Valgono solo i rapporti di forza

8 Ottobre 2022

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Nelle polemiche a volte feroci che si accendono attorno alla guerra in corso al centro dell’Europa, si fa appello a princìpi che dovrebbero regolare i rapporti internazionali. Questi princìpi esistono e si possono riassumere nei seguenti tre, con un quarto da considerare una correzione del terzo: 1- rispetto dell’integrità territoriale degli stati riconosciuti internazionalmente; 2- riconoscimento del diritto dei popoli all’autodeterminazione; 3- non ingerenza negli affari interni delle altre nazioni; 4- diritto di “ingerenza umanitaria” qualora un aggressore voglia imporsi su un aggredito più debole.

Ebbene, i primi due princìpi in moltissimi casi confliggono fra loro, in quanto all’interno di molti stati nazionali ci sono minoranze linguistiche e religiose che alla luce del secondo principio avrebbero diritto alla secessione, negando così validità al primo principio. Perfino in Italia potrebbe porsi il problema, visto che la minoranza di lingua tedesca è maggioranza in Alto Adige e potrebbe legittimamente chiedere di far parte dell’Austria. Ma vediamo più in dettaglio alcuni dei numerosi casi di contraddizione fra i primi due princìpi, limitandoci agli ultimi 30 anni. La Jugoslavia sarebbe dovuta rimanere unita in base al primo principio. Tuttavia, vi coesistevano popolazioni di lingue, religioni e costumi diversi, che avrebbero potuto rivendicare l’indipendenza in base al secondo principio. Cominciarono a farlo sloveni e croati, anche su sollecitazioni esterne. Fu guerra coi serbi. I croati conquistarono la loro indipendenza, ma nel nuovo stato croato viveva una minoranza di serbi che non avevano avuto problemi a restare nelle loro aree quando quella era Jugoslavia, minoranza che non volle sottostare al nuovo governo dopo la secessione. Anche loro avevano diritto all’autodeterminazione in base al secondo principio. In Bosnia coesistevano musulmani, croati e serbi quando quella era Jugoslavia. Diventata indipendente la Bosnia, i serbi presero le armi per rivendicare a loro volta il diritto all’autodeterminazione. La NATO, che non è un’alleanza a scopi puramente difensivi come sostengono i suoi paladini, bombardò i serbi. Il Kossovo era una provincia della Serbia, abitata da albanesi di religione musulmana e da serbi di religione cristiano-ortodossa. Appellandosi all’autodeterminazione dei popoli, i musulmani rivendicarono l’indipendenza. Appellandosi all’integrità della nazione, i serbi la negarono. Fu guerra e la NATO bombardò Belgrado per costringere la Serbia a riconoscere l’indipendenza del Kossovo. Allora il dramma fu dei serbi del Kossovo costretti a lasciare le loro case. Ai bombardamenti della Serbia partecipò l’Italia governata allora dall’ex-comunista D’Alema (molto ex e poco comunista). Trasferiamoci nell’Asia occidentale. I curdi abitano regioni appartenenti a Turchia, Siria, Iraq e Iran. Appellandosi al secondo principio, rivendicano un loro stato, negato dai governi nazionali che si fanno forti del primo principio. Si potrebbe continuare a lungo con gli esempi, non escluse la Catalogna e la Scozia che aspirano all’indipendenza rispettivamente da Spagna e Regno Unito. È evidente che portando al limite queste logiche indipendentistiche, si giunge al tribalismo, alla disintegrazione di quasi tutte le entità statuali.

Il ragionamento riguarda da vicino la questione del Donbass e della Crimea. I russi che abitano alcune regioni del paese non avevano difficoltà quando quella era Unione Sovietica. Diventata Ucraina indipendente, con un governo fortemente nazionalista e antirusso, le difficoltà sono diventate insormontabili. Se facciamo valere il primo principio, la ragione è tutta dalla parte dell’Ucraina. Se facciamo valere il secondo principio, la ragione è tutta della Russia, che protegge le aree abitate da russi che in maggioranza si sentono parte integrante della loro madrepatria. Come risolvere il dilemma della contraddizione fra i primi due princìpi? La via obbligata è quella di un ordinamento costituzionale che garantisca autonomie alle regioni abitate da gruppi etnici minoritari in ambito nazionale ma maggioritari in quelle aree. Il fatto è che una legislazione che preveda le autonomie non può essere imposta dall’esterno con la forza delle armi o delle sanzioni. Deve essere una decisione presa all’interno dello Stato e delle sue istituzioni. La via fu tentata fra Russia e Ucraina con gli accordi di Minsk. Quegli accordi sono stati subito violati dal governo ucraino, che ha proibito l’insegnamento del russo e l’uso della lingua russa, imponendo le logiche di un nazionalismo estremista. In conclusione, il conflitto fra i due primi princìpi è insuperabile. Essi sono nella pratica inconciliabili.

Quanto al terzo principio, quello della non intromissione negli affari interni di uno stato, è ascrivibile alla categoria, molto affollata, dell’ “aria fritta”. Roba da “anime belle”. Non si è mai dato che una potenza rinunci a interferire in vicende altrui, per difendere i propri interessi. Per questo le accuse alla Russia o, specularmente, agli USA di interferire nella vita politica di altri stati, sobillando parte dell’opinione pubblica o cercando di condizionare le elezioni, sono nello stesso tempo fondate e insignificanti. Quello che è sempre stato sempre sarà. Il corollario del terzo principio vale a dire la pretesa moralistica di correre in aiuto del più debole aggredito, anche con la forza armata, è chiaramente niente altro che un pretesto ipocrita che consente qualunque interferenza e qualunque aggressione.

In definitiva, il tentativo di fissare regole che definiscano un diritto internazionale valido per tutti, fallisce sistematicamente e miseramente. Nelle relazioni internazionali, e non solo in queste, vige un solo principio ferreo: la legge del più forte. Forse su altri pianeti sparsi per l’universo le cose vanno diversamente. Sul pianeta Terra stanno così, sempre e ovunque. Queste considerazioni desolanti sembrano invitare al disimpegno, al non prendere posizione. A livello individuale invece è doveroso schierarsi, purché si sia consapevoli del fatto che la nostra presa di posizione è dettata da pregiudizi ideologici, da impulsi morali e da sentimenti di repulsione o di simpatia. Personalmente, mi attengo a una presa di posizione pregiudiziale, di ordine moralistico, a favore dell’aggredito, che è sempre il più debole. Il guaio è che nelle concrete condizioni storico-politiche, non è sempre facile stabilire chi sia l’aggredito e chi l’aggressore. Nel caso specifico della guerra in corso in Europa, apparentemente l’aggredita è l’Ucraina e l’aggressore la Russia, però se intendiamo quel conflitto come uno scontro fra Russia e NATO, le responsabilità si ribaltano. L’aggressore, come prevedeva perfino Kissinger fin dagli anni Novanta del secolo scorso, è la NATO, l’aggredito la Russia. Come sempre, ognuno di noi è tenuto all’atto discriminante del dover scegliere. Anche la non-scelta è una decisione che coinvolge la condizione esistenziale di essere responsabili delle nostre azioni.

Luciano Fuschini

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