Il caos regna sovrano |
28 Ottobre 2023 Da Rassegna di Arianna del 24-10-2023 (N.d.d.) Il progetto di un nuovo ordine mondiale a guida americana, teorizzato alla fine della “Guerra Fredda”, dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, appare miseramente fallito. Il modello di un villaggio globale, pacificato e senza frontiere, regolato dal mercato con i gendarmi USA a vigilare, si sta rivelando inapplicabile nella realtà. Le crisi si moltiplicano in varie zone del pianeta sfociando sempre più spesso in guerre che, inizialmente limitate ad alcuni attori, rischiano di espandersi con conseguenze che nessuno può prevedere. Sono tante le aree dove una scintilla può innescare incendi devastanti. Tuttavia, per le cancellerie occidentali, non tutte assumono la stessa rilevanza. Poca attenzione merita infatti la sanguinosa disputa tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh così come la drammatica situazione dell’Etiopia con oltre 600 mila civili morti e 2 milioni e mezzo di sfollati, che vive una calma solo apparente. Per il mancato rinnovo dell’accordo sul cessate il fuoco, sembra giunta al termine la fragile tregua nello Yemen, tra il governo ed i ribelli Huthi, in un conflitto che dura da 8 lunghi anni. Divampano, nel silenzio dei media, le violenze e gli scontri nella regione dei Grandi Laghi, nella parte orientale del Congo, tra i ribelli ruandesi che hanno assunto il controllo di numerose città e villaggi e le truppe regolari del Governo di Kinshasa. In Sudan da 5 mesi è scoppiata una guerra civile oscurata, con scontri tra le Forze armate sudanesi fedeli al capo di stato maggiore, generale al-Burhan, e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Fsr), guidati da Mohammed Dagaloche si contendono il potere con sempre maggiore violenza. Gli sfollati interni sono più di quattro milioni, ed oltre un milione e 130mila sono i profughi fuggiti nei paesi confinanti. C’è da segnalare poi la tragica condizione in cui versa il Sahel subsahariano, afflitto da una gravissima crisi alimentare che, grazie anche all’indifferenza dei paesi ricchi interessati soltanto alle enormi quantità delle pregiate materie prime presenti nel sottosuolo, ha contribuito a fare di quella regione l’epicentro mondiale di reclutamento del terrorismo jihadista. I predicatori islamici sfruttano la povertà della popolazione, la fragilità e la corruzione dei governi per ingrandire sempre più le loro schiere. Da Mali, Burkina Faso, Mozambico parte uno sciame sismico di violenze che, attraversando tutto il continente, si estende fino al Maghreb con ripercussioni sulla stabilità dei paesi dell’Africa mediterranea dalle cui sponde si dipanano i flussi migratori sempre più massicci ed incontrollati che rappresentano i maggiori pericoli per l’Europa, minacciata nella sua identità e sicurezza. I politici europei dimostrano di curarsi poco delle turbolenze che scuotono il Continente Nero e fanno male perché questi sommovimenti sono destinati a provocare lo spostamento di masse di milioni di uomini, pronti a riversarsi sulle nostre coste con un’invasione che solo inizialmente potrebbe sembrare pacifica. L’Occidente, viceversa, mostra di preoccuparsi solo ed esclusivamente di Ucraina e Medio Oriente. La guerra scoppiata al centro del Vecchio Continente, dopo un anno e otto mesi non sembra destinata a concludersi in tempi brevi. Zelensky continua a chiedere armi sempre più sofisticate per ottenere quella vittoria di cui ha enormemente bisogno ma la tanto pubblicizzata offensiva volta a riconquistare i territori perduti non sembra aver ottenuto i risultati sperati e l’inizio della stagione invernale rallenterà, se non azzererà del tutto, le operazioni militari. A questo punto se i due contendenti non accetteranno di avviare trattative diplomatiche rischiamo di ritrovarci, la prossima primavera, con la ripresa dei combattimenti di una guerra senza fine, costosissima in termini sia umani che economici. È auspicabile che il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese possa almeno far scendere a più miti consigli l’intransigente presidente ucraino. Questa nuova situazione esplosiva nella delicatissima area mediorientale è destinata a distrarre inevitabilmente l’attenzione dei paesi suoi protettori aderenti alla NATO che, tra l’altro, già avevano cominciato a lanciare segnali di insofferenza per la sua chiusura verso ogni forma di trattativa oltreché per le continue e sempre più pressanti richieste di aiuti a fronte dei quali non si mostra mai pienamente soddisfatto. L’esplosione della guerra tra Hamas ed Israele ha colto tutti di sorpresa, rimettendo in discussione alleanze e strategie ed il Cremlino ha subito intuito come questo rinnovato scontro potesse rappresentare una grande fortuna. Oltre alle dirette conseguenze, in termini di riduzione di rifornimenti e di attenzione mediatica, nel conflitto con l’Ucraina, la Russia godrebbe di altri due importanti vantaggi: il primo un’impennata dei prezzi di petrolio e gas che porterebbero notevoli benefici alla sua economia, il secondo proprio quello di mandare all’aria i piani americani per il Medio Oriente. Hamas ha già servito gli interessi russi ed iraniani rinviando a tempo indeterminato il ventilato accordo di pace tra Israele e Arabia Saudita, per il quale l’America ha speso molto tempo e sforzi, ora, con questa azione, lo ha fatto definitivamente fallire. Malgrado gli ottimi rapporti personali tra Netanyahu e Putin – Netanyahu era solito chiamare Vladimir Putin “caro amico”- la Russia si è chiaramente schierata dalla parte dei palestinesi. Il decisivo aiuto concesso alla Siria del legittimo presidente Assad contro le milizie ribelli finanziate e foraggiate dall’esterno e le relazioni sempre più calde con l’Iran avevano già creato tensioni con Israele ora, naturalmente, i rapporti sono destinati a peggiorare. Finora la Cina si è limitata a esprimere preoccupazione per l’attuale escalation di tensioni e violenza tra Palestina e Israele, ma non dubitiamo che sarà ben felice di vedere l’America impantanata nella regione e la sua autorità messa in discussione. All’inizio di quest’anno, Pechino aveva contribuito a mediare per un riavvicinamento tra l’Iran e l’Arabia Saudita, coltivando la speranza di minare l’ordine mondiale guidato dagli americani. Forse non era a conoscenza dei piani di Hamas, ma è improbabile che sia dispiaciuta dello scompiglio che questo attacco ha provocato. Biden annaspa, apparentemente spiazzato dell’azione di Hamas che, ci dicono, inaspettata anche se appare poco credibile che i servizi di sicurezza israeliani e le diverse agenzie di intelligence USA non abbiano avuto il minimo sentore di quanto si stesse preparando. Sembra invece più probabile che abbiano sottovalutato la fondatezza delle informazioni giunte. Naturalmente non lo ammetterebbero mai in quanto aver saputo e non aver fatto nulla, risulterebbe ben più grave della semplice inettitudine. In astratto, poi, ci sarebbe anche una terza ipotesi: aver saputo e non aver “voluto” fare nulla… Tra i primi atti di Biden, dopo l’iniziale disorientamento, c’è stato l’appello, lanciato dallo Studio Ovale, agli americani ed al Congresso, affinché si continuasse nell’azione di sostegno nei confronti di Ucraina ed Israele battendo sul solito tasto: la pace è in pericolo e bisogna combattere con la massima determinazione tutti coloro che attentano all’ordine mondiale di cui gli Stati Uniti sono garanti. Il suo discorso è stato chiarissimo: sostenere Ucraina e Israele è nel nostro interesse, è vitale per la “nostra” sicurezza nazionale. Ha ripetuto il solito cliché di accuse a Putin e Hamas di rappresentare minacce diverse ma con un obiettivo in comune: annientare le democrazie che sono loro geograficamente vicine condito con l’accorato appello finale: non possiamo lasciarli vincere! Nei prossimi giorni, si appresta a chiedere al Congresso 100 miliardi di dollari per finanziare le necessità di sicurezza nazionale americana e sostenere Kiev e Tel Aviv. Intanto mostra i muscoli inviando due portaerei nella regione per mostrare a tutti che sono disposti, come sempre, a ricorrere all’uso della forza quando i loro interessi vengono minacciati. Malgrado questo sfoggio di potenza militare, l’influenza USA nel mondo sembra molto meno solida ed estesa rispetto al passato e la recente, disastrosa fuga dall’Afghanistan, non ha certamente contribuito a mantenere alto il prestigio statunitense. La Cina continua a farla da padrona in Africa e tiene costantemente sotto pressione Taiwan; i paesi che aderiscono al BRIC sono sempre più numerosi e molti di loro stanno crescendo sempre di più come potenze regionali sia in Asia che in Sud America e mostrano di tollerare sempre meno l’ingerenza di Washinton nei loro affari. Il progetto del nuovo ordine mondiale sembra essersi decisamente arenato, gli Stati Uniti hanno perso la loro funzione di garante e gendarme ‘planetario. Il caos sembra regnare sovrano. E non è detto sia un male! Mario Porrini |
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