17 Novembre 2024 Da Rassegna di Arianna del 14-11-2024 (N.d.d.) Elon Musk ovvero della via destra al transumanismo mondialista. Le distopie non sono solo di sinistra come troppi credono. L'idea di forgiare con la cibernetica una "unica coscienza mondiale", unificazione tecnofinanziaria dell'umanità e insieme parodia rovesciata dell'Universalità trascendente delle religioni tradizionali, è l'ultima aggiornata versione del sogno luciferico che tenta l'uomo da sempre. Elon Musk fa parte degli ambienti americani NatCon, ossia nazionalconservatori, il cui maître a penser è Yoram Hazony, un filosofo della politica ebreo-americano il pensiero del quale è oggi un riferimento, forse il principale, di Fratelli d'Italia che in tal modo ha riempito il vuoto dello sradicamento ideologico postfascista con questi apporti della destra americana. Può sembrare una contraddizione la vicinanza di Elon Musk, con la sua idea tecno-mondialista, agli ambienti del nazionalconservatorismo statunitense dato che la posizione filosofica di Hazony è di critica al cosmopolitismo. Un concetto nel quale Hazony racchiude, con un salto pindarico antistorico e antifilosofico, tanto gli antichi imperi sacrali quanto le odierne organizzazioni sovranazionali mondialiste. Al cosmopolitismo Hazony oppone il modello del regno biblico di Israele considerato quale rivendicazione del particolarismo sovranista contro la pretesa universalista (Cfr. Y. Hazony "Virtù del nazionalismo"). Forte è la critica di Hazony alla Chiesa cattolica che ha assunto il modello universalista romano, tradendo l'ebraismo. Ma per fortuna, sostiene Hazony, è poi intervenuta la Riforma che, creando chiese nazionali, ha riportato il Cristianesimo alla radice ebraica fondata sul principio della libertà e sovranità dei popoli. In Hazony si ripropone la convergenza antiromana, quindi anticattolica, tra giudaismo postbiblico e protestantesimo che è il cuore dello spirito americano nelle sue radici puritane. Ma, al tempo stesso, il suo "nazionalismo" modellato sull'esempio biblico del regno davidico - che nella esegesi cristiana è invece prefigurazione della Chiesa universale nella quale sarebbero entrati anche i gentili - è soltanto la faccia appunto nazionalista del giudaismo postbiblico laddove, del tutto complementare con essa, sussiste anche una faccia universalista della concezione giudaica del Regno messianico. Sono due facce della stessa medaglia e sono inseparabili perché, nel messianismo giudaico postbiblico, il "popolo messia" diventa anche il portatore della luce sulla terra per edificare l'unità delle nazioni, nella pace universale, ma sotto la guida - in talune versioni solo spirituale, in altre anche politica - di Israele. I cristiano sionisti protestanti americani sposano questa escatologia giudaica e per questo sono fanatici sostenitori dello Stato di Israele. La profezia di Isaia per la quale nell'era messianica i popoli trasformeranno le loro spade in vomeri - profezia che campeggia in una delle sale principali dell'Onu - interpretata secondo questa prospettiva diventa, al modo dell'esegesi giudaica, la realizzazione in terra del Regno di Dio. Si tratta di un chiaro approccio millenarista che poi spiega molte cose anche riguardo la politica sionista attuale. È evidente - c'è stato un tempo nel quale Papi, teologi, mistici ed esegeti cattolici ne avevano piena avvertenza oggi piuttosto scemata - che questa prospettiva giudaica è del tutto a-cristica come anche la lettura della Scrittura che ne è alla base e che supporta il nazionalconservatorismo di Yoram Hazony. Non è in Gesù Cristo che si realizza il Regno di Dio attraverso la metanoia dei cuori - e, alla fine della storia, nella trasformazione trans-storica del mondo che verrà assunto dall'Eterno, nel passaggio dalla temporalità all'eternità, incontrando la Gerusalemme celeste, che scende dall'Alto, sicché ci saranno "un nuovo cielo e una nuova terra" (Ap. 21,1) - ma il Regno sarà realizzato in terra e nella storia come organizzazione politica e ora, con le possibilità offerte dalla cibernetica sviluppate da finanzieri miliardari come Elon Musk (emulo conservatore del progressista Bill Gates), attraverso l'unificazione mondiale delle coscienze in una unica coscienza globale. Luigi Copertino
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15 Novembre 2024 Da Rassegna di Arianna del 12-11-2024 (N.d.d.) Qualcuno ha festeggiato, o almeno visto con favore, la vittoria di Trump. Un atteggiamento comprensibile come reazione alla spocchia dei democratici, alla loro idea di modellare il mondo intero con la loro doppia morale, con la loro ipocrisia, supponenza. Comprensibile come reazione, ma è giunto il momento che si smetta di reagire e si inizi a ragionare. Per come le cose si stanno iniziando a delineare la presidenza Trump sarà devastante. Tralasciando le questioni interne agli USA, di politica economica interna, di tutela dei lavoratori americani, dei diritti di tutti, e limitandoci alla scena internazionale comincia ad essere chiaro che: 1) il massacro dei palestinesi non solo proseguirà, ma sarà legittimato, non si cercherà neanche più di far finta di disapprovarlo, come hanno fatto i democratici. Questi sono ipocriti: Trump sarà fiero di quello che accade. Rivendicherà ogni massacro come il dispiegarsi della civiltà. 2) se il segretario di Stato sarà Rubio, questi ha già chiarito che l'unico responsabile dei bambini morti e delle stragi in Palestina è Hamas. 3) può darsi che questi anni vengano davvero sfruttati per annettere, di fatto, i Territori palestinesi, per fare pulizia etnica con il pieno sostegno degli Stati Uniti. Anche la Cisgiordania entrerà nel mirino. 4) come le prime parole di Biden furono "Putin è un killer", e lasciavano presagire dove si sarebbe andati, quello che si sente e si inizia a capire indica che si andrà allo scontro, in primo luogo, con l'Iran. 5) l'Iran è l'unico impedimento al dominio statunitense e israeliano nella regione, e si cercherà di farlo saltare. 6) prevedibile che lo sdegno verso l'oppressione delle donne sarà spostato tutto sull'Iran. Si tratta infatti di incrementare il conflitto interno, di provocare una guerra civile dentro l'Iran, una guerra civile che, se riescono ad innescarla, sarà sanguinosissima e infinita. Israele si presenta già come il liberatore degli iraniani. State attenti a quello che dite, perché le vostre giuste indignazioni possono servire solo a coprire fiumi di sangue, di uomini e di donne, e per ragioni molto diverse da quello che credete. 7) dei diritti delle donne in Afghanistan o in Arabia o in Pakistan etc. non interessa più a nessuno. Il dirittoumanismo procede sempre in direzione degli Stati che l'Occidente vuole destabilizzare. Prima arriva la rivendicazione dei diritti umani, della civiltà, poi la guerra civile e le bombe. 8 ) che gli USA abbandonino l'Europa forse è un'interpretazione sbagliata: gli USA di Trump sono perfettamente in sintonia con gli europei. Questi dovranno ora svenarsi per aumentare le spese per la difesa, tagliando su sanità, scuola. Non ci sono soldi per le cose essenziali, ma- lo ha chiarito Draghi - per le armi si trovano. Che Draghi voglia sganciare l'Europa dagli USA solo un pazzo può pensarlo. Molti conflitti tra potenti sono scene teatrali. 9) l'Ucraina diventa un problema europeo, ma a maggior ragione può sfuggire di mano. Una volta che gli Stati Uniti fanno un passo indietro, non sono più soggetti a possibili ritorsioni. Ma gli europei si. 10) il gioco con l'Iran non è a rischio zero: se la Russia e la Cina permettono la sua destabilizzazione perdono di credibilità internazionale. 11) la nuova amministrazione scoprirà tuttavia che la Cina non è quella del 2016. Chi credeva che i venti di guerra sarebbero cessati con Trump forse confonde le speranze con la realtà. Il vizio è però alla radice: continuiamo a sperare nell'uomo della provvidenza, ci si divide e si fa il tifo tra due mali. Bisogna che iniziamo a riprenderci in mano il nostro destino, a dire che i popoli devono rientrare nella storia, dalla quale sono stati espulsi negli ultimi 40 anni. Non destra e sinistra, non i potenti. Non verrà da questi ciò di cui il mondo ha bisogno. Bisogna tornare a stare dall'unica parte giusta: dalla parte dei popoli. Il primo passo per pensare un'altra storia è capire che l'emancipazione dei popoli non può venire da nessun salvatore, da nessuna rivoluzione colorata, da nessuna destabilizzazione coi soldi occidentali. Che non dobbiamo stare né con Trump né con Biden, ma dalla parte dei popoli. Con prudenza, col passo della storia, senza fare precipitare quei popoli nella guerra civile, ma stando comunque coi popoli, e con nessuna élite, di qualsiasi colore sia. Dobbiamo reimparare a distinguere le culture dal potere. Le culture sono cose vive, che evolvono, coi loro ritmi, con le loro direzioni, che non sono le nostre. E questi ritmi vanno compresi e rispettati. Il potere, invece, non bisogna mai rispettarlo. Vincenzo Costa
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Tradizionalismo anticapitalista |
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13 Novembre 2024 Da Rassegna di Arianna dell’11-11-2024 (N.d.d.) In Marx l'opposizione al Capitale è inserita in una visione progressiva della storia. Il dominio del Capitale è un male, e deve essere superato, tuttavia è un male, che similmente al Mefistofele goethiano, finisce per operare il bene, ovvero crea le condizioni per un nuovo tipo di società superiore. Non solo è lo strumento per la creazione di quella accumulazione della ricchezza che è un presupposto fondamentale per la fine della «vecchia merda», ovvero lo sviluppo della ricchezza che avrebbe liberato gli esseri umani dal bisogno, che era la forza più potente che riconduceva le società al dominio e allo sfruttamento. Inoltre il dominio dell'accumulazione del capitale mette fine a tutti quei vincoli personali tradizionali che sono di ostacolo al nascere di una società futura. Secondo Il Manifesto del partito comunista, il Capitale «ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche. La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi. La borghesia ha strappato il commovente velo sentimentale al rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro.» Inoltre: «I bassi prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con la quale spiana tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla capitolazione la più tenace xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni a adottare il sistema di produzione della borghesia, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza.» Tuttavia esiste un'opposizione al capitalismo che appartiene alla tradizione. Aristotele è il primo grande oppositore dell'accumulazione per l'accumulazione per la dismisura che vi è insita. Il cristianesimo, tanto quello cristiano che ortodosso, vieta l'usura, vietata l'usura è ancora oggi nelle società islamiche. La Divina Commedia dantesca è la protesta contro la nascita del capitalismo dal punto di vista della tradizione, che assomma tanto Aristotele quanto il cristianesimo. Il motivo per cui le società tradizionali si oppongono alla brama individuale di accumulazione è nel carattere dissolutivo di questo istinto quando ad esso viene dato libero corso. Come accadde nelle città italiane del 1300 che si ritagliarono uno spazio di libertà tra Papato e Impero, ma fu la libertà di dare libero corso alla brama individuale. Grazie a questa «accumulazione primitiva» che divenne necessaria ai successivi stati per finanziare gli eserciti, questo principio si impadronì di tutti gli stati europei (vedi il mio saggio “Il mondo multipolare e il pensiero marxista”). In seguito a causa della potenza generata dall'accumulazione di ricchezza questo modello si è diffuso in tutto il mondo. Infine anche Cina e Russia hanno dovuto dare libero corso alla brama individuale. «Arricchitevi!» Come disse Bucharin in occasione della Nep lanciata da Lenin. Scriveva Edoardo Sanguineti nel libro Dante reazionario: «il lungo furore circa la lupa e quel maledetto fiore del fiorino è il più grosso e robusto credo di orrore che si sia levato di fronte ai facili trionfi dei banchieri e dei mercanti fiorentini, ormai complici di una chiesa economicamente bene aggiornata: un grido che è paragonabile soltanto, se accettiamo un duro ma illuminante anacronismo, con gli alti clamori dei grandi scrittori europei della restaurazione ottocentesca, strepitanti di fronte alle facili vittorie del capitalismo industriale, nazionale e internazionale, o diciamo addirittura con le aspre querele del non a caso fascisteggiante Pound, deplorante che “with usura, sin against nature”». Non era il fatto singolare che un autore «reazionario» possa dar vita ad una critica del capitalismo, fatto già assodato nel marxismo, ad es. Marx fu un grande ammiratore di Balzac che politicamente fu un realista. Vi era il riconoscimento da parte di Sanguineti che esiste una opposizione al Capitale che deriva da una visione della vita tradizionale, diversa rispetto al pensiero progressista, che può essere di interesse anche a chi appartiene ad una diversa tradizione di pensiero, quale quella comunista. Come risulta da questa intervista: SANGUINETI Non ho fiducia negli intellettuali cosiddetti di sinistra. E la destra non sta meglio. Se vogliamo sapere cosa sia il capitalismo è meglio leggersi Pound o Céline che Baudrillard. GNOLI Molti ancora prendono Pound con le molle. SANGUINETI E fanno male. La diagnosi del mondo moderno è straordinaria. Come quella di Eliot che da anglo-cattolico reazionario ha in orrore città infernali come Londra. Leggerli è molto appassionante. (Edoardo Sanguineti, Sanguineti's song: conversazioni immorali) Da qui l'interesse verso la poesia di Pound, in merito al quale si trovava d’accordo con Pasolini, con il quale fu impegnato, per il resto, in una lunga ma produttiva polemica. Quel Pound che nel canto «contro l'usura» ha espresso nel modo più incisivo il punto di vista tradizionalista contro il Capitale, poesia di cui Sanguineti aveva ripreso alcuni brani in “Laborintus”. Pasolini dal canto suo, con l’intento di scandalizzare il benpensante progressista, professava di essere un reazionario: «Io sono una forza del Passato/Solo nella tradizione è il mio amore». Oggi, se da una parte le altre civiltà mondiali hanno dovuto, per far fronte all'espansione occidentale, adottarne i principi capitalistici, allo stesso tempo vediamo che l'identità storica, derivante dall'appartenenza a civiltà diverse rispetto a quella occidentale, ha giocato un ruolo fondamentale rispetto al tentativo di imporre un unico modello, quello occidentale. Questa identità si conserva attraverso la continuità con il passato, cioè la tradizione. Mentre l’alchimia dialettica di trasformare il male in bene non ha funzionato. Ritengo sia necessario riconsiderare il rapporto con la tradizione, la frattura con il passato (nella quale noi viviamo) non porta ad una società superiore, ma all'anomia e infine alla dissoluzione sociale. Ma dobbiamo evitare il tradizionalismo che è il dominio del passato sul presente, il dominio di ciò che è morto su ciò che è vivo, ovvero quando le mort saisit le vif, mentre la tradizione è un fuoco che deve essere mantenuto vivo. Gennaro Scala
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12 Novembre 2024 Ciò che c’è La cultura che ci avviluppa, nei suoi popolari svolazzi, si mostra nelle battute da bar, nei titoli dei giornali, nei testi delle pubblicità. Sotto la superficie che tutto ricopre, in profondità se ne trova il cuore nei vanti della scienza, nella concezione del prossimo, della vita e di se stessi, nell’ideologia del progresso, nella medicina, nell’educazione, nella formazione (un’eccellenza), nella comunicazione o presunta tale. Tale brodo di coltura in cui, più o meno tristi, tutti sguazziamo, nuotiamo, navighiamo o naufraghiamo è convenzionalmente detto materialista. Vale a dire, concentrato sulla dimensione cosiddetta materiale della realtà e di tutto. Ne deriva che intelligenza e creatività, scorrazzano nel limitato campetto di gioco governato da regole, linguaggio e significati definitivi, ai quali tutti possono e devono attenersi al fine della propria integrazione sociale o, al contrario, per non venire emarginati. È il campetto del meccanicismo, cioè quello dove tutte le relazioni con qualsivoglia elemento della realtà, umano e non, emergono da uno sfondo di calcolo al fine della prevedibilità e modifica. In cui, il potere assoluto attribuito alla logica non lascia scampo al pensiero degli uomini che ne sono schiavi, propagandisti, giudici. Come i crociati avanzano a spada sguainata in mano e diritto di morte nel cuore. La loro presunzione è apicale, niente e nessuno può far cambiare loro idea. Neppure i culmini del loro discorso da paladini della cultura: la mortificazione generale delle persone, la guerra come pratica ordinaria, i soprusi e la violenza che, incuranti, si lasciano alle spalle del loro passaggio. Alla natura materialista e meccanicista della cultura in corso, fanno seguito e corpo quella positivista, progressista, capitalista, razionalista. E anche la conoscenza come accumulo di dati, ovvero tutto ciò che l’unità di misura logico-razionale può quantificare, e oggi – non plus ultra – mercificare: se non hai un qualche valore misurabile, non sei. Null’altro che, nel rispetto delle regolette del campetto di gioco prima citato, non possa venire dimostrato, e quindi riprodotto a volontà tutte le volte che lo si desidera, ha la dignità del reale. L’esaltazione plebiscitaria della meritocrazia, ne è una sconsolante conseguenza, così come lo è stata la democrazia. Entrambe, piccole verità secolari, pronunciate come universali, ma semplicemente campionesse incontrastate di materialismo applicato agli uomini o di intelligenza ergastolana nei loculi delle ideologie e obesa di intellettualismo. Con tale terreno sotto i piedi diviene normale concepire e quindi pensare e fare come se il mondo, esseri senzienti inclusi, fossero oggetti, cioè elementi inerti, nei confronti dei quali ci poniamo come al cospetto di una sedia: la utilizziamo alla bisogna, la sfruttiamo per sostituire la lampadina bruciata, la modifichiamo se non ci piace il colore, ce ne sbarazziamo anche se funziona ancora, la colpevolizziamo se cede sotto il nostro peso. L’altro, l’altra parte non solo è suggestione non misurabile ma proprio non esiste, la cultura lo impone, il sistema funziona così, come una macchina di cui siamo pezzi e accessori quando non cagnolini con la testa dondolante. Come altrimenti dare ragione alla politica che tutto fa meno che lavorare per concorrere a creare individui consapevoli di sé e della comunità a cui appartengono. Un lavoro permanente e lungimirante al quale ha preferito quello a breve termine offertole dalle leggi, ancora una volta, espressione materialista. In quale altro modo concepire la questione del genere, la maternità surrogata, la cancellazione delle culture, la prostrazione della tecnologia, il politicamente corretto, le quote rosa, la deliberata censura, il viatico del controllo e della sorveglianza, per tenere a bada miliardi di persone, per farne pupazzi. Ciò che non c’è Nulla è esente dal maglio materialista. La terra, l’intero pianeta, risulta così essere un oggetto, ovvero qualcosa di cui poter disporre senza neppure porsi il problema se esso ci può davvero appartenere, tanto da farne deliberatamene ciò che più ci aggrada. Per le medesime circostanze è esistita ed esiste la schiavitù, gli allevamenti che, più che chiamarli intensivi, è opportuno chiamarli della vergogna, o dell’abiura dell’uomo, la comunicazione creduta insita nel linguaggio logico e tanto altro. Una differente cultura e quindi realtà e pensieri scaturirebbe da una concezione del mondo che non ci veda osservatori ma autori di quanto osserviamo. Realtà e conoscenza da oggettiva diverrebbero relazionale, ovvero terza cosa rispetto alle parti della relazione stessa. La consapevolezza dell’autonomia della relazione comporta la presa di coscienza del modo condizionato, autoreferenziale, arrogante, nel quale si era prigionieri. Una premessa per avviare il modo dell’ascolto di quanto accade, una modalità di porsi che implica la piena dignità dell’interlocutore, alla pari con quella che vorremmo ci fosse accreditata. La realtà nella relazione è quella in cui si muove l’esploratore. Questo, valuta e considera tutto e, se commette una sconvenienza, ha piena consapevolezza di esserne il solo responsabile. Se nel modo della relazione, al pari della mente di Gregory Bateson, che ha vita propria, cioè comportamenti che non possiamo prevedere, dominare e determinare, significa che non siamo al cospetto di un oggetto ma di un organismo. Significa che applicare il meccanicismo ad oltranza, senza la consapevolezza del suo essere elefante in cristalleria quando la relazione va oltre i campetti normati, è l’espressione di una patologia culturale terminale. Campioni di consapevolezza che la realtà è nella relazione sono la madre e il maestro. Il figlio e l’adepto non subiranno pressioni né forzature, ma godranno di pazienza e rispetto. I loro cosiddetti fallimenti, lo saranno anche di chi se ne ha cura e i loro successi, li vedranno gioire insieme. Il contrario della madre e del maestro sono la pretesa, l’indifferenza, il sopruso come prassi inconsapevole, autorizzata dal titolo o dal potere che l’ambito ci conferisce e autorizza ad esercitare. In questi casi, le conseguenze sono tendenzialmente di tipo spiacevole. Il meglio che da questa sterile modalità può nascere sono il kapò, il delatore e il sottomesso, il delfino, l’uomo stampino. Matricidio Ma se il modo della relazione, che comporta ascolto e tiene a bada l’autoaffermazione, induce a riconoscere l’organismo di cui facciamo parte, una natura dalla quale non possiamo mai essere altra cosa, significa che anche gli eventi meteorologici non ordinari che da qualche anno si stanno realizzando hanno a che vedere con la pratica dell’umiliazione, malefica deriva implicita nella concezione materialista del mondo. Null’altro che un’alterazione della stabilità che comporta sofferenza, che può divenire incontenibile. È un male di tipo sistemico: ogni intervento correttivo è parziale per definizione; quindi, sostanzialmente inadatto e perciò peggiorativo in quanto più che correggere, alimenta la vita del paziente terminale. Il controllo della meteorologia, l’ingegneria climatica, per ragioni economiche – come in Marocco e in altri paesi – o belliche – da chi ritiene di avere in sé il mandato di esportare il proprio modello e il diritto all’egemonia mondiale – non è ancora considerato la causa dei violenti, o fuori statistica, episodi di alluvioni. Si preferisce colpevolizzare tutti noi sudditi del loro capitalismo. Come non lo è l’incremento di campi elettromagnetici per la guerra dello spionaggio e della guida di armi a controllo remoto nei confronti del comportamento anomalo di tanti animali e insetti. Tartarughe marine e delfini che deragliano incaponiti a puntare a terra anche se invitati a prendere il largo, api che spariscono dai territori di residenza, così come avevano già fatto cervi volanti e lucciole ai tempi del primo inquinamento socio-industriale del secolo scorso, la popolazione più che dimezzata delle farfalle monarca, causata dalle connaturate violenze chimiche e ambientali in seno al cosiddetto progresso. Il mantenimento dell'equilibrio, istinto inestinguibile di ogni organismo senziente, non ha potuto assorbire la pesante invasività di certe azioni compiute sotto l’egida dell’egocentrico delirio di onnipotenza di certa umanità e, ancor più, sotto il patrocinio della narcisistica presunzione di essere altro dalla natura, di non avere con essa alcun legame e quindi, di non elaborare più un pensiero di rispetto e pari dignità, con le relative conseguenze di soddisfazione e bellezza. Urbanizzare i conoidi dei valloni, i bordi degli alvei dei corsi d’acqua, fare politica secondo la priorità assoluta dell’interesse economico, replicata indipendentemente dalle caratteristiche locali e ancor più da quelle bio-regionali, ne rappresenta il contrario. Non significa che divenire immobili, non è in questi termini che si incarna il rispetto. Significa invece ringraziare, come facciamo con chiunque, per quanto essa ci offre. Come nei confronti di ogni essere senziente, l’organismo natura non può essere bistrattato. L’Emilia e la Valencia sono solo gli ultimi episodi di una collana di reazioni, indicatori di una tendenza, che forse mai la terra avrebbe mostrato se la relazione con essa non fosse stata tanto miserabile dal crederla conquistabile, se fosse stata vissuta come un organismo, di cui siamo peluria. Se gli uomini non si credessero altro da lei, se non avessero creduto di poter reciderne il legame, pensando perciò di poter vivere facendo a meno del sentimento per rispettarla quanto una madre. Quanto sacra origine. Lorenzo Merlo
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Processo di disumanizzazione |
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10 Novembre 2024 Da Rassegna di Arianna del 9-11-2024 (N.d.d.) Nella degenerazione contemporanea dello scenario politico una delle cose che più colpisce è lo scatenarsi di atteggiamenti di ferocia, disprezzo, disumanizzazione, psichiatrizzazione, demonizzazione dell’avversario. Lo si vede in questi giorni dopo la vittoria di Trump, con un proliferare di crolli nervosi che emergono in rete e nella pubblicistica di fronte alla “vittoria del Male”, ma lo si vede continuamente in mille contesti. Lo abbiamo visto nei giorni del Covid, dove abbiamo cercato di giustificare esibizioni di malvagità, crudeltà, auspici di morte con la dinamica psicologica della paura. Lo vediamo nel modo in cui si sviluppano (o meglio NON si sviluppano) i discorsi sulle tematiche del “politicamente corretto”, dove ogni discussione aperta è impossibile e dove sensibilità isteriche pronte a scatenarsi sbranando “il Male” sono onnipresenti. Lo vediamo nella demonizzazione delle alterità politiche sul piano internazionale. Ciò che colpisce è come questa tendenza allo scontro inconciliabile, alla repulsione senza sconti né mediazioni, avvenga proprio nell’epoca per eccellenza della “fine delle ideologie”, della “fine delle grandi narrazioni”, della “secolarizzazione”. Per come ci sono state raccontate molte vicende storiche, siamo abituati ad associare lo scontro senza esclusione di colpi all’attrito tra identità forti, identità collettive irriducibili, visioni del mondo radicalmente alternative. La modernità (o postmodernità) ci è invece stata spesso venduta come il luogo dove abbiamo sì sacrificato forti radicamenti, visioni ambiziose e palingenetiche, ma almeno lo abbiamo fatto nel nome della pace, della fratellanza, della pacifica convivenza in un “villaggio globale” esente da contrapposizioni radicali. Solo che le cose appaiono alquanto diverse da quanto ci è stato fatto balenare. Nel secondo dopoguerra abbiamo assistito alla capacità di riconoscimento reciproco, e persino alla collaborazione pragmatica, di soggetti che pochi anni prima si erano sparati addosso, di appartenenti a visioni del mondo davvero nettamente divergenti. Democristiani e comunisti erano portatori di ideologie robuste e profondamente diverse, e tuttavia riuscirono a produrre quel mirabile ed equilibrato documento che è la Costituzione. Persino gli ex fascisti vennero reintegrati, con la sola clausola che non pretendessero di riproporre tale quale la proposta politica che aveva portato il paese al disastro bellico (divieto di ricostituzione del PNF). Oggi che ovunque in Occidente la “politica dell’alternanza” è alternanza tra varianti della stessa ideologia liberale, con una sovrapponibilità delle politiche al 90%, proprio oggi l’odio inconciliabile tra le parti, il mutuo disprezzo sembrano essere le caratteristiche dominanti. Com’è possibile tutto ciò? Ecco, credo che per capire questo stato di cose noi dobbiamo prima comprendere qualcosa di fondamentale intorno alla forma delle contrapposizioni umane. Una contrapposizione di carattere ideale, quali che siano le idealità a confronto, è una contrapposizione che si muove pur sempre in una sfera umanamente condivisibile, almeno di diritto: la sfera delle idee appunto. Un’idea diversa da un’altra, una ragione inconciliabile con un’altra ragione sono pur sempre idee e ragioni, e come tali sono potenzialmente condivisibili: è possibile cambiare idea, è possibile comprendere le ragioni altrui. Questo significa, banalmente, che due visioni del mondo articolate in idee e ragioni, per quanto possano essere diverse, sono comunque parte di un comune gioco umano. Il processo di disumanizzazione avviene invece in forme diverse, essenzialmente prepolitiche, tipicamente radicate in variabili naturali. Il caso idealtipico è naturalmente il razzismo, dove qualunque cosa il “razzialmente-diverso-e-inferiore” faccia o dica diventa irrilevante, perché niente potrà cambiare la sua “inferiorità naturale”. Ma questa sfera naturale e prepolitica è, in effetti, divenuta nel discorso pubblico contemporaneo la sfera dominante. Così, non rileva se Trump e Harris avessero contenuti decenti o indecenti, seri o ridicoli, diversi o uguali; la questione seriamente discussa diventa: “Com’è possibile che le donne, o gli immigrati, o i “coloured”, ecc. non abbiano votato per <<uno dei loro>>?” La differenza politica in primo piano ora appartiene ad una sfera prepolitica, naturalistica, impermeabile alla ragione. L’aver trasformato la politica in una competizione tra gruppi di interesse, lobby, e l’aver svuotato la sfera ideologica convergono nel trasformare il discorso pubblico in una sorta di “razzismo universale”. Che le differenze siano di “razza”, “genere”, “orientamento sessuale”, “etnia”, o che trascolorino in giudizi di ordine psichiatrico, epidermico, antropologico, comunque ci troviamo su di un terreno dove le ragioni non hanno più cittadinanza: resta solo la ripulsa (o l’attrazione) istintiva. La distruzione della sfera politica, nutrita e alimentata per decenni dal “pilota automatico dell’economia”, è arrivata al capolinea, producendo una nuova forma di tribalismo naturalistico, di “razzismo universale polimorfo”, che non conosce più nessuna alternativa all’esclusione dell’altro, eventualmente al suo annichilimento. Lungi dall’essere il viatico per forme di pacifica convivenza, la distruzione delle identità politiche e delle ideologie porta con sé il germe del conflitto senza limiti. Le premesse per un futuro di guerre civili all’interno e disposizioni genocide all’esterno sono state poste. Andrea Zhok
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