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2 Maggio 2022

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 L’altra sera, in una delle rare volte in cui sono riuscito a guardare per più di 3 minuti la tv, mi sono imbattuto in un programma dedicato a Samantha Cristoforetti che raccontava per filo e per segno, con telecamera al seguito, la preparazione (sua) per la missione nello spazio, tipo i turni di 6 ore con addosso le pesantissime tute spaziali immersa a dieci metri di profondità di una apposita e gigantesca piscina dove è stata riprodotta a grandezza naturale la Stazione spaziale. E ho pensato: minchia.

Poi ho ascoltato mentre parlava in inglese con i tecnici della Nasa e in russo con quelli di Mosca. Poi ho letto che sta studiando il cinese in previsione di possibili future missioni con la Cina. E ho pensato: minchia.

Poi mi sono incuriosito e sono andato a leggere due cose del suo curriculum e dopo circa 230 pagine ho capito che si è laureata in ingegneria meccanica in Germania, poi si è laureata in Scienze aeronautiche in Italia, poi all’Accademia militare di Pozzuoli si distingue come allieva modello e negli Stati Uniti si specializza e diventa pilota di guerra sui caccia Nato. E ho pensato: minchia.

Poi ho letto che ha superato una selezione con 8.000 candidati che, immagino, non erano dei cazzari come me ed è diventata astronauta. E ho pensato: minchia.

Poi ho letto che era rimasta per 199 giorni nello spazio e che nella prossima missione avrà il compito di ingegnere di bordo, ossia di colui che deve conoscere ogni bullone e ogni circuito della navicella perché se c’è un problema può essere un fottuto problema. E ho pensato: minchia.

Poi ho letto in queste ore diversi articoli in circolazione dedicati a lei e alla sua missione imminente a millemila chilometri nel buio infinito seduta con il culo su un razzo che può disintegrarsi in ogni momento, e ho letto che il titolo di quegli articoli è “Samantha Cristoforetti: i miei figli? Ci penserà il mio compagno”. E ho pensato: minchia Samantha, mandaci giù un asteroide, che almeno la chiudiamo con un minimo di dignità.

Stefano Sergi

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