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Disponibilità di territorio PDF Stampa E-mail

8 Maggio 2021

Il Potere, quando non assuma la forma esplicitamente brutale, si fonda sul bisogno, sulla condizione di dipendenza. Il corso della Civiltà Occidentale ha una linea di tendenza molto evidente nella determinazione di bisogno dipendente (e quindi sull'altro versante di Potere) fondata sull'articolazione industria-merce-denaro. Per fissare la condizione di dipendenza un ulteriore passo potrebbe essere quello di rendere indisponibile il territorio: renderlo pressoché completamente proprietà della classe dominante (tendenza che pare sia in atto); verrebbe così impedito in ogni caso agli appartenenti alla classe dominata di soddisfare direttamente i propri bisogni, mediante la disponibilità di una porzione di territorio e di risorse naturali, obbligandoli inevitabilmente alle forniture del sistema economico industriale cioè del Potere.

La questione della disponibilità di territorio per le persone ed i gruppi sociali ha in effetti accompagnato la storia delle civiltà umane. Si può vedere come sia sempre emerso in quanto istanza morale, di giustizia, che ciascuno avesse - in una forma o in un'altra - una disponibilità di territorio e di risorse naturali per provvedere al sostentamento proprio e del proprio gruppo sociale. Secondo Erodoto (II, 109) il Faraone egiziano Sesostri operò una divisione del territorio in parcelle quadrate che distribuì agli abitanti. Secondo Varrone (I, 10) Romolo concesse a ciascun cittadino come heredium 2 iugeri di terra, corrispondenti a 1/2 ettaro. Si ritiene, storicamente, che rispetto a un'originaria proprietà collettiva della terra la prima forma di proprietà privata fosse limitata alla casa e all'orto circostante, mentre era esclusa la terra arabile e da pascolo. Gli storici latini concordano sulla limitata estensione della proprietà privata in Roma arcaica: il limite di 7 iugeri ricorre in molte fonti. Ancora nel 290 a.C. secondo Plinio c'era chi considerava pericolosa una proprietà di più di 7 iugeri: << È noto il discorso di Manlio Curio Dentato... "È da considerarsi pericoloso quel cittadino cui non bastino 7 iugeri". Era questa la misura assegnata alla plebe dopo la cacciata dei re>> (XVIII, 18) Secondo Valerio Massimo (IV, 4, 6) anche la proprietà di Marco Attilio Regolo, il generale della prima guerra punica, era di 7 iugeri. Cincinnato, una delle figure emblematiche di morigeratezza romana, chiamato dai campi alla dittatura per dirigere la guerra contro gli Equi nel 452 a.C. aveva un terreno di soli 4 iugeri (Plinio, XVIII, 20). Un caso limite è quello cui accenna Livio (XLII, 34): nel 171 a.C. il centurione Spurius Ligusticus sposato con 8 figli era proprietario in Sabinia di un solo iugero. Nella civiltà ebraica la popolazione era originariamente composta di allevatori nomadi con proprietà fondiaria collettiva. Dopo il loro insediamento nella terra di Canaan si realizza una proprietà privata della terra ma ereditaria, perpetua, inviolabile; era consentita una vendita temporanea: ogni 50 anni tornava alla famiglia originariamente proprietaria; la possibilità di proprietà privata condusse comunque alla formazione di latifondi, con la perdita completa di proprietà per i piccoli proprietari. Il profeta Isaia (VIII secolo a.C.) critica così la società dei suoi tempi: "Guai a quelli che accumulano casa su casa, che aggiungono campo a campo, fino a quando non c'è più posto ed essi sono i soli padroni del paese." "Non si pianterà più perché un altro consumi... I miei eletti consumeranno il frutto del loro lavoro" (Isaia, LXV, 17 ss.) Un esempio effettivo di opposizione all'avidità di possesso ci viene, nella civiltà ebraica antica, dagli Esseni. Gli Esseni lavoravano solo per procurarsi il minimo necessario alla loro sussistenza. Praticavano l'agricoltura e la pesca, ma non il commercio, che fomenta la sete di guadagno e il desiderio di nuocere al prossimo (F. Challaye; Storia della proprietà). Gli Esseni ci vengono descritti con ammirazione dal filosofo Filone e dallo storico Giuseppe. La problematica della disponibilità di territorio per ognuno è presa in considerazione da orientamenti culturali anche molto diversi. Il filosofo John Locke (1632-1704) nel Trattato sul Governo Civile dice che nello stato di natura non c'è proprietà personale; i frutti della terra sono di chi si dà la pena di raccoglierli; la terra deve essere di chi la dissoda e la coltiva; se una parte di essa viene lasciata incolta, anche se è circondata da uno steccato deve essere considerata una terra deserta e poter diventare il bene di un altro. La dottrina cristiana afferma con R. La Tour du Pin Chambly (1834-1924): "La condizione alla quale la proprietà può essere considerata alla base della società è che sia accessibile - in una forma o nell'altra - a tutte le classi sociali, in modo che non si veda più sussistere la divisione in proprietari e proletari creata dal regime moderno" (Verso un ordine sociale cristiano). Molto esplicitamente C. Van Gestel: "In origine Dio ha posto la creazione a disposizione dell'uomo, cioè di tutto il genere umano, di tutti gli uomini." "Il principio della destinazione comune dei beni implica che ogni uomo ha diritto ad uno spazio vitale indispensabile." (La dottrina della Chiesa) Il Nazionalsocialismo ha agito per mettere la proprietà individuale al servizio dell'interesse generale. La legge prussiana del 15 maggio 1933 e la legge tedesca del 20 settembre dello stesso anno creano un nuovo tipo di proprietà: si chiama "campo ereditario" una terra coltivabile iscritta in un registro speciale; queste terre devono essere coltivate dallo stesso proprietario in collaborazione con i suoi familiari, esclusi dipendenti di qualsiasi tipo; queste particelle sono indivisibili e incedibili. In Unione Sovietica, il 26 ottobre 1917 un decreto abolì la grande proprietà fondiaria senza alcuna indennità; esso proibì la confisca delle terre appartenenti a contadini che le coltivassero; una legge agraria del 19 aprile 1918 accordò il solo diritto di godimento della terra ai coltivatori diretti.

La questione della disponibilità del territorio è ben visibile nella storia italiana recente. Giuseppe Bonaparte, re di Napoli nel periodo napoleonico, promulgò la Legge 2 agosto 1806, finalizzata a smantellare i diritti feudali, la quale stabiliva che del demanio del feudo, sul quale i cittadini esercitavano gli usi civici, i baroni ricevessero da un quarto a tre quarti, mentre la parte restante venisse quotizzata ai cittadini più poveri in compenso degli usi. La borghesia agraria era nettamente ostile; aspirava al possesso diretto dei demani e mal sopportava che questi fossero assegnati ai contadini, ai quali comunque riusciva, in un modo o nell'altro, a sottrarli. Ma certo, dopo l'assegnazione, il recupero riusciva più costoso che non l'usurpazione su terreni mal custoditi o abbandonati (P. Villani; Feudalità, riforma, capitalismo agrario). Già in precedenza la prammatica De administrazione Universitatum aveva prospettato una redistribuzione demaniale nel Sud Italia. Anche con l'unità d'Italia, nonostante le promesse di una redistribuzione delle terre, il problema rimase irrisolto. Il ceto popolare, deluso e irritato da una mancata lottizzazione, si ribellò scatenando una sanguinosa guerra civile, nota come brigantaggio postunitario. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, dopo la disastrosa rotta di Caporetto, il generale Armando Diaz, che aveva sostituito Cadorna, promise genericamente "le terre agli italiani" per motivare le truppe stanche e sfiduciate dalla eccessiva disciplina e dalle punizioni imposte dal suo predecessore. Una vera e propria riforma fondiaria venne attuata con l'avvento della Repubblica. Il Parlamento italiano varò nel 1950 una legge in tal senso, la legge stralcio n. 841 del 21 ottobre 1950. La riforma prevedeva, tramite l'esproprio coatto, la distribuzione delle terre ai braccianti agricoli. In Basilicata, terminata la seconda guerra mondiale, ci fu una fase di lotta dei braccianti, dei mezzadri e dei contadini che occupavano molti terreni dei latifondisti. In particolare le rivendicazioni furono molto forti nel Pollino e nel materano. Anche il governo centrista divenne allora favorevole ad una riforma fondiaria. Furono espropriati nel complesso 75.000 ettari di terreno. In Puglia la riforma fondiaria non trovò una sua diretta applicazione, visto che quando stava per essere approvata definitivamente, la legge stralcio non menzionava nessuna località della Puglia e specie del Salento. Fu allora che nella provincia di Lecce nacque una mobilitazione popolare e politica per l'allargamento della legge anche al territorio di Arneo di proprietà di alcuni latifondisti. Queste agitazioni popolari si ricordano come "l'occupazione dell'Arneo", e fra il 1947 e il 1951 toccarono il loro apice. Alla fine anche il Salento e la Puglia rientrarono nel progetto politico della legge Segni. La Sicilia fu la prima regione in cui si sviluppò, nel secondo dopoguerra, un movimento di lotta per la redistribuzione della terra. Dall'autunno del 1944 ci furono rivolte contro la mancata attuazione dei cosiddetti Decreti Gullo, dal nome del ministro del governo Badoglio, Fausto Gullo, che li emanò ad ottobre di quell'anno. Questi decreti, che deliberavano la concessione delle terre incolte e mal coltivate, erano boicottati con cavilli giuridici o con prove di forza dai latifondisti, provocando la ribellione popolare. Le agitazioni per l'applicazione dei Decreti Gullo durarono fino al 1946 e innescarono un processo politico che portò alle riforme agrarie sia in Sicilia (Regione a Statuto Speciale che legifera in modo autonomo) che nel resto del Paese. In Venezuela, prima del 1998, circa il sessanta per cento delle terre era nelle mani di meno dell'uno per cento della popolazione. Nel 2001 il governo di Hugo Chavez emanò il cosiddetto piano Zamora per redistribuire la terra privata e governativa incolta ai contadini bisognosi. (Wikipedia)

La questione della disponibilità del territorio ha perciò costantemente segnato la storia umana. Il fatto che una disponibilità di territorio competesse al suddito, al cittadino, all'essere umano in quanto tale, è sempre stata affermata teoreticamente, reclamata di fatto quando negata. Questa disponibilità ha avuto due forme: la disponibilità di territorio in comune tra una collettività di persone; la disponibilità di una porzione di territorio per ogni persona o famiglia. Questa giusta disponibilità per ognuno è negata dalla disponibilità eccessiva per alcuni. Il latifondo è il caso più noto di questo eccesso nella disponibilità. Ma lo stato di abbandono di un territorio ne denota già il possedimento in eccesso, cioè il possedimento ingiusto. Si potrebbe poi dire che chi non abita un territorio lo possiede in eccesso: non ha con esso un rapporto personale e di vita; poco importa se lo abbia ben recintato, se qualche macchina o addetto vi compia sopra delle operazioni…

Enrico Caprara

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