Rivoluzione come ritorno alle origini

12 Novembre 2022

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Nicolás Gómez Dávila con insuperata icasticità avvertì che la società del futuro sarebbe stata una schiavitù senza padroni. Byung-Chul Han in questa raccolta di scritti (editore Nottetempo) da buon ultimo afferma una evidenza: oggi non è possibile una rivoluzione. Meno scontata l’argomentazione, in quanto gli assuefatti al sistema risultano proprio coloro che lo subiscono. Nel presente la coazione sociale assume esplicitamente le forme dell’autodistruzione edonistica, giacché noi per primi «sacrifichiamo volontariamente tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta» e le conseguenze dell’estremo Occidente - giunto al suo culmine nichilistico - evocano il feticismo delle merci e la diagnosi psicopatologica della pulsione di morte. Il potere pervasivo - con una strumentazione intrusiva mai prima esistita - non è più disciplinare, quanto seduttivo e rassicurante per una umanità algofobica che ha capitolato la propria dignità in favore della dipendenza della intenzionalità e arbitrio, per sottrarsi dall’impaccio di assumersi la responsabilità di vivere, possibile solo nella consapevolezza del morire. Difficile quindi che qualcuno desideri una libertà altra dalla apparentemente illimitata scelta fra prodotti, cui si è rivelata la promessa escatologica della modernità, con la filosofia della storia deterministica che ha alimentato l’utopia delle rivoluzioni storiche trapassate. Un mondo in cui tutto ha un prezzo e quindi nulla ha più valore.  Emblematico, in tal senso, è che la apparente controcultura antagonista, puranche giovanile o di emarginazione, serva innanzitutto da alibi a chi ha aderito al pensiero unico e al sistema esistente. L’ideologia, un tempo sostanzialmente critica della forma capitale, si è oggi trasformata in un superficiale stile di vita distonico al servizio di quest’ultimo. Se la storia resta pur sempre aperta, forse l’immunizzazione da un futuro distopico passa per il cuore dell’etimologia del termine rivoluzione, che discende dal latino “revolvo”, verbo nel quale è contenuta l’idea di un movimento che ritorna su sé stesso [il termine sanscrito rta (muoversi in modo appropriato), legato al termine greco harmos e al latino ars]. Revolvere è detto di un ritorno alle origini, un ripercorrere all’indietro il cammino che si era intrapreso, tornando al punto ancestrale della scaturigine, della emanazione. È questa l’idea più precisa contenuta nell’etimologia del termine, paradossalmente lontanissima dalla concezione di rivoluzione come gnosi immanente, oggi esauritasi come ambizione effettiva a un cambiamento sociale possibile, anche perché si è dimostrato che chi la scambia per un fine, quando la ottiene non sa che farsene, identificandola con il potere e la stantia sudditanza al conformismo del proprio tempo.

Eduardo Zarelli

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