questa civiltà possiede ben due colonne su tre (l' eredità di Roma e il cristianesimo) in modo ancor più clamoroso che in altri Paesi.Elemento essenziale è l' inverno demografico, con 385.000 nascite nel 2022 su una popolazione residente di 60.000.000 e con oltre la metà dei giovani dai 18 ai 21 (sondaggio del 2021 ,Istituto demoscopico "Noto",commissionato dalla Fondazione Donat Cattin) che non hanno intenzione di avere figli; di questo 51% il 37% non li vuole perché "ostacolo alla libertà personale"; altri adducono ragioni economiche,addirittura un 20% si sente "non incluso e sfiduciato dalla società".Sono numeri e cifre impietose,che si commentano da sole.Cifre davanti alle quali i cosiddetti "bonus" natalità sono palliativi inutili. Circa il lavoro che c' è o non c' è e le ragioni economiche,lasciatelo dire,in buona parte suonano come scuse : ho visto esempi di famiglie malmesse e coi conti della serva mettere al mondo figli.Perchè li volevano.Dove sta scritto che il figlio deve vivere consumando come un pozzo senza fondo? Con le culle vuote,strada non se ne fa. Risposta alla domanda 3 e seguitemi che qua ci sta il punto essenziale di tutta l' argomentazione: da dove partire,da dove iniziare?

Partire e iniziare da una immigrazione contemporaneamente di quantità e di qualità basandosi sull' assunto: "italiano è chi ama l' Italia,non chi è nato in Italia".E quindi far venire in Italia un contingente annuo basato sulle necessità lavorative(parliamoci chiaro e netto a costo di essere antipatici: i giovani italiani non andrebbero nei campi nemmeno con un contratto di 6 ore al giorno e 2.500 euro al mese,con week end libero,non è figo per loro) e demografiche del Paese e un contingente che possibilmente lo si veda entrare dalla porta e non dalla finestra,quindi non di certo coi barconi ,i barcacci e i gommoni degli scafisti o di chicchessia che li vada a prelevare al largo.Elemento essenziale è stroncare il bieco e turpe e criminale traffico di esseri umani.Smettendola sempre di appellarsi a entità esterne: sta all' Italia difendere le sue coste,non all' Europa.Basta con queste manfrine di delegare ad altri,come se il Messico per ipotesi dovesse pretendere di appoggiarsi al Guatemala per la difesa dei suoi confini! Sta all' Italia applicare le sue leggi sulle sue coste e fare una grandissima operazione di polizia contro questi schiavisti del XXI secolo.Lo scafista si acchiappa da noi? E va messo in condizioni di non nuocere per decenni,con punizioni tanto severe e senza appello da fare da deterrente ai loro compari. Gli immigrati dobbiamo attirarli noi,andarli a prendere noi,sulle nostre navi,in porti convenzionati e in scali sicuri: accordi bilaterali seri coi Paesi o con le autorità interessate.Porte aperte a tutti e sforzo di integrazione seria per tutti ,fare una specie di patto Italia-migrante(o Italia -nucleo familiare del migrante). Questo patto potrebbe essere così sottoscritto e concepito:

-Io,Italia,mi impegno a farti venire qui e mi sforzo a integrarti per farti fare una vita dignitosa.E non solo: permetto a te,migrante,di praticare la tua religione e tutti i tuoi usi e costumi evitando solo quelli in netto contrasto con le mie leggi.Mando a scuola i tuoi figli nel rispetto e nella sensibilità della loro diversità ma allo stesso tempo insegno loro la lingua,la cultura italiana,l' italianità insomma.Nel rispetto della loro diversità che accetto e capisco,ma li formo al pensiero italiano-senza per questo fargli rinnegare le loro origini e accetto la sfida,la scommessa,di insegnargli ad amare l' Italia.Perchè italiano è chi ama l' Italia,non chi è italiano etnico.E devono essere i tuoi figli a sentirsi in primis nuovi elementi della famiglia che li ha ospitati ed accettati.Loro dovranno dire: sì,sono di origine tal dei tali ma mi sento inserito nella italianità di questo Paese.E quindi sono italiano. -Tu,migrante,accetti e ti impegni al rispetto delle mie norme e delle mie regole ,anche quelle che sono in contrasto con certi tuoi usi e costumi.Giustamente puoi e devi parlare delle origini ai tuoi figli ma non puoi pretendere di insegnar loro cose in contrasto con la nostra civiltà e il nostro pensiero. -Se questo "patto sociale" tu lo rompi,io sono libero di espellerti;se lo rispetto permetto a te di prima generazione di vivere dignitosamente senza snaturare la tua essenza e permetto ai tuoi figli di sentirsi inseriti nel tessuto sociale italiano e di condividerne l' italianità seppur nella consapevolezza della loro origine.

Questo patto porterebbe davvero alla scommessa di creare una immigrazione non incontrollata e non destabilizzante,ad una vera integrazione specialmente tra le seconde generazioni e gli italiani che col tempo porterebbe ad una fusione quasi perfetta,nuova ed essenziale linfa vitale nei vasi xylematici del bimillenario ulivo italiano: certamente sarebbe una linfa vitale per innesto e forse l' ulivo italiano potrebbe diventare un poco diverso,come fronde e colori,da quello originale perché da queste fusioni e rinnovi vi è sempre qualcosa che si perde e qualcosa che si guadagna ma la pianta,l' ulivo,continua a vivere come ulivo seppur con foglie di una tonalità forse diversa e rami di foggia differente: non è questo ciò che conta?

Mi diceva un amico dei tempi della scuola giorni fa,parlando del fenomeno: " Bisogna aprire,anzi spalancare le porte ai migranti,senza paura: per noi sono un elemento vitale,ossigeno indispensabile per rinnovarci e ringiovanire un popolo stanco e svuotato come il nostro.Tuttavia loro devono fondersi con noi basandosi sulla bussola dell' italianità(ripetiamo che italianità è accettare e amare il pensiero e la cultura italiana e la forma mentis ed è italiano chi ama l' Italia,non chi nasce in Italia): ci si deve fondere con una bussola precisa e non nella melassa indistinta tanto cara al neoliberismo ipercapitalista". Il concetto è chiaro. Al momento è tuttavia impraticabile data la miseria dei tempi che viviamo.Lanciamo questo messaggio in bottiglia,confidando nella forza delle cose.

Simone Torresani

 
Lettera 21 PDF Stampa E-mail

10 Marzo 2023

Astensionismo. Democraticamente sufficiente a urlare il baratro in cui stiamo precipitando. Bellum. Una strategia politica americana per mantenersi in piedi sul ring nel quale si sta svolgendo il combattimento per il titolo di campione del mondo dell’egemonia. Il loro Destino manifesto glielo impone. Il loro passato stragista ce lo dimostra. Tutti i pronostici dicono che fare a pugni con la Cina abbasserà loro la cresta. Capitalismo. Il costo del capitalismo occidentale non permette confronto con quello orientale. Gli sono necessarie drastiche misure di tagli materiali e umani. Lo stiamo vedendo. O meglio, alcuni lo stanno vedendo, gli altri sono felici se nevica che si va a sciare. Comunicazione. Chi detiene la comunicazione alza al massimo il rischio di detenere tutto. Vallo a spiegare a chi guarda la tv. Siamo al punto che dire nano, checca e spazzino è diventato offensivo. Siamo al punto del fondamentalismo linguistico che cancella la storia e il diritto di espressione quali apologia di ciò che è stato. Siamo a combattere contro mandrie al galoppo sulla groppa dei diritti. Cavalieri che si credono senza macchia, perché usano asterischi come bandiera della verità. Il potere della comunicazione si sta sbarazzando della generazione in estinzione, ultimo ponte con la concezione analogico-umanista. Ci troviamo sul nascere di uomini privati di se stessi, alimentati a effimere ideologie messe in campo per farli distrarre dalla destinazione verso cui saranno condotti. Nel grande campo di concentramento-vacanza, con gratuito buffet al bromuro. Democrazia. Come gli anarchici non accettano l’autoreferenziale autorità dello stato, così la democrazia contempla il barare pur di mantenersi nominalmente tale. Digitalizzazione. Travolgente onda. Festival della tecnologia. Neo-idolatria. Violentatore delle tradizioni. Ordinamento del dopo uomo. Sterilizzazione del trascendente. Brutalizzazione della dimensione estetica. Cancellatore delle culture e delle identità. Rogo del mito e del simbolo come tessuto magico della realtà. Europa. Feticcio commerciale inetto a realizzare qualsivoglia unione. Guardare la donna che la guida provoca a molti l’immagine del male. Emblema di un femminismo che non ha saputo fare di meglio che assumere le modalità maschiliste. Estinzione. Mentre tutti sono al cinema a guardare il grande successo de Il Progresso, dove il protagonista Mr. Accumulo, nel rispetto dell’unica regia che lo guida, gli affari sono affari, non disdegna di depredare il depredabile, uomini o cose che siano, non si avvedono che lo scenario della propria estinzione è esattamente nei pensieri di ognuno. Gran bel film, dicono uscendo. Femminino. Un concetto estraneo a questa cultura, e quindi a molte persone. Se queste, e soprattutto le donne, se ne impossessassero, avrebbero una via di emancipazione da seguire, il cui potere è incommensurabilmente più potente di quello fondato sul diritto e l’imitazione di quanto vorrebbero scalzare. È la più grande bellezza e forza del mondo, ridotta a meno che surrogato di se stessa, dimenticata. Fascismo. Insieme a uno sfondo socialista, è stata ed è la stampella di una cultura di sinistra incapace di elaborare pienamente un fatto storico, tenendo in vita esso e se stessa con il bambinesco slogan del dagli al fascista, per poi finire disciolta nel fondamentalismo – quello sì fascista – del diritto individuale, dell’obbrobrio del politicamente corretto, della cancellazione delle culture. Il totalitarismo vero è quello già in atto del progressismo, ben più repressivo, umiliante e violento di quello impersonificato da qualcuno. La sinistra ha tradito un popolo, appoggiato il capitalismo e sposato sua figlia, la legge del mercato ordoliberale. Ha ucciso la speranza dei più, ma si offende se dici frocio. Si arroga ancora il diritto di cantare Bella ciao, ma se dici ciao bella ti fa il processo. Giornalismo. Ha già detto, fatto e dimostrato tutto da solo. Tranne i fuochisti del mondo e Orwell, nessuno avrebbe mai accreditato una simile vergognosa evoluzione. Oscar per la vigliaccheria, la cui ultima prestazione è quella dell’indifferenza con la quale è stato, salvo qualche eccezione, tralasciato l’articolo di Seymour Hersh sulle responsabilità americane in merito al sabotaggio dell’oleodotto Nord Stream 1 e 2. Senza dignità. H. Muta, la più sensata in questo dissesto di senso. Italia. Stato fallito. Tenuto in vita per accanimento terapeutico di stampo Natoso. Spremuto, senza più nulla da dare, dopo aver svenduto coste, valli e pianura alla bruttezza del razionalismo del progressismo, senza essere stato capace di valorizzare il patrimonio artistico, paesaggistico, storico, marino e montano, è ora alla mercé di una sovranità altrui. Cagna pronta ad ubbidire ai suoi padroni.

L. Non aggiungo le altre lettere del nefando acronimo. Sono le prime di una lunga serie di ciò che condurrà ulteriormente gli uomini lontani dalla natura, sulla geometrica via dell’asettico diritto.  Logica. Il servizio reso dalla logica, imbattibile per gestire l’amministrazione della vita, non è che un’entrata a gamba tesa in campo relazionale. Regole e linguaggio condiviso permettono di entrare e uscire dai giochi che si compiono nei campi chiusi e piatti, detti appunto amministrativi, la cui caratteristica prima è di avere mosse limitate. Ma in tutte le relazioni non governate da un confine condiviso, la caratteristica prima è l’apertura all’infinito. Ignari di questa banalità, gli uomini, praticamente tutti inconsapevolmente scientisti, sbraitano i loro tentativi logico-razionali dalla pretesa di linearità, di contenere e descrivere la magia alogica e sincretica che crea la realtà. Mondo. Ente del cosmo concepito come entità inerte e indipendente. La separazione dalle energie dell’universo non è che la esiziale vittoria dello scientismo. Ma anche il primo problema dell’uomo. Riappropriarsi della coscienza del tutto genera pensieri e politiche che nulla hanno a che vedere con quelle egoiche fondate sull’orgoglio personale, generatrici di sofferenza e conflitto, inette a riconoscere l’origine del male. Nichilismo. Non è possibile eludere la deriva nichilista. Essa è implicita nel fare egoico. L’ego, oggi in particolare a causa dell’elezione dell’individualismo, che per ontologia non vede che se stesso e i suoi autoreferenziali campetti di gioco, non può che seguitare nella cricetica corsa che lo sfiancherà. Senza alcunché che lo sottragga dalla schiavitù dell’effimero, il rischio di avvertire in sé l’ingoio dell’abisso è massimo. Senza un recupero dei valori profondi, la deriva verso il nichilismo ci accompagna sul bordo del precipizio, e qualcuno sarà pure spinto giù. Natura. Il presunto diritto antropocentrico ritiene di essere superiore alla natura, di poterla modificare, di seguitare a considerarla un oggetto, di credere di conoscerla a mezzo di una scomposizione via via più minuta. È un diritto che ci separa dal mondo, dal cosmo, dal tutto. Che ci garantisce continua e massima sofferenza. Solo un’azione compiuta con la consapevolezza di essere semplici portatori di vita e non possessori potrebbe modificare lo stato maledetto in cui versiamo, contenti del chip e delle nanotecnologie, del sempre connessi perché potremo avere una diagnosi a distanza. Per quattro denari, si è buttato via il bambino insieme all’acqua sporca. Si è babelicamente creduto di poter ridurre la vita a Dna e geni; di poterla intendere deterministicamente. Una cecità scientista, che implica un progetto eugenetico ed esclude la banale osservazione dell’epigenetica.

Opulenza. Abbondanza, dipendenza, scemenza. L’incantesimo dell’avere è un tumore del maligno, sapientemente seminato e coltivato allo scopo della gestione delle masse. L’individualismo e l’edonismo ne sono l’esponenzializzazione. Lo sfacelo del senso di comunità e del conseguente senso della vita ha lasciato campo aperto all’idea che rinchiudersi entro il proprio muro fosse la cosa giusta. L’immaginazione, avviluppata nel sortilegio che chi più ha più è, ha agevolato la garanzia di controllo senza carri armati. Far pensare come il potere richiede è divenuto realtà.  Orwell. Ne il Capitalismo della sorveglianza, si trova molto di quanto affermato in 1984. Nonostante la portata dei due messaggi, ai quali vanno uniti quelli di altri autori distribuiti nella storia, la politica non solo non ne prende atto, ma pare dimostri di non avere coscienza della deriva sociale e culturale che ci sta spingendo in direzione opposta alla democrazia. Che sta favorendo i detentori del mercato e del potere. Che sta considerando le masse come inerte peso, quindi sacrificabile e sfruttabile. “Ogni tentativo di intralciare o sconfiggere il capitalismo della sorveglianza dovrà confrontarsi con tale ampio contesto istituzionale che lo protegge e sostiene”. Politica. Inizialmente nostra espressione, ora non abbiamo più alcuna relazione con la politica. Essa, divenuta scendiletto dei poteri mercantili, si preoccupa di restare in sella, il resto è contorno al quale ancora qualcuno dà ascolto. Progresso. Il progresso tecnologico è il solo in essere. Tutti gli altri sono in regresso. Parlo dei servizi pubblici e di quelli sociali. Delle relazioni internazionali che, senza la colla dell’interesse commerciale, immediatamente vengono meno, o si riducono allo stadio formale o di diffidenza. In ogni caso, si tratta di progresso materiale, ovvero di una concezione del mondo ridotta a quanto si può misurare e pesare. Il progresso esistenziale non è contemplato. Diversamente, diverrebbe evidente l’autoreferenzialità dei pesi e delle misure, e qualche altra domanda su dove stiamo andando e cosa stiamo facendo obbligherebbe a riconoscere che il mondo è dentro, non fuori. La realtà oggettiva è solo un ordine delle cose che, inconsapevolmente esteso a tutte le circostanze umane, è un fallo da rosso diretto. Pace. Nel mondo a base duale, non c’è alcuna speranza di realizzare la pace, se non in attesa della guerra. Nella concezione capace di unire gli opposti, l’utopia della pace ha terreno per realizzarsi. In essa, il giogo dell’ego è conosciuto e dismesso. L’uomo compiuto può nascere. Parità di genere. Indirizzata dal dominio del diritto e dell’ideologia, ha perso di vista la sostanza, ammesso l’abbia mai avuta. Vediamo ora frotte di donne occupare finalmente posti ai quali non avevano accesso. E le vediamo muoversi, parlare e pensare esattamente come faceva chi hanno scalzato. Miseria spirituale.  Putin. Il pensiero delle persone è limitato alla dimensione materialista-logico-razionale. Con essa forgia strumenti del tutto inadatti a maneggiare la dimensione sottile della vita. Non a caso, quanto dice in merito a queste è del tutto inopportuno, e non dimostra altro che la loro inettitudine nei confronti di quanto esula dal loro ristretto campo d’azione. Dentro l'emozione della materia, non sono in grado di riconoscere la parola di quelle entro quella dello spirito. Una parla dei fatti, l'altra delle ragioni, una del diritto legale, l'altra di quello naturale alla sopravvivenza. Una vuole dominare, l'altra mantenere se stessa. Una è slegata dalla sua origine, l’altra lo afferma. Qatar. Le mazzette per un buon Campionato del mondo indigneranno, taglieranno teste, forniranno capri espiatori di peccati commessi da un sistema che si proclama il più giusto del mondo. Almeno con il re e col maggiordomo non c’erano equivoci: si sapeva sempre chi era il colpevole. Nei labirinti della burocrazia democratica, la pistola è sempre fumante, ma le impronte sempre mancanti. Reazioni avverse. La fedeltà alla gran cassa della narrazione del pensiero unico è un indice utile a chi ha l’interesse e il potere di dirigere il comportamento delle masse. Nessun argomento razionale può contrastarlo, finché il maggior credito viene attribuito alla scienza-della-tv. Russia. Qualche fesso viene fuori ora citando il Trattato di Budapest del 1994, poi ampiamente disatteso dalla Russia. Lo fa per contrastare ed equiparare il tradimento occidentale degli accordi di Minsk. Lo stato geopolitico al tempo di Budapest cambiò rapidamente negli anni successivi. Quel trattato faceva dunque riferimento a condizioni che nel frattempo erano sparite. Cosa mai avrebbe dovuto rispettare la Russia?  Rivoluzione. Azione possibile in tempi di vessazione fisica. Impossibile in quelli di vessazione subliminale, vestita da progresso e responsabilità individuale sullo stato del mondo. La rivoluzione era possibile in ambito analogico. In quello digitale è sterilizzata. Scuola. Termine obsoleto, sostituito da formazione. Stesso etimo di formina. I professori in maggioranza applaudono. Sfacelo. Sostenibilità. “Tienimi unito per riciclare meglio”. È quanto si legge sui tappi della Coca Cola. A questo genere di attenzione per l’ambiente si dedica la politica, non a quanto ha imposto l’epoca del riciclo. Un particolare irrilevante rispetto all’agonia della terra, che non cambia di un punto alcunché, fatto salvo per la cultura acritica che troverà quei tappi interessanti, importanti, rispettosi, imitabili. Aiuto. Sesso. Il diritto in sostituzione della natura ha il massimo potere destabilizzante. Permetterà ubbidienza e sottomissione. Uomini ridotti a melma per qualsivoglia tipo d’impasto. “Pagliacciata”, la chiama qualcuno. Bene la critica, ma pronunciata in quel modo è l’espressione di chi non ha idea di dove stiamo andando a finire, non ha idea che quella pagliacciata non è altro che un anello di una catena lunga e sottile con la quale, come alle Hawaii, incoronerà tutti quelli che sbarcheranno sulla terra. Terremoto. Se fosse stato provocato o, semplicemente, come alcuni sostengono, un terremoto fosse provocabile, sarebbe solo l’ultima buona notizia in termini di controllo e volontà di egemonia. Dopo quello meteorologico e quello a mezzo delle nanotecnologie e della comunicazione. Salvo prove contrarie, tutte tecnologie disponibili solo agli americani. Tecnologia. La tecnologia non è neutra. Crea dipendenza e sudditanza. Erode la conoscenza. La sostituisce con dati e cognizioni. Ci mantiene sulla superficie di noi, a causa del fascinoso mondo che dice di donarci. Ci mantiene lontano da noi stessi, a causa della sua natura a noi esogena. Ha il potere di confermarci l’oggettività del suo imprescindibile valore. L’idolatria della tecnologia non è che un volano, che dalla natura e dal suo infinito ci porta nel virtuale e nel suo determinato. Terra. Oggetto e mai soggetto: concezione esiziale per chiunque la abiti. Limite del mondo secondo i positivisti. Ma espressione del cosmo e della vita, e noi come lei. Non è destinataria di dignità, se non in funzione antropocentrica. Disastro. Stati uniti d’America. Vietnam, Panama, Cile, Argentina, Iraq, Libia, Afghanistan, Siria, Serbia, Russia. E ancora tutti a loro prostrati. C’è qualcosa che mi sfugge. Ufo. Significa diversivo. Significa bluff. Significa che la terra trema anche sotto le gambe americane. Che altro pensare, quando la posta si alza e si giocano le migliori carte? Vaccini. Prova generale di controllo. Crogiolo di menzogne che, attraverso il fuoco della paura, ha gocciolato credibilità dall’alambicco della comunicazione. Zelensky. Cosa non si arriva a fare. Ma può un uomo solo avere tanta forza? Piunno chessi. Quindi chi c’è dietro? Una domanda per chi ancora crede che la guerra sia tra la Russia e l’Ucraina.

21 lettere che, opportunamente combinate, possono raccontare tutte le storie. Che, opportunamente proposte e ribadite, di tutte le storie raccontano una soltanto e a lieto fine. Meno lavoro e preoccupazioni, più tempo libero e salute, più sicurezza, parità, diritti, uguaglianza, giustizia. 21 lettere che, diversamente combinate, rivelerebbero a tutti chi è l’assassino.

Lorenzo Merlo

 
L'immagine del nostro futuro PDF Stampa E-mail

7 Marzo 2023

 Da Comedonchisciotte del 4-3-2023 (N.d.d.)

Uno degli ostacoli alla comprensione della distruzione gestita e apparentemente deliberata delle piccole e medie imprese (che nel Regno Unito sono diminuite di mezzo milione dal 2020) e della rimozione della nostra sovranità nazionale con la giustificazione di salvarci da, a turno, una crisi sanitaria, una crisi ambientale, una crisi energetica e una crisi del costo della vita, è la questione di come qualcuno possa trarre beneficio da ciò. È sempre difficile guardare al futuro e prevedere cosa accadrà, ma possiamo guardare al passato e cercare di imparare da quanto successo di recente. Se vogliamo sapere dove sta portando questo impoverimento e questa privazione di diritti del popolo britannico e chi ne trarrà beneficio, potremmo guardare a ciò che era accaduto alla Russia negli anni ’90.

Quando, nel marzo 1985, Mikhail Gorbaciov era diventato Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, aveva immediatamente dato inizio al suo programma di perestroika (“ristrutturazione”) della politica economica e politica dell’URSS. Cinque anni dopo, nel settembre 1990, nell’ambito della riforma politica denominata glasnost (“apertura”), il Parlamento sovietico aveva concesso a Gorbaciov, ora neoeletto Presidente dell’URSS, poteri di emergenza in materia di privatizzazioni. Questo includeva l’autorità di trasformare le imprese statali in società per azioni con azioni offerte in borsa. Dopo le dimissioni di Gorbaciov e la dissoluzione formale dell’URSS nel dicembre 1991, il primo presidente russo, Boris Eltsin, aveva avviato un programma di privatizzazioni che cercava di comprimere vent’anni di neoliberismo occidentale in un Paese la cui popolazione non aveva alcuna esperienza del funzionamento del capitalismo finanziario. Due anni dopo, più dell’85% delle piccole imprese russe e più di 82.000 aziende statali russe, circa un terzo del totale esistente, erano state privatizzate. Una delle prime iniziative era stata la privatizzazione tramite i voucher. Tra il 1992 e il 1994 erano stati distribuiti tra il 98% della popolazione russa 144 milioni di voucher che potevano essere convertiti in azioni di oltre 100.000 aziende statali, dando, in linea di principio, ad ogni cittadino una quota della ricchezza nazionale. Tuttavia, l’operaio russo, impoverito e sempre più disoccupato a causa del rapido smantellamento dell’economia sovietica, aveva una scarsa comprensione del capitalismo azionario e questi buoni erano stati quasi interamente acquistati per pochi rubli dai burocrati russi, che avevano un’idea più chiara dello stato dell’economia russa, dai direttori delle società statali, che avevano una migliore comprensione del valore delle risorse russe, e dalla mafia, che dopo anni di commercio di materie prime occidentali sul mercato nero sovietico, aveva un’idea più precisa del valore futuro di queste azioni. Alla fine del giugno 1994, la proprietà del 70% delle grandi e medie imprese russe e di circa il 90% delle piccole imprese era stata trasferita in mani private. Nel 1995, con il governo alle prese con un deficit fiscale e in cambio del finanziamento della sua campagna di rielezione, Eltsin aveva avviato il programma “Prestiti in cambio di azioni,” attraverso il quale gli asset industriali statali di petrolio, gas, carbone, ferro e acciaio erano stati messi all’asta per ottenere prestiti dalle banche commerciali. Poiché questi prestiti non erano mai stati restituiti, in gran parte perché erano stati utilizzati per pagare gli interessi sul debito pubblico esistente, e poiché le aste erano state truccate dagli addetti ai lavori, gli asset statali erano stati effettivamente venduti per una frazione del loro valore. La Yukos Oil, ad esempio, del valore di circa 5 miliardi di dollari, era stata venduta per 310 milioni di dollari; la Sibneft, il terzo produttore di petrolio in Russia, del valore di 3 miliardi di dollari, era stata venduta per 100 milioni di dollari; e la Norilsk Nickel, che produceva un quarto del nichel mondiale, era stata venduta per 170 milioni di dollari, la metà di un’offerta concorrente. Questo schema aveva creato una nuova classe di oligarchi (dal greco antico oligarkhía, “dominio di pochi”), industriali e banchieri che ora controllavano non solo l’economia russa ma anche il suo governo. Tuttavia, consapevoli che i futuri governi avrebbero potuto invertire la svendita della ricchezza della nazione da parte di Eltsin, gli oligarchi, invece di investire in queste industrie, si erano immediatamente impegnati a spogliarne i beni per aumentare il loro patrimonio netto. Le ingenti ricchezze così accumulate erano state investite all’estero, in gran parte in banche svizzere, ma anche in immobili del Regno Unito con l’aiuto del più grande servizio di riciclaggio di denaro del mondo, la City di Londra, attraverso il quale continuano a transitare ogni anno più di 100 miliardi di sterline di “denaro sporco,” la maggior parte dei quali provenienti dalla Russia e dall’Ucraina. Questa fuga di capitali dal Paese aveva reso il governo incapace di riscuotere le tasse, portandolo ad essere inadempiente nei rimborsi del debito, e provocando infine la crisi finanziaria del 1998. Quando gli investitori stranieri avevano iniziato a ritirarsi dal mercato, vendendo valuta e beni russi, la Banca Centrale Russa, fondata solo nel luglio 1990, aveva dovuto dar fondo alle sue riserve estere per difendere la valuta russa, spendendo circa 27 miliardi di dollari delle sue riserve in dollari. Questo aveva portato al più cataclismatico crollo economico in tempo di pace di un Paese industriale in tutta storia conosciuta. Nel 1999, il prodotto interno lordo della Russia era sceso di oltre il 40% e l‘aumento dei prezzi al dettaglio del 2.520% avvenuto nel 1992 aveva azzerato i risparmi personali accumulati dal popolo russo. Il calo del consumo di carne era stato rispecchiato da un enorme aumento della criminalità, della corruzione e della mortalità, che aveva toccato il massimo storico per un Paese industriale non in guerra. La disoccupazione, in un Paese dove prima era sconosciuta, aveva raggiunto il 13%, l’inflazione l’85,7% e Il debito pubblico il 135% del PIL e la Russia, di conseguenza, era diventata il maggior mutuatario del Fondo Monetario Internazionale, arrivando ad indebitarsi per un totale di 20 miliardi di dollari negli anni Novanta. Tuttavia, poco di tutto questo era servito al suo scopo apparente. Un quarto di questa somma, circa 4,8 miliardi di dollari, era stato rubato al suo arrivo in Russia alla vigilia della crisi finanziaria ed era scomparso in un conto anonimo registrato nella giurisdizione fiscale offshore di Jersey.

Se tutto questo vi suona familiare, è perché le riforme di Eltsin si basavano sul Washington Consensus, dieci principi di neoliberalizzazione economica attuati per la prima volta nel Cile di Augusto Pinochet e dalla giunta argentina negli anni ’70, e imposti dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale e dal Tesoro degli Stati Uniti come condizione per ricevere prestiti. Tra questi, il riorientamento della spesa pubblica, dal finanziamento dei servizi statali all’investimento in servizi a favore della crescita, come l’istruzione e la sanità; l’eliminazione delle restrizioni al commercio d’importazione e agli investimenti esteri; l’abolizione delle norme sulla sicurezza, sulla salute e sull’inquinamento ambientale, ritenute ostacoli per il mercato e, soprattutto, la privatizzazione delle industrie statali. A seguito di queste riforme, nell’ottobre 1998 il governo russo, nonostante fosse il più grande esportatore di gas naturale e di riserve petrolifere al mondo, aveva dovuto ricorrere agli aiuti umanitari internazionali. La strada era stata lunga, ma il tempo breve dall’epoca in cui l’Unione Sovietica poteva vantarsi di essere una delle due superpotenze mondiali, una vera e propria lezione su quanto rapidamente la ricchezza e il patrimonio nazionale di un Paese possano essere spogliati quando la sua popolazione è indifesa nei confronti delle predazioni del capitalismo finanziario. Sebbene si sia “ripresa” al punto che oggi – soprattutto in seguito all’aumento dei prezzi dell’energia conseguente alle sanzioni – la Russia è tra le prime dieci maggiori economie del mondo per PIL nominale, dal punto di vista pro capite scende al 53° posto. Un decennio fa, il divario tra ricchi e poveri in Russia era il più grande di qualsiasi altro Paese al mondo, con il 35% della ricchezza di un Paese di 144 milioni di persone posseduta da soli 110 miliardari e gran parte di questa ricchezza conservata in giurisdizioni finanziarie offshore. Nel 2021, i 500 Russi più ricchi, ognuno con un patrimonio netto di oltre 100 milioni di sterline e rappresentanti solo lo 0,001% della popolazione totale, controllavano ancora il 40% dell’intera ricchezza delle famiglie del Paese – più del 99,8% più povero, 114,6 milioni di persone in totale. Questo è ciò che il capitalismo finanziario fa a una nazione e a un popolo che non ha i mezzi politici e istituzionali per proteggersi.

Oggi, in tutte le democrazie neoliberali dell’Occidente, i governi nazionali, asserviti alle nuove forme di governance globale, nate con il pretesto di affrontare molteplici “crisi” artificiali, stanno attuando programmi equivalenti di collasso economico gestito, ideati dalle stesse istituzioni internazionali di gestione macroeconomica globale. Invece di Perestroika, Glasnost, Privatizzazione dei Voucher e Prestiti per Azioni, questi programmi di “riforma” economica e politica ora si chiamano Agenda 2030, Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, Reddito di Base Universale e Moneta Digitale della Banca Centrale. Anche se non vengono attuati in seguito al crollo di un’economia di comando centralizzata come quella dell’Unione Sovietica, ma in economie neoliberali che stanno affrontando la seconda crisi finanziaria globale in dodici anni, l’obiettivo di questi programmi è lo stesso: l’impoverimento delle popolazioni nazionali, il fallimento delle imprese indipendenti, l’espropriazione delle terre e delle risorse nazionali, l’insediamento di governi fantoccio per presentare una facciata di democrazia al dominio tecnocratico e la presa di potere economico e politico da parte di una classe dirigente finanziaria. L’abolizione dei nostri diritti, l’abbassamento del nostro tenore di vita, la riduzione del consumo di cibo e di energia, l’aumento vertiginoso dell’inflazione e le sanzioni economiche e i programmi che le attuano sono tutti progettati per trasferire i nostri beni nazionali e personali nelle mani di questa élite globale. Proprio come era successo in Russia negli anni ’90, la Banca d’Inghilterra ha aumentato il suo programma di quantitative easing per salvare l’economia del Regno Unito, spendendo recentemente 19,3 miliardi di sterline per acquistare titoli di Stato per sostenere la sterlina in crisi, con l’impegno di arrivare a spendere 65 miliardi di sterline se necessario. Nel 2022, il numero di fallimenti aziendali è stato il più alto degli ultimi 13 anni, le piccole imprese sono state spinte al fallimento da due anni di blocco imposto dal governo, i prezzi dell’energia sono saliti alle stelle e la loro quota di mercato è stata acquistata dai monopoli aziendali. La Banca d’Inghilterra ha previsto che l’inflazione raggiungerà il 13% all’inizio del 2023, mentre alcune stime prevedono un massimo del 18%. Inoltre, i compiti e l’autorità dello Stato britannico continuano ad essere esternalizzati dal nostro governo a società internazionali, alle quali la nuova legislazione conferisce il potere di stabilire i limiti dei nostri diritti e delle nostre libertà, prima inalienabili. Infine, il nostro nuovo Primo Ministro globalista non è stato eletto dagli elettori britannici e nemmeno dal suo partito parlamentare, ma dai finanzieri e dai tecnocrati internazionali che, proprio come fanno in Russia e in Ucraina, ora dettano non solo le nostre linee economiche ma anche la nostra politica.

Permettetemi di chiarire cosa intendo e cosa non intendo con questo paragone, nel tentativo di evitare alcune delle più sciocche repliche da parte dei sindacalisti paladini della NATO. Non sto dicendo che la Russia post-sovietica sia lo specchio del Regno Unito nel 2023. Le differenze tra le circostanze storiche e le economie dei due Paesi sono troppo grandi. Quello che sostengo è che la distruzione gestita dell’economia russa dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica è lo specchio della direzione che stiamo prendendo e del motivo per cui veniamo spinti in questa direzione Gli oligarchi russi e ucraini non erano motivati solo dalla ricchezza che potevano esportare dai loro Paesi in giurisdizioni fiscali offshore gestite da consulenti finanziari della City di Londra; erano, e sono, interessati al potere politico che quella ricchezza poteva e può dare. E così come avevano scelto Vladimir Putin come successore dello scalcinato Boris Eltsin, anche i nostri oligarchi hanno scelto Rishi Sunak come successore dello scalcinato Boris Johnson. Tuttavia, mentre Putin era riuscito a limitare il potere degli oligarchi russi e ucraini sull’economia e sulla politica del suo Paese, aveva aumentato il PIL, tagliato l’inflazione e ridotto il debito nazionale, incrementando le riserve di valuta estera, i redditi, le pensioni e il valore del rublo, non possiamo aspettarci miracoli del genere da Sunak, talmente ammanicato con i loro equivalenti occidentali da sembrare praticamente uno di loro.

Il Regno Unito non è più uno Stato democratico almeno dal marzo 2020, quando il Paese era stato posto, di fatto, in uno Stato di emergenza, con migliaia di norme che ci avevano privato dei nostri diritti e delle nostre libertà emanate per decreto ministeriale senza la supervisione o l’approvazione dei nostri rappresentanti eletti in Parlamento. Ma, dopo che queste restrizioni erano state in gran parte revocate nel marzo 2022 (pur essendo ancora imposte da aziende private e pubbliche, comprese le compagnie aeree e il Servizio Sanitario Nazionale, come condizione di accesso, servizio o impiego) la decisione unilaterale di Sunak di imporre i programmi e le tecnologie di biosicurezza del Regno Unito e l’Agenda 2030 al di fuori di qualsiasi processo democratico è la sfacciata ammissione che ora siamo governati da tecnocrazie internazionali di governance globale gestite da amministratori delegati di aziende, banchieri internazionali e tecnocrati nominati dal governo. Anche se oggi li chiamiamo “filantropi,” “imprenditori” e “investitori globali” le azioni di questi globalisti non eletti sono altrettanto criminali di quelle dell’oligarchia russa e ucraina negli anni Novanta, la differenza è che questi globalisti agiscono su un palcoscenico molto più grande e con conseguenze molto più dannose per il loro pubblico, a turno indignato o plaudente ma sempre ingannato. Le sanzioni economiche e culturali imposte dal marzo 2022 alla Russia e gli immensi investimenti finanziari e militari in Ucraina da parte di questo governo globale sono strumentali alla guerra finanziaria che questi globalisti occidentali stanno conducendo contro gli oligarchi russi; ma, contrariamente alla retorica dei nostri politici e attori, non lo fanno per difendere i diritti umani degli Ucraini e un governo fantoccio installato da un colpo di Stato architettato dagli Stati Uniti nel 2014 proprio per questo motivo, ma piuttosto per emulare, sostituire e superare quell’oligarchia in termini di ricchezza, influenza politica e, soprattutto, per avere il controllo delle immense risorse naturali della Russia e, più sull’immediato, di quelle dell’Ucraina. Il recente annuncio del presidente Volodymyr Zelensky che, dopo i 100 miliardi di euro di aiuti militari, finanziari e umanitari che l’Occidente ha consegnato al suo governo nel 2022, i gestori di patrimoni statunitensi BlackRock, JP Morgan e Goldman Sachs “coordineranno” i loro investimenti in Ucraina e nelle sue vaste risorse naturali – non solo grano, petrolio e gas, ma anche minerali e litio, componente primario delle batterie elettriche – dovrebbe dimostrare a tutti, tranne che ai più ferventi fanatici delle bandiere blu e gialle, quale sia l’interesse dell’Occidente per questo paese artificiale. In preparazione alla neoliberalizzazione dell’Ucraina, Zelensky ha già messo al bando i partiti politici dell’opposizione, i sindacati dei lavoratori e le piattaforme mediatiche indipendenti, ha approvato leggi per la privatizzazione delle imprese, delle banche e dei beni di proprietà dello Stato, ha promesso di deregolamentare e ridurre le imposte sulle imprese, ha stilato liste di giornalisti critici nei confronti delle politiche del suo governo e ha invitato la NATO a lanciare attacchi nucleari preventivi contro la Russia. Se vogliamo avere un’immagine di dove ci sta portando questo colpo di stato globalista (che viene attuato con la giustificazione fasulla di proteggere la nostra salute da un nuovo virus mortale, di difendere l’Europa da “Mad Vlad” Putin e di salvare il pianeta dal riscaldamento globale causato dall’uomo) la disuguaglianza economica, la corruzione finanziaria e l’esclusione politica del popolo russo e, più vicino nel tempo, il governo fantoccio dell’Ucraina e il suo presidente contestatore, sono un buon punto di partenza. Questa è l’immagine del nostro futuro.

Simon Elmer (tradotto da Markus)

 

 
Dissoluzione della scuola PDF Stampa E-mail

4 Marzo 2023

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 Da Comedonchisciotte del 2-3-2023 (N.d.d.)

Che cos’è la scuola? Cito la Treccani: “Istituzione a carattere sociale che, attraverso un’attività didattica organizzata e strutturata, tende a dare un’educazione, una formazione umana e culturale, una preparazione specifica in una determinata disciplina”. C’è da chiedersi se la scuola italiana serva a questo oggi.

Quando penso alla miglior scuola, mi viene in mente quella riforma degli ordinamenti scolastici e universitari, degli esami e dei programmi di insegnamento che va sotto il nome di riforma di Giovanni Gentile tra il 1922 e il 1924, redatta con Giuseppe Lombardo Radice, pedagogista. Due filosofi, un confronto impietoso con le menti “eccelse” della politica italiana che negli ultimi 35 anni hanno letteralmente picconato i fondamentali di questa Istituzione. Berlinguer, Moratti, Gelmini: tre nomi una garanzia, quella della distruzione sistematica di una scuola che creava menti pensanti o, quanto meno, che sfornava giovani che qualche fondamentale di italiano, storia, matematica, geografia lo aveva ben chiaro in testa. Chiediamoci cosa sia oggi la scuola: dovrebbe essere un luogo di formazione degli spiriti e delle menti. E di dedizione all’insegnamento. E di visione del futuro della nostra Nazione. Ma oggi non è nulla di tutto questo: la scuola italiana in generale oggi non è luogo di divulgazione della conoscenza. Oggi si preferisce parlare di competenza, nelle scuole. E cito ancora la Treccani: “Competenza: idoneità e autorità di trattare, giudicare, risolvere determinate questioni.” Noi rifiutiamo che sia questo il compito dell’istruzione. La competenza è data spesso da anni di lavoro, noi lo sappiamo bene. Ebbene, la scuola serve a infondere CONOSCENZA, sarà bene ribadirlo in modo definitivo.

I nostri giovani non conoscono più le tabelline. Non imparano a memoria quasi più nulla. La geografia gli è sconosciuta, l’arte, figuriamoci, non contemplata. In un Paese come il nostro, l’Arte viene dopo. Certo, qualche eroe insegnante c’è ancora, e questo va detto. Certo, qualcuno davvero appassionato nel fare questo difficilissimo mestiere sopravvive alla desolazione. Ma sono sempre di meno questi temerari. So della difficoltà dei molti che di fronte all’aziendalizzazione (parola orribile) delle scuole, dei licei e delle Università alzano le braccia, ormai arresi a questo metodo di evidente matrice anglosassone. Già. Perché l’importante ormai è copiare lo schema straniero, possibilmente nordeuropeo, meglio ancora se americano. Perché loro sì che ci sanno fare. E perciò invece di ridicolizzare una signora diventata famosa in cronaca perché secondo lei le scuole in Sicilia non sono all’altezza di quelle finlandesi, ci prostriamo. Balbettiamo. La nostra classe politica si giustifica. Del resto, molto è stato fatto dai nostri politici appunto a favore della dissoluzione della Scuola almeno da 50 anni. Ma anziché cercare soluzioni per il recupero e per la valorizzazione delle menti dei nostri ragazzi e dell’ Istituzione scolastica in generale, ecco che parte la litania autoflagellante, della quale i nostri media sono maestri: “i nostri giovani sono svogliati”, “non hanno voglia di fare nulla”, “sono ignoranti”. Credete che siano frasi fatte? No, è la convinzione di molti. E a furia di dirlo ancora in troppi se ne convincono. In questi anni ho incontrato molti ragazzi animati da autentico spirito di conoscenza, di voglia di apprendere. E quando capiscono cosa gli sta succedendo, cosa ci sta succedendo, cosa sta succedendo alla nostra Nazione, lo vedi nei loro sguardi. Gli occhi ci dicono molto: sorpresa, indignazione, determinazione. Noi delle generazioni precedenti non eravamo più intelligenti, però sicuramente studiavamo nel modo giusto. I fondamentali non erano mai messi in discussione. L’analisi logica e grammaticale era noiosa, ma se ne riempivano pagine e pagine. Oggi invece si discute se il liceo classico serva ancora a qualcosa. Sì, perché la cultura secondo alcuni dovrebbe servire a qualcosa. Mi chiedo quindi a cosa possano mai servire la pittura, la scultura, la musica, il teatro... A che diavolo servono le poesie? A cosa serve conoscere la storia, alla fine sono morti tutti, per non parlare dell’archeologia. A cosa serve la filosofia? Solo speculazioni di gente che aveva tempo da perdere. In fondo anche questi greci, che barba che noia. Platone e Aristotele, chi erano costoro? Ma allora, a cosa serve la scuola? Suggeriamo una risposta: forse a chiedersi dei perché? A farsi delle domande? A capire? Per rispondere a questa domanda potremmo tirare in ballo chi ha inventato l’alternanza scuola-lavoro, ma non credo sarebbe in grado di risponderci. L’unica cosa che sono stati capaci di fare è inventarsi i giovani apprendisti  gratis, in pratica, che anziché stare seduti sui banchi lavorano in officina, altrimenti li bocciano. E se ogni tanto qualcuno di loro ci perde la vita, pazienza, che vuoi che sia, per acquisire “competenze”, questo e altro. Ributtante degenerazione di un sistema che deve togliere alla scuola italiana la sua funzione e la sua peculiarità, e del quale sistema la nostra classe politica, efficacemente, si è fatta strumento attivo contro gli studenti, le loro famiglie, gli insegnanti motivati e capaci.

A scuola bisogna tornare a studiare. Il tema oggi invece è quante pause si fanno durante la giornata. E invece io penso che lo studio da seduti, su un tavolo di lavoro, sopra dei libri debba tornare modus operandi. Recuperare la concentrazione, questa sconosciuta, perché sostituita da un approccio mordi e fuggi che fa dell’uso dei sistemi tecnologici digitali lo strumento principale. Superficialità dell’approccio, metodo ridicolo, la ricerca diventa niente di più se non lo smanettamento compulsivo di un cellulare durante il lavoro in classe. Se vogliamo usare gli strumenti tecnologici, sarà bene studiare il metodo di lavoro più adatto a queste giovani generazioni bombardate fin dalla più tenera infanzia da una montagna di stupidaggini di facilissimo reperimento. Poi i docenti universitari si chiedono perché i ragazzi siano sempre più impreparati. Magari non agevolare il pattume ideologico del pensiero unico, figlio del politicamente corretto, sarebbe stato utile, cari accademici. Sarebbe sato utile dire NO, almeno qualche volta… La scuola serve a divulgare conoscenza e a creare coscienze. Serve a imparare a studiare, a faticare, a sacrificarsi. Serve ad aprire la mente. E quindi sì alle materie tradizionali, con l’aggiunta significativa di discipline motorie e artistiche, sì alla reintroduzione del latino alle scuole medie, no all’anglicizzazione delle Università, no all’abolizione del Liceo classico. Sì al ritorno dello studio mnemonico delle tabelline, sì al ritorno dell’analisi grammaticale, sì alla bella calligrafia in corsivo (vogliamo parlare dell’aumento esponenziale dei bambini con problemi di dislessia negli ultimi 30 anni?), sì all’esercizio della memoria con l’ausilio dello studio dei nostri immensi poeti, sì all’attività artistica e musicale, che con quella sportiva sono i fondamenti dello spirito dei nostri giovani. Sì all’esercizio di scrittura dei temi, sì allo studio della retorica come capacità di parlare di fronte a una platea in ascolto, sì all’approfondimento delle materie scientifiche. E poi: selezione rigorosissima dei libri di testo, per i quali auspico un indice (vedi Controriforma) di quelli che la sparano più grossa, tra ecologismo e genderismo. Nei programmi di domani ci dovrà essere un postulato: infondere l’amore per la cultura italiana.

Nel prossimo futuro, con l’auspicio di poter lavorare con tutti i patrioti e recuperando anche quegli insegnanti e dirigenti scolastici che non hanno mai smesso di credere al valore assoluto che la nostra scuola ha sempre rappresentato, varrà la pena di creare sinergie tra le scuole, gli Istituti, le Accademie, le Associazioni culturali, i gruppi di cittadini che lottano e sperano in un futuro migliore per l’Italia e per i nostri giovani. Il nostro motto dovrà sempre essere: “Sapere per pensare, conoscere per agire”.

Katia Migliore

 
Solo gli sconfitti commettono crimini contro l'umanità PDF Stampa E-mail

2 Marzo 2023

 Da Comedonchisciotte del 28-2-2023 (N.d.d.)

Il bombardamento di Roma da parte di 591 aerei militari statunitensi del 19 luglio 1943 fu un evento centrale che ebbe un impatto enorme sulla caduta del fascismo del 25 luglio 1943; ma nonostante la sua evidente importanza, la storiografia anche italiana continua a trattarlo come un evento minore. L’approfondimento della dimensione storica del bombardamento, oggetto di questo articolo, dimostra invece che fu un evento centrale, di enorme importanza, per il destino del nostro Paese e per gli esiti della Seconda Guerra Mondiale.

A partire dalla fine del 1942, in tutti gli incontri bilaterali con Hitler, Mussolini e Ciano avvisarono l’alleato tedesco della estrema difficoltà per l’Italia di continuare la guerra, richiedendo : a) l’avvio di trattative di pace con l’URSS o, in alternativa, il ritiro delle forze dell’Asse su una linea essenzialmente difensiva, sulla base dell’impossibilità militare della conquista della Russia; b) il trasferimento di ingenti forze militari dalla Russia all’ Africa, per impedire la presa da parte degli Alleati del Nord Africa francese, la sconfitta dell’ Afrika Corps e successivamente, l’attacco alleato alla stessa Italia. Come in occasione dell’invasione tedesca della Polonia, quando erano sicuri che avrebbe scatenato la Seconda Guerra Mondiale, Mussolini e Ciano avevano ragione: la Russia era militarmente imprendibile, gli Alleati sarebbero poi sbarcati nel Nord Africa francese e l’Afrika Corps sconfitta, con oltre 250.000 militari tedeschi e italiani presi prigionieri in Tunisia. Fino alla sconfitta dell’ Asse in Nord Africa con la caduta del Nord Africa francese (Operation Torch, 8-16 novembre 1942) e la presa della Tunisia del 13 maggio 1943, i bombardieri di USA e GB dovevano decollare dalle basi nel Regno Unito, ed erano quindi in grado di raggiungere solo il Nord Italia, in una rotta A/R lunga e pericolosa. Con la conquista del Nord Africa francese e della Tunisia, tutta l’Italia divenne raggiungibile dalla Northwest Africa Air Force, composta da diverse centinaia di aerei e bombardieri di USA e GB, schierati in diverse basi militari aeree in Tunisia e Algeria. Gli altri Paesi che avrebbero potuto offrire basi navali ed aeree per attacchi del genere erano infatti già stati occupati (Albania, Grecia e Jugoslavia) o erano alleati dell’Asse (Ungheria, Romania e Bulgaria). È solo con la perdita del controllo del Nord Africa francese, ossia di Algeria e Tunisia, che l’Italia si trovò completamente esposta. E così, il 10 luglio 1943, dalle basi alleate nord africane partì la Operation Husky, l’invasione della Sicilia da parte di 150.000 uomini, 3000 navi e 4000 aerei di USA, GB, Canada e Australia, che terminò con l’eroica evacuazione di circa 62.000 militari italiani e di circa 52.000 militari tedeschi dalla Sicilia del 17-18 agosto 1943, via Stretto di Messina: modello Dunkerque – ma non lo sa quasi nessuno. Contrariamente a quanto raccontato dalla storiografia dei vincitori, la resistenza tedesca e italiana all’invasione fu feroce, e durante i combattimenti si verificarono diversi abusi (esecuzioni di militari arresi o prigionieri) da parte delle truppe statunitensi.

Ma già prima dell’invasione della Sicilia, e cioè all’indomani della Operation Torch e della caduta del Nord Africa francese, con un telegramma del 18 novembre 1942 diretto al Presidente statunitense Roosevelt, il Primo Ministro britannico Churchill aveva segnalato che “tutti i centri industriali italiani dovrebbero essere attaccati in maniera intensiva, ogni sforzo dovrebbe essere fatto per renderli inabitabili e per terrorizzare e paralizzare la popolazione”. Come noto, Churchill continuò fino alla fine della guerra ad auspicare e rivendicare lo sterminio della popolazione civile attraverso i bombardamenti aerei, con particolare riferimento per la Germania – come attestato da decine di documenti storici. La decisione di bombardare Roma fu molto dibattuta. I Britannici si schierarono immediatamente a favore, mentre gli Americani ebbero inizialmente molte perplessità, derivanti sia dalla possibile reazione del mondo cattolico, anche negli USA, sia dall’immenso patrimonio archeologico ed artistico della città. Alla fine il Presidente Roosevelt ed Eisenhower acconsentirono, sotto la condizione – sostanzialmente rispettata – dell’adozione di ogni misura per evitare che il bombardamento colpisse il Vaticano ed il centro storico di Roma. E così, la mattina del 19 luglio 1943, 591 bombardieri statunitensi provenienti dalle basi nord africane sganciarono 9125 bombe, principalmente sullo scalo ferroviario di San Lorenzo e sull’aeroporto di Ciampino, con circa 3000 morti. I bombardamenti continuarono fino alla conquista di Roma del 4 giugno 1944, con un totale di 60.000 tonnellate di bombe sganciate sulla città.

Solo gli sconfitti commettono crimini contro l’umanità Roma, quartiere di San Lorenzo Durante il bombardamento, Mussolini si trovava a Feltre, nell’ incontro bilaterale richiesto da Hitler, e durante il quale non riuscì ad ottenere niente della revisione strategica più volte richiesta, e meno che mai i 2000 aerei necessari per difendere l’Italia. D’altronde, nel 1943 la produzione annuale di aerei militari da parte dell’Italia era meno di un decimo di quella britannica, per non parlare di quella statunitense. Il bombardamento di Roma gettò l’intero Paese nel panico più assoluto. La quasi totale assenza di difese aeree e contraeree contro poco meno di 600 aerei militari nemici aveva evidenziato l’estrema vulnerabilità del Paese. Lo shock colpì il Vaticano, la Monarchia, le Forze Armate e lo stesso partito fascista. Il giorno dopo, il 20 luglio 1943, Mussolini incontrò Re Vittorio Emanuele III, che tentò inutilmente di convincerlo a dimettersi, ed il 21 luglio ordinò la convocazione del Gran Consiglio del Fascismo per il 24 luglio 1943 alle ore 17.00.

 

Conosciamo tutti i seguiti del bombardamento di Roma: il crollo del fascismo nella seduta del Gran Consiglio, l’arresto di Mussolini, l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943, fino alla dichiarazione di guerra alla Germania da parte di Pietro Badoglio del 13 ottobre del 1943, e la guerra civile. I bombardamenti anglo-americani sulle città italiane, dalle basi sia nordafricane che nel Sud Italia occupato, continuarono fino alla fine della guerra, con circa 65.000 vittime civili, totale per inciso molto superiore a quello delle vittime civili – circa 11.000 – delle rappresaglie nazi fasciste sulla popolazione italiana. Un bilancio amaro, ma certamente limitato se comparato alle vittime civili dei bombardamenti anglo-americani sulla Francia – 150.000 – e soprattutto sulla Germania (800.000) e sul Giappone (circa 1 milione, comprese le atomiche su Hiroshima e Nagasaki).

Solo gli sconfitti commettono crimini contro l’umanità. Solo cinque giorni dopo il bombardamento di Roma, il 24 luglio 1943 USA e GB avviarono l’Operation Gomorrah, il bombardamento di Amburgo, durato 8 giorni e 7 notti. Grazie in particolare all’ uso di bombe incendiarie (napalm e fosforo), i bombardamenti generarono ripetute tempeste di fuoco. Come a Dresda e a Tokyo, la maggior parte delle vittime – almeno 50.000 – morì tra sofferenze indicibili, bruciata o cotta viva. E come a Dresda nel febbraio 1945 (almeno 75.000 morti), a Tokyo nel marzo 1945 (130.000 morti), ed in decine di altre città tedesche e giapponesi, i bombardamenti, dopo la distruzione, si accanirono per giorni interi anche sui soccorsi. L’enorme differenza tra i bombardamenti sull’ Italia e quelli su Germania e Giappone fa chiaramente comprendere quale sarebbe stato il destino del nostro Paese se non si fosse arreso: lo stesso di Germania e Giappone. Il pianificatore ed organizzatore dei bombardamenti incendiari sulle città tedesche, il britannico Arthur Harris, morto di vecchiaia nel 1984, dopo la guerra fu nominato Baronetto. In suo onore, è stata perfino eretta una statua, la “Bomber Harris Statue”, inaugurata il 31 maggio 1992 personalmente da Her Majesty The Queen Elizabeth nel centro di Londra. Eh sì, proprio lei, la tanto compianta Regina Elisabetta, e nel 1992, ossia ben 47 anni dopo la fine della WW2 – come dire, proprio a mente fredda! Ma anche all’altro ideatore e organizzatore dei bombardamenti in Giappone, Tokyo in testa, il Generale statunitense Curtis LeMay, non è andata esattamente male. Dopo la guerra, ha continuato per decenni a ricoprire alti incarichi militari, nonché ad esprimersi pubblicamente con il suo linguaggio violento e volgare alla John Wayne, fino a criticare la guerra in Vietnam per l’ insufficienza dei bombardamenti, per infine morire tranquillamente di vecchiaia a 84 anni, nel 1990. Nessuno dei due, e meno che mai i loro responsabili politici (Churchill, Roosevelt e Truman), è mai stato ne’ incriminato e ne’ processato per crimini contro l’umanità.

Ed infatti i bombardamenti di sterminio di massa di civili sono continuati anche dopo la Seconda Guerra Mondiale (Corea, Vietnam, Iraq, Siria), con altri milioni di civili morti. Solo nella seconda invasione dell’Iraq, i morti civili sono stati 650.000.

Ormai si sa: per un persistente mistero della Storia, solo gli sconfitti commettono crimini contro l’umanità.

Belisario

 
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