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Calmiere PDF Stampa E-mail

4 Dicembre 2022

 Da Appelloalpopolo del 2-12-2022 (N.d.d.)

Se volevate una dimostrazione definitiva di quanto la Commissione UE sia nelle mani di gente alla quale non dareste nemmeno in gestione il vostro condominio, bene, adesso ce l’avete. Il calmiere (price cap) sul gas, ovvero il tetto al prezzo del gas. In origine era un’idea caldeggiata dal Migliore, ovvero Mario Draghi. Poi, dopo un lungo tira e molla nelle stanze di Bruxelles, alla fine la montagna ha partorito. E cosa ha partorito? La cosa principale è appunto un tetto al prezzo fissato a 275€. Per capirci meglio, la quotazione odierna è 130… In pratica questi geni assoluti hanno messo nero su bianco che la UE può sostenere ancora un raddoppio del prezzo del gas, che già oggi è una mazzata. Ma non solo. Questo tetto, che in una economia libera di mercato ha lo stesso senso del sesso degli angeli, di fatto è un assist a porta vuota per gli speculatori dell’energia. Perché se tu sai che nessuno avrà niente da dire o interverrà fino alla fatidica e mostruosa quotazione di 275€, allora quelli alzeranno ulteriormente i prezzi attuali lucrando guadagni mostruosi. Manco a dirlo i ministri dell’energia di 15 Stati europei hanno immediatamente fatto sapere che voteranno contro. Un vero e proprio giocattolo messo in mano ai bambini.

Nel frattempo, per tamponare le difficoltà… invieremo qualche altro carico di armi all’Ucraina, che peraltro è ridotta ad essere senza energia elettrica in oltre la metà della Nazione. Un grande aiuto al popolo ucraino, altro che la diplomazia e la Pace! E, dulcis in fundo, ieri la UE ha comunicato che la Russia è stata annoverata nell’elenco degli “Stati sponsor del terrorismo”. Cosa che gli stessi USA si guardano bene dal fare…

Se dovesse servirvi qualche clown per una festa ai vostri figli non perdete tempo con dilettanti allo sbaraglio: rivolgetevi ai professionisti di Bruxelles.

Giuseppe Meola

 
Imperialismo dell'informazione PDF Stampa E-mail

3 Dicembre 2022

 Da Comedonchisciotte dell’1-12-2022 (N.d.d.)

Ovunque nel mondo esiste una pluralità di media, ma non esiste pluralismo al loro interno. Tutti si rifanno alle medesime fonti, che propagano un’unica visione di quanto accade. Noi tutti sappiano che gli avvenimenti esistono in un solo modo, ma vengono percepiti in maniere differenti. Già negli anni Ottanta l’Unesco aveva stigmatizzato «l’imperialismo dell’informazione», cioè l’imposizione di un’unica interpretazione degli accadimenti, negando la legittimità di ogni altra. Oggi questo dominio si concretizza nei news checkers. Per liberarsi di questo sistema non c’è che un modo: creare non già nuovi media, ma nuove agenzie di stampa.

Dopo la Seconda guerra mondiale il diritto internazionale moderno è stato costruito nell’intento di contrastare la «propaganda di guerra»: risoluzione 110 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 3 novembre 1947 e risoluzione 381 del 17 novembre 1950. Molto presto i legislatori internazionali, ossia gli Stati sovrani, hanno convenuto che si può prevenire la guerra solo vigilando sulla «libera circolazione delle idee» (risoluzione 819 dell’11 dicembre 1954). Ma negli ultimi anni c’è stata un’inaudita regressione che ci defrauda del pensiero degli altri, ci espone alla propaganda di guerra e alla fine ci precipita verso un conflitto mondiale. Il fenomeno è iniziato con la censura privata del presidente in carica degli Stati Uniti sui social network, poi è continuata con la censura pubblica in Occidente dei media russi. Oggi il pensiero degli altri non è più considerato strumento di prevenzione delle guerre, ma minaccioso veleno. Alcuni Stati occidentali corrono ai ripari creando istituzioni preposte alla rettifica delle informazioni ritenute false (fake news). La Nato sta ragionando sull’istituzione di un’unità, battezzata Information Ramstein, preposta alla censura, nei 30 Stati dell’Alleanza, non più soltanto delle informazioni russe, ma anche delle idee russe. È un rovesciamento totale dei valori dell’Alleanza Atlantica, nata come continuazione della Carta dell’Atlantico, che aveva integrato le «quattro libertà» del presidente Franklin Roosevelt. La prima delle quali è la libertà di parola e di espressione.

Prima dell’invenzione di internet, mentre Stati Uniti e Unione Sovietica con gli Accordi di Helsinki convenivano sulla necessità di garantire la «libera circolazione delle idee», le Nazioni Unite, nello specifico la loro agenzia deputata, l’Unesco, manifestavano preoccupazione per un «imperialismo dell’informazione». La superiorità tecnica consentiva agli Occidentali d’imporre la propria visione della realtà ai Paesi in via di sviluppo.[…]

In quarant’anni il paesaggio mediatico si è trasformato: sono comparse televisioni internazionali d’informazione in tempo reale, siti internet e social network. Contemporaneamente, c’è stata una gigantesca concentrazione dei media nelle mani di un pugno di proprietari. Tuttavia i problemi sollevati nel 1978 sono immutati. Anzi, con il mondo unipolare si sono aggravati. Oggi il giornalismo consiste nel redigere dispacci di agenzia o nel contestualizzare queste notizie per i media. Le agenzie di stampa riportano i fatti, ma non le fonti; i media dal canto loro propongono commenti e analisi prendendo a riferimento le agenzie di stampa. La contestualizzazione richiede molte conoscenze storiche, economiche e di altro tipo, che i giornalisti di oggi in larga parte non possiedono. Il flusso continuo e istantaneo di informazioni di radio e televisioni non dà loro il tempo di verificarle leggendo libri e ancor meno consultando archivi, a eccezione delle inchieste di fondo. I commenti e le analisi si sono considerevolmente impoveriti. L’ideologia dominante in Occidente, che tende ad affermarsi come “globale”, è diventata una religione senza Dio. Ci sono soltanto due campi: quello del Bene e quello degli apostati. La verità è determinata dal consenso in seno alle élite, respinto invece dal popolo. Ogni critica è considerata blasfema. Non c’è più spazio per il dibattito, quindi per la democrazia.

Anche i media alternativi si sono impoveriti, dato che attingono alle stesse fonti dei media internazionali: i dispacci di agenzia. Per imporci una determinata visione dei fatti è sufficiente controllare AFP, AP e Reuters. Si può speziarla con questa o quella tendenza, repubblicana o democratica, conservatrice o progressista, chi ne ha più ne metta, ma ci verrà servita sempre la stessa minestra. Dagli attentati dell’11 Settembre chi contesta la versione ufficiale degli eventi è bollato come «complottista». Dall’elezione di Donald Trump, chi contesta i dati delle agenzie di stampa è accusato di deformare la realtà e d’inventare fake news. I giornalisti, dopo essersi vietati di diffondere il pensiero dei “complottisti”, ossia dei dissidenti, tentano di correggere le fake news con check news. Ciononostante, la fiducia nelle versioni dei grandi media è crollata. Secondo l’Istituto Gallup, negli Stati Uniti la fiducia nella stampa scritta è scesa dal 51% del 1973 al 16%; la fiducia nei media audiovisivi (radio e televisioni) è scesa dal 46% del 1993 all’11%.

Non c’è altra soluzione che incrementare le agenzie di stampa, ossia le fonti d’informazione. Non già potenziandone il numero, ma diversificandole. Solo così potremo renderci conto che il modo in cui ci viene presentato un avvenimento determina il modo in cui lo pensiamo. Un esempio: le tre agenzie di stampa citate presentano il conflitto in Ucraina come «invasione russa». Affermano che Mosca non è stata capace di conquistare Kiev e di rovesciare il presidente Zelensky, però commette ogni giorno crimini di guerra. È un modo d’interpretare i fatti. Rete Voltaire non ha mezzi per pubblicare dispacci in tempo reale, tuttavia pubblica un notiziario settimanale. Il criterio cui si ispira il nostro lavoro è diverso: la nostra bussola è il diritto internazionale non sono le “regole” occidentali. Quindi descriviamo il conflitto come applicazione della risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza, nonché alla luce del “dovere di proteggere” le popolazioni, calpestate dal 2014. I fatti sono gli stessi, ma il modo delle agenzie di raccontarli induce a pensare che i russi siano nel torto, mentre il nostro porta a considerare legale la posizione russa. C’è un’ulteriore differenza: noi interpretiamo i fatti collocandoli nel periodo storico. Secondo noi, e secondo il Consiglio di Sicurezza, da otto anni in Ucraina c’è una guerra civile che ha fatto 20 mila morti; ma le tre grandi agenzie fingono di non saperlo. Per noi, i nazionalisti integralisti hanno una lunga storia criminale che è costata la vita a quattro milioni di concittadini; anche in questo caso le agenzie occidentali fingono di ignorarlo. Questa distinzione può essere applicata a ogni argomento. Per esempio, le grandi agenzie di stampa ci spiegano che gli Occidentali hanno adottato le sanzioni per punire la Russia che ha invaso l’Ucraina. Noi non leggiamo i fatti allo stesso modo: anche in questo caso li interpretiamo alla luce del diritto internazionale, non delle “regole” occidentali: le decisioni degli anglosassoni e dell’Unione Europea sono una violazione della Carta delle Nazioni Unite. Dal momento che non ci sono stati un processo e una sentenza, non possono essere ritenute sanzioni, ma sono armi economiche per fare guerra alla Russia, come un tempo si assediavano i castelli per affamare chi vi si era rifugiato.

Ogni diversa interpretazione dei fatti genera una nuova dicotomia. Per esempio, nel momento in cui facciamo rilevare che le pseudo-sanzioni occidentali non sono state avallate dal Consiglio di Sicurezza, ci viene risposto che è ovvio, dal momento che la Russia ha diritto di veto in seno al Consiglio. Significa dimenticare la ragione che sottostà all’organizzazione dell’Onu: suo compito non è stabilire cosa è il Bene, ma prevenire le guerre. È esattamente questo il principio cui si è ispirato il Consiglio adottando la risoluzione 2202: far cessare la guerra civile in Ucraina. Ma gli Occidentali, nonostante l’impegno di Germania e Francia, non l’hanno applicata, costringendo la Russia a intervenire.

Potremmo continuare all’infinito questa duplice lettura. L’importante è assimilare il concetto che la presentazione dei fatti cambia radicalmente il modo in cui li percepiamo. Per concludere, vi invitiamo a fondare agenzie di stampa che descrivano gli avvenimenti con autonomia di giudizio, non più attenendosi alle regole dettate dalla classe dirigente. Solo così, e non chiosando informazioni distorte, recupereremo lucidità di mente.

Thierry Meyssan (Traduzione di  Rachele Marmetti)

 
Senza affermare la propria identità non c'è emancipazione dei popoli PDF Stampa E-mail

2 Dicembre 2022

 Da Rassegna di Arianna del 29-11-2022 (N.d.d.)

Parafrasando il titolo del famoso romanzo di Milan Kundera, il pensiero della sinistra neoliberale, quella autoproclamatasi progressista, esprime una insostenibile banalità dell’essere, una inconsistenza al cui confronto il senso comune è filosofia allo stato puro. Più la realtà si allontana dalla rappresentazione ideologica di essa più la sinistra neoliberale si aggrappa disperatamente agli specchi, però producendo un fastidioso stridìo che fa rizzare i capelli, lo stesso del gesso che stride sulla lavagna. È questa una (ma decisiva) delle ragioni per cui la sinistra neoliberale è estranea al sentire dei ceti popolari, da questi sempre più guardata con diffidenza, se non irritazione; mentre guardano con simpatia a essa quegli strati prevalentemente “istruiti”, quelli soddisfatti della propria posizione sociale, di solito posta all’ombra dell’apparato pubblico. Strati che, per una sorta di appagamento filantropico, spesso avvertono l’esigenza di darsi una spolveratina di “impegno” sociale, così pensando di mettere pace alla propria (falsa) coscienza, e sentirsi comunque dalla parte giusta.

Ambienti che entusiasticamente accolgono ogni idea “aperta” e “inclusiva”, specialmente se poi si tratta di “diritti civili”, quelli che fanno tanto fighi e consentono di piacere alla gente che piace. Ambienti per i quali è prioritario combattere i valori “retrivi” come la famiglia, la distinzione biologica dei sessi, la riproduzione naturale che passa per una mamma e un papà, insomma quella roba che sa di tradizione. Ignorando che le “tradizioni” hanno permesso all’umanità di sopravvivere nei secoli dei secoli. Lor signori, non sapendo un fico secco di raccolta di pomodori e lavori nei campi, si emozionano nel vedere un Soumahoro che si presenta in parlamento con le galosce… e si indignano urlando al fascismo  se quest’ultimo è coinvolto, insieme alla sua famiglia, in un’inchiesta giudiziaria sulla cooperativa dell’agro pontino Karibu; o si emozionano al sentir parlare di “migranti”, indignandosi contro chi denuncia determinate ong di far da complici dei trafficanti di uomini; e se i professionisti dell’accoglienza adoperano metodi squadristi per impedire di proiettare film di denuncia (come scritto nel mio ultimo post) niente problema…  Meloni fascista!

I nostri liberal progressisti – la sinistra è ormai questa cosa qua – stanno ormai completamente fuori della realtà. Così ci spieghiamo il commissario europeo Gentiloni che, di fronte agli scontri conseguiti alla vittoria ai mondiali del Marocco sul Belgio, banalmente e inconsistentemente parla di calcio «che fa da detonatore». Secondo il nostro gentile aristocratico, gli scontri con le forze dell’ordine, i monopattini e le auto date alle fiamme, gli spari e i lanci di bottiglie di vetro, con episodi di vandalismo registrati anche a Liegi, sempre in Belgio, ma anche in diverse città olandesi, sarebbero principalmente da imputare all’eccesso di festeggiamenti per la vittoria calcistica della nazionale marocchina. E qui sta il corto circuito dei benpensanti liberal progressisti: non riescono neanche per sbaglio a fare un ragionamento che abbia un minimo di relazione con la realtà. Ha quindi gioco facile Giorgio Gandola sulla “Verità” a definire quella di Gentiloni un’uscita sgangherata, «come a dire che a causare le violenze delle gang maghrebine a Milano la notte dello scorso capodanno furono le gonne corte delle ragazze molestate». Un tentativo di commento non “sgangherato” avrebbe dovuto mettere in risalto, una volta di più, casomai ce ne fosse ancora bisogno, che questi scontri e queste violenze sono la dimostrazione che il racconto sulla società aperta multiculturale e multirazziale è pura ideologia. Noi ci aggiungiamo che è ideologia al servizio di logiche disgregative di popoli e nazioni. Questi giovani che colgono l’occasione della vittoria della “propria” nazionale calcistica sul Belgio per mettere a ferro e fuoco intere aree urbane, ci fanno capire che, diversamente da certa retorica, non c’è stata nessuna integrazione, e che loro non rinunciano alla propria identità. Identità che il pensiero delle classi dirigenti “aperte” pretende essere superata o, come ebbe a dire von der Leyen, passata di moda. Invece no, cara Ursula, questi giovani marocchini che partecipavano alla rivolta con la bandiera dei “leoni dell’Atlante”, coadiuvati da numerosi coetanei dell’Africa sub sahariana (senegalesi, ghanesi, nigeriani… contro gli “oppressori bianchi”), come si può ben vedere nel video, affermano di esistere per quello che realmente sono, e non un’icona della società “aperta”. Esprimono orgoglio di appartenenza alle proprie comunità di origine. Certo, non porta a nulla – né a se stessi né ai ceti popolari dei paesi nei quali vivono – una rabbia del genere se non si ricollegano i fili della memoria, se non ci si ricollega al miglior pensiero anticoloniale e panafricanista rappresentato dai vari Lumumba, Sankara, Gheddafi… tutti vigliaccamente uccisi all’ombra del neocolonialismo.

Scrive bene Dario Prestigiacomo su Europa Today: «Il motivo di tanto entusiasmo [e violenza] è dettato senza dubbio dall'orgoglio per le proprie radici di una comunità, quella marocchina, che a Bruxelles rappresenta quasi il 19 per cento della popolazione, una percentuale che sale al 28 tra la popolazione under 18. Nel 2021, il nome più usato per i nuovi nati nella capitale europea è stato Mohamed». Abbiamo quindi il pensiero liberal progressista che racconta una realtà immaginaria, come i girotondi multicolorati di benettoniana memoria, semplicemente funzionale all’idea di far passare la necessità di “accogliere” moltitudini di immigrati da mettere al servizio dei nostri mercati nelle forme più bizzarre e flessibili (cosa, tra l’altro, che ha consentito la destrutturazione della normativa sul lavoro); e, nel contempo, di svuotare delle migliori energie i paesi di provenienza dei flussi migratori.

Pertanto, mentre il mondo dell’accoglienza istituzionalizzata decanta le virtù dei “migranti”, elevati a moderno mito, la realtà si incarica di mettere a nudo che la pretesa di una multirazzialità ideologizzata nasconde solo la volontà del potere dominante di perpetuare lo stato di soggezione economica e sociale di popolazioni che invece si vuole continuare a tenere sotto il proprio tallone.

Le identità esistono e vanno rivendicate. Non si ha emancipazione dei popoli senza affermazione delle proprie identità sociali, etniche, culturali, religiose. O no, cari accoglienti iscritti nei libri paga dei filantropi sostenitori di rivoluzioni colorate e cambi di regime?

Video: https://www.youtube.com/watch?v=f0rWTqT3R_o

Antonio Catalano

 

 

 

 
Immorale sacrificare il proprio popolo per interessi altrui PDF Stampa E-mail

1 Dicembre 2022

 Da Appelloalpopolo del 28-11-2022 (N.d.d.)

L’economia sociale di mercato è una economia che vuole assicurare la piena occupazione e lo stato sociale mediante il mercato, ossia mediante la vittoria nel mercato. È dunque una economia “fortemente competitiva”, come prevedono i Trattati. È una economia che assicura a uno Stato la “possibilità” di mantenere ed eventualmente promuovere la piena occupazione e lo Stato sociale, se e nella misura in cui vincerà la competizione con altri Stati. Lo Stato sociale, in questa economia, si regge con i surplus commerciali e con le imposte che derivano dalle imprese che realizzano i surplus, nonché dai lavoratori che vi lavorano. È dunque un’economia che è sociale per alcuni e non per altri. È  l’economia dello Stato sociale condizionato e dell’alta disoccupazione strutturale permanente. Per questa ragione l’Europa non è uno Stato e un soggetto geopolitico, bensì un campo di battaglia tra imprese e tra Stati. È  il campo da gioco in cui si gioca la partita permanente tra Stati e imprese.

Questa costruzione, oltre ad essere opinabile nella sua essenza, ha due limiti interni. In primo luogo, gli Stati europei, sprovvisti di poteri sovrani ma abilitati a scrivere le regole della loro competizione, sono più deboli degli Stati sovrani, quando si verifica uno shock esterno. Gli Stati europei, infatti, non possono utilizzare i poteri sovrani come gli altri Stati, visto che per ora quei poteri sono sospesi; possono soltanto riscrivere le regole della competizione. Possono scrivere nuove e diverse regole della competizione e basta. È  ciò che è accaduto dal 2008. Gli Stati Europei hanno tardato a reagire e, quando lo hanno fatto, hanno reagito nell’unico modo che avevano: hanno riscritto regole della competizione (tra Stati e imprese europee) che avrebbero dovuto avere carattere “eccezionale”. Queste regole tuttavia, fondamentalmente illegali, perché in contrasto con i Trattati, perdurano da dodici anni (dodici anni di eccezionalità e di illegittimità) e si moltiplicano anziché essere cancellate. In secondo luogo, il ritorno della Storia, nella forma della necessità degli Stati Uniti di riattivare la produzione interna, non può che andare a danno dei soggetti geopolitici produttivi politicamente più deboli, che non sono il Giappone, la Russia, l’India, la Cina, il Brasile, il Sudafrica o la Corea del sud, ossia gli Stati sovrani, ma, ovviamente proprio gli Stati europei, che per ora hanno deciso di sospendere la sovranità. La riattivazione produttiva interna nell’ottica della classe dirigente statunitense deve avvenire distruggendo l’economia europea, attraverso la separazione della produzione europea dall’energia russa (la guerra promossa in Ucraina è un’azione sia antirussa sia antitedesca e a ricasco antitaliana).

 

Stati europei sovrani avrebbero badato ai loro interessi e si sarebbero schierati, in tutto o in parte, a fianco della Russia. Non perché la Russia abbia ragione, bensì perché mantenere rapporti con la Russia è nel loro oggettivo interesse. Nelle dispute internazionali gli Stati sovrani e che non siano simili a colonie, si schierano sempre nel loro interesse, molto più di quanto lo facciano i singoli uomini. Un uomo coraggioso, infatti, può sacrificare se stesso e la sua famiglia per ragioni morali. Capita raramente, ma un uomo su mille statisticamente si comporta così, in modo altruistico. Invece, chi agisce per conto di uno Stato non dovrebbe mai sacrificare il popolo per interessi morali. È  morale sacrificare se stessi e la propria famiglia per un interesse altrui e morale. È  invece immorale sacrificare il proprio popolo, per interessi altrui e (reputati) morali. Invece, essendo l’Unione Europea composta da Stati deboli, non sovrani (più correttamente: a sovranità sospesa), gli Stati non hanno la forza (oltre a non avere il potere) di perseguire il proprio interesse.

Si può essere europeisti. Si può essere contenti che esista l’Unione Europea. Ma bisogna farlo sapendo che l’Unione Europea è questo campo da gara, disciplinato da undici anni da norme eccezionali e illegali, nel quale si svolge la competizione tra Stati impotenti, e asserviti, che mascherano la loro impotenza, dichiarando ai cittadini che essi agiscono (nella guerra civile ucraina) per ragioni morali, tacendo che stanno sacrificando gli interessi dei cittadini e delle imprese degli Stati dell’Unione (non di tutti ma di molti).

Stefano D’Andrea

 
Il vuoto non esiste PDF Stampa E-mail

30 Novembre 2022

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Il vuoto è corpo integrante della dimensione materialistica e razionalistica, dimensione che oggi regna sui nostri pensieri. Essa fa la cultura e forgia le modalità di vita fondate su pilastri via via più effimeri e virtuali. Si tratta di un piano di lavoro bacato, la cui missione ultima ed esiziale è assistere al precipitare di chiunque non se ne sia emancipato. Quel vuoto è concreto, sebbene metafisico, spirituale. Nella fanfara trionfante dell’opulente mondanità, gli individui marciano, smargiassi o miserabili, verso le voragini.[…]

Dunque, il vuoto è parte integrante della nostra cultura, vera spada di Damocle appesa sopra la storia. Tuttavia, possiamo emanciparci dal rischio che questa precipiti. Come già segnalato da millenni da tutte le tradizioni sapienziali che ogni geografia del mondo ha generato, l’uomo ha riconosciuto cosa gli produce sofferenza e cosa gliela crea. È un discorso che riguarda l’io separatore, la scienza analitica, l’individualismo, l’edonismo e altro ancora. Per tutti si tratta, in sostanza, della separazione dal tutto, dall’Uno originario, regno di tutte le idee dal quale gli uomini estraggono soltanto quelle idonee e permesse dalla loro biografia. Ma se la matrice materialistica svolge il suo miglior servizio in contesto meccanico-amministrativo, quando viene mutuata – accade inconsapevolmente – a quello relazionale, il disastro è tanto in nuce quanto conclamato. Il principio di causa effetto, efficace descrizione di un mondo limitato a pochi elementi, pressoché statici, non si addice a rappresentare e ad esaurire le dinamiche latenti in una relazione tra gli universi diversi che siamo.

 

In questi tempi contemporanei, viene in aiuto – ma in ultima posizione – la fisica quantica. La sua natura illogica, la sua modalità non protocollabile di rappresentare il mondo in forma probabilistica e non deterministica, la sua capacità di riconoscere la verità di un mondo dove il tempo e lo spazio non sono quelli che ci hanno insegnato, regolari e misurabili, non sono che rappresentazioni idonee a riconoscere il carattere profondo delle relazioni e ad annullare così il vuoto. Allora, entanglement ed emozioni hanno di che raccontarsi. Probabilità e rischi di una relazione possono essere riconosciuti nel principio di indeterminazione, il sentimento di un elemento della relazione corrisponde all’idea che la realtà vari in occasione della sua osservazione di essa. La sincronicità sostituisce la consequenzialità. La considerazione non è più avviene questo a causa di quest’altro, ma cosa significa ciò che sta avvenendo ora?

Ed è proprio in quest’ultima domanda che si può cogliere l’assenza del vuoto, in quanto segnale che tutto è collegato, che tutto è un solo organismo, che separarne una parte è la pornografia scientista. La logica e i suoi saperi cognitivi, somma di dati alieni alla vita, tanto lustri ed esclusivi nel mondo del causa/effetto, perdono potere. L’illogico torna a far parte di questo mondo a pieno titolo.

 

La fisica quantica dà, dunque, dignità ai cosiddetti ciarlatani, quel popolo che non voleva né poteva sottostare al campo autoreferenziale della scienza moderna, esclusivamente fondata sui pilastri della fisica meccanica e sull’assolutismo del metodo scientifico come sola fonte e sede di verità definitiva. Struttura alla quale, si badi, le condivisibili considerazioni di Popper non spostano di una virgola la natura del sistema analitico della conoscenza. Dando dignità a tutto il non scientifico, possiamo trovare in ciò che l’ascolto e l’empatia ci insegnano le doti utili a gestire le relazioni anche con noi stessi. Doti che implicano una migliore condizione di vita, quindi una migliore società, cultura, politica, educazione. Migliore vita allude a realizzare uomini compiuti, ad evolvere verso l’invulnerabilità sempre più solida ed estesa. Ovvero individui all’altezza di muoversi secondo la loro natura. Mai più si troveranno davanti a un vuoto baratro in cui perdersi. Il non vuoto che anche la fisica quantica ci segnala ha in sé il potere di frenare la corsa ammattita verso il vuoto vero, alla quale l’uomo ha educato se stesso.

 

Lorenzo Merlo

 
La politica dei bonus PDF Stampa E-mail

29 Novembre 2022

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 Ha fatto il giro della stampa estera l' iniziativa di un borgo salentino nei pressi del Capo di Leuca di istituire un bando per l' agevolazione di acquisti e ristrutturazioni di case inabitate nel centro storico, con cifre che andranno-a fondo perduto-sino alla bellezza di 30.000 euro. Si tratta dell' ultima iniziativa atta a contrastare il fenomeno dello spopolamento dei piccoli paesi-appenninici e non solo, essendo in questo caso a un tiro di schioppo dallo Jonio-della cosiddetta "Italia minore"(che a ben vedere sarebbe l' Italia autentica e maggiore, altro che minore!). Che dire? Diciamo subito che per una volta  non si deve fare nessuna critica: l' iniziativa in sé è più che lodevole, la Giunta comunale senz' altro sta agendo con le migliori intenzioni possibili, il problema esiste davvero e mette a rischio centinaia e centinaia di piccoli Comuni che vedono l' erosione lenta e irreversibile a livello demografico, riducendosi a borghi di vegliardi e un borgo di vegliardi, con tutto rispetto parlando, non ha futuro alcuno. Sulla bontà delle intenzioni e sul fine nulla da dire, tutt'altro: siamo noi i primi "sponsor" divulgatori per far rinascere questi meravigliosi microcosmi.

Molto da dire,invece,a livello concettuale sui mezzi utilizzati per raggiungere il fine e in questo caso come per altri vale sempre lo stesso ragionamento che feci qualche tempo fa riguardo i bonus e i ministeri ad hoc per incentivare la natalità in Italia: non si risolvono questi problemi regalando soldi a pioggia sperando di accalappiare gente qua e là ingolosita o smaniosa. Il denaro deve essere uno strumento per raggiungere un obiettivo e non viceversa; le persone vanno invogliate non con promesse e bonus ma mostrando loro un concreto e sostenibile progetto di vita,spingendole a rimettersi in gioco ed in discussione e facendo accettare come solida e concreta la sfida di poter iniziare daccapo una nuova vita,migliore,farli sentire dei pionieri e dar loro un posto e un ruolo da interpretare sino in fondo. Creare l' humus culturale adatto a estrarre le energie latenti ,per farle prorompere all' esterno. Ci stiamo abituando a questo errato messaggio: esiste un problema e la soluzione ad esso consiste nell' invogliare o nell' ingolosire qualcuno a fare una cosa solleticandone il portafogli.Sarebbe come dire: dai,se metti al mondo un figlio ti diamo la paghetta e se decidi di fare un investimento immobiliare in un centro storico che sta morendo ti diamo un incentivo a fondo perduto.Tipico modo di monetizzazione del pensiero attualmente in voga in quest' epoca minore e balorda: siccome tutto ruota intorno ai quattrini, allora il denaro deve essere la bacchetta magica e il deus ex machina che,come nella miglior tradizione teatrale antica,cala dall' alto e risolve il guaio . Non è così,per nulla. Così come mettere al mondo un figlio è soprattutto una questione culturale e non solo economica, anche trasferirsi e comprare casa in un paesino sperduto non è affare da risolversi con un bonus .

Far rinascere un paese che muore significa anzitutto ricostruirne la comunità perduta e ripristinare il "gioco delle generazioni" all' interno di quei fantastici microcosmi umani che erano i nostri borghi d' una volta: comunità peculiari, influenzate dal "genius loci" e da mille altri fattori ambientali,antropologici e culturali che rendevano quei borghi degli "unicum"di cui a titolo esemplificativo potremmo prendere la descrizione di Spoon River nella omonima antologia scritta da E.L.Masters,rappresentazione di un tipico villaggio rurale dell' Illinois di fine Ottocento-inizio Novecento.

Il pericolo di queste iniziative è che le case vengano acquistate da facoltosi pensionati nordeuropei o italiani settentrionali per svernare nel clima meridionale -lasciandole vuote per parte dell' anno e tornando,quindi,punto e a capo-oppure da persone intenzionate a sfruttare gli immobili come strutture ricettive turistiche,andando all' incasso nei mesi estivi e primaverili. Difficilmente queste case verranno acquistate da giovani coppie con o senza figli,la vera linfa per ridare vita al corpo secco dei centri storici. Che vogliamo fare di questi borghi? Dei luna park turistici estivi da maggio a ottobre (la cosiddetta stagione allargata del turismo) i cui introiti,per inciso,andranno solo parzialmente a riverberarsi sulle comunità locali-perché tasse a parte(esempio la Tari) se in un borgo manca tutto e i negozi chiudono,il turista usa la casa solo come dormitorio e va a mangiare e a divertirsi altrove; in quanto agli F24 sugli affitti i soldi vanno all' Agenzia delle Entrate e non al Comune-oppure vogliamo veramente farli rivivere? Non sarebbe forse meglio estendere i bonus più che alle case ai mestieri? O creare delle specie di Zone Economiche Speciali in questi borghi con agevolazioni estese per esempio a: -Coppie che si trasferiscono in loco(bollette agevolate per i primi due -tre anni,Tari ridotta,ecc.) -Se la coppia ha uno o più figli,ancora più aiuti -Primi tre anni senza tassa alcuna a chi decide di aprire negozi o altre attività di vicinato e affitti agevolati sui locali commerciali a 1/3 del prezzo di mercato corrente per almeno i primi cinque anni -Agevolazioni quinquennali e sgravi fiscali almeno quinquennali a tutti gli imprenditori agricoli e vendite dei terreni incolti a prezzi simbolici,non superiori ai 100 euro.Analoghe misure per attività di allevamento. -Burocrazia a  zero e agevolazioni almeno quinquennali (con estensione a sei,sette anni,per lanciare l' impresa) a tutti coloro che decidono di aprire una attività di piccola e media impresa legata ai prodotti del luogo(dall' artigianato all' agroalimentare). Infine vendita di case sfitte o abbandonate a prezzi agevolati e agevolazioni e sgravi o bonus edilizi per la ristrutturazione. Dite che è osare troppo? No,è osare ancora troppo poco.Ed è il solo sistema per far tornare a vivere una pletora di borghi morenti che rappresentano un capitale unico e insostituibile,una vera ricchezza nascosta di valore inestimabile.

Non servono vecchi e pensionati a scaldarsi le ossa al bel sole d' Italia o a respirare aria frizzante di montagna,servono giovani coppie e bambini per ridare vita alle strade,ai vicoli,alle piazze; servono i negozi dei parrucchieri,dei vinattieri,dei minimarket alimentari,dei panettieri e fornai,dei macellai e di tutte le altre esigenze, dai computers e telefonia mobile alle sedi distaccate delle compagnie di assicurazioni e vedrete che seguiranno anche nuovi sportelli bancari,nuovi poliambulatori medici,vedrete che quella farmacia assumerà un dipendente in più o forse nella parte opposta del borgo una nuova farmacia le farà concorrenza, spartendosi entrambe il paese. Vedrete che quel plesso scolastico oggi polveroso e con solo una classe stenta risuonerà di nuove grida infantili e di nuove sezioni.

Non si può,non è possibile far risorgere queste realtà senza creare dapprima le fondamenta che tutto sostengono: senza creare cioè una nuova comunità inserita nella cornice peculiare dell'ambiente circostante. Il turismo? Di quello i borghi ne hanno fatto a meno per secoli e secoli ,possono farne a meno ancora per un pezzo. Il settore turistico,specie nell' epoca odierna dell' effimero, è volubile: quel luogo che oggi diciamo "social" e alla moda domani stesso può essere messo nel dimenticatoio,a scapito di un altro; il turismo di massa crea solo erosione delle risorse e danni; pensare inoltre di usare il turismo come architrave economico in paesini di due,tre ,al massimo quattromila anime per 12 mesi l' anno è qualcosa di insensato.Non stiamo parlando di Roma,Firenze,Napoli,Venezia ma di piccole realtà.Passati i cinque,massimo sei mesi della stagione che si fa? Si risprofonda nella noia e nell' oblio,in attesa di un' altro giro di ruota?

Non si veda questo come articolo di critica alle amministrazioni che decidono tali iniziative o vendite a prezzi simbolici: sindaci e assessori fanno quel che possono,le coperte delle risorse sono già corte in ambito di governo nazionale,figuriamoci in ambito puramente locale.Diciamo che a modo loro lanciano idee seppur imperfette ed incomplete,sta a noi perfezionarle e completarle. Sappiamo ,siamo consapevoli che oggidì non è per nulla possibile mettere in pratica le buone intenzioni e le idee scritte in queste righe: mancano soldi,risorse-e ce ne vorrebbero a profusione,a iosa,di soldi e di risorse-e manca proprio il concetto culturale e mentale per mettere in pratica simili iniziative.Per riassumere e farla breve,non esiste nessuna condizione a partire dal dato di fatto che non abbiamo alcuna sovranità monetaria ed economico-finanziaria. E senza questo, gli "scripta" diventano "verba" che "volant". Consideriamo questi scritti come metapolitici o se vogliamo metasociologici e teniamoli in caldo per un eventuale futuro in cui ci saranno le condizioni per attuare i concetti qui esposti e ragionati. Vediamolo insomma come un messaggio di un naufrago in bottiglia e affidiamolo al mare.

Simone Torresani

 
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