21 luglio 2007 La “proposta Ombriti” ha posto ancora una volta in primo piano l’irrisolta questione del rapporto di Movimento Zero con la politica. Perché dico irrisolta? Perché se è vero che il movimento fino ad oggi ha deciso di accantonare la via dell’ingresso diretto nelle istituzioni (Parlamento e enti locali) anzitutto per una realistica presa d’atto dell’esiguità delle nostre forze, è vero anche che la questione si riproporrà inevitabilmente. E’ la Storia, sono le occasioni e le urgenze dettate dai processi sociali (il diffuso ancorchè minoritario e confuso malcontento verso l’oligarchia politico-economica al potere) ad assediare, col prorompere di eventi e iniziative di elites più o meno integrate o dissenzienti col sistema stesso, il corpus ancora vago ma radicalmente alternativo costituito dal pensiero antimoderno. Noi abbiamo una grande forza che nessun altro, in quest’Italia intellettualmente ferma all’Otto-Novecento, possiede: un insieme di analisi demistificanti e rivelatrici degli inganni e delle storture collettive che ci opprimono. Da ciò, ed ecco la mia proposta, la possibilità unica di giungere col tempo - con lo studio, con l’esperienza sul territorio, entrando in rapporto con la società nelle sue varie forme - a una teoria politica che da quella cultura della demistificazione tragga la fonte d’ispirazione per elaborare concrete risposte ai problemi quotidiani dell’oggi, del qui e ora. In altri termini: mettere insieme, avvalendosi delle competenze di ciascuno, un programma politico. Dotarsi di strumenti che permettano di agire sulla realtà politico-sociale con efficacia. Passare dall’interpretazione all’azione. Fare cultura è fare politica. Ma l’attività politica, per essere compiuta – cioè rendere la critica teorica una proposta operativa – abbisogna di un bagaglio di risposte alla domanda che quei ragazzi agli spettacoli di Massimo Fini ripetevano incessantemente: “cosa dobbiamo fare?”. Ovvero: cosa vogliamo fare, noi di Movimento Zero, per cambiare ciò che non ci piace? La prospettiva di battere e ribattere sul solo tasto della sensibilizzazione culturale ci inchioderebbe all’ambito ristretto e autoreferenziale di chi condivide già le nostre accuse alla Modernità. Il nostro nemico è quest’ultima; dobbiamo dargli forme concrete e nomi precisi, e proporre i nostri rimedi. Con ciò la comunicazione diventerebbe molto più efficace di quella affidata alla riflessione storico-esistenziale, perché individuerebbe punti di leva molto più stimolanti e interessanti per il nostro vero destinatario: il comune suddito stupidamente “felice”, incosciente di quanto il modello di vita dominante lo condanni al malessere come persona e alla schiavitù come cittadino. Concludo, ovviamente, sulla Lista di Grillo & Co. E’ triste un Paese in cui molti, soprattutto giovani, vedono in un comico, in un’espressione del circo mediatico, un’icona di palingenesi. E lo dico con la stima che ho del comunicatore Grillo, capace di creare un circuito d’informazione invidiabile, diffondendo molte suggestioni che molti di noi, me compreso, condividono. Ma al di là di questo, il punto per me è politico-sociale: il progetto di questa lista (finora non emerso, attenzione!) parrebbe confidare in misure legalitarie una ventata di nuovo fervore anti-oligarchico. Troppo poco e troppo poco “sostanziale”, sostengono parecchi di noi. Vero (anche se non del tutto: fra le varie e dispersive proposte grillesche ce ne sono molte di interessanti; diverso il discorso per i sinistrorsi radical-chic con cui si alleerà). Ma sta a noi aggredire il vuoto ideale e culturale, munendoci di armi di lotta, e non accontentandoci di ripetere in eterno la nostra critica puramente intellettuale. Perciò, coerentemente con l’autonomia dei gruppi locali, propongo che sul territorio ognuno faccia come crede, in massima libertà (e sfruttando ogni sede per parlare del movimento), senza coinvolgere quest’ultimo in una prematura adesione nazionale. Ma al contempo si dia il via da subito a un lento ma determinato impegno nella costruzione di proposte politiche positive. Senza fughe in avanti, senza che questo comporti la partecipazione a elezioni locali o nazionali (scelta che si farà quando lo si riterrà opportuno): non vogliamo essere un partito, e non lo diventeremo. Ma una struttura libera e aperta, che colmi il deficit d’azione in modo propositivo scacciando i fantasmi di fallimenti passati (gruppuscoli rivoluzionari d’ogni sorta, o la disastrosa Lega Nord), questo sì. Io dico di provarci. Dobbiamo provarci. O ci condanniamo all’attesa frustrante di un’apocalisse liberatoria che invece di mobilitare l’animo dei cittadini più consapevoli, li allontana da noi. Noi siamo dinamite, ma ci manca la miccia. Prepariamola. Alessio Mannino PS: perdonate la lunghezza che vi invito sempre a rifuggire. Licenza da direttore, concedetemela.
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