Frattura insanabile |
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23 Giugno 2025 Da Comedonchisciotte del 21-6-2025 (N.d.d.) Nel contesto politico-giuridico contemporaneo, il concetto di legalità ha subìto una trasmutazione profonda e sistemica: da fondamento della convivenza civile a strumento ideologico di legittimazione del potere costituito. Non è un processo episodico o accidentale, ma strutturale: la legalità moderna è diventata l’alibi giuridico delle élite globali, un simulacro di giustizia maneggiabile, manipolabile, revocabile a seconda delle convenienze geopolitiche e degli interessi egemonici. Lo Stato, entità teoricamente garante della legalità, si è progressivamente trasformato — in numerosi contesti — in macchina normativa di disumanizzazione, capace di codificare l’ingiustizia e dichiararla ordine. I casi della Palestina, dell’Iraq, della Libia, dell’Afghanistan, della Siria, fino alla criminalizzazione dei movimenti indipendentisti e socialisti del Sud globale, dimostrano che non esiste una legge neutra: esistono apparati giuridici funzionali alla conservazione di assetti imperiali. Mentre gli Stati Uniti, la NATO e le potenze occidentali continuano a esportare guerra, destabilizzazione e dominio sotto la bandiera della “democrazia”, il diritto internazionale viene impiegato selettivamente: • L’invasione dell’Iraq si è consumata senza alcuna prova delle fantomatiche armi chimiche. • L’aggressione a Gaza è definita “autodifesa”, mentre la resistenza palestinese è etichettata “terrorismo”. • I crimini sistematici commessi da Israele non hanno mai comportato sanzioni proporzionate, né processi nelle sedi sovranazionali. In questo quadro, la legalità cessa di essere diritto e diventa strumento linguistico del potere, piegato alle esigenze di chi comanda, utile a neutralizzare il dissenso, a reprimere le istanze popolari e a rendere decoroso l’indecoroso. In questo mondo rovesciato, chi lotta per liberare il proprio popolo dal colonialismo viene etichettato come terrorista. Chi invece saccheggia, bombarda, occupa e devasta viene onorato come Capo di Stato. L’intera narrazione pubblica è costruita su una menzogna profonda: la ribellione alla schiavitù viene criminalizzata, mentre la sottomissione all’ordine dominante viene celebrata come “legalità”. Ma la storia ci insegna che la verità è figlia dei vincitori. Se i nazisti avessero vinto la Seconda Guerra Mondiale, oggi i partigiani sarebbero chiamati criminali di guerra e gli assassini della libertà sarebbero celebrati come statisti. È la prospettiva a decidere il reato. Non l’etica. Chi vive in modo conforme al sistema viene considerato legittimo. Chi vive in dissenso viene marcato come ribelle. Ma il vero crimine non è la ribellione: è l’adattamento codardo a un mondo ingiusto. La grande frattura è ormai insanabile: non tutto ciò che è legale è giusto, così come non tutto ciò che è giusto può essere dichiarato legale. I popoli che lottano per la propria libertà, i movimenti che rivendicano autodeterminazione, i soggetti che costruiscono alternative al dominio coloniale — vengono perseguitati in nome della legge, quando in realtà sono gli unici portatori di legittimità etica. Per questo oggi la vera norma non può che nascere dalla coscienza collettiva, da un diritto morale superiore che riconosce il valore della vita, della libertà, della sovranità popolare. In assenza di un sistema giuridico che tuteli realmente i diritti dei popoli, l’anima diventa legislatore. E l’obbedienza cieca allo Stato, quando questo Stato è criminale, è il primo atto d’ingiustizia. La sfida dei nostri tempi non è solo politica: è semantica, giuridica, esistenziale. Chi si pone in rottura con l’ordine vigente non è un sovversivo: è un costituente. È colui che tenta di ricostruire una norma fondata sull’equità e non sul dominio, sull’ascolto dei popoli e non sull’imposizione delle oligarchie. Finché la legalità sarà decisa da chi bombarda, da chi saccheggia risorse, da chi negozia con il sangue, l’illegalità sarà l’unica via per essere umani. Ed è in questa tensione che nasce il dovere di disobbedire: con la parola, con l’arte, con la lotta. Perché nella storia, ciò che oggi chiamano reato, domani sarà memoria di giustizia. Mirko Stelfio |
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