Degrado antropologico senza precedenti

6 Febbraio 2023

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 Da Rassegna di Arianna del 4-2-2023 (N.d.d.)

Ieri mi è capitato di vedere una scena disturbante. Locazione: centro storico di grande città italiana. Una banda di ragazzine, età forse 14 anni, vestiario chediomiperdoni griffato, che menavano ferocemente una loro coetanea in lacrime, calci, graffi, distruzione del cellulare, con l'accompagnamento di un frasario che non era solo turpiloquio capace di traumatizzare un camallo, ma era un intero programma di vita, direttamente estratto da qualche canzone trap. La prima cosa che ho pensato è che finalmente quel meraviglioso degrado terminale che abbiamo così a lungo visto solo nei film americani, era finalmente approdato anche da noi. Ragazzine di un età in cui cent'anni fa sarebbero arrossite se le si guardava negli occhi, ora si potevano comportare  - perfettamente a loro agio - come una gang di spacciatori di Harlem, senza remore morali o fastidiosi residui di pudore. Anche questa indubbiamente è una forma di parità di genere, anche se probabilmente distante da quella auspicata dai più: la riduzione a branco decerebrato ha indubbiamente superato tutte le "barriere repressive" e tutti gli "stereotipi irreggimentanti" per arrivare ad un minimo comune denominatore incline al subumano ma gloriosamente unisex. Naturalmente, a scanso di equivoci, il problema non è la parità di genere come non è l'emancipazione da retaggi oppressivi o moralismi stantii, tutte istanze lodevolissime. Il problema è che apparteniamo ad un mondo culturale, quello del liberalismo occidentale, che ha pensato che smantellare i costrutti sociali, destabilizzare aspettative e credenze, sradicare le persone, rompere i legami famigliari e territoriali, cancellare il passato e immergere tutti in una gaia competizione hobbesiana di tutti contro tutti fosse automaticamente un gesto emancipativo, una forma di liberazione. Perché tanto, nella società come nel mercato, dal caos di libere individualità in competizione una mano invisibile avrebbe estratto benefici per tutti.

La società occidentale ha avviato una frenetica e oramai secolare corsa alla cancellazione sistematica di ogni barriera, confine, limite, forma, natura, costume, eredità culturale, proiettando la propria modellistica economica sulla realtà sociale tutta e credendo, o fingendo di credere, che tutto ciò fosse “emancipazione migliorativa”. In verità questo atteggiamento generalizzato esprime soprattutto la confortevole pigrizia  mentale di cui sono particolarmente colpevoli quei ceti intellettuali per i quali, negli ultimi cinquant’anni, è bastato esibirsi in qualunque sciatta gesticolazione emancipativa, volta a liberarsi da un passato proverbialmente oppressivo, che subito ci si poteva fregiare d’una sgargiante medaglia progressista. In ogni società della storia la più grande fatica, oltre a procurarsi i mezzi di sussistenza, è sempre consistita nel forgiare giuste credenze, solide legittimazioni, guide comportamentali e finalità condivise, capaci di dare orientamento e motivazione ai propri membri. Si tratta di un lavoro sociale full time. La fatica della trasmissione etica e culturale, e dell’aggiornamento di quanto trasmesso, è stato sempre al centro del mondo sociale. In ciò non c’è e non c’è mai stato niente di semplice: ogni società ha prodotto ordinamenti che venivano percepiti come parzialmente difettivi o disarmonici e chiedevano di essere integrati o migliorati. Non bisogna immaginare nessuna “età dell’oro” di leggi sociali stabili e universalmente armoniche. Ma d’un tratto invece tutto è diventato splendidamente semplice: è emersa l’idea che tutto quanto prodotto dall’umanità in migliaia di anni, salvo le conoscenze tecniche latrici di strumenti produttivi, era un grande cumulo di spazzatura, su cui si ergeva finalmente libera la nuova umanità. A dare un impulso decisivo in questo senso è stato anche il fatto contingente che gli Stati Uniti d’America, preservati economicamente dalla Seconda Guerra Mondiale, sono emersi come potenza occidentale dominante, conferendogli un’ enorme capacità di influenza culturale. Essendo gli Stati Uniti una società di emigrati, nata sulla scorta di un gesto di cancellazione delle proprie radici ed origini, la cultura egemone nel mondo occidentale ha continuato ad alimentare questa spinta - che così bene si accordava con i desiderata del sistema economico. È qui opportuno ribadire che non ci sono scorciatoie senza fatica che possano invertire questa tendenza, posto che si voglia farlo. Non è improvvisando di colpo una qualche “faccia feroce”, un po’ di dogmatismo autoritario, qualche normativa punitiva, non è che appellandosi nei ritagli di tempo - tra una speculazione in borsa e una privatizzazione - ai “valori dei bei tempi antichi”, che si risolva nulla. Quelli che pensano che allo sbracamento disorientante del progressismo tanto al chilo si possa porre rimedio con un’improvvisata rigidità senza fondamento sono semplicemente complici del degrado: vogliono una formuletta a costo zero rapidamente spendibile per rimettere la società in ordine, pronta alla massimizzazione produttiva. Questi conservatori da sceneggiata sono il perfetto complemento dei liquidatori liberali.

La forma di vita occidentale, liberalcapitalistica, specificamente nella sua incarnazione neoliberale, è il più efficiente produttore di degrado antropologico che la storia abbia conosciuto: produzione sistematica di anime deformi, fragili, aggressive, frustrate, disorientate. I danni subiti nella gioventù della generazione precedente si trasmettono amplificati alla gioventù della generazione odierna, incolpevolmente e inconsapevolmente abbrutita. L’amara realtà è che la storia occidentale almeno dalla fine del XIX secolo è una storia di sistematica generazione di degrado, con un tentativo di ricostruzione nel secondo dopoguerra, naufragato negli anni ’80. Viviamo in società ancora relativamente benestanti (come media), ma umanamente agli sgoccioli, incapaci di tramandare niente di credibile intergenerazionalmente, società rispetto a cui ogni altra forma sociale che la storia passata abbia prodotto, anche le più problematiche, avrebbe qualcosa da insegnare.

Andrea Zhok

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