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Un grande sconvolgimento geopolitico PDF Stampa E-mail

22 Gennaio 2023

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 Da Comedonchisciotte del 18-1-2023 (N.d.d.)

In una recente intervista al Financial Times, un alto generale dei Marines americani, James Bierman, ha spiegato in un momento di candore come gli Stati Uniti stiano “preparando il teatro” per una possibile guerra con la Cina, ammettendo casualmente che i pianificatori della difesa statunitense erano impegnati in Ucraina già da anni, “per prepararsi seriamente” alla guerra contro la Russia – fino al “preposizionamento dei rifornimenti” e l’identificazione dei siti da cui gli Stati Uniti avrebbero potuto fornire supporto e sostenere le operazioni. In poche parole, erano lì, da anni, a preparare lo spazio di battaglia. Non c’è da sorprendersi, perché queste risposte militari derivano direttamente dalla decisione strategica centrale degli Stati Uniti di attuare la “Dottrina Wolfowitz” del 1992, secondo la quale gli Stati Uniti devono pianificare e agire preventivamente per mettere fuori gioco qualsiasi potenziale Grande Potenza – ben prima che raggiunga il punto in cui possa rivaleggiare o compromettere l’egemonia statunitense. Oggi la NATO è arrivata alla guerra contro la Russia in uno spazio di battaglia che, nel 2023, potrebbe, ma anche no, limitarsi all’Ucraina. In poche parole, il punto è che il passaggio (che sia incrementale o meno) alla “guerra” segna una transizione fondamentale da cui non si può tornare indietro. Le “economie di guerra” sono, in sostanza, strutturalmente diverse dalla “normalità” da cui l’Occidente era partito e a cui si era abituato negli ultimi decenni. Una società in guerra – anche se solo parzialmente mobilitata – pensa e agisce in modo strutturalmente diverso da una società in tempo di pace. La guerra non è neanche comportarsi da gentiluomini… L’empatia per il prossimo è la sua prima vittima – un decesso che serve a sostenere lo spirito combattivo. Eppure, la finzione, accuratamente portata avanti in Europa e negli Stati Uniti, continua a sostenere che nulla è realmente “cambiato” o “cambierà”: siamo in un “blip” temporaneo. Tutto qui.

Zoltan Pozsar, l’influente “oracolo” finanziario del Credit Suisse, nel suo ultimo saggio Guerra e Pace (solo su abbonamento) ha già fatto capire che la guerra è ben avviata, semplicemente elencando gli eventi del 2022: – Il blocco finanziario della Russia da parte del G7 (l’Occidente sta preparando lo spazio di battaglia). – Il blocco energetico della Russia nei confronti dell’UE (la Russia inizia a preparare il suo teatro). – Il blocco tecnologico degli Stati Uniti nei confronti della Cina (preposizionamento da parte dell’America di siti per sostenere le operazioni). – Il blocco navale di Taiwan da parte della Cina (la Cina dimostra di essere pronta). – Il “blocco” statunitense del settore EV [veicoli elettrici] dell’UE con l’Inflation Reduction Act. (I pianificatori della difesa statunitense si preparano per le future “linee di rifornimento”). – La “manovra a tenaglia” della Cina sull’OPEC+ con la crescente tendenza a fatturare le vendite di petrolio e gas in renminbi. (Lo “spazio di battaglia delle materie prime” Russia-Cina).

Questo elenco equivale a un grande “sconvolgimento” geopolitico che si verifica, in media, ogni due mesi – e che allontana in modo decisivo il mondo dalla cosiddetta “normalità” (a cui molti della classe consumatrice anelano ardentemente), portandolo ad uno stato intermedio di guerra. L’elenco di Pozsar mostra che le placche tettoniche della geopolitica sono davvero “in movimento” – con spostamenti che stanno accelerando e diventando sempre più interconnessi, ma che sono ancora lontani dall’essere arrivati ad un punto fermo. La “guerra” sarà probabilmente un fattore di disturbo importante (come minimo), fino a quando non verrà stabilito un equilibrio. E questo potrebbe richiedere alcuni anni. Alla fine, la “guerra” produce comunque degli effetti sulla mentalità pubblica convenzionale, anche se lentamente. Sembra che la paura di questi effetti su una mentalità impreparata sia alla base della decisione di prolungare le sofferenze dell’Ucraina, portando così la guerra nel 2023: un’ammissione di fallimento in Ucraina rischierebbe di spaventare i volatili mercati occidentali (con tassi di interesse più alti per un periodo più lungo). E parlare francamente rappresenta un’opzione difficile da prendere per un mondo occidentale, abituato a “decisioni facili” e “calciare il barattolo.” Pozsar, essendo un guru della finanza, nel suo saggio si concentra comprensibilmente sulla finanza. Ma è plausibile che il riferimento a Manias, Panics and Crashes di Kindleberger non sia un capriccio, bensì un’allusione al possibile “colpo” alla psiche convenzionale.

In ogni caso, Pozsar ci lascia quattro spunti economici fondamentali (con l’aggiunta di brevi commenti): 1. La guerra è il principale motore storico dell’inflazione e della bancarotta degli Stati. (Commento: l’inflazione provocata dalla guerra e la stretta quantitativa (QT) attuata per combattere l’inflazione sono politiche che operano in radicale opposizione l’una all’altra. In tempo di guerra, il ruolo delle banche centrali si riduce al sostegno delle esigenze belliche, a spese di altre variabili. 2. La guerra necessita di una capacità industriale di produrre armi (rapidamente) effettiva ed espandibile, che richiede linee di approvvigionamento sicure per alimentare tale capacità. (Una qualità che l’Occidente non possiede più e che è costoso ricreare); 3. I beni che spesso servono come garanzia per i prestiti diventano scarsi – e questa scarsità si manifesta come “inflazione” dei beni; 4. Infine, la guerra crea nuovi canali finanziari, come il progetto “m-CBDC Bridge”. Questo punto va sottolineato ancora una volta: la guerra crea dinamiche finanziarie differenti e modella una psiche diversa. E, soprattutto, la “guerra” non è un fenomeno stabile. Può iniziare con piccoli attacchi di facciata alle infrastrutture di un rivale e poi – ad ogni incremento di “missione” – strisciare verso una guerra vera e propria. La missione della NATO non sta solo strisciando verso una guerra con la Russia, ci sta andando a passo di corsa – temendo un’umiliazione in Ucraina sulla scia della precedente débacle in Afghanistan. L’UE spera di arrestare questo scivolamento ben prima della guerra totale. Si tratta comunque di un pendio molto viscido. Lo scopo della guerra è quello di infliggere dolore e distruggere il nemico. In questo senso è aperta ai cambiamenti. Le sanzioni formali e i tetti al prezzo dell’energia si trasformano rapidamente nel sabotaggio di oleodotti o nel sequestro di navi cisterna.

La Russia e la Cina, tuttavia, non sono certo ingenue e si sono date da fare per allestire il proprio teatro, in vista di un potenziale scontro più ampio con la NATO Cina e Russia possono ora affermare di aver costruito una relazione strategica non solo con l’OPEC+, ma anche con l’Iran e con i principali produttori di energia. La Russia, l’Iran e il Venezuela rappresentano circa il 40% delle riserve petrolifere accertate a livello mondiale e ciascuno di essi sta attualmente vendendo petrolio alla Cina in cambio di renminbi con un forte sconto. I Paesi del CCG [Gulf Cooperation Council· Bahrain · Kuwait · Oman · Qatar · Saudi Arabia · United Arab Emirates] rappresentano un altro 40% delle riserve petrolifere accertate e sono corteggiati dalla Cina affinché accettino il renminbi per il loro petrolio, in cambio di investimenti trasformativi. Si sta preparando un nuovo importante spazio di battaglia: porre fine all’egemonia del dollaro facendo bollire lentamente la rana. La controparte ha sferrato il colpo iniziale, sanzionando metà dell’OPEC, quello che detiene il famoso 40% delle riserve mondiali di petrolio. Il colpo è fallito: l’economia russa è sopravvissuta – e non sorprende che le sanzioni abbiano “allontanato” quegli Stati dall’Europa, “consegnandoli” invece alla Cina. Nel frattempo, la Cina sta corteggiando l’altra metà dell’OPEC con un’offerta difficile da rifiutare: “Nei prossimi “tre-cinque anni” la Cina non solo pagherà sempre più petrolio in renminbi – ma, cosa più significativa, “pagherà” con nuovi investimenti nelle industrie petrolchimiche a valle in Iran, Arabia Saudita e, più in generale, nel CCG. In altre parole, costruirà l’economia della generazione successiva” per questi esportatori di combustibili fossili, la cui data di scadenza energetica si avvicina. Il punto chiave è che in futuro molto più “valore aggiunto” (nel corso della produzione) sarà catturato localmente, a spese delle industrie occidentali. Pozsar lo chiama sfacciatamente: “Le nostre risorse, il vostro problema… Le nostre risorse, la nostra emancipazione.” In altre parole, in gran parte del Resto del Mondo l’asse Cina-Russia sta accendendo i fuochi di un’insurrezione strutturale contro l’Occidente. Questi fuochi mirano a “bollire lentamente la rana” – non solo quella dell’egemonia del dollaro, ma anche quella di un’economia occidentale ormai non più competitiva.

Emancipazione? Sì! Ecco il punto cruciale: La Cina riceve l’energia russa, iraniana e venezuelana con uno sconto del 30%, mentre l’Europa continua a ricevere l’energia per la sua industria, ma solo con un forte sovrapprezzo. In breve, il valore aggiunto dei prodotti sarà acquisito in misura maggiore, e talvolta totale, dagli Stati “amici” dell’energia a basso costo, a scapito degli Stati “non amici” e non competitivi. “La Cina – la nemesi – paradossalmente è un grande esportatore di GNL russo ad alto margine di profitto verso l’Europa, e l’India un grande esportatore di petrolio russo ad alto margine di profitto e di prodotti raffinati, come il diesel, verso l’Europa. Dovremmo aspettarci un numero maggiore di prodotti, fatturati non solo in euro e dollari, ma anche in renminbi, dirham e rupie,” suggerisce Poszar. Può non sembrare così ovvio, ma si tratta di una guerra finanziaria. Se l’UE si accontenta di prendere la “via d’uscita più facile” per cercare di evitare la caduta nella non competitività (attraverso i sussidi per consentire le importazioni ad alto prezzo), allora, come disse una volta Napoleone osservando un nemico che commetteva un errore, bisogna osservare il silenzio! Per l’Europa, ciò significa meno produzione interna e più inflazione, perché le alternative che gonfiano i prezzi vengono importate dall’Est. L’Occidente che prende la “decisione facile” (dato che la sua strategia sulle energie rinnovabili non è stata ben ponderata), probabilmente troverà che questa decisione va a scapito della crescita in Occidente – un percorso che, nel prossimo futuro, prefigura un Occidente sempre più debole.

L’UE sarà particolarmente colpita. Ha scelto di dipendere dal GNL statunitense, proprio nel momento in cui la produzione dei giacimenti di scisto degli Stati Uniti ha raggiunto il suo picco, e questa produzione è probabilmente destinata al mercato interno statunitense. Così, mentre il generale Bierman illustrava come gli Stati Uniti avevano preparato lo spazio di battaglia in Ucraina, la Russia, la Cina e i pianificatori dei BRICS erano impegnati ad allestire il proprio “teatro.” Naturalmente, non è detto che le cose debbano andare per forza così: il procedere a tentoni dell’Europa verso la catastrofe riflette una psicologia radicata nell’élite dirigente occidentale. In Occidente non si fa alcun ragionamento strategico, né si prendono “decisioni difficili.” È tutto un Merkelismo narcisistico (decisioni difficili rinviate e poi “falsificate” attraverso l’elargizione di sussidi). Il Merkelismo si riferisce al regno di Angela Merkel all’interno dell’UE, dove le riforme fondamentali venivano invariabilmente rimandate. Non c’è bisogno di riflettere o di prendere decisioni difficili, quando i leader sono convinti che l’Occidente sia il centro dell’universo. È sufficiente rimandare, in attesa che l’inevitabile avvenga comunque.

 La storia recente delle guerre eterne guidate dagli Stati Uniti è un’ulteriore prova di questa lacuna occidentale: queste guerre zombie si sono trascinate per anni senza alcuna giustificazione plausibile, per poi essere abbandonate senza tanti complimenti. Tuttavia, le dinamiche strategiche venivano soppresse e dimenticate molto più facilmente quando si combattevano guerre di insurrezione – rispetto alla lotta contro Stati concorrenti ben armati e paritetici. La stessa disfunzionalità si è manifestata in molte crisi occidentali a lento decorso: tuttavia, persistiamo… perché la protezione della fragile psicologia dei nostri leader – e di un settore influente dell’opinione pubblica – ha la precedenza. L’incapacità di accettare la sconfitta spinge le nostre élite a preferire il sacrificio del proprio popolo, piuttosto che vedere smascherate le proprie illusioni. Per questo motivo, la realtà deve essere ignorata. Viviamo quindi una nebulosa epoca di mezzo: tante cose accadono, ma c’è poco movimento. Solo quando l’esplosione della crisi non potrà più essere ignorata – anche dai censori dei media mainstream e di Big Tech – si potrà fare qualche sforzo reale per affrontare le cause alla radice. Questo enigma, tuttavia, pone un enorme fardello sulle spalle di Mosca e di Pechino, che devono gestire l’escalation della guerra in modo accorto, di fronte ad un Occidente per il quale perdere è intollerabile.

Alastair Crooke (tradotto da Markus)

 
Comandano coloro dei quali non si può dire male PDF Stampa E-mail

21 Gennaio 2023

 Da Comedonchisciotte del 18-1-2023 (N.d.d.)

Un amico, conversando davanti a un caffè, ci ha posto la domanda da un miliardo di dollari: chi comanda nel mondo? Ha aggiunto di non volere una risposta complessa e che gli interessa sapere nomi e cognomi. Vasto, arduo programma, rispondere a un quesito che ci tiene chini sui libri da anni; ancora più difficile indicare persone fisiche in un tempo in cui il potere – più oligarchico e chiuso che mai – ha una dimensione reticolare, in cui ogni snodo, ciascun anello è strettamente legato in una ragnatela che, tuttavia, ha un centro che può essere identificato. Al nostro amico abbiamo ripetuto un concetto espresso da Giano Accame, grande giornalista e finissimo intellettuale: comandano coloro dei quali non si può dire male. Sembra una battuta – o un’elusione della risposta – e invece è il primo gradino per arrivare alla verità. In ogni ambiente – tutti ne abbiamo esperienza – c’è qualcuno (persona, gruppo, consorteria, grumo di interessi) di cui non si può dir male, pena le rappresaglie, la discriminazione, la punizione. Così funziona il mondo, in basso e in alto, alla faccia delle anime belle. Possiamo allora formulare un primo livello di risposta: comanda chi può far diventare legge o senso comune la propria volontà – applicando sanzioni a chi trasgredisce o dissente – ed è in grado di screditare prima, vietare poi, rendere illegale o pericoloso formulare critiche o sollevare obiezioni nei suoi confronti. Non è – ancora – una risposta. Un altro livello di riflessione è in negativo: chi non comanda, ossia chi, in fatto e in diritto, non è in grado di esercitare un potere? Qui il setaccio si fa più fitto ed esclude una quantità immensa di soggetti: i popoli, i poveri, chi non possiede beni e istruzione, la stragrande maggioranza degli esseri umani, ma anche gran parte degli Stati teoricamente indipendenti che rappresentano le nazioni, le civiltà e le popolazioni del mondo. La risposta si fa meno opaca. Comandare, ossia decidere, governare, impartire disposizioni che dovranno essere eseguite o imposte coattivamente, significa non riconoscere – di fatto o in diritto – autorità superiori: la vecchia formula latina dell’auctoritas – o potestas – superiorem non recognoscens.

Appare dunque evidente quanto le istituzioni pubbliche, a partire dagli Stati nazionali – non comandino più. Qualche esempio relativo all’Italia: le leggi dell’Unione Europea – promulgate sotto forma di regolamenti – e ogni normativa comunitaria non solo sono inappellabili e immediatamente esecutive, ma abrogano ogni contraria disposizione nazionale. Il fatto più sorprendente è che – nonostante il dettato costituzionale assegni la sovranità al popolo (italiano) – è stata la stessa giurisdizione, con apposite sentenze, a spogliarsi della potestas per statuire la superiorità del diritto comunitario, detto acquis, norma, ma anche conquista acquisita una volta per tutte.

La Repubblica non ha più un potere legislativo autonomo: la costituzione è un foglio di carta o un libro dei sogni. Niccolò Machiavelli, fondatore della scienza politica, riteneva che i fondamenti della sovranità dello Stato fossero l’esercito e la moneta. Nessuno può negare che le nostre forze armate siano dirette dai comandi della NATO, il cui vertice sta negli Usa. Attraverso la copertura atlantica, gli Usa possiedono in Italia almeno cento basi militari, alcune delle quali dotate di armi atomiche che sfuggono al controllo italiano. Tutte sono giuridicamente extraterritoriali e i reati militari non possono essere perseguiti, come sa chi tentò invano di portare alla sbarra gli aviatori americani che distrussero la funivia del Cermis a Cavalese, con vittime e danni. Discutere non diciamo l’appartenenza alla Nato, ma i suoi termini, è sostanzialmente vietato in Italia e pone chi ci prova fuori dal dibattito politico, al limite della criminalizzazione. Basterebbe questo per far disperare Machiavelli. Il peggio è tuttavia l’inesistenza della sovranità monetaria, ossia il controllo privato e straniero dell’emissione e circolazione della moneta legale. Il bastone del comando è nelle mani di chi crea il denaro dal nulla, attribuendosene la proprietà: i banchieri. Il primato del denaro sulla dimensione pubblica è stato conquistato dai “mercati”, pseudonimo del potere finanziario di pochi giganti, con la creazione delle banche centrali di cui essi hanno assunto il controllo, appropriandosi della fonte primaria del comando: l’emissione della moneta. Finti enti pubblici per mascherarne la natura di giganteschi poteri privati in mano ai signori del denaro, le banche centrali sono controllate dalla cupola della finanza internazionale e godono di privilegi e immunità ben celate al grande pubblico. Il trucco non è soltanto la difficile comprensione del concetto di monetazione come creazione ex nihilo –  ma la diffusione di un’ideologia economica e finanziaria presentata come scienza esatta – benché arcana nei fondamenti – in base alla quale solo le “autorità monetarie”, altro nome d’arte dei signori privati del denaro, hanno le competenze, la capacità e l’esperienza per creare, distribuire e dirigere i flussi monetari. Di qui la pretesa di indipendenza (ossia onnipotenza e assenza di controllo) del sistema delle banche centrali, che, dicono i loro statuti approvati dagli Stati, “non possono sollecitare o ricevere consigli o disposizioni”, formula acrobatica per mettere nero su bianco il diritto di fare ciò che vogliono. Chi si azzarda a dir male dei “mercati”, totem e tabù del nostro tempo? Tanto meno delle banche centrali, i cui mitizzati centri studi distillano un indiscutibile sapere quasi esoterico, una dogmatica non dissimile da quella della Chiesa del passato. Peraltro – per restare in patria – gran parte dei connazionali non sa che la Banca d’Italia (oggi semplice socio della BCE) mente sin dalla denominazione: non solo non è pubblica – come farebbe pensare il nome – ma non è neppure italiana, giacché i suoi azionisti, detti pudicamente partecipanti, sono in maggioranza istituiti privati controllati da banche estere, a cominciare da Unicredit e Intesa-San Paolo.

Mayer Amschel Rothschild, l’uomo che creò l’immenso potere della dinastia che porta il suo nome – una delle monarchie ereditarie senza corona che dominano il mondo – affermò una volta: permettetemi di emettere e controllare la moneta di una nazione e non mi importa chi fa le sue leggi. Chi osa criticare il sistema bancario e finanziario, padrone degli intoccabili mercati, depositari di un potere arcano e di conoscenze iniziatiche? I mercati, afferma una vulgata indiscutibile, votano tutti i giorni e vogliono la santa “stabilità”, cioè un sistema immobile che perpetua se stesso. Ovvio: comandano loro e le critiche, gli attacchi, il rancore popolare sono opportunamente deviati sui governi e i politici, amministratori delegati pro tempore del potere finanziario. Il voto popolare “libero e universale” è una finzione, una farsa a uso degli ingenui. Il potere del denaro svuota le democrazie: chi pensate che vinca – indipendentemente da programmi e slogan – tra un partito o un candidato provvisto di fondi e un altro che ne è privo? E chi ha più denaro da gettare nella competizione drogata di coloro che lo creano con un tratto di penna, un clic sulla tastiera del mega computer? Eppure, mentre è possibile, spesso istigato ed eterodiretto, l’attacco ai politici, esecutori di ordini superiori, camerieri e sguatteri dei cosiddetti “poteri forti”, quasi nessuno attacca le intangibili “autorità monetarie”, il sistema bancario, i mercati sovrani e le oligarchie finanziarie che pagano l’orchestra e decidono la musica.

Un’altra lezione di Accame sull’identificazione di chi comanda riguarda coloro a cui paghiamo, in un modo o in un altro, le tasse. Teoricamente, lo Stato. In realtà gran parte del denaro che ci viene sottratto legalmente è destinato a pagare il debito pubblico, anzi gli interessi da cui è gravato. Infatti, nonostante l’esproprio a monte, ossia la sovranità monetaria conferita al sistema finanziario privato e il relativo, gigantesco falso in bilancio, l’Italia ha un saldo primario (la differenza tra le entrate e le uscite) attivo sin dagli anni Novanta, mentre il debito pubblico continua ad aumentare a causa degli interessi, estorti con la truffa del debito, dovuto a chi si è arrogato la proprietà iniziale del denaro. Gli interessi pagati nell’ultimo trentennio al sistema usurario sono quasi pari all’intero debito accumulato. Nessuno Stato, dal dopoguerra, lo ha mai ripagato interamente: ragioni aritmetiche. Napoleone, che pure esportò in armi la Rivoluzione francese borghese e mercantile, disse: “quando un governo dipende dai banchieri per il denaro, questi ultimi, e non il governo, controllano la situazione, dato che la mano che dà è al di sopra della mano che riceve”. E il generale corso aveva l’esercito e lo Stato…  Un grande politico e legislatore, Thomas Jefferson, padre della costituzione americana, lottò con tutte le forze contro il potere finanziario che allungava gli artigli sulla nuova nazione. “Credo che, per la nostra libertà, le istituzioni bancarie rappresentino un pericolo più grande degli eserciti. Se i cittadini americani permettessero ad esse di controllare l’emissione della valuta, le banche toglierebbero loro ogni proprietà, fino a quando i loro figli si sveglierebbero senza più una casa. “ Il sistema finanziario è un’oligarchia “estrattiva”, nel senso che estrae la ricchezza dei popoli e dei cittadini comuni per trasferirla a se stessa, un drenaggio verso l’alto che tutto divora. Un esempio è la recente norma dell’UE – voluta dalla lobby finanziarie e industriali convertite per interesse a un’equivoca ideologia green – che esproprierà di fatto la casa di abitazione se non verranno eseguite costose innovazioni “energetiche”. Chi non ci riuscirà – dopo essersi indebitato con i soliti usurai – dovrà cedere per quattro soldi la sua proprietà agli iperpadroni, che stanno cercando di convincere che non avere nulla è la suprema felicità, alla quale però essi si sottraggono. Singolari filantropi.

In Italia vi è un’ulteriore tassa, un’estrazione in più: il pizzo pagato dalle attività economiche alle mafie. Chi può esigere tasse comanda e naturalmente, non gradisce che si parli male di lui. Pericoloso è contrastare le mafie, ma anche rivelare il potere del sistema finanziario e lo storico inganno del debito con cui stringe ogni giorno il cappio attorno al collo degli Stati, dei popoli, delle persone. Per non parlare della difficoltà di parlar male di un’altra estrazione a nostro danno, l’inganno del denaro elettronico. Al di là di ogni considerazione legata alla libertà e alla sorveglianza, pochi citano l’immenso profitto di milioni di commissioni – anche piccole e minime – applicate alle nostre transazioni. I beneficiari sono i soliti, ed è a loro che paghiamo un’ulteriore imposta.[…]

Tuttavia, per costruire un antagonismo c’è bisogno di identificare i volti di chi comanda. La risposta vaga, impersonale, che il mondo – e naturalmente l’Italia – è in mano dell’oligarchia finanziaria non soddisfa e non significa molto agli occhi della gente, vittima dei giochi di prestigio, delle menzogne e di un raffinato bombardamento psichico e mediatico al cervello rettiliano e all’area limbica, istintuale, dell’encefalo. Inoltre, è una verità parziale. Il potere è ramificato e raffinatissimo: non può essere liquidato con un’accusa a carico del solo sistema finanziario. Il dominio ha molti rivoli e comanda chi è in grado di determinare le opinioni, le visioni del mondo, le parole per esprimerle, le agende da seguire in economia, politica, nella società e nella vita quotidiana, nei gusti e nella cultura in senso lato. Ancora una volta, sono coloro di cui è vietato, sconveniente e pericoloso dire male.

 Roberto Pecchioli

 

 
Il catechismo dei professionisti dell'informazione PDF Stampa E-mail

20 Gennaio 2023

 Da Comedonchisciotte del 17-1-2023 (N.d.d.)

Dopo aver passato gli ultimi due anni in veste di imbonitori itineranti ottocenteschi ad ammaestrare le folle su come aver cura della propria salute e vivere per sempre attraverso il magico elisir, i “professionisti dell’informazione” sono passati ad un altro compito pedagogico importante e benemerito: catechizzarci sul giusto modo di comprendere la geopolitica, materia che molti di noi non coltivano con la necessaria assiduità. Quella che segue è in sostanza la dottrina da loro predicata.

Per prima cosa ci hanno insegnato che per fortuna esiste al mondo una grande e santa nazione che ha a cuore le sorti di tutti, una nazione eletta dagli dèi dove regna il benessere, la democrazia, il diritto e la giustizia. L’aspirazione più grande di questa grande e giusta nazione è quella di poter vedere tutto il mondo conformato a sua immagine e somiglianza, di poter esportare i suoi doni alle altre terre meno fortunate in modo che tutti i popoli del mondo ne possano godere allo stesso modo di come loro già fanno. Gli stati più illuminati e avanzati nella strada del bene la supportano e l’aiutano come possono in questa nobile missione che loro stessi si sono accollata. Naturalmente la nostra Italia e tutta l’Unione Europea fanno parte di questa benedetta famiglia. Ma purtroppo non tutto il mondo è governato da galantuomini che si sono incamminati sulla via del bene, purtroppo il male esiste e molti altri, anziché seguire i migliori su questa strada, si intestardiscono a voler prevaricare l’interesse generale anteponendogli i loro meschini tornaconti personali e di gruppo contrastando così il progresso dell’umanità e impedendo la pacifica convivenza dei popoli. Molti pensano che il compito e la posizione assegnatigli dalla santa alleanza dei buoni non siano giusti per loro. Ovviamente l’interesse collettivo dei popoli sarebbe quello di obbedire e collaborare con chi è più avanti, ma nazioni cattive, dette anche “stati canaglia”, non perseguono i loro stessi interessi o meglio gli interessi della loro stessa gente, ma si oppongono per ignoranza, arretratezza e qualità morali meno sviluppate. Ma soprattutto molte popolazioni  che in sé sarebbero pacifiche, sono obbligate a sottostare a governi maligni e tirannici che li sottomettono a mezzo dell’inganno, della menzogna, della minaccia, della paura e di false dottrine che li fanno deviare dalle verità di per sé evidenti delle leggi del mercato, delle “regole” e del politicamente corretto. È notorio che in tutto il mondo le persone migliori e più avanzate vorrebbero assomigliare alla popolazione della nazione eletta, che il loro più grande desiderio è in realtà quello di avere la Carta Verde, di essere anche loro americani (salvo che gli italiani vorrebbero mantenere la loro cucina ed essere lodati per il grande “patrimonio artistico”, anche se in segreto di quest’ultimo non gliene potrebbe importare di meno), ma purtroppo sono tenuti prigionieri da spaventose dittature e da tiranni senza pietà.

La nazione eletta si batte contro tutti i tiranni, non per fini di guadagno o di potere, sebbene talvolta alcuni personaggi malvagi di natura possano peccare in tal senso, ma soprattutto affinché tutte le persone di buona volontà possano godere dei doni della libertà e della democrazia. Purtroppo emergono continuamente in giro per il mondo dittatori spietati e sanguinari, dei veri e propri psicopatici, che per salvaguardare il loro potere e la folle brama di espanderlo non esitano a sacrificare milioni di persone, fra le quali la loro stessa popolazione. Gli esempi sono numerosissimi anche se partiamo da tempi relativamente recenti. Per citare solo i più famigerati possiamo provare a fare i nomi di Mao Tse Tung, Ho Ci Min, la dinastia dei Kim, Sukharno, Lumumba, Tito, Mossadeq, Saddam Hussein, Khomeini, Fidel Castro, Noriega, Maduro, Ortega, Gheddafi, Milosevic e tanti altri. Ai nostri giorni, un dittatore particolarmente pericoloso, malvagio e sanguinario è giunto alla ribalta della scena del mondo: Vladimir Putin. Quest’uomo, psichicamente efferato ed instabile, è molto pericoloso perché è riuscito con violenza, sotterfugi ed inganni ad impadronirsi del potere in un grande e potente impero del male, la Russia, armato fino ai denti con armi atomiche e lo governa a mezzo della propaganda e del terrore approfittando anche di una naturale inclinazione della popolazione russa a farsi comandare da autocrati. Putin, per ambizione di comando, brama smodata di potere e non ultima la sua scarsa stabilità mentale, ha improvvisamente deciso di invadere senza alcuna provocazione o ragione apparente l’Ucraina, uno stato confinante, pacifico e industrioso, modello di democrazia e amico della nazione eletta giusto nel febbraio dell’anno scorso. Ma gli eroici ucraini, pur essendo enormemente inferiori per numero, territorio e armamenti, non si sono fatti intimorire dalle orde degli orchi e hanno deciso di resistere passando anche al contrattacco e dando una sonora lezione agli invasori, tanto da fermarli, infliggergli devastanti perdite e costringerli a ritirarsi per ora parzialmente. Naturalmente la nazione eletta e i suoi alleati non potevano restare sordi al grido di dolore che si levava da ogni parte d’Ucraina, non potevano lasciare che una nazione democratica, civile e amica fronteggiasse senza aiuto il barbaro e sanguinario aggressore ed hanno perciò reagito nell’unico modo che compassione e amor di libertà consentano: soccorrendola con aiuti straordinari in finanza ed armamenti e imponendo al nemico devastanti sanzioni economiche, evitando, però, data la loro natura pacifica, che aborre la guerra e la violenza, l’intervento diretto. Non per viltà, s’intende, ché notoriamente possiedono il più potente esercito della galassia, ma per motivi umanitari, per non correre il rischio di aumentare la carneficina, avvertendo però fermamente che sarebbero intervenuti con la loro invincibile potenza, se i malvagi russi, visto la oramai disperata situazione sul campo del loro esercito brutale, ma mal organizzato e arretratamente armato, avessero deciso, per colmo di barbarie, di usare l’arma atomica. Va da sé che è preciso dovere dell’Europa e dell’Italia partecipare a questo sforzo del mondo libero contro la sopraffazione, la forza bruta e la tirannia, anche se ciò dovesse costare qualche piccolo sacrificio al popolo italiano. Cosa sono infatti un grado di meno di riscaldamento o qualche centesimo in più per la benzina di fronte alla libertà? Chi può essere così meschino da sacrificare la democrazia ad un punto di inflazione?

Questo, più o meno, è il catechismo cui i “professionisti dell’informazione” sottopongono  la popolazione ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. Qualsiasi voce diversa è implacabilmente bandita e ridotta al silenzio, qualsiasi programma, giornale, opuscolo, manuale d’istruzione, etichetta di acqua minerale, è saturo di propaganda. Stupisce, comunque, e preoccupa che un simile raccontino, una simile favoletta per bambini, una simile ricostruzione sciocca, pomposa, sdolcinata, contraddittoria e lontana anni luce dai fatti, riesca in buona misura a convincere una popolazione che si reputa adulta. Ci costringe ad ammettere che la persona media è capace di credere a qualsiasi cosa che sia ripetuta abbastanza spesso da una voce autorevole, anche se assurda, inverosimile, contraria alla propria esperienza e ai propri interessi. Difficile farsene una ragione, ma difficile anche  ritenere che per gran parte della gente, le conseguenze, quando arriveranno, non siano in fondo meritate. Ben di peggio meriterebbero invece i nostri “professionisti dell’informazione” che hanno tradito la loro stessa professione. Nessuno che si alzi in un dibattito e sollevi un dubbio, faccia una domanda scomoda, evidenzi una delle tante contraddizioni di questa narrazione ridicola. Eppure, anche senza prendere alcuna posizione compromettente, basterebbe far notare che non solo il nostro paese non ha alcun dovere o interesse o vantaggio nel partecipare in qualunque forma a questa guerra tra nazioni terze, ma l’intervento, ed anche la fornitura di armi ad una parte belligerante gli è espressamente vietato dalla costituzione. E se poi si volesse comunque intervenire in barba al diritto, al buon senso e all’opportunità, sarebbe la scelta di campo ad essere sbagliata. Le nostre importazioni energetiche, fattore chiave per il benessere e lo sviluppo di qualsiasi nazione moderna, provenivano in buona parte dalle Russia ed erano fornite ad un prezzo molto conveniente rispetto a quello di qualsiasi altro mercato: che senso può mai avere per noi litigare con la Russia se non quello di un suicidio economico? Perché aggredirla di nuovo visto che non ci ha mai fatto nulla di male, mentre noi – è utile ricordarlo – abbiamo inviato l’esercito ad invaderla  neanche troppo tempo fa prendendoci la piena responsabilità, che ora amiamo dimenticare, di una guerra che ha fatto milioni di morti? Perché mai gli italiani dovrebbero soffrire per intervenire in un conflitto che non li riguarda? Non ripudiano forse la guerra quale strumento di risoluzione dei conflitti internazionali? Perché inimicarsi un mercato considerevole per le nostre merci di lusso, cioè tutta quella paccottiglia che pur non valendo quasi nulla riusciamo a vendere molto cara favoleggiando motivi di qualità, prestigio e distinzione? Ci è altrettanto necessaria l’Ucraina? Esattamente in cosa ci è utile l’Ucraina? Qual è il nostro interesse a stare dalla sua parte? Se poi  vogliamo parlare di giustizia o di etica, la faccenda diventa ancora più imbarazzante: in cosa il sistema di governo ucraino sarebbe superiore o più democratico o più legittimo di quello russo? Occorre ricordare che il regime di Kiev è nato da un colpo di stato finanziato e organizzato dall’estero e rappresenta la vera causa del conflitto? Che il presidente regolarmente eletto fu cacciato? Che il governo insediato non ha alcuna sovranità ma è diretto da Washington appositamente per condurre una guerra contro la Russia? Che lavora direttamente contro il sua popolo mandando a morte migliaia di giovani soldati per interessi altrui? Che per quanto riguarda gli affari interni è dominato da una fazione ultranazionalista di ispirazione nazista? Che vigono in Ucraina leggi razziali che impediscono a un buon terzo della popolazione di parlare la propria lingua madre? Che a partire dal 2014 sono state uccise decine di migliaia di persone per motivi di dissidenza politica e pregiudizio razziale? Che stiamo parlando di uno dei paesi più corrotti del mondo? E  d’altra parte esattamente in cosa noi italiani ci riteniamo “più democratici” del governo russo il cui presidente è stato regolarmente eletto con regole che non hanno nulla da invidiare alle nostre ed ha un appoggio popolare di gran lunga superiore a quello del nostro presidente o del nostro primo ministro? Se non altro si tratta di un governo indipendente e non succube, come il nostro, di padroni di oltre oceano. In qualunque modo la mettiamo il semplice buon senso imporrebbe  di mantenere una posizione di neutralità e quando mai volessimo abbandonarla, tutti i nostri interessi ci porterebbero ad appoggiare la Russia, non il regime di Kiev. Se fossimo uno stato sovrano, sicuramente agiremmo in questo senso, ma purtroppo, anche grazie alla fattiva collaborazione dei “professionisti dell’informazione”, non lo siamo da molto tempo. Congratulazioni per questo importante servizio reso a tutti gli italiani.

A questo stadio della nostra storia, non siamo più indipendenti degli ucraini e, come accade per loro, la nostra autonomia non arriva neanche al punto di poter rifiutare  la tazza di veleno che ci stanno porgendo.

Nestor Halak

 
Come una palla di neve PDF Stampa E-mail

18 Gennaio 2023 

 Da Rassegna di Arianna del 16-1-2023 (N.d.d.)

Un vecchio montanaro mi diceva: “La bugia è come una palla di neve, più rotola e più si ingrossa. Pensa a cosa è quella palla di neve quando dalla cima giunge a valle e quale disastro può determinare  là dove andrà ad impattare”. Dal 24 febbraio dell’anno scorso “qualcuno” ha confezionato una bella bugia e, appunto, come se fosse una palla di neve, l’ha fatta rotolare sulla pelle della crassa credulità plebea. Ora, questo gigantesco globo di menzogne sta per impattare su ciò che sta a valle.

Si cominciò con il dire che la Russia aveva aggredito a freddo una pacifica e ordinata democrazia per continuare con: applichiamo le sanzioni e entro un mese la Russia è in default; Putin ha in cancro e sta per morire; sequestrando i beni degli oligarchi Putin sarà fatto fuori; la popolazione russa si ribellerà in massa; l’esercito russo è un esercito di cartone, i suoi soldati vanno al fronte senza calzini (“Stampa” e “Repubblica”); non hanno più missili, sono a corto di munizioni e di mezzi (lo dicono da marzo 2022); gli ucraini sono in piena controffensiva, arriveranno in Crimea… Anzi, arriveranno a Mosca, forse in Siberia; i russi si sono fatti saltare i gasdotti e pure il ponte in Crimea, si autobombardano nella centrale nucleare di Zaporizhzhya; per arrivare alla pace bisogna armare senza limiti l’Ucraina…  Ora mandiamo anche i carri armati, gli elicotteri e gli aerei. E via elencando.

Ora, per ammissione dello stesso Stoltenberg salta fuori (ma già si sapeva) che ad essere svuotati  non sono gli arsenali russi (che ne hanno per altri 10 anni senza contare quel che nel frattempo producono) ma i depositi NATO, tanto che per paradosso, se la Russia invadesse veramente l’Europa, per respingerne le armate gli europei nei pochi cannoni rimasti ci possono mettere giusto i coriandoli di carnevale. Sì, certo, se l’Occidente decidesse di entrare in una integrale economia di guerra riconvertendo tutte le sue industrie, potrebbe sfornare l’ira di Dio… ma il processo non è così istantaneo e comunque l’operazione non sarebbe indolore sul piano sociale ed economico.

All’Italia gli americani impongono di mandare in Ucraina 4 dei 5 sistemi missilistici di difesa (di cui per altro tre sono in riparazione), un cadeau da 800 milioni più, per buon peso, un altro miliardo di fritto misto; ai tedeschi l’imposizione di fornire carri armati come già ai polacchi, agli spagnoli, svedesi, lituani, etc. Fanno pressione persino sulla Svizzera che non fa parte della NATO che però nicchia. Non si azzardano a fare lo stesso con gli israeliani e i turchi che, sì, vendicchiano agli ucraini qualche drone, giusto per fare un po’ di scena. Che fine stanno tutti questi armamenti non lo dicono, ma chi ha la bontà di andare in cerca di documentazioni originali nei vari canali Telegram, vede bene quel che accade.

Giorni fa ho assimilato l’Ucraina ad un buco nero che inghiotte risorse senza soluzione di continuità, a cominciare dai denari che vengono sottratti ai popoli europei. Ma relativamente agli armamenti l’Ucraina può essere tranquillamente assimilata a una discarica o, meglio ancora, ad un sfasciacarrozze. Ciò che non finisce rivenduto in Africa e al contrabbando mondiale, viene regolarmente disintegrato. Sì, certo, al TG ti fanno vedere un carro russo colpito dagli ucraini e gongolano. Ci mancherebbe pure che almeno qualche carro non riescano a colpirlo, con quel po’ po’ di roba che ricevono, con tutto il sostegno di intelligence NATO. Gli inviati di guerra delle TV europee fanno letteralmente pena per quel che sono costretti a dire.

In questi giorni monta la polemica sulle accise della benzina. E come per tutto il resto relativamente al disastro economico in corso, la propaganda mediatica evita di mettere in connessione la questione prezzo carburanti e conseguente inflazione galoppante con la guerra in Ucraina. E noi in Italia siamo progressivamente passati dal 5% al 12-14% di inflazione, mentre la Russia scende dal 12 al 5%. Si parla genericamente di “speculazione”. A marzo l’embargo del petrolio russo sarà totale e i 22 miliardi a sostegno del caro bollette esaurirà il suo effetto. Che accadrà? Sarà allora che terminerà la sua corsa la palla di neve? Sarà allora che le bugie non reggeranno più? Proporre genericamente la pace non ha senso. Non la vogliono i russi fin tanto che non avranno raggiunto i loro obiettivi. Non la vuole il regime di Kyiv in preda ad un delirio di onnipotenza. Non la vogliono gli angloamericani, sopra tutto gli americani che con la guerra stanno facendo affari d’oro annichilendo la potenzialità europea. Si può solo stare da una parte o dall’altra e supportare la vittoria dell’uno o dell’altro… E auspicare che l’impatto a valle della palla di neve fattasi valanga aiuti a rendere palese la verità che per carrierismo e tornaconto personale gli oligarchi occidentali al potere  hanno fin qui occultato.

Maurizio Murelli

 

 
Giornalismo schierato PDF Stampa E-mail

16 Gennaio 2023

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 Da Appelloalpopolo del 14-1-2023 (N.d.d.)

Sono anni che combatto e perdo una personale battaglia contro il tifo: tifo per; e tifo contro. Chi combatte contro il tifo non ottiene consenso, perché combatte contro la quasi generalità degli ascoltatori o lettori. Il consenso lo trovano coloro che combattono contro una parte o contro un’altra, per una parte o per un’altra. L’idea che noi italiani siamo o possiamo essere estranei alla maggior parte delle controversie che si verificano nel mondo è negata da tutti. Da taluni per (pretese) ragioni morali, da altri per (pretese) ragioni logiche. Quest’ultimo punto di vista, che pretende di essere superiore al primo, valutato come moralistico, è in sé la quintessenza della illogicità e del fanatismo: impercettibili possibilità di un eventuale interesse italiano, che derivino da un certo esito di una guerra, sono aprioristicamente valutate come sicuramente superiori ad altri interessi, più o meno omogenei, i quali spesso nemmeno sono considerati; questo modo di “pensare” fa sì che ci sia sempre un piatto della bilancia sul quale stanno considerazioni che pesano di più, se non addirittura le uniche considerazioni che pesano e che dunque vi sia sempre una ragione per tifare. È una forma di moralismo camuffato da una sedicente teoria, che altro non è che un autoinganno. Non è raro, infatti, che anche i “logicamente” tifosi adducano argomenti morali a sostegno del loro tifo. Noi tendenzialmente dissenzienti siamo sempre in bilico nel commettere questo errore, anche quando siamo persone che il più delle volte lo sottolineano e ne tengono conto. Ben venga dunque la presa di posizione di 11 ex corrispondenti di guerra, contro il tifo.

Undici storici corrispondenti di grandi media lanciano l’allarme sui rischi della narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto: “Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin”. L’ex inviato del Corriere Massimo Alberizzi: “Questa non è più informazione, è propaganda. I fatti sono sommersi da un coro di opinioni”. Toni Capuozzo (ex TG5): “Sembra che sollevare dubbi significhi abbandonare gli ucraini al massacro, essere traditori, vigliacchi o disertori. Trattare così il tema vuol dire non conoscere cos’è la guerra”. “Osservando le televisioni e leggendo i giornali che parlano della guerra in Ucraina ci siamo resi conto che qualcosa non funziona, che qualcosa si sta muovendo piuttosto male”. Inizia così l’appello pubblico di undici storici inviati di guerra di grandi media nazionali (Corriere, Rai, Ansa, Tg5, Repubblica, Panorama, Sole 24 Ore), che lanciano l’allarme sui rischi di una narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto nel giornalismo italiano. “Noi la guerra l’abbiamo vista davvero e dal di dentro: siamo stati sotto le bombe, alcuni dei nostri colleghi e amici sono caduti”, esordiscono Massimo Alberizzi, Remigio Benni, Toni Capuozzo, Renzo Cianfanelli, Cristiano Laruffa, Alberto Negri, Giovanni Porzio, Amedeo Ricucci, Claudia Svampa, Vanna Vannuccini e Angela Virdò. “Proprio per questo – spiegano – non ci piace come oggi viene rappresentato il conflitto in Ucraina, il primo di vasta portata dell’era web avanzata. Siamo inondati di notizie, ma nella rappresentazione mediatica i belligeranti vengono divisi acriticamente in buoni e cattivi. Anzi buonissimi e cattivissimi”, notano i firmatari. “Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo”. “L’opinione pubblica spinta verso la corsa al riarmo” – Gli inviati, come ormai d’obbligo, premettono ciò che è persino superfluo: “Qui nessuno sostiene che Vladimir Putin sia un agnellino mansueto. Lui è quello che ha scatenato la guerra e invaso brutalmente l’Ucraina. Lui è quello che ha lanciato missili provocando dolore e morte. Certo. Ma dobbiamo chiederci: è l’unico responsabile? Noi siamo solidali con l’Ucraina e il suo popolo, ma ci domandino perché e come è nata questa guerra. Non possiamo liquidare frettolosamente le motivazioni con una supposta pazzia di Putin“. Mentre, notano, “manca nella maggior parte dei media (soprattutto nei più grandi e diffusi) un’analisi profonda su quello che sta succedendo e, soprattutto, sul perché è successo”. Quegli stessi media che “ci continuano a proporre storie struggenti di dolore e morte che colpiscono in profondità l’opinione pubblica e la preparano a una pericolosissima corsa al riarmo. Per quel che riguarda l’Italia, a un aumento delle spese militari fino a raggiungere il due per cento del Pil. Un investimento di tale portata in costi militari comporterà inevitabilmente una contrazione delle spese destinate al welfare della popolazione. L’emergenza guerra – concludono – sembra ci abbia fatto accantonare i principi della tolleranza che dovrebbero informare le società liberaldemocratiche come le nostre”.

Alberizzi: “Non è più informazione, è propaganda” – Parole di assoluto buonsenso, che tuttavia nel clima attuale rischiano fortemente di essere considerate estremiste. “Dato che la penso così, in giro mi danno dell’amico di Putin”, dice al fattoquotidiano.it Massimo Alberizzi, per oltre vent’anni corrispondente del Corriere dall’Africa. “Ma a me non frega nulla di Putin: sono preoccupato da giornalista, perché questa guerra sta distruggendo il giornalismo. Nel 1993 raccontai la battaglia del pastificio di Mogadiscio, in cui tre militari italiani in missione furono uccisi dalle milizie somale: il giorno dopo sono andato a parlare con quei miliziani e mi sono fatto spiegare perché, cosa volevano ottenere. E il Corriere ha pubblicato quell’intervista. Oggi sarebbe impossibile“. La narrazione del conflitto sui media italiani, sostiene si fonda su “informazioni a senso unico fornite da fonti considerate “autorevoli” a prescindere. L’esempio più lampante è l’attacco russo al teatro di Mariupol, in cui la narrazione non verificata di una carneficina ha colpito allo stomaco l’opinione pubblica e indirizzandola verso un sostegno acritico al riarmo. Questa non è più informazione, è propaganda. I fatti sono sommersi da un coro di opinioni e nemmeno chi si informa leggendo più quotidiani al giorno riesce a capirci qualcosa”.

Negri: “Fare spettacolo interessa di più che informare”“Questa guerra è l’occasione per molti giovani giornalisti di farsi conoscere, e alcuni di loro producono materiali davvero straordinari“, premette invece Alberto Negri, trentennale corrispondente del Sole da Medio Oriente, Africa, Asia e Balcani. “Poi ci sono i commentatori seduti sul sofà, che sentenziano su tutto lo scibile umano e non aiutano a capire nulla, ma confondono solo le acque. Quelli mi fanno un po’ pena. D’altronde la maggior parte dei media è molto più interessata a fare spettacolo che a informare”. La vede così anche Toni Capuozzo, iconico volto del Tg5, già vicedirettore e inviato di guerra – tra l’altro – in Somalia, ex Jugoslavia e Afghanistan: “L’influenza della politica da talk show è stata nefasta”, dice al fattoquotidiano.it. “I talk seguono una logica binaria: o sì o no. Le zone grigie, i dubbi, le sfumature annoiano. Nel raccontare le guerre questa logica è deleteria. Se ci facciamo la domanda banale e brutale “chi ha ragione?”, la risposta è semplice: Putin è l’aggressore, l’Ucraina aggredita. Ma una volta data questa risposta inevitabile servirebbe discutere come si è arrivati fin qui: lì verrebbero fuori altre mille questioni molto meno nette, su cui occorrerebbe esercitare l’intelligenza”.

Capuozzo: “In guerra i dubbi sono preziosi”“Sembra che sollevare dubbi significhi abbandonare gli ucraini al massacro, essere traditori, vigliacchi o disertori”, argomenta Capuozzo. “Invece è proprio in queste circostanze che i dubbi sono preziosi e l’unanimismo pericolosissimo. Credo che questo modo di trattare il tema derivi innanzitutto dalla non conoscenza di cos’è la guerra: la guerra schizza fango dappertutto e nessuno resta innocente, se non i bambini. E ogni guerra è in sé un crimine, come dimostrano la Bosnia, l’Iraq e l’Afghanistan, rassegne di crimini compiute da tutte le parti”. Certo, ci sono le esigenze mediatiche: “È ovvio che non si può fare un telegiornale soltanto con domande senza risposta. Però c’è un minimo sindacale di onestà dovuta agli spettatori: sapere che in guerra tutti fanno propaganda dalla propria parte, e metterlo in chiaro. In situazioni del genere è difficilissimo attenersi ai fatti, perché i fatti non sono quasi mai univoci. Così ad avere la meglio sono simpatie e interpretazioni ideologiche”. Una tendenza che annulla tutte le sfumature anche nel dibattito politico: “La mia sensazione è che una classe dirigente che sente di avere i mesi contati abbia colto l’occasione di scattare sull’attenti nell’ora fatale, tentando di nascondere la propria inadeguatezza. Sentire la parola “eroismo” in bocca a Draghi è straniante, non c’entra niente con il personaggio”, dice. “Siamo diventati tutti tifosi di una parte o dell’altra, mentre dovremmo essere solo tifosi della pace”.

Stefano D’Andrea

 
Un paradigma che ci sta stritolando PDF Stampa E-mail

15 Gennaio 2023

 Da Appelloalpopolo del 13-1-2023 (N.d.d.)

L’adesione alla UE è quella cosa che se togli le accise dalla benzina aumenti l’IMU, se togli l’IMU togli l’Istruzione e la Sanità, se dai alle partite iva in affanno togli al disoccupato mettendolo in crisi, se prendi il PNRR togli sanità, istruzione e trasporti per i prossimi 30 anni, se prendi il MES, togli le mutande e svendi la casa per sempre.

Tra Conte, Draghi o Meloni o Calenda differenza non c’è, la somma degli stessi fattori dà sempre lo stesso risultato. Non sono consentiti aiuti di stato per principio, si gioca a restare deboli per chi è debole e lasciare i forti liberi di esprimere la loro forza ottenuta con l’inganno, consentendo ai Paesi del Nord Europa di poter finanziare il proprio debito pubblico a tassi negativi senza alcun merito ma solo in ragione della moneta unica.

Spero che il bagno di realtà che quotidianamente si fa alla pompa di benzina sia salutare per coloro che hanno riposto la propria fiducia alla Meloni con l’illusione di migliorare. Non c’è via d’uscita facile, occorre affrontare la realtà, almeno ponendosi una domanda, conviene stare chiusi dentro un paradigma che ci sta stritolando?

Valeria Soru

 
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