Sistemi troppo complessi

20 Febbraio 2023

All' incirca tra la fine di gennaio e i primi giorni del presente mese di febbraio è successo un evento di portata non indifferente ,evento di cui tuttavia si è fatto poco rumore e poco parlare nell' informazione dei media: il "down" dei due portali di posta elettronica maggiormente diffusi in Italia,con una utenza superiore ai 10 milioni di fruitori e che ha lasciato "a secco" di email più o meno importanti non solo privati cittadini ma professionisti ,imprenditore e un gran numero di aziende provocando guai e difficoltà di non poco conto,tanto che un assicuratore di mia conoscenza mi ha confessato di aver sfiorato l' esaurimento nervoso,essendo il suo lavoro impossibile senza l' uso delle comunicazioni via Internet e via email. Analoghi problemi su siti di varia natura(anche istituzionale,vedi l' attacco hacker alla Regione Lazio dell' estate 2021) sia dovuti a fattori esterni(hackeraggio per vari scopi,tra cui quello estorsivo) sia strutturali interni ad esempio per "bug" sistemici non sono una novità nell' ultimo periodo,tuttavia il "baco di sistema" che ha colpito i due portali di posta elettronica ha una particolarità nuova: a differenza di altri casi analoghi non si è risolto in una manciata di ore o al massimo in un paio di giorni ma ha lasciato "a terra" l' utenza, è durato oltre una settimana: gli ultimi a vedersi ripristinata la casella hanno dovuto aspettare almeno otto se non nove giorni.

Episodi simili dovrebbero portarci a riflettere sulla vulnerabilità dei sistemi che sono venuti a crearsi nella società postindustriale e postmoderna,trasformandola in una geometria frattale ipercomplessa di cui l' infrastruttura informatica e digitale non è nient' altro che una singola parte di un tutto il quale tende a ripetersi attraverso altre e numerose scale: vien da chiedersi,non scevri da una certa angoscia,che sarebbe potuto succedere se altri e ben più severi "bachi sistemici" avessero colpito infrastrutture ben più importanti rispetto ad un portale di messaggistica e se il bug stesso avesse ad esempio provocato un effetto domino a cascata su macroscala: in un mondo e in una società totalmente dipendenti e dall' energia elettrica e dall' intelligenza artificiale e dall' informatica-tra loro connesse ed interconnesse come una trinità laica-gli effetti sarebbero stati catastrofici. Un conto è un blocco di social network limitato nel tempo e nello spazio a poche ore e ad un' area geografica periferica,altra musica sarebbe un blocco esteso a sistemi informatici ben più importanti e ben più estesi sulla superficie terrestre: la nostra quotidianità ormai si basa tutta su uno smartphone ,sulle app,sul cloud,su un apparentemente magico tocco di un dito su uno schermo il quale ci permette di usare il bancomat,la carta di credito,in certi casi estremi financo di aprire porte e finestre da remoto a cento chilometri di distanza:e se tutto questo per una fesseria qualsiasi o una forza esterna un giorno andasse in tilt per più di qualche ora,per giorni interi e non solo su scala italiana?.

Già immagino le obiezioni: ecco,il solito pippone neoluddista da strapazzo,da terrapiattista antisviluppista ,la solita retorica d' accatto da falso ambientalista radicale o radical-chic.

Nulla di tutto ciò! Tanto per iniziare porsi questi quesiti e ragionare sui limiti della tecnologia e dei suoi rapporti con l' uomo non è per nulla da neoluddista o da falso ambientalista d' accatto: più che lecito ragionare sui limiti(dal latino "limes",confine) e sul "metron" ,cioè sul senso della misura che nella filosofia greca delle origini significava la consapevolezza di poter governare se stessi conoscendo una linea precisa di confine da non superare e tutto ciò potremmo applicarlo benissimo al nostro rapporto con lo sviluppo tecnico chiedendoci dove sia situata la linea di confine tra il governare i processi della tecnica ed essere governati dalla tecnica. La tecnica va benissimo quando io ne ho il controllo,non quando mi faccio controllare.

La seconda questione ci fa ritornare ancora una volta sui sistemi complessi bene analizzati dallo statunitense Joseph Tainter nel suo saggio " Collasso delle società complesse",scritto 25 anni fa ma attualissimo: Tainter spiega come ad ogni aumento della complessità sistemica corrisponda la parcellizzazione del lavoro,suddividendo il sistema in una pletora di specialisti che si focalizzano su un singolo elemento anziché sulla visione totale. Ne consegue,aggiungiamo noi,il trionfo della visione meccanicistica quando invece il tutto è inserito in una dimensione ontologicamente olistica. E infatti lo stesso Tainter ci dice come in molti disastri d' origine strutturale l' origine sia dovuta al cedimento "imprevisto" di singoli pezzi la cui importanza era addirittura "ignorata" dagli ingegneri stessi,forse troppo concentrati sulla singola "parte" gestita da specialisti anziché sulla somma totale delle componenti. Infine un altro studioso non proprio neoluddista,il matematico John Casti,nel suo saggio "Evento X"(2012) ha paragonato il sistema complesso postmoderno al "più grande castello di carte della Storia" tale da essere scompaginato da un singolo "starnuto".

Alle solite: che fare? Anzitutto non considerare un tabù l' argomento e discuterne apertamente, perché i dubbi elencati sono ragionevoli ,legittimi e chi li pone non deve cadere nelle accuse di essere "antiprogressista","antisviluppista" o etichettato con simili espressioni.Quindi pensare,elaborare alcune eventuali soluzioni che secondo Casti e altri studiosi potrebbero essere due: -Rendere il sistema ancora più complesso con programmi di I.A. in grado di "anticipare" eventuali collassi sistemici ; -Rendere il sistema meno complesso e di conseguenza maggiormente gestibile. Ritengo che l' opzione 1 sia un modo elegante di dare maggior metri di corda a chi vuole impiccarsi,in quanto un sistema ancora più complesso non solo ne aumenta la vulnerabilità e la parcellizzazione meccanicista coi rischi annessi e connessi ma nemmeno risolve il problema in sé avendo visto come i maggiori crolli strutturali avvengono per ragioni e motivi sconosciute ai progettisti stessi: come farebbe un progettista a programmare un qualcosa che neppure conosce? L'opzione 2 è invece largamente fattibile seppur scomoda,perchè significherebbe mettere in discussione il sistema stesso e porsi molte domande e quesiti nonchè raggiungere una consapevolezza ancora ben lontana e interrogarsi,come già scritto,sul nostro rapporto con la tecnica e sul senso del "metron" e del limite.

Significherebbe mettere in discussione molti degli elementi di imponta illuministica e razionale che ci accompagnano da almeno poco più di due secoli,da quando cioè è in auge l' attuale modello di sviluppo. C'è solo da augurarsi che la complessità intrinseca del sistema prima o poi faccia aumentare la consapevolezza verso una richiesta di semplificazione volontaria del sistema stesso basato sul limite e sulla misura.

Simone Torresani

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