Scialba figura servile

18 Maggio 2022

 Da Rassegna di Arianna del 16-5-2022 (N.d.d.)

A differenza dei media italiani che ne hanno dato il massimo risalto, negli Stati Uniti il viaggio di Draghi a Washington è passato del tutto inosservato e questo la dice lunga sul presunto prestigio internazionale di cui godrebbe. Il prestigio lo si guadagna nel momento in cui si tutelano gli interessi della propria nazione non quando si decide di asservirla ai voleri di una potenza straniera dalla quale poi si ottiene, nel migliore dei casi, indifferenza, nel peggiore, disprezzo.

La formazione culturale e le esperienze lavorative di Draghi stanno a dimostrare come il bene e l’indipendenza dell’Italia non siano mai state propriamente in cima ai suoi pensieri. Dopo la laurea alla Sapienza, consegue il Phd presso il Massachusetts Institute of Technology e nei cinque anni di studi trascorsi a Boston, si “americanizza” ed il suo amore per l’Italia, ammesso che ne avesse, passa decisamente in secondo piano. Dal 1984, ricopre la carica di direttore esecutivo della Banca Mondiale entrando in quel mondo della finanza internazionale del quale farà sempre parte e dal quale sarà sempre condizionato. Dal 1991 al 2001 è Direttore Generale del Tesoro, inaugurando il suo personalissimo sistema di porte girevoli che gli ha consentito di ricoprire incarichi istituzionali alternati a collaborazioni con le più importanti società finanziarie del pianeta. È durante questo suo mandato che si svolge la nefasta riunione sul Panfilo Britannia, nel corso della quale si mettono a punto le strategie per privatizzare- di fatto regalare - aziende di eccellenza operanti in settori di importanza vitale per la Nazione. Draghi apre i lavori con una relazione dalla quale emerge chiaramente come si sarebbe messo da parte il benessere del popolo e la democrazia per accomodare le pretese delle maggiori istituzioni finanziarie angloamericane. Consapevole che le privatizzazioni avrebbero avuto effetti sulla occupazione non se ne cura e concludendo con la frase “stiamo per passare dalle parole ai fatti”, lascia il panfilo prima che prenda il largo per la crociera durante la quale si sarebbe pianificato quanto da lui auspicato. Questo incontro avviene il 2 giugno 1992 e solo tre mesi dopo, nel settembre successivo, George Soros scatena un attacco alla lira che si deprezza del 30 per cento. Questa speculazione è la conseguenza della inutile quanto autolesionista difesa del cambio della lira che aveva polverizzato le riserve valutarie della Banca d’Italia, stimate in circa 48 miliardi di dollari. I maggiori responsabili di questa catastrofe sono dal punto di vista politico, il premier Giuliano Amato ed il ministro del Tesoro Piero Barucci e dal punto di vista tecnico, il Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, il Direttore Generale del Tesoro, appunto Mario Draghi, oltre al suo vice, Lamberto Dini. Ciampi è l’unico a presentare le dimissioni che vengono comunque respinte. Per tutti gli altri ci si affretta a far scendere un velo sulle responsabilità anche se non mancano voci isolate che ipotizzano collegamenti tra la discussa crociera del Britannia che, di fatto, aveva aperto le porte del ministero del Tesoro ai banchieri angloamericani ed il deprezzamento della nostra moneta che aveva consentito di acquistare le nostre aziende a prezzi di saldo. Tutte le accuse vengono però velocemente messe a tacere e tutto dimenticato. Naturalmente noi non possiamo sapere se questi comportamenti che hanno provocato danni giganteschi alla nostra economia siano frutto di malafede o incapacità, in ogni caso questi personaggi non avrebbero dovuto mai più ricoprire cariche pubbliche, invece a distanza di trent’anni, li ritroviamo ai vertici delle istituzioni: Presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato e Presidente del Consiglio, Mario Draghi. Ogni commento appare superfluo!

Dal 2002 al 2005, Draghi diventa Vice -Presidente e Managing Director di Goldman Sachs la quale, è bene ricordarlo, era stata una delle società di consulenza del governo italiano nel processo di privatizzazioni; poi Governatore della Banca d’Italia; presidente del forum per la stabilità finanziaria; direttore esecutivo per l’Italia della Banca Mondiale; Presidente della Banca Centrale Europea; membro di svariati organismi finanziari internazionali quali il G30, Bilderberg, Trilateral. Per Mario Draghi, parlare di conflitto d’interesse appare francamente riduttivo ma tant’è! È chiaro che attendersi da una figura come la sua la tutela degli interessi nazionali rappresenti una pia illusione. Allo scoppio della guerra in Ucraina, Draghi si è subito distinto come convinto soldatino di Biden, appoggiando incondizionatamente la linea dura di Washington senza le esitazioni ed i comprensibili dubbi sollevati da Macron e Scholz, giustamente preoccupati per le drammatiche ripercussioni che avrebbero provocato ai propri paesi la rottura di relazioni politiche ed economiche con la Russia. Al contrario, Draghi ha subito fatto sua la linea dura, andando anche oltre, con attacchi personali a Putin, denunciando la linea revanscista del Cremlino, invocando una reazione rapida, ferma ed unitaria, elogiando l’eroica resistenza del popolo ucraino contro la ferocia di Putin e descrivendo l’Italia come un fedele alleato totalmente allineato alle direttive USA sulle sanzioni dure alla Russia. Anche riguardo alle armi da inviare all’Ucraina, Draghi ha immediatamente assecondato i voleri di Washington, approvando la cessione di “apparati e strumenti militari che consentano all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione”. Da settimane, da Pisa e da Pratica di Mare, aerei da trasporto fanno la spola con la base aerea polacca di Rzeszow a 70 chilometri dal confine ucraino ed anche ora che Biden rilancia con la richiesta di ulteriori invii, Draghi sembra sia orientato ad accontentarlo. Diciamo sembra perché il Presidente del Consiglio non ha alcuna intenzione di chiedere l’autorizzazione del Parlamento, secretando addirittura la lista del materiale bellico che intende fornire all’Ucraina. Per lui, gli interessi nazionali passano sempre in secondo piano rispetto a quelli dei suoi padroni. Draghi rappresenta il simbolo vivente del mondo delle banche e della finanza internazionale dal quale dipende totalmente. Una scialba figura assurta a ruoli sempre più importanti per eseguire servilmente gli ordini dei sacerdoti della religione del dollaro.

Mario Porrini

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