Controllo culturale, non egemonia |
23 Agosto 2024 Da Comedonchisciotte del 15-8-2024 (N.d.d.) Qualche giorno fa un amico mi ha fatto pervenire lo screenshot di un libro che probabilmente stava leggendo in quel momento. La sua lettura agostana erano i “Quaderni dal Carcere” di Antonio Gramsci (sì, lo so, ho amici strani). La citazione era questa: “Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte ‘originali’, significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte, ‘socializzarle’ per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali, elemento di coordinamento di ordine intellettuale e morale. Che una massa di uomini sia condotta a pensare coerentemente e in modo unitario il reale presente è fatto ‘filosofico’ ben più importante e ‘originale’ che non sia il ritrovamento da parte di un’genio’ di una nuova verità che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali. La frase può essere anche considerata la premessa necessaria per l’affermazione di quello che poi sarebbe diventato uno dei concetti più usati del pensiero del filosofo sardo, quello di “Egemonia Culturale”. […] Questa visione del mondo, di cui Gramsci era giustamente consapevole nel suo tempo, andava diffusa in modo da diventare la più ampia possibile e creare la “massa critica” di persone consapevoli su cui si sarebbe potuto, a un certo punto, fare leva per cambiare le cose. Perché ciò avvenisse, appunto, bisognava che i “consapevoli” diventassero sempre di più ed occupassero man mano tutti i posti chiave di diffusione del pensiero per canalizzare i “giusti” concetti al maggior numero possibile di persone. Per questo fondò un giornale, e su questo si sarebbe dovuta fondare l’Egemonia Culturale dei suoi pari, forti della Verità e portatori del Bene a tutto il Popolo. Poi che cosa è successo? Nei decenni del dopoguerra, molti anni dopo la morte di Gramsci, una lunga serie di circostanze ed eventi sia a livello mondiale che nazionale ha portato un consistente numero di persone che si riconoscevano (più o meno a ragione) nella parte politico-culturale erede di Gramsci ad occupare molti dei posti chiave nella sempre più ampia ed influente macchina dei Mass Media italiani. E non solo: persone più o meno riconducibili (alcuni per convinzione, altri per convenienza) a quell’area sono diventati magistrati, funzionari, dirigenti delle varie articolazioni della complessa macchina pubblica, al punto che negli ultimi decenni del secolo scorso e ancor più marcatamente nel nuovo millennio, la Sinistra autoproclamatasi erede di Gramsci può certamente dire di avere realizzato proprio quell’Egemonia Culturale che lui auspicava cento anni fa. Tuttavia, facendo leva sull’aggettivo “criticamente” che Gramsci pone al centro del suo pensiero, è lecito porsi due domande: l’Egemonia è rimasta tale, cioè una forza magari preponderante nel campo culturale, ma non unica, o si è trasformata in qualcosa d’altro? La “Verità” degli eredi di Gramsci che ora è egemonica, è quella che Gramsci proponeva, oppure l’egemonia è stata messa al servizio di qualcosa di differente? Riguardo alla prima domanda, è evidente a chiunque osservi con un minimo di distacco il dibattito pubblico che oggi la così detta Sinistra sembra essere andata ben oltre l’Egemonia, ed è passata al Controllo Culturale. Di fatto, è la Sinistra ad ispirare, in Italia come altrove in Occidente, il così detto “pensiero unico”, tanto da determinare giorno per giorno i temi del dibattito pubblico, determinando ampiezza ed estensione del “regime di ragione” (come lo definisce Andrea Zhok nella sua “Critica della Ragione Liberale“) in vigore tempo per tempo, ovvero il novero di argomenti di cui si può discutere e, soprattutto, di cui NON E’ PERMESSO farlo. Esempi? Solo per limitarci agli ultimi tre anni: Covid, vaccini, riscaldamento globale, guerra in Ucraina, invasione di Gaza. E, risalendo un po’ più indietro, Euro, Unione Europea, Welfare, Debito Pubblico, immigrazione. Tutti questi argomenti hanno in comune il fatto di avere trovato, a un certo punto, una loro definizione di base (più avanti vedremo perché proprio quella), che poi è stata rimbalzata in migliaia di rivoli in tutti i canali del dibattito pubblico, diventando così INDISCUTIBILE. Il Covid era terribile e solo i vaccini potevano sconfiggerlo, mentre i vaccini stessi erano “sicuri per definizione”, il cambiamento climatico è “sotto gli occhi di tutti”, in Ucraina senza dubbio “c’è un aggredito e un aggressore”, l’Euro è “irreversibile” e “ci fa lavorare un giorno in meno guadagnando come un giorno in più”, il debito pubblico è “brutto brutto” perché “lo Stato è come una famiglia” (oppure, variante berlusconiana, “lo Stato è “come un’impresa”) etc. etc. Questo è solo un breve e limitato elenco di temi sui quali da anni (decenni?) anche la più flebile voce critica o semplicemente dubbiosa viene immediatamente bollata con l’aggettivo che prima era riservato all’Olocausto nazista, simbolo di qualcosa talmente evidente che non si poteva negare, ma oggi è ormai sulla bocca di tutti: negazionista. Ormai non si può parlare in pubblico su uno di quei temi se non si premette qualcosa tipo “non sono un negazionista del XXX, ma…” oppure “l’Euro è stata una conquista per il nostro paese, ma…” oppure ancora “non mi sta simpatico Putin, ma…”. Eppure, ognuno di questi temi è il risultato di un insieme molto complesso di fattori, che ha posto e pone tuttora problemi di enorme rilevanza, diremmo quasi di sopravvivenza per il nostro modello sociale, temi che andrebbero discussi pubblicamente e sviscerati da molti diversi punti di vista prima di prendere una direzione o l’altra, prima di decidere da che parte stare (o SE stare da una parte). Sono temi complessi, carichi di conseguenze, che avrebbero un disperato bisogno di essere esaminati, valutati, discussi, soppesati tramite una pluralità di voci, e invece… invece niente. Nell’Euro “irreversibile” siamo entrati alla chetichella, senza nessun referendum e dopo un dibattito parlamentare semiclandestino, sul Covid si è viaggiato per due anni a colpi di Decreti del Presidente del Consiglio, così come pochi minuti dopo l’inizio dell’Operazione Speciale in Ucraina o l’attacco di Hamas a Gaza sono partite le dichiarazioni pubbliche “senza se e senza ma” che diventano poi il regime di ragione sull’evento stesso. Senza approfondimento, senza riflessione, senza valutazioni delle conseguenze di prendere una strada o l’altra, niente. Come i cani di Pavlov. Con tanto di decreti “anti fake news”, algoritmi che bloccano le fonti meno allineate e commissioni di “esperti” a certificare cosa si può dire e cosa no. […] Questa non è “Egemonia”, questo è CONTROLLO. Non credo che Gramsci avrebbe approvato. Venendo alla seconda domanda, sarebbe già preoccupante se gli argomenti egemonici imposti dal regime di ragione della Sinistra fossero ancora del tipo di quelli che trattava Gramsci, cioè, semplificando, temi “di Sinistra” che, citando l’ultimo libro di Sahra Wagenknecht (prefazione di Giacché), “Sinistra” era un tempo sinonimo di ricerca della giustizia e della sicurezza sociale, di resistenza, di rivolta contro la classe medio-alta e di impegno a favore di coloro che non erano nati in una famiglia agiata (…). Essere di sinistra voleva dire perseguire l’obiettivo di proteggere queste persone dalla povertà, dall’umiliazione e dallo sfruttamento, dischiudere loro possibilità di formazione e di ascesa sociale, rendere loro la vita più facile, più organizzata e pianificabile. Chi era di sinistra credeva nella capacità della politica di plasmare la società all’interno di uno Stato nazionale democratico e che questo Stato potesse e dovesse correggere gli esiti del mercato. […] Naturalmente ci sono sempre state grandi differenze anche tra i sostenitori della sinistra. […] Ma nel complesso una cosa era chiara: i partiti di sinistra, che fossero socialdemocratici, socialisti o, in molti paesi dell’Europa occidentale, comunisti, non rappresentavano le élite, ma i più svantaggiati. Sarebbe “giusto”, ma comunque sarebbe preoccupante se fosse così, perché l’assenza di dibattito è un male in sé di qualunque sistema politico, anche il meglio intenzionato. Peccato che oggi i portatori (insani) di Egemonia Culturale non portino più avanti temi di quel genere, ma praticamente l’opposto. Tutti i temi sopra ricordati, su cui è incardinata l’egemonia odierna, realizzano, infatti, uno o più interessi delle élites o di parti di esse, sia attraverso la determinazione di vantaggi materiali tangibili (ad es. le industrie farmaceutiche che si arricchiscono coi vaccini) sia attraverso la realizzazione di “stati di fatto” che, pur danneggiando il proprio paese, poi possono essere usati in loro favore (ad es. fare carriera nelle istituzioni europee dopo avere “servito” l’Euro fedelmente). […] Gli Egemoni sono dei veri e propri “cavalieri del Male”, portatori di idee del tutto opposte a quelle di Gramsci, idee che, al momento, a sinistra solo la ricordata Sarah Wagenknecht sembra criticare. È paradossale, ma è così. Gramsci aveva ragione, l’Egemonia Culturale era necessaria per far cambiare rotta alla società, peccato però che l’Egemonia che lui auspicava è stata sì realizzata dai suoi presunti eredi, mettendola, però, al servizio di finalità opposte a quelle che avrebbe voluto lui. La società sta cambiando rotta, ma non va dove sperava Gramsci. Va dall’altra parte, in sostanza – date le numerose ed insanabili aporie di cui è portatrice – va contro al muro. Speriamo che il muro regga, in modo che, dopo lo schianto, si possano almeno raccogliere i cocci per ripartire, sperabilmente non verso una qualche forma di nuova Egemonia. Franco Ferrè |
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