Dobbiamo credere alle favole

27 Aprile 2022

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 Da Appelloalpopolo del 24-4-2022 (N.d.d.)

C’era una volta un signore cattivo cattivo di nome Adolfo. Era minuto, coi capelli corvini e portava dei buffissimi baffetti tagliati dritti dritti sotto il naso. Sin da bambino aveva sofferto per il suo aspetto, perché sognava da sempre di essere alto, biondo e con gli occhi azzurri, come gli eroi delle fiabe. Col passare del tempo divenne sempre più cattivo e riversò la sua frustrazione sugli ebrei. Un bel giorno decise di ucciderli tutti e di conquistare il pianeta, ma Capitan America e Zangief di Street Fighter si coalizzarono per sconfiggerlo. E fu così, grazie all’intervento provvidenziale dei due supereroi, che il bene trionfò.

Un numero considerevole di persone scolarizzate in Italia continua ad avere una visione del fenomeno del nazismo non troppo distante dalla versione fiabesca appena esposta. Quando parlo con persone mediamente istruite mi rendo conto che la comprensione della Seconda guerra mondiale non di rado si riduce alle tragiche conseguenze della follia di un uomo malvagio. Una visione ridicola e infantile della realtà, che ignora la complessità dei fenomeni storici, delle direttrici geopolitiche, dei contesti economici e sociali in cui si generano e si sviluppano i conflitti e che non contempla minimamente il ruolo attivo dei popoli, delle masse. Non interrogarsi sulle cause che inducono ciclicamente milioni di esseri umani a desiderare l’annientamento di loro conspecifici e ad adoperarsi per portare a compimento questo desiderio vuol dire essere condannati a ripetere drammaticamente sempre gli stessi errori. Secondo questa visione fanciullesca della storia potrebbe sembrare inutile e pericoloso, dunque, cercare di analizzare la complessità dei fenomeni per far sì che gli errori del passato non si ripetano. Perché mai interrogarsi sulle cause del conflitto, sul processo storico che ha prodotto quella degenerazione che chiamiamo nazismo? Sulle “conseguenze economiche della pace” descritte nel 1919 dal saggio illuminante di John Maynard Keynes? Sulle motivazioni economiche e sociali che hanno alimentato in milioni di individui desiderosi di riscatto un crescendo di insofferenza e odio avverso altri popoli identificati come nemici? Perché mai cercare di capire come si è giunti all’iperinflazione di Weimar? Perché indagare sulle condizioni di vita disumane in cui versavano milioni di tedeschi dopo la Prima guerra mondiale e sull’insostenibilità delle cosiddette riparazioni di guerra previste nel patto di Versailles e sui rischi che questa “pena esemplare” comportava? Per quale ragione studiare la storia dell’Impero tedesco, dalla nascita dello Zollverein, all’unificazione della Germania e dell’afflato imperialista della grande Germania del Secondo Reich? Perché mai studiare le origini e l’affermazione delle teorie eugenetiche in campo scientifico, sostenute da premi Nobel e dai più autorevoli biologi evoluzionisti di quel periodo, che giustificò l’adesione alle teorie razziali di numerosi intellettuali ed esponenti politici? Perché mai addentrarsi nell’analisi del ruolo che l’industria tedesca, in particolar modo quella farmaceutica, ha giocato nell’allestimento dei campi di lavoro prima e poi nei campi di sterminio, che costituivano un terminale fondamentale della capacità produttiva del Terzo Reich? Perché mai entrare nel merito degli interessi economici e militari che si giocavano nel controllo dell’area di confine tra la Germania e la Francia, delimitata dal distretto della Ruhr, dal bacino della Saar, dalla Lorena e dall’Alsazia, cioè le aree siderurgiche più ricche di giacimenti minerari del continente?

Insomma, se ci accontentassimo di una lettura ingenua e fanciullesca della storia potremmo anche porci la seguente domanda: perché cercare di capire la logica dietro le scelte umane quando sono sufficienti le categorie che Propp applicava alle fiabe per spiegare la storia dell’umanità? Esistono i “cattivi” che cercano di fare del male ai “buoni” e alla fine arriva un eroe che ristabilisce la giustizia e tutti vissero felici e contenti. Giusto? Eppure sono stati versati fiumi di inchiostro per spiegare il nazismo, perché la storiella del signore cattivo dai buffissimi baffetti può anche essere sufficiente a saziare il languorino di conoscenza dei più ingenui, ma come spiegare logicamente anche a un bambino il consenso di decine di milioni di individui motivati a portare a compimento i suoi piani malvagi? Gli storici che nei decenni passati hanno cercato di spiegare come siamo giunti dalla pace di Versailles alla Shoah non sono chiaramente stati tacciati di essere nazisti o “hitleriani”. Hanno fatto il loro lavoro, cercando di spiegare con la razionalità e il metodo scientifico, proprio dell’analisi storiografica, il corso degli eventi che hanno portato l’umanità agli orrori del secondo conflitto mondiale. Questo percorso non è solo scientificamente corretto e metodologicamente fondato. Una lettura matura e consapevole della storia costituisce anche la condizione necessaria affinché si possa far tesoro degli errori passati al fine di non ripeterli, se crediamo nella funzione sociale educativa e formativa della storia, che la nostra cultura ricapitola nella locuzione ciceroniana “historia magistra vitae”.

Se avessimo dato retta a Keynes, per esempio, probabilmente il secondo conflitto mondiale non ci sarebbe mai stato, o quantomeno non in quelle proporzioni e con quelle modalità. Se le riparazioni di guerra non avessero condannato alla fame milioni di tedeschi, umiliati e ridotti alla miseria, il nazismo non sarebbe mai attecchito. Quindi è nostro dovere studiare per capire e per non ripetere gli errori già commessi. Oggi, però, è diverso. Secondo la propaganda cui siamo esposti ormai ventiquattro ore su ventiquattro a reti unificate, se non crediamo alle favole siamo complici del male.

Gianluca Baldini

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