11 Aprile 2023 
Da Rassegna di Arianna del 9-4-2023 (N.d.d.) Grande affollamento di diplomatici, di Presidenti e ministri degli Esteri in quel di Pechino e dintorni. Dopo la sua recente incoronazione Xi Jinping vuole consolidare il controllo sul Pcc anche sul fronte internazionale. Un fronte essenziale per consolidare il potere del partito sulle forze armate e dimostrare che la difesa dell’interesse nazionale (e quindi anche l’obiettivo della riappropriazione di Taiwan da parte della Cina eterna e imperiale) è sempre in cima ai pensieri della cuspide della nomenclatura celeste cinese. I ministri degli Esteri iraniano e saudita perfezionano a Pechino gli accordi che cambieranno il volto del Grande Medio Oriente, ma di essi si continua a non parlare per non aumentare il grado di incertezza e di divisione che l’offensiva diplomatica cinese sia in Europa, sia nel Grande Medio Oriente sta provocando. L’aggressione della Russia all’Ucraina è l’occasione di un gioco di movimento cinese che sconcerta le potenze imperialistiche occidentali e le divide, come dirò. Infatti, nello stesso lasso di tempo del viaggio cinese si giocano su più tavoli diverse partite. In primis, la riaffermazione dei gradi di autonomia francese nei confronti degli Usa e dell’Ue, che sono ben espressi dalla delegazione economica imponente che accompagna Macron, così da far intendere che la mediazione per la pace è solo un paravento dello sforzo per migliorare il commercio internazionale della Francia e per evocare il suo impero indo-pacifico sempre mortificato dall’imperialismo anglosferico. Ma ecco che s’avanza il viaggio sconcertante della von der Leyen con percorsi separati da quelli macroniani che così confermano la solitudine della signora e della stessa burocrazia europea. Essa dovrebbe agire di concerto con la potenza francese e non in un corridoio separato che altro non fa che rivelare le divisioni profonde delle borghesie dei diversi Stati europei. Insomma, in questo modo si esalta il ruolo della Cina e si sottolineano le divisioni degli alleati nella Nato appena si abbandona il clangore delle armi per impugnare lo stendardo della negoziazione e della ricerca di occasioni di pace, a cominciare dal cessate il fuoco nelle terre nere dell’Ucraina. La Cina – dicevo – trova così una riconsacrazione diplomatica mentre gli Stati europei si presentano disuniti. Scholz si era già recato in Cina in solitudine e così oggi fa Macron, mentre sauditi e iraniani superano le loro differenze storiche profondissime e così rendono cupo l’orizzonte alle soglie del continente europeo. Le relazioni internazionali si scompongono sempre più in forma asimmetrica. Dietro lo scudo dei guerrieri, le lotte di potere s’intensificano. Chi trarrà vantaggio da questa disunione? È possibile rispondere che sicuramente non sarà la Resistenza ucraina… Giulio Sapelli
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10 Aprile 2023 
Da Comedonchisciotte del 7-4-2023 (N.d.d.) Oggi il mondo occidentale pare essere in netto declino, praticamente in tutti i sensi, da quello culturale, a quello militare, a quello economico, persino riguardo alla salute. L’origine di questa tendenza può essere fatta risalire abbastanza indietro nel tempo, ma direi che sempre, anche all’apice della potenza di una determinata civiltà o stato o gruppo di stati, guardando attentamente, è possibile rinvenire i primi avvisi di quelle che poi saranno le cause della decadenza ma, ahimè, il più delle volte i contemporanei non li notano, diventano evidenti solo col senno del poi. Così, nelle attuali circostanze del nostro declino, ha certamente avuto un ruolo importante una serie di politiche scellerate che ha portato ad erodere il grande vantaggio che le società di derivazione europea, pur rappresentando una modesta percentuale della popolazione mondiale, avevano acquisito su tutte le altre. Il “neo liberismo” di leader come Reagan e la Thatcher, mi paiono uno dei motori che ha innescato il processo che ha portato alle attuali condizioni. In fondo, l’ascesa dell’occidente maturo ed il fascino del suo “sogno” coincidevano in gran parte con la creazione della società del benessere e di quello che fu chiamato il “miliardo d’oro”, cioè una non trascurabile fetta dell’umanità che aveva raggiunto uno standard di vita senza uguali nei millenni precedenti ed era persino riuscito, senza nessuna delle terribili guerre tante volte ipotizzate, ma con la sua sola presenza ad eclissare i pur grandi risultati ottenuti dai regimi comunisti ed infine a provocarne la caduta. Come non pensare che il progressivo smantellamento di questo miliardo d’oro e la sua riproletarizzazione e ritrasformazione in senso servile non dessero un colpo decisivo al dominio occidentale? Se ci pensate, è proprio questa in buona sostanza la conseguenza sociale del neoliberismo, il ritorno ad una società dove l’uno per cento ha tutti i comfort disponibili e tutte le leve del potere, mentre il restante 99% deve vivere una vita stentata al servizio dell’élite, proprio come era stato per quasi tutta la storia. Ciò nonostante, se condotta con un briciolo di cervello, questa progressiva distruzione del “sogno americano”, come lo chiamavano ad Hollywood, poteva durare decenni ed evitare quantomeno a quelli della mia generazione di vedere il tracollo finale del modello occidentale. Ma, a quanto pare, la qualità dell’élite che è andata al potere è talmente bassa che nel giro di pochi anni tutto il vantaggio accumulato negli ultimi secoli dall’occidente è stato consumato da mosse talmente stupide da generare la credenza che ci siano sotto delle spiegazioni troppo sottili per poter essere comprese da una mente qualsiasi. Quale altro esito poteva mai avere lo spostamento di gran parte della capacità industriale occidentale in paesi a basso salario, se non l’ascesa di altre potenze fuori dall’occidente? Non si aveva il sospetto che i governi locali avrebbero potuto mettersi in proprio? Era così certo il controllo della situazione a mezzo di rivoluzioni colorate, minacce e trucchi finanziari? D’altra parte, il rapido stravolgimento della base etnica e culturale europea attraverso l’immigrazione di massa distruggerà certamente i “welfare state” così come si desidera, ma siamo certi che non porterà anche alla sostituzione delle attuali élite con altre più consone al nuovo assetto? Prendiamo la sconcertante vicenda mondiale che è passata sotto il nome di “pandemia”. In una ricostruzione credibile si può ipotizzare che un virus, probabilmente modificato artificialmente a seguito di studi di “guadagno di funzione” (studi di cui nessuno è mai stato in grado di giustificare l’utilità, ma di cui tutti percepiscono il pericolo), sia “sfuggito” nell’estate del 2019 da un laboratorio cinese (dove però lavoravano gli americani e mezzo occidente) e abbia dato origine ad una sindrome parainfluenzale che nelle persone vecchie e/o malate, poteva portare a gravi complicazioni con rischio per la vita. Nonostante sindromi influenzali simili occorrano di tanto in tanto alzando la mortalità ma suscitando infinitamente meno clamore, questa volta i governi mondiali, in primis quello cinese, si sono immediatamente allarmati iniziando da subito a prendere misure di contenimento draconiane e senza precedenti. Forse perché sapevano che il virus era stato ingegnerizzato? Non è dato saperlo con certezza. Subito dopo in tutto il mondo, ma in particolare in occidente, è partita una isterica campagna di terrore mediatico senza alcun paragonabile precedente e sono stati adottati provvedimenti legislativi e amministrativi di limitazione della libertà personale nei confronti della maggioranza della popolazione, mai tentati prima neppure dalle più feroci dittature novecentesche. L’insieme di queste misure ha portato a conseguenze economiche e sociali devastanti e di gran lunga più gravi delle conseguenze della sindrome para influenzale medesima. Alcuni provvedimenti, come l’obbligo di indossare in pubblico una pezza di stoffa o di plastica sulla faccia, hanno superato largamente la soglia del grottesco e del ridicolo senza che la gente in generale se ne rendesse pienamente conto. Del resto, che le persone abbiano la capacità di credere e rispettare le regole più stupide, scomode e contro produttive purché caldeggiate dall’autorità è cosa evidente: non si capirebbe altrimenti come sia stato possibile per secoli imporre tabù alimentari o di vestiario con motivazioni metafisiche evidentemente risibili. Altri provvedimenti, oltre che incredibilmente stupidi, sembravano francamente criminali, come il divieto di cure mediche sostituite da “paracetamolo e vigile attesa”, ma ciò che più colpisce è che i medici stessi, oramai assuefatti ad un sistema dove l’ospedale si chiama “azienda sanitaria”, sottolineando così la sua funzione non di cura, ma di generatore di “profitto” lecito o meno, non sembravano trovarci nulla da ridire. Ma per quali motivi alla fine questo disastro mondiale provocato più dalle politiche di “contrasto” alla pandemia che dalla pandemia stessa è stato voluto e portato avanti dai governi, dalle istituzioni internazionali e dal potere economico, in altre parole dalle élite? A quanto sembra, la risposta è sconcertantemente semplice: per due scopi, entrambi molto terra terra, consolidare il governo dei globalisti neocon che hanno preso il potere in America e conseguentemente in Europa rendendo accettabili politiche di stretto controllo ideologico e repressivo sulla generalità della popolazione (nei fatti quelli che la Clinton chiamava i “deplorevoli” perché avevano avuto l’ardire di disobbedire agli ordini di voto dei media) e, contemporaneamente, fare un sacco di soldi attraverso la vendita forzata di preparati medici di dubbia efficacia e sicurezza tanto in fretta costruiti che per chiamarli “vaccini” hanno dovuto cambiare la definizione tecnica di vaccino. Tutto qua. Niente Savi di Sion, Templari o Rosacroce. La plateale scorrettezza dei contratti con cui i governi hanno acquistato i vaccini (già peraltro ampiamente finanziati con i soldi dei cittadini che sono stati quindi costretti a comprarli due volte e poi, come se non bastasse, anche ad iniettarseli), è talmente palese che i contratti stessi sono stati secretati. In condizioni del genere la corruzione e il conflitto di interessi non sono una possibilità, sono una certezza. […] Subito dopo aver devastato l’occidente con le politiche dirette a combattere la pandemia, non hanno trovato di meglio che raddoppiare la posta e costringere una riluttante Russia a combattere una guerra in Ucraina preparata a lungo come una trappola che dovrebbe consentirgli di rimettere le mani sulle enormi risorse russe, come già accaduto negli anni Novanta. Tranne che si sono accorti a metà della via che le sanzioni a lungo architettate mica funzionano tanto bene. Ma non riescono a farsene davvero una ragione: come è possibile che noi, con una economia così gigantesca e sofisticata, padroni della finanza e dei media, non riusciamo a stroncare una stazione di benzina travestita da nazione? Di certo si tratta di un fraintendimento, di certo stanno per crollare, per finire le munizioni. Anzi, le hanno già finite e sono costretti a sparare petardi. O siamo noi a finire le munizioni? Di colpo si scopre che l’immenso apparato industriale dell’occidente non è attualmente in grado di produrre in un mese le munizioni che i russi sparano in un giorno: eppure il PIL sembra parlare chiaro: dove sono finite mai le sterminate industrie che inondavano di carri armati i fronti della Seconda guerra mondiale? Sono andate in Cina? Come vengono impiegati i fondi stanziati per la “difesa” degli Stati Uniti, superiori da soli a quelli di tutti gli altri stati sommati? Vengono usati in maniera efficiente ed efficace, come piace dire agli aziendalisti o semplicemente rubati? Davvero pensate che l’Ucraina sia lo stato più corrotto del mondo? Davvero questa guerra è stata ben preparata dagli onniscienti “think tank”? O forse non sono stati troppo scaltri? Dopo tutto non sembra che il geniale meccanismo ideato dagli esperti di Russia stia girando troppo bene. […] In sostanza, se qualcosa va male, se i piani non funzionano, la soluzione è sempre la stessa: si raddoppia la posta contando che nessuno abbia il coraggio di venire a vedere le carte. Forse mi sfugge qualcosa, ma a me non sembra una strategia ragionevole per conservare l’egemonia, mi sembra piuttosto il marasma senile di un occidente confuso e canagliesco senza più un piano preciso. I burocrati di Bruxelles non hanno dubbi: se le armi non ci sono, le compreremo poffarbacco! Dopo tutto siamo noi che stampiamo i soldi! Sembra che oramai si confonda la produzione di beni reali con la rappresentazione della ricchezza, cartacea o elettronica che sia. Chi era quel tizio che diceva che gli economisti esistono per dare un poco di credibilità agli astrologi? Invero il presidente Biden pare un’allegoria piuttosto accurata di questo occidente. Nestor Halak
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8 Aprile 2023 
Da Comedonchisciotte del 5-4-2023 (N.d.d.) Il 24 marzo scorso, il Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali, l’Associazione dei Generali e Ammiragli di Serbia, l’Associazione dei Veterani SUBNOR di Serbia e altre associazioni indipendenti e think tank, hanno celebrato il 24° anniversario dell’aggressione della NATO alla Serbia e al Montenegro (Repubblica Federale di Jugoslavia) onorando gli eroi caduti nella difesa del Paese e tutte le vittime di questo atto illegale e criminale. Come è ampiamente riconosciuto, questa aggressione è stata intrapresa in violazione dei principi fondamentali del Diritto Internazionale, compresa la violazione della Carta delle Nazioni Unite e senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Considerando che la Jugoslavia non rappresentava una minaccia per nessun Paese membro della NATO, la leadership della NATO ha violato persino il suo stesso atto costitutivo, mentre i Paesi membri della NATO hanno violato le loro stesse costituzioni, nella misura in cui hanno agito senza l’autorizzazione dei rispettivi Parlamenti. Alla conferenza di alto livello dell’Alleanza atlantica, tenutasi il 28-30 aprile 2000 a Bratislava, i rappresentanti degli Stati Uniti hanno confermato esplicitamente agli alleati e poi ai candidati alleati, tre importanti motivazioni per la “guerra contro la Jugoslavia”: in primo luogo, sottrarre il Kosovo (e Metohija) alla Serbia e renderlo uno Stato separato e indipendente; in secondo luogo, trasformarlo nella portaerei dei Balcani per le truppe statunitensi; e, in terzo luogo, creare un precedente per gli interventi militari in tutto il mondo senza richiedere il mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Sebbene sia stata falsamente presentata dai mass media come “intervento umanitario”, in realtà è stata la guerra di espansione geopolitica della NATO/USA verso est, verso i confini russi, creando anche il precedente per aggressioni successive: Afghanistan, Iraq, Libia, Siria… L’istituzione immediata della grande base militare statunitense “Bondstil”, nei pressi di Urosevac, in Kosovo e Metohija, è stata solo la prima di una lunga catena di nuove basi militari USA nell’Europa centrale e orientale: Bulgaria (3), Romania (3), Polonia… Così la NATO non solo ha portato la prima guerra sul suolo europeo, ma allo stesso tempo ha fornito un impulso straordinario all’intenso processo di militarizzazione del Vecchio Continente. Tutti i Paesi membri sono stati obbligati a destinare il 2% della spesa militare del loro PIL, a adattare le infrastrutture civili ai nuovi requisiti militari, a limitare la vendita delle principali aziende ai soli investitori potenziali dell’UE e della NATO (“per motivi di sicurezza”), a non importare nuove tecnologie da “fornitori inaffidabili” (5G), a non acquistare gas e petrolio da coloro che li utilizzano “per minare la sicurezza dell’Europa”. I missili, compresi quelli con bombe all’uranio impoverito, incluse le bombe a grappolo, sono caduti in Serbia e Montenegro, uccidendo i loro cittadini e distruggendo la loro economia. La Serbia si sta ancora riprendendo dalle immense perdite economiche e sociali. Belgrado e altre grandi città, anche nelle zone centrali, continuano a convivere con le rovine e le macerie degli edifici governativi e di altri edifici bombardati dalla NATO. Ma allo stesso tempo, l’aggressione della NATO del 1999 contro la Serbia e Montenegro (RFJ) ha distrutto l’intera architettura di sicurezza e di cooperazione dell’Europa e del mondo, cancellando Teheran, Jalta, Potsdam, Helsinki e altri accordi e pilastri dell’ordine post-Seconda guerra mondiale, portando così disordine, insicurezza e persino il caos. L’aggressione della NATO terminò con la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (1999), che garantiva la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica Federale di Jugoslavia (Serbia) e un’ampia autonomia per la Provincia del Kosovo e Metohija all’interno della Serbia. L’aggressione, tuttavia, è continuata da allora con altri mezzi. Sebbene la Provincia fosse sotto il mandato dell’ONU e la KFOR, composta per lo più da truppe NATO, autorizzata a garantire una uguale sicurezza a tutti, circa 250.000 serbi e altri non albanesi sono stati epurati, le loro case bruciate, le terre usurpate. Nel 2008, l’ex leadership terroristica dell’UCK ha proclamato la secessione unilaterale. I Paesi della NATO e dell’UE, ad eccezione di Spagna, Romania, Slovacchia, Grecia e Cipro, sono stati tra i primi a riconoscere la secessione, consapevoli del fatto che era contraria al diritto internazionale, alla risoluzione 1244 del CS delle Nazioni Unite e alla Costituzione della Serbia. Ultimamente, la Serbia sta subendo pressioni senza precedenti da parte di USA/NATO/UE perché eviti di opporsi all’adesione del Kosovo alle organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU, per stabilire relazioni di buon vicinato basate sull’uguaglianza, sul rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale, per riconoscere reciprocamente lo Stato e i simboli nazionali, per stabilire relazioni quasi diplomatiche. Con il pretesto della “normalizzazione delle relazioni”, l’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, cerca di fatto di obbligare la Serbia a riconoscere de facto il nuovo Stato del Kosovo, nato dall’aggressione della NATO del 1999. Le promesse di adesione all’UE, gli investimenti e le donazioni vengono sfruttati per spingere la Serbia a riconoscere la secessione di una parte del territorio del proprio Stato, rinunciando così a tutti i diritti fondati sul diritto internazionale, sulla Carta dell’ONU, sulle garanzie del CS dell’ONU e sulla propria Costituzione. Tutte queste richieste sono contenute nel cosiddetto “Accordo sul percorso di normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia”, presentato alla Serbia il 27 febbraio 2023 e confermato il 18 marzo 2023, a Ohrid, nella Macedonia del Nord, sotto forma di un ultimatum più o meno aperto. È interessante notare che questo ultimatum, accompagnato dalle minacce di misure e restrizioni economiche, finanziarie e di altro tipo in caso di mancato rispetto, sarà confermato dal Consiglio Europeo il 24 marzo 2023, data in cui esattamente 24 anni fa la NATO iniziò a bombardare Belgrado, Pristina e altre città in tutta la Serbia. Quali sono le vere ragioni di tutto questo? Rendere il Kosovo idoneo a entrare nella NATO e persino a unirsi all’Albania; stabilire la completa egemonia NATO nei Balcani, Serbia e Bosnia-Erzegovina incluse; allontanare la presenza russa e cinese dai Balcani; rimuovere l’obiezione di cinque Stati membri dell’UE (quattro della NATO) al riconoscimento della secessione unilaterale del Kosovo, ristabilendo così l’unità all’interno delle alleanze. L’aggressione della NATO a Serbia e Montenegro (RFJ) nel 1999, ha rappresentato il punto di svolta dell’Alleanza da difensiva ad aggressiva, dell’Europa parzialmente autonoma alla completa sottomissione agli Stati Uniti nel perseguimento della globalizzazione dell’interventismo e del confronto globale con Russia e Cina. Sebbene sembrasse il culmine dell’arroganza unipolare e dell’egemonia USA/NATO, essa è stata un campanello d’allarme per tutti coloro che credono in un nuovo ordine mondiale democratico. Zivadin Jovanovic
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6 Aprile 2023 
Da Rassegna di Arianna del 2-4-2023 (N.d.d.) L'iniziativa del vicepresidente della Camera Rampelli di multare i "forestierismi" inutili è - come spesso accade - un modo poco sensato di affrontare un problema reale. Che ci sia un'emergenza linguistica legata anche, ma non solo, alla sostituzione improvvida di parole straniere a equivalenti italiani è una realtà. Ma questo è solo un sintomo, non la malattia. Qualunque discussione sulla lingua deve partire da alcune premesse: 1) La lingua è il medio primario del pensiero riflesso; 2) Un impoverimento della lingua ha conseguenze in termini di indebolimento nella capacità di analisi e di ragionamento discorsivo; 3) Gli imprestiti da altre lingue con una grammatica diversa creano problemi di coordinamento con le regole della lingua madre (plurale/singolare; genere; aggettivazione, ecc.); 4) Un ricorso eccessivo e immotivato a imprestiti stranieri è di solito un modo per camuffare la vaghezza e imprecisione dell'uso importato (come si vede bene nel fatto che le parole straniere importate spesso non riproducono fedelmente il senso originario). 5) Il ricorso ad una lingua zeppa di imprestiti, tipicamente inglesismi, finisce perciò per essere manifestazione di superficialità, approssimazione e confusione, producendo un ibrido che è sia cattivo italiano sia cattivo inglese, e nell'insieme è cattivo pensiero. Il problema è che questi sono sintomi, sintomi di un processo molto più generale promosso da un'esterofilia sbracata, da una colonizzazione culturale totale (prevalentemente made in USA), e - più grave di tutto - da una generale riduzione della competenza linguistica attiva e passiva, cui il ricorso a parolette inglesi (prevalentemente un inglese tecnico da aeroporto) fornisce semplicemente toppe gualcite. Dunque, l'idea di cercare equivalenti espressivi nella lingua italiana, eventualmente anche ricorrendo a neologismi italiani, è di per sé un'idea giusta, mentre l'idea di perseguire questa idea con delle multe è insensata e controproducente (È materialmente impossibile da implementare e finisce per creare ovvie resistenze, mentre questo è un processo che può funzionare solo se diviene una nuova spontaneità.) In ogni caso occuparsi di questo sintomo senza guardare in faccia il monstruum di cui è sintomo è un modo come un altro per fare ammuina, per dare l'impressione di impegnarsi per una buona causa, mentre di fatto la si continua ad affossare. Il mostro è il degrado culturale complessivo, irrefrenabile e ad ogni livello. I dati osservativi che provengono dalle università ci dicono che un numero sempre crescente di studenti ha gravi difficoltà a leggere e comprendere un semplice manuale. Le capacità di decodifica di testi scritti articolati e di argomentazioni orali strutturate sono in caduta libera. Le capacità redazionali medie peggiorano visibilmente ogni lustro. Per i giovani la morsa creata da un lato dall'invasione dei supporti digitali, veri e propri produttori seriali di deconcentrazione, e dall'altro da una scuola sempre più burocratizzata e demotivante crea da tempo forme di analfabetismo funzionale di ritorno. E il fatto che ciò avvenga in concomitanza con l'incremento dei titoli scolastici nella popolazione dà una chiara percezione del valore medio di tali titoli. Ma il problema di fondo, il problema più radicale di tutti è che per fare una cosa che richiede un po' di fatica ci vogliono motivazioni, condivise e socialmente diffuse. E vivere in una società dove Achille Lauro parla all'ONU, Greta Thunberg prende la laurea honoris causa in teologia e Damiano dei Maneskin è proposto come epitome dell'artista impegnato è più eloquente di mille parole. Perché mai ci si dovrebbe affaticare con parole e pensieri quando i nuovi eroi che ci scaldano il cuore sono pupazzi ventriloqui? Andrea Zhok
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Schiacciare la testa del serpente |
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5 Aprile 2023 
Da Rassegna di Arianna del 3-4-2023 (N.d.d.) Quando cominciò ad affermarsi il fenomeno del politicamente corretto, e delle sue distorsioni semantiche, pochi immaginavano che quello sarebbe stato l’apripista di un processo che si sarebbe dispiegato in tutta la sua potenza distopica negli anni a seguire. Spesso di fronte alle evidenti e quasi sempre bizzarre forzature introdotte da una lingua riveduta e corretta nelle università americane si sorrideva bonariamente pensando che alla fine il buon senso avrebbe prevalso. Il “politically correct” nasceva sul finire degli anni Ottanta negli Usa, in particolare in alcune università americane nelle quali si stilarono regolamenti di condotta verbale – i cosiddetti “speech codes” – per scoraggiare l’uso di parole ed espressioni ritenute discriminanti. Si modificava il vocabolario di molte denominazioni per generare forme neutre, spesso edulcorate se non addirittura ridicole: il paziente diventava assistito, il cieco non vedente, i netturbini (già spazzini) operatori ecologici, i becchini operatori cimiteriali, gli infermieri operatori sanitari, i contadini operatori agricoli… raccolta di tonni l'antica mattanza. Una correttezza capace di sovvertire il concetto stesso di realtà, che trovò la sua prima applicazione “politica” nell’ossimorica espressione “bombardamenti umanitari”, quegli interventi militari Usa tesi ad esportare la democrazia a suon di bombe, con i quali si procedeva a scardinare il vecchio assetto geopolitico (Iraq 1991, Jugoslavia 1999…). Poi il politicamente cominciò a marciare insieme a quell’ondata di diritti “civili” che passo dopo passo doveva indebolire e fiaccare il senso comune poggiante sulla “tradizione”. La famiglia tradizionale andava superata perché luogo di oppressione e di violenza, l’eterosessualità era figlia di una concezione patriarcale binaria che aveva provocato tutti i guai dell’umanità, fino ad arrivare alla teorizzazione della violenza discriminatoria insita nello stesso riconoscimento del sesso del nascituro per il quale si deve ormai parlare di genere assegnato e non più di sesso riconosciuto. E così finestra dopo finestra, scompare la “vergogna” della rivendicazione del nuovo gradino da superare. Parlare di transizione di genere diventa un po’ alla volta una cosa normale, così come normali le cliniche specializzate in questa transizione (lo stesso “reazionario” leghista Zaia ormai riconosce il pieno diritto di queste cliniche); altrettanto normale accettare lo stravolgimento chirurgico del corpo con asportazioni (taglio mammelle, genitali) e/o impianti di vario genere e gusto; così come deve essere normale la somministrazione di meta bloccanti in bambini prima che lo sviluppo esploda. E come deve essere normale oggi parlare come se niente fosse di “utero in affitto”, con tanto di retorica asfissiante e petalosa sull’amore che fonda il “desiderio” di un figlio, che poi questo significhi mercificazione del corpo della donna, che il “figlio” venga ordinato a pagamento e che al futuro bambino forse interesserà sapere chi sono davvero mamma e papà poco o niente deve importare. Gradualmente quindi si sono aperte nuove finestre dalle quali quotidianamente ci affacciamo su scenari che una volta sarebbero stati avvertiti come inquietanti e frutto di menti malate. Ma che ora diventano non sono “normali” ma per il pensiero dominante addirittura auspicabili. Uno scivolamento nella distopia accompagnato da grandi campagne mediatiche fatte di propaganda martellante da parte di influencer, cantanti, attori, sportivi, giornalisti, intellettuali… a seconda del pubblico di riferimento. Naturalmente la scuola non poteva rimanere intoccata, la sua nuova struttura de-formata e de-formante diventava anzi uno dei luoghi essenziali dell’indottrinamento al catechismo gender, con tanto di testi, progetti e docenti allineati a questa prospettiva… in nome dell’accoglienza e dell’inclusività, paroline-esca che consentono di intuire la presenza dell’amo “dirittista”. L’ultima perla: in Canada per questa prossima estate si organizzeranno campi per diventare drag queen. Destinatari: bambini dai 4-11 anni e ragazzi 12-17 anni… e poi dici che aumentano le “disforie di genere”. I casi delle assurdità provocate da questa infezione morale e sociale degli individui e delle comunità sono all’ordine del giorno. Ma citiamo il caso dell’ultima strage di Nashville negli Usa. Una giovane donna che si sente uomo entra in una scuola armata di tutto punto e uccide tre bambini e tre adulti, poi interviene la polizia e finalmente viene accoppata. A poche ore di distanza dalla strage alcune organizzazioni Lgbt rilanciano la tesi secondo la quale in realtà la vittima sarebbe l’assassina, anzi l'assassino. La stampa liberal e progressista è imbarazzata, subisce il ricatto della lobby Lgbt. Queste organizzazioni ribadiscono la “Giornata della Vendetta Trans” e danno vita a manifestazioni coordinate nei parlamenti di vari Stati federali per chiedere leggi che autorizzino il cambio di sesso nei minori. Con la portavoce della Casa Bianca che dichiara «vicinanza alla comunità trans vittima di attacchi», e una nota interna (scoperta e diffusa dal NYT) della potente Cbs in cui si dice di «evitare ogni menzione alle motivazioni Lgbt dell’assassina di Nashville». Atmosfera che consente alle associazioni Lgbt di utilizzare lo slogan «Le vittime erano sette». Ormai ci siamo scordati delle sette vittime innocenti. Tutto questo è avvenuto un po’ alla volta, secondo la nota tecnica della rana bollita. Ricordo amici e colleghi che mi sorridevano quando ponevo la gravità della questione che si esprimeva ancora “solo” nei termini del politicamente corretto. Poi quando si cominciò ad andare oltre le forme del linguaggio mi si diceva che si trattava di fenomeni laterali alla società, che il popolo certe questioni manco se le poneva. E arriviamo all’oggi. In cui le istituzioni sospendono e licenziano lavoratori non inclini alla neo religione pagana, in cui le scuole ridondano di propaganda gender, in cui fiorenti sono il mercato della “transizione di genere”, del seme, dell’utero in affitto, in cui organismi istituzionali sovranazionali impongono la sottomissione degli stati a questa religione. Il debosciamento generale nel quale è precipitato il mondo occidentale sarà bloccato non tanto da forze interne (comunque è necessario combattere, e una forza politica di vero rinnovamento non può non contenere nel suo programma la radicale contrapposizione a queste derive antropologiche: è anche su questo che devono essere valutate e “misurate” le varie proposte) ma dal cambiamento del quadro internazionale. Per essere esplicito: sarà necessario che prima possibile sia schiacciata la testa del serpente globalista americano. Serpente che si agita e sputa veleno. Poi, lo so, c’è il capitalismo… ma l’anti capitalismo in sé non è garanzia di consapevolezza, ci sono troppi “anti-capitalisti” in giro che questi temi non solo non li considerano, ma li snobbano se non addirittura li sostengono. Antonio Catalano
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