Finanziaria: oligarchie, truffe e videopoker |
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3 ottobre 2007  Ricordate il botto (momentaneo) che nel maggio scorso fece l'inchiesta del Secolo XIX? Il quotidiano di Genova, carte alla mano, spiegò che in Italia una mezza dozzina di società che gestiscono le concessioni per il videopoker ha un debito verso l'erario di 100 miliardi di euro. 200 mila miliardi delle vecchie lire. Cinque finanziarie light, quattro robuste, tre lacrime e sangue. Giusto per capirci, la manovra del governo Prodi nei prossimi mesi al vaglio del parlamento (e delle lobby che nell'ombra la emendano e la riscrivono usando gli scaldasedie come marionette) è in totale di 18,5 miliardi. Durante l'estate i media, non si sa perché (o lo intuiamo benissimo), si sono ben guardati dal lanciare una campagna contro questa schifezza generata nel 2003 dal governo Berlusconi e nascosta fino ad oggi dal sodale Prodi. Ma le indiscrezioni che vengono da Roma sulla finanziaria vanno oltre ogni immaginazione. Maggioranza e opposizione starebbero studiando un emendamento bipartisan con il quale rendere possibile un concordato tombale, al costo di poche briciole, a beneficio delle concessionarie. E queste compagnie, fai caso, vengono date vicine ai seguenti partiti: Ds, An, Fi, Udeur ed Udc. Secondo il Secolo XIX la fetta maggiore spetterebbe, però, alle mafie. All'interno di quest'ultima speciale categoria, il bottino maggiore sarebbe quello della cosca catanese dei Santa Paola. Ribadisco che secondo i pochi articoli usciti sulla stampa sinora, si tratterebbe di una delle più colossali truffe ai danni di noi cittadini mai messa a segno nella storia d'Italia. Ma chi gestisce le concessionarie è ancora lì, e il silenzio regna sovrano. Nel collegato alla manovra, inoltre, saranno previsti tagli all'Ires, la tassa sulle imprese, che scenderà dal 33 al 28%. Anche l'Irap calerà (al 3,9). Tagli che fanno la felicità di chi, di riffa o di raffa, sguazza sempre sulle tasche dei cittadini: le industrie. Che infatti hanno osannato la finanziaria di Padoa Schioppa con la solita, odiosa e ipocrita formula: "va nella direzione dello sviluppo del Paese". Sì, dello sviluppo dei loro profitti. I governi, di destra o di sinitra, quando devono cercare le risorse per stare al passo con la stramaledetto "sviluppo", alla fine vanno a beccare sempre da chi ha meno. E aiutano sempre chi ha già molto. Per la gente che vive (male) di stipendio (poco), la morale è sempre quella: sacrifici, sacrifici, sacrifici. Per chi deve fare i suoi affari (fondati sul dogma del lavorare sempre di più per avere sempre meno), il premio è sempre lo stesso: favori, favori, favori. L'intervento sulle tasse alle imprese è un classico, riuscitissimo esempio di lobbying confindustriale. Come quello sui videopoker è un classico, terribile esempio di lobbying mafioso e partitico. Il regime in cui viviamo, da molti cocciutamente definito democrazia, non è che un sistema di oligarchie organizzate. Oligarchie che quando non si fanno la guerra tra loro per ragioni di potere (ma mai mettendo in discussione tali ragioni), la fanno ai cittadini che stanno dall'altra parte della barricata. E il metodo preferito è svuotargli le tasche. Condannandoli al solito, insensato sgobbare per tenere in vita la rendita di posizione delle bande oligarchiche. Marco Milioni
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2 ottobre 2007 
E’ on line il quarto numero stampabile di MZ – Il giornale del Ribelle. Potete liberamente scaricarlo cliccando in alto a destra, dove vedete scritto MZ Download. Perché una versione cartacea del blog? Per diffonderne i contenuti col vecchio ma imbattibile sistema della distribuzione a mano, faccia a faccia, porta a porta, nelle biblioteche, nelle università, nel luogo di lavoro, col volantinaggio in strada. Fate quante più copie potete (attenzione a stampare in fronte/retro: pagg 1-2 e pagg 3-4), rilegate con una semplice graffettatrice, e distribuite. (a.m.)
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30 settembre 2007 
Pochi giorni fa è partita una nuova campagna pubblicitaria. Il marchio è la Nolita (abbigliamento). A firmarla Oliviero Toscani, il provocatorio fotografo che ha fatto le fortune della Benetton. Il soggetto è una modella anoressica, ritratta nuda in tutto il suo stato pietoso di malata. La malattia della ragazza (il suo nome è Isabelle Caro) è presentata in tutta la sua cruda realtà: la pelle rovinata dalla psoriasi, il corpo scheletrico, le mani grigie ed invecchiate e il viso scavato dove solo gli occhi danno un vago senso di vita. L'anoressia è una delle patologie che rientra in quelli che sono chiamati “mali moderni”. Le sue vittime sono prevalentemente donne di giovane età, che accusano un disturbo del comportamento alimentare. In pratica cominciano a non mangiare più e a sviluppare un rifiuto per il cibo fino a raggiungere la morte per denutrizione. Pancia vuota in una società che costringe a rimpinzarsi del superfluo fino a vomitare. Il risultato è sui cartelloni pubblicitari delle nostra città: un macabro inno alla morte causata dalla modernità bulimica e trionfante, che dona infelicità innanzitutto a chi ne dovrebbe essere immagine e splendore (le modelle, appunto). Il desiderio di diventare scheletriche è dettato dai modelli estetici femminili dominanti, sapientemente orchestrato per creare nuovi bisogni - e nuove consumatrici. Bisogna essere belle da morire. Ora, una azienda che ha contribuito ad alimentare questa patologia si fa portatrice di una campagna “sociale”. Peccato che, se si sfoglia il catalogo di questa azienda, si noterà che i modelli proposti sono indossati da modelle maestosamente sifilitiche. Ma non ancora morenti. Insomma, è evidente che è tutta una messinscena per sensibilizzare, sì. Ma il brand, il marchio, l’azienda. Toscani ha dichiarato: “C’è una bellezza nella tragedia. Il paradosso è che ci si sconvolge davanti all’immagine e non di fronte alla realtà. Io ho fatto, come sempre, un lavoro da reporter: ho testimoniato il mio tempo”. Il problema, caro Toscani, non è l'immagine proposta, ma il suo presupposto, cioè far rendere economicamente di più un marchio commerciale. A persone come Toscani interessa poco del problema anoressia. Più che pensare a come rendere “positivi” i messaggi, le aziende dovrebbero cambiare completamente i prodotti. La merda resta merda, anche se d’autore. Antonello Molella
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Birmania libera (da tutti)! |
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29 settembre 2007 
Birmania: questione di business. Da una parte c’è una dittatura di bolsi gerontocrati con le stellette, protetta dalla Cina capitalcomunista febbricitante per le Olimpiadi che la consacreranno definitivamente come superpotenza mondiale. Un regime in affari con l’India (per il gas, così prezioso per l’immane fabbisogno di New Delhi), con Israele che la rimpinza di armi, con multinazionali come la Unocal e la Total (per i gasdotti costruiti o in progettazione passando sulla pelle di etnie dissidenti come i Karen), con la Thailandia (fedele alleato degli Usa) per dighe e impianti idroelettrici. L’embargo americano deciso da Clinton nel 1997 e rinnovato da Bush nel 2003 è un ricatto a metà, più una spada di damocle che non una chiusura netta. Uno strumento di pressione che ha retto fino a oggi, quando la crisi economica ha fatto sollevare la popolazione, in testa dei pacifici bonzi buddisti. Dall’altra c’è un popolo in rivolta per ragioni economica: il prezzo della benzina. I monaci, la gente per strada. La repressione miete vittime. Ma non come nel 1988, quando furono uccisi in piazza centinaia, forse migliaia di persone. E questo perché il padrone cinese ha impartito un ordine preciso ai suoi manutengoli birmani: non esagerare. E infatti sembra che adesso il governo di generaloni si avvii a una soluzione diplomatica del caos in cui versa il Paese. Il terzo attore è l’Occidente con le sue brame di conquista economica. Ricchezze minerarie e posizione strategica. Un mercato ancora chiuso ai prodotti della globalizzazione trionfante. Di qui l’offensiva propagandistica che mira ad annettere la Birmania al totalitarismo del Ventunesimo Secolo, la falsa “democrazia” made in Washington. Gli ideologi dell’esportazione della democrazia sono tutti eccitati al pensiero di un Irak 2, col piacere doppio di non dover usare le armi e impelagarsi in un’altra guerra. Mettersi il nastro rosso in solidarietà coi monaci ribelli? Giustificare il potere militare eterodiretto dal dragone cinese? Noi siamo per la libertà dei popoli di farsi la propria storia. Di rovesciare o di innalzare i regimi come gli pare. Di autodeterminarsi senza che nessuno imponga dall’esterno il destino altrui (magari con la pelosa propaganda mediatica manovrata dalle oligarchie occidentali, a cui i soliti pseudo-pacifisti a corrente alternata si accodano). Noi vorremmo una Birmania libera dai cinesi, dagli americani, da noi occidentali, da tutto e da tutti fuorché dai birmani, unici depositari del diritto alla sovranità e all’indipendenza. Non strumentalizziamo quei monaci. Non intromettiamoci. Denunciamo invece gli interessi delle bande di rapinatori di professione, cioè le grandi aziende (cinesi, statunitensi, italiane o indiane non fa differenza) che vogliono trasformare una dittatura militare in una dittatura delle multinazionali. Vedrete che la cricca militare resterà al suo posto. Tutti i peana alla democrazia si diraderanno ben presto quando la cricca occidentale otterrà maggiore flessibilità nelle importazioni e nei contratti. Fra cricche ci si intende. E così la Birmania finirà di nuovo nel dimenticatoio in cui era. Sbugiardando la facile e ipocrita indignazione di questi giorni. Viva la Birmania libera (dalle multinazionali e dagli appetiti di ogni altro Paese)! Alessio Mannino
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27 settembre 2007 
Sarebbe squallida - se non fosse sciocca, se non fosse ignobile - la battuta di Prodi secondo cui gli Italiani non sono meglio della loro classe dirigente. E’ squallida perché è penoso vedere un politico “di sinistra” – un vecchio boiardo democristiano che si è fatto eleggere promettendo un rinnovamento anche morale della classe politica – non saper far di meglio che insultare meschinamente i suoi elettori. Già il venditore di tappeti, l’Unto del Signore, faceva la stessa cosa. Non pare che ci abbiamo guadagnato molto nel cambio. E’ sciocca, perché di meglio di lui ce n’è eccome. Per esempio le decine di migliaia che in Italia stanno dicendo no alla protervia insolente e alle menzogne di quelli come lui: no alla Tav, no al Dal Molin, no all’aereoporto di Viterbo, no al Ponte sullo Stretto, no alle piramidi nel deserto di una classe politica ammanicata con appaltatori e affaristi. Ed è anche ignobile, perché in realtà vuol dire: ‘Ma che cazzo ne capite voi, pezzenti che non siete altro! Lasciatemi lavorare (cioè fare i comodi di mega-industrie assistite e banche sanguisughe!”. La casta parla sempre lo stesso linguaggio. Questa è la Sinistra, oggi. Il Partito Democratico? Un blob alieno, un nato morto, una balena torpida, non “gioiosa macchina da guerra” ma ennesima “macchina-per-far-politica”. Forse più “pericolosa” di altre, perché più sfavillanti sono le illusioni di cui si ammanta e più mirabolanti le promesse che fa. In realtà un vuoto riempito di nulla, e a scucirne un po’ le giunture quasi ci si aspetta di vederlo afflosciarsi in una nuvola di insetti ronzanti. En passant, un pietoso cenno alla “Cosa rossa” (la faticosa e forse già moribonda reunion dei cosiddetti “radicali” di estrema sinistra): una disperata accolita di delusi, che sa già di essere destinata alla sconfitta e tenta di esorcizzare il proprio destino mettendo insieme frantumi del passato e rievocazioni di battaglie che non convincono più nessuno. Dovrebbe dunque venire dalla sedicente sinistra “radicale”, il sol dell’avvenire? Dai Bertinotti presidente della Camera e dai Pecoraro Scanio (basta il nome)? La sinistra ‘di lotta e di governo’ - già sentito, vero? - che è riuscita nel miracolo di unire parole d’ordine roboanti e gesti eclatanti ai limiti del suicidio politico con l’appiattimento assoluto sui comandamenti del pensiero unico liberalcapitalista, accettando ed ingoiando imperterrita infamie di ogni tipo. Rimangono le “bande partigiane”, quelli non schierati, i “cani sciolti” col guinzaglio, quelli da cui di solito ti aspetti davvero il beau geste: i girotondini morettiani, insopportabili fighetti radical chic, quelli del “Di’ qualcosa di sinistra”. Ve li ricordate? Alla fine sono andati a farsela dire da Veltroni, qualcosa di sinistra. Complimenti. Ora hanno rialzato la testa. Hanno sentito nelle piazze il richiamo di Grillo, ed hanno pensato che potesse essere l’occasione buona: ‘cavalcare’ la protesta, annettersi un elettorato pronto all’uso. Ma nemmeno lui li vuole, i professorini. Se tutto va bene, finiranno a fare il servizio d’ordine alle primarie per il PD, e così sarà consumata definitivamente la parabola di una politica che aveva pur promesso un ‘rinnovamento’, e che si spegne oggi nella palude di un vuoto democraticismo all’americana. Giuliano Corà
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Il Cavallino Rampante (dei poteri forti) |
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26 settembre 2007 
«Io non sono fra quelli che pensano che tutti i mali del Paese sono nella politica, altrimenti entriamo in un populismo e in uan demagogia troppo facili». A proferire questa pillola di saggezza è stato ieri Luca Cordero di Montezemolo, il Cavallino Rampante dei poteri forti italiani. Siamo d'accordo. Non tutto il male, il marcio, la corruzione, la letargia interessata verso lo status quo di un sistema senza più senso, non tutto ciò che ci schiavizza ogni giorno facendoci credere di essere liberi è colpa dei politici e dei partiti. Il vero male è lui. Lui e l'oligarchia economica che col suo codazzo di capitalisti predatori, cavallette speculative e banchieri usurai gioca coi destini della povera gente usando i media come circo e clava di consenso e il teatrino della politica come sfogatoio dell'opinione pubblica. Luca, a noi il ferrarino e il Corriere della Sera non ci ingannano più. Occhio ai lapsus rivelatori. (a.m.)
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