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Plebiscito contro Draghi PDF Stampa E-mail

27 Settembre 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 26-9-2022 (N.d.d.)

La destra ha vinto. Ma questa è la democrazia dell’alternanza, non certo dell’alternativa. Chiunque si attenda il cambiamento resterà presto deluso. La linea politica del nuovo governo dovrà essere infatti compatibile con le scelte già imposte da vincoli esterni, indipendentemente dall’esito delle elezioni: la UE, la Nato e soprattutto il giudizio dei mercati. Il nuovo governo dovrà attenersi ai programmi già decisi in sede UE con il Pnrr, dovrà uniformarsi all’atlantismo e alla russofobia occidentale e, in caso di scelte non gradite all’establishment, saranno i mercati a imporre la linea politica governativa, pena il default. Quale margine di scelta resta alla politica? Quasi nulla, dato che i paesi occidentali sono governati con il pilota automatico.

Si è agitato lo spettro del fascismo, del pericolo sovranista, dell’estremismo. Ma l’unica deriva estremista di questa destra è quella atlantista: la destra si è opposta alla sinistra in quanto a quest’ultima si è rinfacciato un filo atlantismo troppo moderato. Si evoca inoltre il pericolo del sovranismo di destra già dilagante in Europa. Ma i sovranisti europei (con l’eccezione parziale della Le Pen), avversano l’Europa in quanto non si riconoscono nella UE, ma nella Nato. Il sovranismo europeo si rivela dunque funzionale alla strategia imperialista americana che ha sempre contrastato qualsiasi velleità autonomista dell’Europa.

I rincari energetici e la guerra produrranno presto gravi crisi economico – sociali, che si riveleranno ingovernabili. Pertanto, dinanzi a nuove e gravi emergenze, i vincoli esterni europei imporranno nuovi governi tecnici e/o di unità nazionale. È probabile dunque che si verificherà presto la fuoriuscita di Forza Italia e di una Lega desalvinizzata dalla maggioranza di centro – destra, il cui governo si rivelerà da subito debole ed eroso da continue conflittualità interne. È quindi ipotizzabile una riedizione a breve di un nuovo governo tecnico guidato da Draghi, o da Cottarelli o da qualche clone finanziario a disposizione.

Il PD, nonostante le ripetute disfatte elettorali, rimane comunque il partito istituzionale che dispone del monopolio della rappresentanza dell’Italia in Europa. La “credibilità” italiana in Europa è garantita dal PD, partito rappresentativo dell’oligarchia tecnocratico – finanziaria cui è devoluta nei fatti la governance dell’Italia. Sono dunque del tutto prevedibili manovre anti – italiane ordite dal PD con l’avallo della UE al fine di destabilizzare il governo italiano.

Le elezioni sono state stravinte da Fratelli d’Italia: l’unico merito della Meloni è stato quello di essere il solo partito di opposizione al governo Draghi. Ma queste elezioni, al di là della vittoria della Meloni, si sono rivelate un plebiscito contro Draghi e i partiti che lo hanno sostenuto. L’impopolarità di Draghi è emersa con evidenza: perfino nei feudi della sinistra gli elettori hanno votato in maggioranza per la destra, manifestando una totale avversione popolare a Draghi e ai suoi ascari. È stato lo stesso Draghi a determinare la crisi di governo e a provocare le elezioni anticipate, al fine di sottrarsi alle sue responsabilità politiche all’esplodere della preannunciata drammatica crisi del prossimo autunno. Lo scenario che imporrà la narrazione mediatica ufficiale al manifestarsi della crisi è del tutto prevedibile, anzi scontato: l’Italia del governo Draghi era credibile, europeista e avviata verso la crescita e le riforme, ma con la fuoriuscita di Draghi è esplosa una crisi devastante. Occorrerà dunque, per far fronte alle nuove emergenze, evocare il ritorno improcrastinabile del taumaturgo Draghi.

La crisi istituzionale italiana ed europea è evidente ed ormai irreversibile. Essa è testimoniata dalla astensione record del 36% e dall’esito di un voto che ha premiato l’unico partito di opposizione. Ma la deriva oligarchica delle istituzioni italiane è lampante. Il sistema democratico è stato di fatto sovvertito, in quanto alla sovranità popolare si antepongono i diktat europei ed atlantici. Ne sono testimonianza le ingerenze americane nella campagna elettorale riguardo a fantomatici finanziamenti russi ai partiti politici sovranisti e l’indebita ingerenza della von der Leyen che ha minacciato di reagire con “strumenti giusti” nei confronti di governi sgraditi alla UE, come è stato fatto con l’Ungheria di Orban. Tra i popoli e le istituzioni si è creata in Europa una frattura irreversibile. Dalla crisi incombente scaturiranno conflitti sociali insanabili. Ma sarà la crisi della Germania, i cui effetti si riverseranno su tutti i paesi europei, a determinare la destabilizzazione della UE e a rimettere in discussione le scelte filo atlantiche europee. Tale crisi avrà conseguenze sistemiche rilevanti: determinerà la fine del modello economico tedesco, improntato al rigore finanziario e strutturato su di una economia basata sull’export.

Il 25 settembre non è stato il giorno del giudizio universale, come preannunciato dai toni apocalittici dei media in campagna elettorale. Oltre il 25 settembre, come possiamo constatare oggi 26 settembre, c’è vita. In queste elezioni, data l’elevata percentuale di astenuti, è emersa una vasta area di popolo potenzialmente antagonista al sistema. Trattasi del popolo degli esclusi, marginalizzati dai partiti, ma alla ricerca di un’area politica di riferimento. Chi saprà interpretare le istanze di questo vasto dissenso, per tradurle in un programma politico antagonista credibile e generatore di consenso? Attualmente questo interrogativo resta purtroppo senza risposta. 

Luigi Tedeschi  

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