Quell'affondamento è una metafora |
27 Agosto 2024 Da Rassegna di Arianna del 25-8-2024 (N.d.d.) Un capolavoro ingegneristico, apparentemente indistruttibile, che in un battito di ciglia viene inghiottito dalla bocca del mare, mentre altre imbarcazioni assai più piccole, benché toccati dai tumulti della medesima tempesta rimangono illesi, a malapena scossi, a malapena sollevati dalla banchisa, non è solo la trama di chissà quale oscuro intrigo internazionale: essa è anzitutto la metafora di una civiltà. La nostra. E che si tratti di un complotto o meno, di morte certa o di una messa in scena per chissà quale misterioso fine, non importa. La metafora persiste. Anzi, più le ambivalenze si moltiplicano, più essa si fortifica, mantenendo intatta la sua validità. Quella mastodontica creatura che affonda è, in tutto e per tutto, l'Occidente. E anche noi, colti come di sorpresa, noi che in una tale opalescenza cerchiamo a ogni costo di decriptare le ombre ormai naufragate tra illazioni e deliri, siamo Occidente che precipita. Quanto accaduto a quella imbarcazione è infatti ciò che sta, giorno per giorno, minuto per minuto, accadendo a noi tutti. E, nello specifico, ciò che accadrà a questa civiltà se continuerà a dar seguito all'incoscienza, all'incuria o al malcelato delirio di onnipotenza dell'apparato che governa - o che ha preteso di governare - quest'epoca, giunta ormai alla sua fine. Da cogliere c'è questo: che l'anatomia comportamentale di chi stava su quella nave è la medesima dell'oligarchia che domina il nostro tempo. Essi, infatti, ne erano una parte. Imbottiti di ricchezza, securizzati, ipertecnologizzati, hanno creduto o hanno lasciato credere che quella campana di vetro fosse indistruttibile. Eppure, qualcosa, ha creato una breccia. O, semplicemente, qualcuno è saltato, svanendo nel nulla. Lasciando, tuttavia, che i più deboli della catena morissero davvero. Un collasso tra le incognite, sotto gli occhi increduli di tutti coloro i quali credevano che quella struttura fosse invincibile fu ciò che, analogamente, accadde all'URSS nell'89, con una sostanziale differenza: a Mosca risiedevano i bacilli di un potere politico che consentì in poco tempo una ripresa alla quale noi non possiamo - almeno nel breve termine - realisticamente lambire. Giacché a queste latitudini il potere è via via andato nelle mani di entità gassose, quasi eteree, che hanno eroso, smembrato, depauperato l'intero paesaggio ove per consuetudine si coltivano le resistenze. Giancarlo Cutrona |