Senza affermare la propria identità non c'è emancipazione dei popoli

2 Dicembre 2022

 Da Rassegna di Arianna del 29-11-2022 (N.d.d.)

Parafrasando il titolo del famoso romanzo di Milan Kundera, il pensiero della sinistra neoliberale, quella autoproclamatasi progressista, esprime una insostenibile banalità dell’essere, una inconsistenza al cui confronto il senso comune è filosofia allo stato puro. Più la realtà si allontana dalla rappresentazione ideologica di essa più la sinistra neoliberale si aggrappa disperatamente agli specchi, però producendo un fastidioso stridìo che fa rizzare i capelli, lo stesso del gesso che stride sulla lavagna. È questa una (ma decisiva) delle ragioni per cui la sinistra neoliberale è estranea al sentire dei ceti popolari, da questi sempre più guardata con diffidenza, se non irritazione; mentre guardano con simpatia a essa quegli strati prevalentemente “istruiti”, quelli soddisfatti della propria posizione sociale, di solito posta all’ombra dell’apparato pubblico. Strati che, per una sorta di appagamento filantropico, spesso avvertono l’esigenza di darsi una spolveratina di “impegno” sociale, così pensando di mettere pace alla propria (falsa) coscienza, e sentirsi comunque dalla parte giusta.

Ambienti che entusiasticamente accolgono ogni idea “aperta” e “inclusiva”, specialmente se poi si tratta di “diritti civili”, quelli che fanno tanto fighi e consentono di piacere alla gente che piace. Ambienti per i quali è prioritario combattere i valori “retrivi” come la famiglia, la distinzione biologica dei sessi, la riproduzione naturale che passa per una mamma e un papà, insomma quella roba che sa di tradizione. Ignorando che le “tradizioni” hanno permesso all’umanità di sopravvivere nei secoli dei secoli. Lor signori, non sapendo un fico secco di raccolta di pomodori e lavori nei campi, si emozionano nel vedere un Soumahoro che si presenta in parlamento con le galosce… e si indignano urlando al fascismo  se quest’ultimo è coinvolto, insieme alla sua famiglia, in un’inchiesta giudiziaria sulla cooperativa dell’agro pontino Karibu; o si emozionano al sentir parlare di “migranti”, indignandosi contro chi denuncia determinate ong di far da complici dei trafficanti di uomini; e se i professionisti dell’accoglienza adoperano metodi squadristi per impedire di proiettare film di denuncia (come scritto nel mio ultimo post) niente problema…  Meloni fascista!

I nostri liberal progressisti – la sinistra è ormai questa cosa qua – stanno ormai completamente fuori della realtà. Così ci spieghiamo il commissario europeo Gentiloni che, di fronte agli scontri conseguiti alla vittoria ai mondiali del Marocco sul Belgio, banalmente e inconsistentemente parla di calcio «che fa da detonatore». Secondo il nostro gentile aristocratico, gli scontri con le forze dell’ordine, i monopattini e le auto date alle fiamme, gli spari e i lanci di bottiglie di vetro, con episodi di vandalismo registrati anche a Liegi, sempre in Belgio, ma anche in diverse città olandesi, sarebbero principalmente da imputare all’eccesso di festeggiamenti per la vittoria calcistica della nazionale marocchina. E qui sta il corto circuito dei benpensanti liberal progressisti: non riescono neanche per sbaglio a fare un ragionamento che abbia un minimo di relazione con la realtà. Ha quindi gioco facile Giorgio Gandola sulla “Verità” a definire quella di Gentiloni un’uscita sgangherata, «come a dire che a causare le violenze delle gang maghrebine a Milano la notte dello scorso capodanno furono le gonne corte delle ragazze molestate». Un tentativo di commento non “sgangherato” avrebbe dovuto mettere in risalto, una volta di più, casomai ce ne fosse ancora bisogno, che questi scontri e queste violenze sono la dimostrazione che il racconto sulla società aperta multiculturale e multirazziale è pura ideologia. Noi ci aggiungiamo che è ideologia al servizio di logiche disgregative di popoli e nazioni. Questi giovani che colgono l’occasione della vittoria della “propria” nazionale calcistica sul Belgio per mettere a ferro e fuoco intere aree urbane, ci fanno capire che, diversamente da certa retorica, non c’è stata nessuna integrazione, e che loro non rinunciano alla propria identità. Identità che il pensiero delle classi dirigenti “aperte” pretende essere superata o, come ebbe a dire von der Leyen, passata di moda. Invece no, cara Ursula, questi giovani marocchini che partecipavano alla rivolta con la bandiera dei “leoni dell’Atlante”, coadiuvati da numerosi coetanei dell’Africa sub sahariana (senegalesi, ghanesi, nigeriani… contro gli “oppressori bianchi”), come si può ben vedere nel video, affermano di esistere per quello che realmente sono, e non un’icona della società “aperta”. Esprimono orgoglio di appartenenza alle proprie comunità di origine. Certo, non porta a nulla – né a se stessi né ai ceti popolari dei paesi nei quali vivono – una rabbia del genere se non si ricollegano i fili della memoria, se non ci si ricollega al miglior pensiero anticoloniale e panafricanista rappresentato dai vari Lumumba, Sankara, Gheddafi… tutti vigliaccamente uccisi all’ombra del neocolonialismo.

Scrive bene Dario Prestigiacomo su Europa Today: «Il motivo di tanto entusiasmo [e violenza] è dettato senza dubbio dall'orgoglio per le proprie radici di una comunità, quella marocchina, che a Bruxelles rappresenta quasi il 19 per cento della popolazione, una percentuale che sale al 28 tra la popolazione under 18. Nel 2021, il nome più usato per i nuovi nati nella capitale europea è stato Mohamed». Abbiamo quindi il pensiero liberal progressista che racconta una realtà immaginaria, come i girotondi multicolorati di benettoniana memoria, semplicemente funzionale all’idea di far passare la necessità di “accogliere” moltitudini di immigrati da mettere al servizio dei nostri mercati nelle forme più bizzarre e flessibili (cosa, tra l’altro, che ha consentito la destrutturazione della normativa sul lavoro); e, nel contempo, di svuotare delle migliori energie i paesi di provenienza dei flussi migratori.

Pertanto, mentre il mondo dell’accoglienza istituzionalizzata decanta le virtù dei “migranti”, elevati a moderno mito, la realtà si incarica di mettere a nudo che la pretesa di una multirazzialità ideologizzata nasconde solo la volontà del potere dominante di perpetuare lo stato di soggezione economica e sociale di popolazioni che invece si vuole continuare a tenere sotto il proprio tallone.

Le identità esistono e vanno rivendicate. Non si ha emancipazione dei popoli senza affermazione delle proprie identità sociali, etniche, culturali, religiose. O no, cari accoglienti iscritti nei libri paga dei filantropi sostenitori di rivoluzioni colorate e cambi di regime?

Video: https://www.youtube.com/watch?v=f0rWTqT3R_o

Antonio Catalano

 

 

 

Commenti
NuovoCerca
Solo gli utenti registrati possono inviare commenti!