Confessioni di un politico |
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10 luglio 2007 Un politico qualsiasi di una città italiana qualsiasi: “In città è da un pezzo che non fanno che lamentarsi delle buche nelle strade e più in generale delle condizioni delle opere pubbliche. Ma che vogliono questi stronzi? Pensano che siamo qui per fare i loro interessi? Illusi, il giorno che inizierò a fare i loro interessi, posso stare sicuro che il mio bel posto me lo posso scordare. Sono altre le persone a cui devo rendere conto... Sì, certo, c'è la pantomima delle elezioni; bisogna sbattersi un po’ in giro a fare le solite promesse, ma neanche poi troppo... Tanto, ormai, la gente il gioco della democrazia lo conosce bene e, come si dice, mantenere le promesse è da paurosi! Una volta poi che ci siamo sistemati, inizia il giochino: una smentita qui, una intervista là, qualche altra promessa, e se proprio ci sono difficoltà si istituisce una bella commissione e vai. Tutto visto e conosciuto. Neanche faticoso, ormai. Immaginati te se cominciassi a costruire strade che non si rovinano nel tempo. Lo so come si fa a farle, che credono? Ma una strada che resiste nel tempo, a chi serve? Per prima cosa mi si blocca il meccanismo degli appalti, poi il giro (quello ricco) dei subappalti, dei fornitori ecc. E io con che cosa la ungo la macchina della politica? E gli operai del Comune? E i tecnici? Come la giustifico tutta questa massa di persone? E se mi diventano troppi, come faccio a infilarci il raccomandato di turno? E le assicurazioni? Metti caso che con le strade fatte per bene gli incidenti diminuiscono, sai come si incazzano? Sai che giro di telefonate da Roma per richiamarmi all'ordine? E sai, se ti metti contro quelle e le banche non ti salva neanche il partito! Ma soprattutto: se cominciamo a non buttare i soldi del contribuente, alla fine saremo costretti ad abbassare le tasse, giusto? E qui sta il pericolo mortale: se la gente sgobba un po' di meno, magari la sera trova la forza di andare ad occuparsi della cosa pubblica, insomma a fare politica di quella vera, ti torna? Ecco, questo non dovrà accadere mai, per noi sarebbe la fine... Adesso vado, c' è un tale che ha chiesto risarcimento al Comune perchè è caduto a causa di una buca. Poveraccio, ora lo facciamo entrare in un giro di uffici, avvocati, carte bollate che neanche se lo immagina. Non vincerà mai, ma anche dovesse vincere chicazzosenefrega, mica sono soldi miei...” Daniele Ombriti
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Quelli che finiscono per "oni" |
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9 luglio 2007 E venne il turno di Walter “Nutella” Veltroni. Ha intenzioni serie, il pacioso messia dell’oligarchia di centrosinistra: vuole spalmarcela là dove non batte il sole, come si fa con la vasella. Le nomenclature bianche e rosse di Margherita e Ds hanno scelto bene, non c’è dubbio: col suo frullato di Kennedy, Tienanmen, bambinelli africani (ah, la sua Africa piena di pozzi e ospedali da inaugurare!), Papa Woityla e don Milani, colline toscane e cartoline anni ’50, più una spruzzata del povero Berlinguer e di cinema hollywoodiano, il Walter è l’incarnazione perfetta del nascente Partito Democratico. Uno spot pubblicitario che nasconde la solita fregatura. Per noi, il Pd resterà più o meno equivalente alla targa di Padova (da cui partirà per il suo tour il sindaco di Roma). Non ci interessa da quanto fa politica, il Veltro di sinistra. Berlusconi fa girare questo ritornello a vuoto, lui, il craxiano d'oro che con il nuovismo fasullo ci fracassa i timpani (e qualcos’altro) da 13 anni. A noi importa far sapere solo questo: che questo partito unico di detriti post-democristiani e post-comunisti, senza idee e senza programmi, che per avere uno straccio d’identità aspetta l’ecumenico salvatore romano, è l’ennesima operazione di potere. I suoi sostenitori, convinti di vedere in Veltroni e nel Pd “un nuovo modo di fare politica”, sono buoi che vanno al macello. Come tutti gli autolesionisti che sperano ancora nel rivolgimento dall’interno del meccanismo marcio della rappresentanza. Veltroni, alla stregua di tutti i nostri “rappresentanti”, ne è solo un servo (consapevole o no, non fa poi molta differenza). I due "oni", come li ha chiamati Gramellini della Stampa, si rafforzano a vicenda, perchè la rincorsa dell'uno dà slancio all'altro. Attenti: non stiamo dicendo “sono tutti uguali”. Non siamo facili qualunquisti. Noi diciamo di più e di peggio: è il diabolico marchingegno del voto espropriato dai partiti a renderceli tutti irricevibili e ugualmente colpevoli. Non basta buttarli a mare. E’ la nave su cui viaggiano che va affondata. Alessio Mannino
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La solitudine degli "arrivati" |
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9 luglio 2007 Il 27 giugno 2006, nel bel mezzo dei Mondiali di Germania, Gianluca Pessotto fu ritrovato davanti alla sede della Juventus giacente a terra in condizioni gravissime. Fu chiaro sin da subito che la dinamica dell'incidente fu la caduta da una finestra dell'abbaino del palazzo, ma il ritrovamento di un rosario in mano all'ex calciatore fece sospettare che la causa non doveva essere incidentale, bensì un tentativo di suicidio. Portato in ospedale in condizioni disperate, è tuttavia riuscito quasi miracolosamente a rimettersi del tutto e a ritornare in salute. A un anno di distanza Pessotto parla per la prima volta ai quotidiani e rivela il suo stato d'animo, sebbene non ricordi praticamente nulla delle dinamiche dell'accaduto. Dinanzi a fatti del genere, di una tale gravità ed efferatezza, di persone ricche e famose che solitamente vengono considerate inattaccabili dagli abissi della vita, lo stupore porta a pensare a problemi evidenti e precisi, affettivi o di lavoro. Ma per Pessotto le cose sono un po' diverse, e tremendamente sincere. Come è possibile infatti che un dirigente di uno dei club più prestigiosi del mondo, in condizioni economiche solide ed invidiabili (ex calciatore di livello nazionale), stimato ed apprezzato nell'ambiente, con una carriera piena di soddisfazioni alle spalle (4 scudetti, una champions league, una coppa intercontinentale ecc), felicemente sposato con due figlie, con una moglie che gli ha dimostrato sempre affetto e dedizione nei momenti più difficili, con amici che gli volevano bene, concepisca un gesto tanto disperato ed esplicito? Lo chiarisce egli stesso: "Un buio tremendo, senza speranza. La solitudine più profonda che si possa immaginare". Certo, dietro vi sta un malessere personale, Pessotto è ora in analisi da uno specialista, ma sarebbe ipocrita considerarlo un disagio puramente individuale. In realtà siamo di fronte a un problema sociale diffusissimo, in una società che ha tra i suoi punti di debolezza più terribili e degradanti la recisione della comunità e delle relazioni umane. Pessotto sarà pure clinicamente depresso, ma io credo che egli sia fondamentalmente sano nella testa e nello spirito. Non è il "male oscuro", quello che anche in passato coglieva artisti e poeti malinconici, ma il disagio disperato di un uomo inserito, concreto e pratico, che una società senz'anima ha tradito portandolo al suicidio. E una società senz'anima è appunto una società suicida. Massimiliano Viviani
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5 luglio 2007 Ecco la risposta di Milena Gabanelli al nostro appello di una settimana fa: Sono daccordo, ma come la immagino io una politica completamente nuova quando la gestione della politica è sempre nelle mani di questi qua? E' evidente che tutta la società civile si deve responsabilizzare, ma deve anche avere degli interlocutori. Oggi abbiamo dei disgraziati, e quelli che non lo sono (e ce ne sono) stanno continuamente sotto schiaffo di chi ha invaso ogni angolo possibile. La mia non è una proposta tragicomica, ma realistica. Se tutti coloro che non ne possono più avessero il coraggio di dirlo, si innescherebbe rapidamente un meccanismo di ricambio. Un due o tre per cento lo manipoli, ma se arrivi al 20 la vedo veramente dura. Credo che la gente abbia bisogno prima di tutto di una indicazione chiara e lineare: La scheda bianca (al contrario dell'annullamento o dell'astensione) è un voto a tutti gli effetti ed è interpretabile in un solo modo. E' anche importante evitare che qualcuno se ne appropri e ci metta un volto o un nome o una sigla, altrimenti si ritorna nel calderone. Quando sappiamo in quanti siamo allora si potranno dettare le condizioni. Il dissenso bisogna contarlo e non confonderlo. A quel punto si acquisterà quella forza necessaria per fare come dici tu. Questo è quello che penso. Un caro saluto Milena Gabanelli www.report.rai.it Per le politiche dell'anno scorso la posizione di Movimento Zero era "Zero voto": siccome non ci riconosciamo in una democrazia che di rappresentativo ha conservato solo il nome, niente crocetta. La tua proposta, cara Milena, è realistica solo sulla carta: perchè il bianco, essendo per definizione senza colori, non spaventa affatto lorsignori più di quanto faccia l'astensione o l'annullamento della scheda. Anche se l'80% degli aventi diritto optassero per la bianca, i partiti e i loro manutengoli non farebbero una piega e lucrerebbero con calma olimpica su quel restante 20%. Solo se prendesse forma un movimento riconoscibile e con idee forti a capo di questa "sollevazione bianca", solo allora metteremmo pepe al culo a "questi qua". Il percorso, secondo me, è inverso a quello da te ipotizzato: prima un'alternativa politica e culturale alla società menefreghista, paranoica e oligarchica che ci ostiniamo a chiamare "liberale" e "democratica". Poi la conta. Altrimenti tutto finirebbe in un exploit che lascia il tempo che trova. Senza considerare che dovrà pur esserci una voce (plurale e ramificata, proveniente dalle tante realtà di ribellione locale, ma pur sempre una) che dovrà farsi carico di lanciare la carica. Uomini e donne di buona volontà: costruiamola insieme. A presto Alessio Mannino
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5 luglio 2007 Ciò a cui oggi tutti i media danno gran risalto a proposito dei falliti attentanti di Londra è il fatto che alcuni dei presunti terroristi arrestati siano medici. Ciò viene definito addirittura come una cosa “incredibile” e “mostruosa”. Incredibile e mostruoso perché appare inconcepibile che persone perfettamente integrate nella nostra società – alcuni di questi medici, viene sottolineato, erano destinati ad una brillante carriera – possano nutrire un tale odio verso di essa fino ad arrivare a progettare atti così brutali. Questi presunti terroristi – ci viene spiegato – non venivano da qualche ghetto o comunità semianalfabeta del Terzo Mondo. E’ un ritornello già sentito. Anche degli attentatori dell’11 settembre si disse lo stesso: avevano studiato nelle nostre scuole, vestivano all’occidentale, la sera se ne andavano in giro per locali e ristoranti… Erano, insomma, anche loro perfettamente integrati. Perché per noi occidentali integrazione significa proprio questo: che tutti devono diventare dei perfetti “consumatori”, null’altro. E allora perché ci odiano? E già, perché? Non sappiamo darci risposta: poiché siamo convinti di vivere nel migliore dei mondi possibili, è semplicemente inconcepibile che qualcuno in questo mondo si trovi a disagio, sia insoddisfatto, si senta male… Che insomma non sia felice. Uno può star male, può essere infelice, solo se vive nei ghetti e nelle comunità “semianalfabete” ed “arretrate” del Terzo Mondo. Eppure dovremmo ricordarci, noi occidentali, che nelle nostre “moderne” ed “istruite” società, le percentuali di persone che stanno male, che sono infelici, ovvero che tirano avanti solo grazie agli psicofarmaci, alle psicoterapie, alle droghe – e quando non ce la fanno più si suicidano – sono sempre più alte, soprattutto tra gli appartenenti alle classi benestanti; mentre di simili pratiche nelle società del Terzo Mondo non vi è traccia (o meglio: non ve n’era fin quando non si sono “modernizzate”). Tutte i dati odierni confermano che gli indici di felicità sono più alti proprio in quei paesi dove più bassi sono gli indici del PIL. Forse, se questi presunti terroristi fossero davvero venuti dai ghetti e dalle comunità del Terzo Mondo, se non fossero stati istruiti medici con brillanti carriere davanti, non sarebbero arrivati a concepire i loro progetti di morte. E forse è proprio questo che a noi occidentali fa più paura: che questi terroristi siano gente come noi, che vivono le nostre stesse inquietudini, i nostri stessi mali, la nostra stessa infelicità. Che hanno il sentore che questo, forse, non è il migliore dei mondi possibili… Stefano Di Ludovico
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3 luglio 2007 Con l’inizio del processo a Brescia, si è tornati a parlare della tragica vicenda di Hina, la ragazza pakistana uccisa dal padre perché “voleva vivere all’occidentale”. Sul fatto in sé c’è poco da dire: un omicidio senza attenuanti oltre che orribile, perché commesso da un padre nei confronti di una figlia. Ma tutti questi strepiti che si levano a destra e sinistra e che i media amplificano parlando di diritti delle donne e di libertà, ci fa capire che la povera Hina è diventata lo strumento di una campagna che vuole in realtà mettere sotto i riflettori – ovviamente per condannarle – quelle religioni e quelle società che osano impedire ad una persona, appunto, di “vivere all’occidentale”. Difendere la libertà, si dice. Eppure tutte le religioni e tutte le società conoscono dei limiti alla libertà, e non si capisce perché il divieto di rapporti con l’altro sesso per i preti e le suore cattoliche sia ad esempio da considerare accettabile, mentre il velo per le donne islamiche no. Difendere la dignità della donna, si dice. Poi uno vede Paris Hilton o Elisabetta Gregoraci e gli viene il dubbio se effettivamente la “superiore” civiltà occidentale abbia più rispetto dell’essere femminile delle “barbare” tradizioni islamiche. Dubbio immediatamente fugato: tra coloro che scendono in campo “per le donne” si vede pure Daniela Santanchè… Conosco già l’obiezione prevista alla pagina 2 riga 3 del manuale del perfetto liberale (quello scritto dai Ferrara, dai Pera e dai Panebianco): “Ma le donne occidentali possono scegliere”. Sarà. Però, chissà perché, viviamo in un mondo pieno di ragazze che sognano le tette o le labbra al silicone, che fanno la fila al casting delle veline e che, quando non riescono a conformarsi a quei modelli di riferimento, “scelgono” di diventare depresse, anoressiche, o si sentono inadeguate e perdenti. Non vedo però nessuna Santanchè scendere in campo per sostenerle e condannare la società che ha generato un simile deserto di valori. Sono tutti troppo impegnati a difendere il diritto di “vivere all’occidentale”, a volte persino di coloro che giudicano così ignoranti e retrogradi da non volerlo fare spontaneamente. Andrea Marcon
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