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L'autismo della Rete PDF Stampa E-mail

16 Giugno 2024

 Da Appelloalpopolo del 12-6-2024 (N.d.d.)

L’intelligenza artificiale è senza ombra di dubbio l’avanzamento tecnologico più poderoso e allo stesso tempo pericoloso dell’ultimo mezzo secolo. Cosa sia l’intelligenza artificiale lo sappiamo tutti perché sotto varie forme, la usiamo da decenni, la novità di quest’ultimo sviluppo dell’informatica è che attraverso la programmazione si cerca di imitare e superare il ragionamento umano. Sfruttando la potenza di calcolo cresciuta esponenzialmente, utilizzando i dati che vengono acquisiti quotidianamente dai centri di accumulazione, si è arrivati alla capacità gestionale pressoché autonoma di processi sempre più complessi. Questa tecnologia è in fase di forte sviluppo ed avendo applicazioni duali (civili e militari), potrebbe avere effetti potenzialmente distruttivi per l’umanità, quindi a mio avviso abbiamo il dovere di osservare le applicazioni esistenti tenendo in debita considerazione questa prospettiva, usando sempre una buona dose d’immaginazione.

Per addentrarci nel ragionamento, senza cadere in discorsi fantascientifici, bisogna precisare che per ora l’intelligenza artificiale, anche quella generativa più sofisticata, non è capace di inventare niente! Molto banalmente perché sfrutta solo contenuti pubblicati su internet, già creati in precedenza dall’uomo, per questo motivo siamo al cospetto di un potenziamento stupefacente di una tecnologia già esistente che ogni giorno ci svela dettagli incredibili. Alla luce di questa riflessione, per articolare un ragionamento sensato, dobbiamo guardare al passato, con particolare attenzione ai momenti in cui gli avanzamenti tecnologici sono stati resi disponibili per il grande pubblico.

Innanzitutto la tecnologia informatica può rappresentare una opportunità di sviluppo formidabile ma allo stesso tempo, come già detto, un pericolo esistenziale per la specie umana perché, se è fortemente diffusa, abbraccia gli aspetti fondamentali delle nostre vite e li rende dipendenti dal suo funzionamento. Immaginate cosa potrebbe accadere se i grandi distacchi di corrente (black out) che si sono verificati negli Stati Uniti nel 2003, arrivassero nei nostri giorni, dove tutto è informatizzato e automatizzato… A mio avviso l’esperienza maturata con i grandi disastri del passato e il piccolo assaggio di interazione che abbiamo visto tra uomo e macchina, dovrebbero essere i punti di partenza per ogni valutazione di costi/benefici, ma la rapidità dell’evoluzione tecnologica e l’atavica avidità umana di potere e ricchezza impediscono questo approccio e si corre ai ripari solo dopo accadimenti disastrosi. Tra gli aspetti negativi, potenzialmente catastrofici, che abbiamo potuto osservare diffusamente nelle società tecnologicamente avanzate c’è il repentino calo di abilità intellettive umane fondamentali, specialmente nelle popolazioni più esposte come gli adolescenti. L’orientamento in spazi aperti, sia urbani che naturali, la lettura, la scrittura, l’uso di un vocabolario adeguato a sostegno della parola, la concentrazione, la manipolazione di oggetti, l’equilibrio, sono tutte abilità fisiche e cognitive che si sono mediamente ridotte in questa fascia di popolazione. Chiunque può constatare che un adolescente occidentale, immerso nella tecnologia fin dalla prima infanzia, cresciuto negli agi domestici, mediamente ha minori capacità fisiche e intellettuali rispetto a un coetaneo proveniente dal secondo/terzo mondo, che ha vissuto una vita solo sfiorata dalla tecnologia. Perché sta avvenendo?

Le risposte sono molteplici ma perlopiù riconducibili al concetto di interazione uomo macchina. Che sia uno strumento meccanico o che sia digitale, ogni estensione tecnologica del corpo condiziona l’evoluzione fisica e mentale umana. Senza esprimere un giudizio su questa dinamica, propongo un esempio banale e allo stesso tempo esplicativo sull’utilizzo di massa dell’automobile che ha sostituito il cavallo e l’asino. L’uomo, utilizzando l’auto come mezzo di locomozione e trasporto merci, ha aumentato il raggio d’azione dei suoi spostamenti, ha migliorato i riflessi, ha potenziato l’orientamento nelle grandi distanze e la capacità relazionale con popoli diversi, ha accresciuto il benessere economico… Di contro ha mediamente ridotto la propria forza e resistenza fisica alla fatica, ha perso la capacità di interazione con gli elementi naturali e gli animali e, se pur inizialmente ha migliorato la propria salute, con il forte inquinamento e la vita sedentaria la sta peggiorando. Quindi, escludendo i giudizi, possiamo affermare che l’uomo prima dell’introduzione dell’automobile nelle società era “diverso” perché ha sostituito alcune abilità e caratteristiche fisiche con altre ed è stato proprio il mezzo a cambiarle. Fenomeni simili che hanno portato piccoli cambiamenti continui sono avvenuti con l’introduzione della radio, della televisione, del telefono e sta avvenendo in maniera più marcata e veloce con l’introduzione della tecnologia informatica di massa. L’uso massiccio dei monitor (televisori, telefonini, videogiochi), sta distruggendo l’energia vitale degli esseri umani perché li disconnette dalla vita reale, multidimensionale, multisensoriale, imprevedibile e li immerge in una realtà artificiale preordinata, quasi priva di azioni fisiche e intellettuali. Mi focalizzo sull’aspetto autistico dello strumento digitale e per farlo ho coniato un neologismo: “L’Autismo della Rete”. Per non cadere in equivoci, con questa teoria intendo l’uso massiccio degli strumenti informatici (telefoni intelligenti, tablet, P.C., assistenti vocali...) che causano la perdita di contatto con la realtà e agevolano la costruzione di una vita interiore che alla realtà viene anteposta. Per comprendere al meglio questa mia teoria, come prima cosa bisogna osservare gli strumenti informatici e quello che ci impongono di fare, fin dai primi momenti in cui li usiamo:

1 creare un account 2 impostarlo 3 accettare le condizioni di utilizzo. Questo insieme di operazioni apparentemente banali che richiedono pochi minuti, sono la chiave d’ingresso nella nostra mente e nel nostro corpo perché da quel momento in poi, lo strumento intelligente (Smart) che stiamo utilizzando, si impossessa dei dati che noi stessi offriamo gratuitamente, ci inizierà a riconoscere, memorizzando tutti i nostri comportamenti. Saranno catturate ed elaborate tutte le nostre azioni durante l’utilizzo e non, attraverso la geolocalizzazione, con l’accesso al microfono e alla fotocamera, con i dati biometrici e tanto altro. Questa ragnatela digitale inestricabile ha come primissimo effetto quello di creare un ambiente virtuale personalizzato e confortevole per ciascun utente così da rendere “l’esperienza di navigazione” il più possibile aderente alle necessità. L’utente ben profilato, con tutte le applicazioni e le impostazioni consigliate attive, vedrà apparire sotto i propri occhi solo contenuti coerenti con le proprie ricerche pregresse e suggerite con una compilazione automatica da parte dell’algoritmo. A seconda dei discorsi che saranno catturati dal microfono, riceverà pubblicità mirate o inviti a visualizzare immagini o gruppi rispondenti al profilo di appartenenza. Sempre più sistemi di assistenza vocale suggeriscono risposte e contenuti impostati automaticamente per omettere realtà scomode al sistema e amplificarne altre funzionali alle grandi narrazioni dominanti. Questa metodologia di funzionamento della tecnologia rinchiude gli utenti in bolle cognitive personalizzate, all’interno delle quali vengono archiviati tutti gli interessi, le curiosità , le informazioni, le emotività, i divertimenti, trasformando di fatto larghi strati di fruitori delle tecnologie informatiche in “utenti autistici”. Il sistema di potere oligarchico anglofono che gestisce questo mondo digitale in gran parte del pianeta (Cina esclusa perché ha un proprio sistema), da un lato spinge gli individui nell’isolamento delle bolle autistiche e dall’altro tenta di formare le cornici ideologiche e valoriali capitalistiche, all’interno delle quali i singoli individui possano identificarsi.

Già Platone con il mito della “Caverna”, attraverso le molteplici interpretazioni che vi si possono trarre, aveva inquadrato e descritto in maniera esemplare la natura umana ed il suo rapporto con la conoscenza. “L’autismo della rete” si potrebbe inserire in continuità con questa riflessione filosofica, da un lato attraverso la creazione sempre più raffinata di ombre, dall’altro isolando ogni singolo individuo in nicchie della caverna. Il risultato è che l’individuo vedrà sempre e solo la propria ombra muoversi insieme alle altre proiettate.

Fin dalla notte dei tempi, menti raffinatissime lavorano alacremente per cercare di condizionare il nostro mondo immaginario, per la prima volta nella storia, però, hanno la capacità tecnologica di controllare direttamente o indirettamente ogni singolo umano. Ci riusciranno? Per il momento no! Questa mia riflessione è la prova provata che esistono sempre persone immuni dal condizionamento tecnologico e mediatico, che filosoficamente si adoperano per divulgare pensieri critici. Per iniziare ad affrancarsi da questa forma di autismo artificiale, in fin dei conti basta poco, se si spengono i monitor che abbiamo di fronte immediatamente appare il mondo reale che aspetta solo di essere compreso e vissuto.

Gianfranco Valeri

 
Sull'orlo del baratro PDF Stampa E-mail

14 Giugno 2024

 Da Comedonchisciotte del 12-6-2024 (N.d.d.)

Su tutti i fronti, il paradigma interno israeliano si sta sfaldando e, all’esterno, l’Occidente si sta a sua volta sfaldando, diventando un paria sulla scena globale. L’esplicita facilitazione da parte delle leadership occidentali di una sanguinosa pulizia dei palestinesi ha riportato alla ribalta il vecchio spettro dell'”orientalismo” e del colonialismo. E sta facendo dell’Occidente “l’intoccabile del mondo” (insieme a Israele). Nel complesso, l’obiettivo del governo israeliano sembra essere quello di far convergere e poi incanalare le molteplici tensioni in un’ampia escalation militare (una grande guerra) che, in qualche modo, porti ad un ripristino della deterrenza. Un tale percorso implica che Israele volterebbe le spalle alle richieste occidentali di agire comunque in modo “ragionevole”. L’Occidente definisce questa “ragionevolezza” principalmente come l’accettazione da parte di Israele della chimera di un passaggio alla “normalità”, che arriverebbe grazie alla concessione del principe ereditario saudita, in cambio di un Israele contrito che rinuncia a sette decenni di suprematismo ebraico (cioè accetta uno Stato palestinese).

L’errore insito nel calcolo occidentale-israeliano è che gli Stati Uniti e l’Unione Europea si stanno muovendo in una direzione – tornando al fallito approccio di Oslo – mentre i sondaggi sottolineano che gli elettori ebrei marciano decisamente in direzione opposta. Un recente sondaggio condotto dal Centro di Gerusalemme per gli Affari Pubblici mostra che, dal 7 ottobre, il 79% di tutti gli intervistati ebrei si oppone alla creazione di uno Stato palestinese sulle linee del 1967 (il 68% si opponeva prima del 7 ottobre); il 74% si oppone anche in cambio della normalizzazione con l’Arabia Saudita. E, a riprova della divisione interna a Israele, “solo il 24% degli elettori di sinistra sostiene uno Stato [palestinese] senza condizioni”. In breve, mentre la leadership istituzionale occidentale si aggrappa alla sinistra laica e liberale israeliana, che si sta riducendo, gli israeliani nel loro complesso (compresi i giovani) si stanno spostando a destra. Un recente sondaggio Pew mostra che il 73% dell’opinione pubblica israeliana sostiene la risposta militare a Gaza – e addirittura un terzo degli israeliani si è lamentato che [l’esercito] non si è spinto abbastanza in là. Una pluralità di israeliani ritiene che Israele debba governare la Striscia di Gaza. E Netanyahu, all’indomani della minaccia di arresto da parte della Corte penale internazionale, sta superando Gantz (il leader dell’Unione Nazionale) negli indici di gradimento. Sembra che il “consenso occidentale” preferisca non notare queste scomode dinamiche. Inoltre, un’altra divisione israeliana riguarda lo scopo della guerra: si tratta di restituire ai cittadini ebrei il senso di sicurezza personale e fisica che è andato perduto dopo il 7 ottobre? Vale a dire: è l’identità di Israele intesa come una ridotta, uno spazio sicuro in un mondo ostile, che viene ripristinata? O, in alternativa, l’obiettivo principale dell’attuale lotta è stabilire un Israele pienamente giudaizzato nella “Terra d’Israele” (cioè tutta la terra tra il fiume e il mare)? Questo costituisce una divisione fondamentale. Coloro che vedono Israele soprattutto come la ridotta sicura in cui gli Ebrei avevano potuto fuggire dopo l’olocausto europeo, sono naturalmente più cauti di fronte al rischio di una guerra più ampia (con Hezbollah) – una guerra che potrebbe vedere le “retrovie” civili attaccate direttamente dal vasto arsenale missilistico di Hezbollah. Per questo gruppo di elettori, la sicurezza è fondamentale. D’altra parte, la maggioranza degli israeliani considera il rischio di una guerra più ampia come inevitabile – anzi, per molti è da accogliere con favore, se si vuole che il progetto sionista si affermi pienamente sulla Terra d’Israele.

Questa realtà può essere difficile da comprendere per gli occidentali laici, ma il 7 ottobre in Israele ha rivitalizzato la visione biblica, piuttosto che suscitare un eccesso di cautela nei confronti della guerra o un desiderio di riavvicinamento agli Stati arabi. Il punto è che una “nuova guerra d’indipendenza” può essere venduta al pubblico israeliano come una “visione” metafisica della strada da seguire, mentre il governo israeliano tenta di perseguire la strada più banale del gioco lungo, che porta al pieno controllo militare della terra tra il fiume e il mare e all’allontanamento delle popolazioni che non si sottomettono all’ordine di Smotrich di “acquietarsi o andarsene”. Lo scisma tra Israele come “spazio sicuro” laico e post-olocausto e la contrastante visione biblica e sionista determina tra le due correnti un confine poroso e a volte incerto. Ciononostante, questa frattura israeliana si è riversata nella politica statunitense e, in modo più diffuso, è entrata anche nella politica europea. Per la diaspora ebraica che vive in Occidente, mantenere Israele come spazio sicuro è di vitale importanza perché, nella misura in cui Israele diventa insicuro, gli Ebrei sentono la propria insicurezza personale peggiorare di pari passo. In un certo senso, la proiezione israeliana di una forte deterrenza in Medio Oriente è un “ombrello” che si estende anche alla diaspora. Vogliono la tranquillità nella regione. La “visione” biblica ha, per loro, un taglio francamente troppo polarizzante. Eppure, sono proprio le strutture di potere che si sforzano di sostenere nella coscienza occidentale il paradigma dell’uomo forte israeliano, che ora scoprono che i loro sforzi tendono a ridurre a brandelli le strutture politiche occidentali da cui dipendono, alienando così i principali elettori, in particolare i giovani. Un recente sondaggio condotto in Gran Bretagna tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni ha rilevato che la maggioranza (54%) concorda sul fatto che “lo Stato di Israele non dovrebbe esistere”. Solo il 21% non era d’accordo con questa affermazione. Lo sforzo della Lobby per costringere l’Occidente a sostenere unitamente Israele e i suoi obiettivi di deterrenza – unito alla mancanza di empatia umana per i palestinesi – sta infliggendo pesanti perdite alle strutture di leadership istituzionali, mentre i partiti mainstream si frammentano in direzioni diverse. Il danno è aggravato dal “punto cieco della realtà” dei pacifisti occidentali. Lo sentiamo ripetere in continuazione: l’unica soluzione è quella di due Stati che vivano pacificamente fianco a fianco sulle linee del 1967 (come sancito dalle risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite). Oltre che in Occidente, lo stesso mantra viene ripetuto (come ci ricordano i pacifisti) anche dalla Lega Araba. Sembra così semplice.

È davvero “semplice”, ma solo perché ignora la realtà che uno Stato palestinese di questo tipo potrebbe essere sovrano solo con la forza, con la forza militare. La realtà è che ci sono 750.000 coloni che occupano la Cisgiordania e Gerusalemme Est (e altri 25.000 coloni che vivono sulle alture siriane del Golan). Chi li rimuoverà? Israele non lo farà. Molti coloni sono fanatici e combatteranno fino all’ultimo. Erano stati invitati e collocati lì negli anni successivi alla guerra del 1973 (in gran parte dai vari governi laburisti), proprio per ostacolare la nascita di un eventuale Stato palestinese. Ecco la domanda a cui non rispondono coloro che dicono che “la soluzione è semplice”, due Stati che vivano fianco a fianco in pace: l’Occidente ha la volontà o la determinazione politica di istituire uno Stato palestinese con la forza delle armi, contro l’attuale volontà della maggioranza degli israeliani? La risposta, inevitabilmente, è “no”. L’Occidente non ha la “volontà” – e sorge il sospetto che, in cuor suo, lo sappia. (Forse c’è il desiderio di una soluzione e l’inquietudine che, in assenza della “calma a Gaza”, le tensioni aumenterebbero anche nella diaspora).

La dura verità è che la Resistenza ha compreso la realtà della situazione meglio delle sue controparti occidentali: dal processo di Oslo del 1993, la prospettiva di un presunto Stato palestinese si è solo allontanata, anziché progredire di un millimetro. Perché l’Occidente non ha intrapreso azioni correttive per tre decenni e si è ricordato del dilemma solo quando è diventato una crisi? La Resistenza ha compreso molto bene l’insostenibile contraddizione intrinseca di un popolo che si appropria di diritti e privilegi speciali rispetto a un altro, che condivide la stessa terra, e che un tale scenario non potrebbe persistere a lungo, senza spaccare la regione (lo testimoniano le guerre e le devastazioni a cui il mantenimento del paradigma esistente ha già portato). La regione si trova sull’orlo del baratro e gli “eventi” possono spingerla oltre in qualsiasi momento, nonostante gli sforzi degli attori regionali per controllare il movimento incrementale dell’escalation. Questa sarà probabilmente una lunga guerra. E una soluzione potrà emergere solo se Israele, in un modo o nell’altro, affronterà la contraddizione del paradigma interno al Sionismo e inizierà a vedere il futuro in modo diverso.

E di questo, per ora, non c’è traccia.

Alastair Crooke (tradotto da Markus) 

 
Atlantismo ottuso delle sinistre PDF Stampa E-mail

12 Giugno 2024

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 Da Rassegna di Arianna del 10-6-2024 (N.d.d.)

Tra le varie analisi sbilenche del voto europeo ce n'è una, diffusissima, che lega il (relativo) progresso dei partiti di destra o nazionalisti nel panorama politico all'atmosfera bellicista, secondo la logica che associa la destra alla temperie guerrafondaia. Si tratta di un'analisi che oltre ad esprimere una preoccupante cecità alla realtà, risulta particolarmente dannosa. Essa infatti fornisce l'ennesimo alibi ai molti benpensanti, che continuano a leggere la politica con categorie binarie di cent'anni fa (sinistra - destra, progresso - reazione, pacifismo - bellicismo, ecc.). Ora, se c'è una cosa chiara è che le forze politiche che più hanno alimentato il bellicismo nel panorama europeo sono state forze di centro (i "moderati per la nuclearizzazione", tipo la Von der Leyen) e forze sedicenti progressiste, di sinistra o centro sinistra (dall'SPD di Scholz, a Renaissance di Macron, ai Verdi della Annalena Baerbock).

Le forze di destra premiate dalle elezioni sono quasi tutte (l'unica significativa eccezione è la nostra Meloni) contrarie alla guerra, contrarie a spedire armi all'Ucraina, contrarie alle sanzioni alla Russia (non per russofilia, ma perché consapevoli che danneggiano più noi che la Russia). Anche dove la destra al governo non viene premiata, come in Ungheria, essa è sfidata su questioni di corruzione interna, non sulla linea politica. Accade così che in Ungheria i due primi partiti siano Fidesz con il 46% seguito da Tisza, guidato da un fuoriuscito da Fidesz con il 31%, con un'agenda di politica estera indistinguibile da quella di Orban. La minaccia della guerra e il contenimento dell'autolesionismo economico dell'Europa sono i punti su cui la destra ha vinto, dove ha vinto. Che su questi temi la sinistra non riesca a battere un colpo da tempo è un dato su cui meditare.

Negli eredi storici dei partiti socialisti e popolari - oltre che nei Verdi - oggi prevale un atlantismo ottuso, una visione manichea e fortemente ideologizzata della storia e della politica, prevale soprattutto una visione del mondo sconcertantemente astratta, che ha perso ogni contatto con il senso comune prima ancora che con i beni comuni. È quell'astrattezza europea che mette a posto le sedie del Titanic (con eroiche battaglie su diritti LGBTQ, auto elettriche e certificazioni termiche) mentre ci prepara alla guerra col sorriso sulle labbra (la CO2 fa malissimo, ma quanto alle radiazioni ionizzanti e all'uranio impoverito, ecchessarà mai).

Le forze di destra che escono vincitrici, come l'AfD o, con agenda molto più annacquata, il Rassemblement National della Le Pen, non rappresentano però delle risposte realistiche al disorientamento corrente dell'elettorato. Sono qualcosa di più di un mero voto di protesta, ma qualcosa di meno di un voto per un'alternativa. Nonostante qualche segno interessante, come il buon successo del Bündnis Sahra Wagenknecht in Germania, di un'alternativa programmaticamente solida non si vede ancora traccia.

PS. Comunque accetto scommesse che la politica europea non cambierà di una virgola. Perché non è decisa in Europa.

Andrea Zhok

 
Rischia la vita chi osa opporsi al pensiero unico PDF Stampa E-mail

11 Giugno 2024

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 Da Rassegna di Arianna del 9-6-2024 (N.d.d.)

“Il 15 maggio, a Handlova, un attivista dell'opposizione slovacca ha cercato di assassinarmi a causa delle mie idee politiche. Un grande team medico mi ha evitato il peggio. Se tutto si svolgerà in modo ottimale, potrò riprendere gradualmente il lavoro tra la fine di giugno e l'inizio di luglio. È tempo di fare un primo passo. E tale passo consiste nel perdono. Non provo alcun odio verso la persona sconosciuta che mi ha ferito a colpi di arma da fuoco. Non intraprenderò alcuna azione legale attiva contro di lui né chiederò un risarcimento danni. Lo perdono e lascio che affronti ciò che ha fatto, e il motivo per cui l’ha fatto, risolvendolo da sé nella sua mente. Alla fine, è evidente che l'attentatore è solo un messaggero del male e dell’odio politico che l’opposizione politicamente fallita e frustrata ha sviluppato in Slovacchia in proporzioni incontrollabili. Ci si può aspettare che i media anti-governativi, le organizzazioni non governative politiche finanziate dall’estero e l’opposizione inizino a minimizzare il tentativo di uccidermi. Diranno che si è trattato solo di un attacco da parte di una persona confusa mentalmente, che non ci sono collegamenti tra lui e l’opposizione, che il danno alla mia salute non è grave. Ho sempre protetto la mia vita privata, quindi anche ora mi limiterò a dire che l’attacco mi ha causato gravi danni alla salute, ripetute operazioni, molto dolore e sofferenza. Sarà un piccolo miracolo se riuscirò a tornare al lavoro tra qualche settimana. Vorrei chiedere ai media anti-governativi, specialmente quelli co-posseduti dalla struttura finanziaria di Soros, di non intraprendere questa strada e di rispettare non solo la gravità delle ragioni del tentato omicidio, ma anche le conseguenze di questo tentativo. Come si comporterebbero se qualcosa di simile accadesse a uno dei leader dell’opposizione slovacca e se l’aggressore avesse legami con il mio partito, lo Smer? Non ho alcun motivo di credere che si sia trattato di un attacco da parte di un individuo folle. Per diversi mesi avevo comunicato pubblicamente che la probabilità di un attentato contro un politico di governo in Slovacchia si stavano facendo sempre più reali. L’avevo detto ai media e nelle conferenze stampa, l’avevo detto a tutti gli ambasciatori Ue e Nato presenti in Slovacchia. Qualche settimana fa avevo persino chiesto ai miei ministri di non andare tra la folla. No, non avevo alcuna informazione di intelligence; ma la mia esperienza di 32 anni in politica mi aveva messo in guardia. Durante la mia lunga carriera politica, mi sono sempre basato sul fondamentale diritto politico di avere un’opinione diversa. E non sono d’accordo, in linea di principio, con una politica che imponga una singola opinione corretta, cosa che oggi alcune tra le maggiori democrazie occidentali stanno conducendo con fermezza. Rifiuto l’interferenza negli affari interni di altri paesi o l’esportazione forzata della democrazia in paesi che abbiano scelto di seguire la propria strada.

La Slovacchia non ha gli strumenti economici e militari per imporre con la forza i propri interessi. Dobbiamo quindi cercare costantemente di garantire il pieno rispetto del diritto internazionale e avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, senza riguardo per le grandi potenze che sono coinvolte. Se un piccolo paese come la Slovacchia ha leader politici con queste qualità, non è sempre facile gestire le relazioni internazionali. Non tutte le maggiori democrazie sono state entusiaste quando mi sono opposto al bombardamento di Belgrado o quando ho ritirato le truppe slovacche dall’Iraq, quando ho bloccato l’introduzione di quote obbligatorie per i migranti illegali o quando ho fermamente rifiutato la proposta di abolire il diritto di veto per gli Stati membri dell’Ue. Una politica estera slovacca sovrana e assertiva, che deriva certamente dall’adesione all’Ue e alla Nato, ma è orientata verso tutte e quattro le direzioni cardinali, non è certo un fenomeno ora apprezzato. La situazione nei rapporti tra la mia rappresentanza politica e i partner dell’Ue e della Nato si è incrinata dopo l’attacco russo all’Ucraina, dove ci siamo rifiutati di fornire all’Ucraina qualsiasi assistenza umanitaria e militare, e dove continuiamo a dare la priorità assoluta alla pace rispetto alla guerra. È proprio il conflitto in Ucraina che ha ulteriormente rafforzato, addirittura santificato, il concetto dell’unica opinione corretta nell’Ue e nella Nato, e cioè che la guerra in Ucraina deve continuare a tutti i costi allo scopo di indebolire la Federazione Russa. Chiunque non aderisca a questa unica opinione obbligatoria viene immediatamente etichettato come agente russo e viene emarginato politicamente a livello internazionale. È una cruda constatazione, ma nell’Ue non esiste più il diritto ad avere un’opinione diversa.

Dopo la vittoria alle elezioni parlamentari del settembre 2023, quando lo Smer è riuscito a formare il mio quarto governo, si è iniziato ad assistere ad assurdità. Il gruppo dei Socialisti Europei, di cui lo Smer è membro di lunga data, invece di congratularsi per la vittoria elettorale ne ha sospeso l’adesione, chiaramente per opinioni diverse sulla guerra in Ucraina e per la nostra riluttanza a sostenere opinioni estreme su questioni etiche. Durante la riunione del Quartetto di Vishegrad a Praga, c’è stato un tentativo, fortunatamente fallito, di distruggere questa importante struttura di cooperazione regionale con la motivazione che la Slovacchia e l’Ungheria hanno opinioni diverse su certe questioni internazionali. L’indisponibilità di alcune maggiori democrazie a rispettare il concetto di una politica estera slovacca sovrana e assertiva è diventata un punto di forza per l’opposizione slovacca, che nel 2020 era giunta al potere dopo aver grossolanamente abusato politicamente, contro il mio terzo governo tra il 2016 e il 2020, dell’omicidio (non ancora chiarito) di un giornalista e della sua ragazza. Il governo formato dall’opposizione tra il 2020 e il 2023 si era pienamente sottomesso agli interessi dei grandi paesi e, soprattutto dopo l’inizio della guerra in Ucraina, aveva immediatamente adottato il concetto dell’unica opinione corretta. Quel governo aveva letteralmente saccheggiato le forze armate slovacche, riducendo drasticamente la capacità difensiva della Slovacchia e schierandosi acriticamente dalla parte dei paesi che spingono per una soluzione militare del conflitto in Ucraina. Per questo, all'epoca, in Slovacchia il governo poteva fare quello che voleva. Tra il 2020 e il 2023 c’è stato un massiccio abuso del diritto penale per eliminare l’opposizione. Rappresentanti dell’opposizione sono stati incriminati e imprigionati senza prove. E ci sono stati decessi sospetti in custodia cautelare.

Come leader dell’opposizione, sono stato incriminato quattro volte senza motivo per attività politica. Per tre anni abbiamo avvertito l’Ue della situazione in Slovacchia, ma non è stata espressa nemmeno una parola di critica sulla qualità dello stato di diritto in Slovacchia e sui comportamenti del governo nell’abuso del diritto penale per eliminare l’opposizione. Nessuno, né nell’Ue né tra i rappresentanti delle singole maggiori democrazie occidentali, ha chiesto nemmeno una volta spiegazioni sulla morte dell’avvocato Krivočenko, su quella del generale Lučanský e sui procedimenti penali palesemente manipolati. Per le democrazie maggiori, era molto più importante avere a disposizione in Slovacchia forze politiche pronte a fare qualsiasi cosa per interessi stranieri, anche se in netto contrasto con le priorità nazionali slovacche. Dopo le elezioni parlamentari del settembre 2023, quando lo Smer ha formato il mio quarto governo, ha nuovamente confermato, insieme ai suoi partner di coalizione, la politica di una politica estera slovacca sovrana e assertiva, orientata verso tutte e quattro le direzioni cardinali. L’attuale opposizione, incoraggiata dalla connivenza delle maggiori democrazie tra il 2020 e il 2023, ha continuato ad attaccare e accusare il governo. Sapeva e sa che promuovere il diritto a un’opinione diversa e una politica estera slovacca sovrana e assertiva non ha un grande sostegno nelle organizzazioni internazionali di cui la Slovacchia è membro. E allo stesso tempo ha chiaramente fatto capire che è a favore dell’unica opinione obbligatoria: l'opposizione è per la guerra in Ucraina, è per l’abolizione del diritto di veto e considera la Russia e la Cina come nemiche mortali. Dalle elezioni del settembre 2023, nessuno sta più ostacolando l’aggressività crescente e ben nutrita dell’opposizione, né i media, né le organizzazioni non governative, né il capo dello Stato, né Bruxelles né la Nato.

Le minacce fisiche a importanti politici di governo, come nel caso del deputato del Parlamento slovacco Erik Kaliňák e di sua moglie o di Ľuboš Blaha, sono quindi diventate la norma accettabile per gli aggressivi rappresentanti dell’opposizione. L’odio e l’aggressività dell’attuale opposizione, coperti e tollerati dai media influenti, dalle Ong finanziate dall’estero e, purtroppo, dalle indifferenti organizzazioni internazionali, hanno raggiunto il culmine dopo il successo del candidato di coalizione Peter Pellegrini alle elezioni presidenziali della scorsa primavera. La “Bratislava per bene” attacca aggressivamente, spesso anche fisicamente, i rappresentanti del governo. L’opposizione invia provocatori pagati alle celebrazioni delle festività nazionali, che insultano gravemente i funzionari costituzionali. Gli attori apparsi ai raduni dell’opposizione attaccano i rappresentanti del governo durante gli spettacoli teatrali, mentre le dirette televisive sono gravemente strumentalizzate. L’opposizione non mostra alcun rispetto per le autorità e per i risultati delle elezioni parlamentari democratiche. Aggiungo che, dopo la nostra vittoria del 2023, non abbiamo attuato alcuna rappresaglia in risposta ai crimini commessi dall'opposizione quando era al governo dal 2020.

Cari amici, il 15 maggio a Handlova non ha avuto luogo l’attacco di un folle. L’opposizione sta sfruttando il modo in cui le maggiori democrazie impongono l’unica opinione obbligatoria sulle questioni-chiave di politica estera e rifiutano le posizioni sovrane dei piccoli paesi. Nella politica interna slovacca, ciò si traduce nel fatto che qualsiasi eccesso violento e di odio contro il legittimo potere governativo è tollerato a livello internazionale senza alcun commento. L’opposizione non è stata in grado di determinare, perché nessuno l’ha costretta a farlo, il punto critico dove la sua politica aggressiva e piena di odio ha condotto una parte della società. Ed è stata solo una questione di tempo, prima che si verificasse una tragedia. Oggi ho già detto che, dopo quello che mi è successo il 15 maggio, quando a Handlova non sono andato tra la folla, ma mi sono solo diretto verso un piccolo gruppo di persone che mi salutavano amichevolmente, dovrei essere pieno di rabbia, odio e sete di vendetta. L’opposizione a un politico con cui non sei d’accordo non si risolve sparandogli addosso. Al contrario, vorrei esprimere la convinzione che tutto quel dolore che ho attraversato e sto attraversando servirà a qualcosa di buono. La gente ha potuto vedere con i propri occhi quale orrore può accadere se qualcuno non è in grado di competere democraticamente e rispettare un’opinione diversa. Nemmeno io sono un angelo, politicamente: so essere duro. Nemmeno i governi che ho guidato sono stati e sono perfetti. Sicuramente molte cose si sarebbero potute fare in modo diverso. E proprio l’alternativa di fare le cose in modo diverso e migliore, di avere opinioni diverse, deve essere la base elementare di qualsiasi competizione democratica degna di questo nome. L’alternativa non può essere quella di imprigionare un avversario senza motivo o di ucciderlo in modo subdolo. L’opposizione dovrà riflettere, su questo. Se persiste nel suo attuale atteggiamento, l’orrore del 15 maggio - che tutti avete avuto la possibilità di vedere praticamente in diretta - continuerà: e ci saranno altre vittime. Non ho alcun dubbio, su questo, nemmeno per un secondo.

Cari amici, in conclusione voglio ripetere il mio ringraziamento ai medici e al personale sanitario di Banská Bystrica: sono stati eccezionali. Non posso dimenticare nemmeno il personale sanitario di Handlova e il servizio di ambulanza aerea. Grazie anche a voi, per tutte le dimostrazioni di sostegno. Sto apprendendo solo ora l’entità di questo sostegno: è stato e rimane incredibile, e lo apprezzo molto. Spero che la società si calmi e che ci rincontreremo presto in modo significativo e pacifico. Buona fortuna a tutti. E incrociate le dita per me”.

(Discorso alla nazione pronunciato il 5 giugno 2024 dal primo ministro slovacco Robert Fico, miracolosamente sopravvissuto all'agguato dello scorso 15 maggio, in cui è rimasto gravemente ferito)
 
La società dei codardi PDF Stampa E-mail

8 Giugno 2024

 Da Comedonchisciotte del 5-6-2024 (N.d.d.)

Mi trovo spesso a guidare lungo una strada accanto a una scuola che è piuttosto difficile da percorrere perché sovente ostruita da numerosissime auto, parcheggiate ovunque, di solito con una sola persona a bordo ad aspettare. Si tratta dei genitori (genitore uno oppure due ma forse possono essere tre) o chi per loro, degli studenti che si sentono obbligati e probabilmente lo sono davvero, ad andare a prendere i figli all’uscita per evitare i terribili pericoli che il percorso fino a casa comporta per dei minorenni non protetti. Io che ho frequentato le scuole negli anni 60/70 quando la società era barbara e primitiva e questo salvifico uso non era ancora invalso,  lo so bene chi incontravo per strada. Si assume infatti che le nostre città siano sommamente insicure anche per i grandi, ma per i giovani i rischi sono ancora maggiori e la televisione e la rete ce li ricordano di continuo: i pedofili, gli spacciatori, gli assassini e i maniaci sempre in attesa con la bava alla bocca, il traffico che sfreccia a trenta all’ora rischiando di investire i pargoli, l’inquinamento dell’aria che gli avvelena i polmoni, i bulli sempre pronti a colpire nei momenti in cui non c’è sorveglianza, i minorenni che per definizione sono un pericolo per loro stessi, almeno finché non scatta il fatidico calendario ed allora diventano magicamente coraggiosi e responsabili. Chi mai li sorveglierebbe in questo spazio vuoto dalla casa alla scuola se fosse loro permesso di percorrerlo in autonomia, senza neppure, che so, il maestro di danza? Certo, ognuno di loro ha un telefonino, costantemente connesso alla rete, ma sfortunatamente i pargoli sono poco propensi a rimanere in collegamento con i genitori (o magari con la polizia), sovente sono più portati a fare giochini sparatutto o pettegolezzi sui social, per cui restano pericolosi spazi di vuoto anche di interi minuti. Che contatti potrebbero avere in quel percorso, cosa potrebbero dirsi, quali idee tutt’altro che solidali affacciarsi alle giovani menti? Vedete che andare a prenderli in auto è indispensabile anche se dovessero abitare a pochi metri dalla scuola. E’ una questione di sicurezza e di fronte alla sicurezza nient’altro conta, non certo l’autonomia, la libertà, il buon senso, magari neanche la vita stessa. Naturalmente giovani così allevati hanno le migliori probabilità di diventare adulti sani, autonomi e responsabili.

Nell’ufficio dove lavoravo si facevano a cadenza periodica delle “esercitazioni a sorpresa” per essere certi di come comportarsi in caso di incendio. Si dava sommesso preavviso che il giorno tal dei tali si sarebbe svolta l’esercitazione “a sorpresa” così che ognuno si poteva preparare se per caso aveva da sbrigare qualche commissione veloce. L’esercitazione si presentava come complessa e articolata, ma era in realtà molto semplice, consisteva nel far suonare una sirena, allorché tutti dovevano allontanarsi il più velocemente possibile (ma naturalmente senza correre e senza panico), dal posto di lavoro, scendere le scale (mi raccomando di evitare l’ascensore), ed infine ritrovarsi tutti per la strada in punti predisposti a ridacchiare della goffaggine di qualche collega. La semplicità della manovra contrastava con la complicatissima serie di incarichi dai nomi drammatici che venivano affidati a molti, importanti sulla carta, ma che all’atto pratico si risolvevano in nulla. Ovviamente non si poteva pretendere che tutti la prendessero seriamente dal momento che la gente sapeva che non stava succedendo nulla, però alcuni erano davvero più convinti ed erano invariabilmente quelli più in alto nella scala gerarchica. Non che ci credessero davvero, ma in grazia del mestiere dovevano fingere di sì per fare bella figura. Del resto fingevano pure di credere a tutte le ultime strategie di marketing che le agenzie internazionali (americane), di volta in volta  escogitavano per giustificare la parcella da consulenti. La probabilità di una vera emergenza era in pratica trascurabile e a memoria d’uomo non era mai accaduto nulla di pericoloso in ufficio, tranne quella volta che un impiegato aveva detto “vado a prendere il caffè” e poi si era buttato sotto un treno alla vicina stazione, ma questo è un altro tipo di rischio. Se il pericolo non c’è ed è altamente improbabile che mai ci sarà, che senso ha preoccuparsene? Se lo facessimo per tutti i pericoli di analoga probabilità, non avremmo tempo per fare altro. Ma nella società dello spettacolo, la recita pare essere indispensabile. La facevamo persino a scuola.

Tutti sanno che prevenire è meglio che curare e tutti i professionisti del settore consigliano di controllare continuamente il proprio stato di salute al fine di poter intervenire per tempo nel caso insorga qualche malattia senza annunciarsi. Oggi la medicina è estremamente specializzata e noi abbiamo molti organi diversi. Se vogliamo controllarli tutti, periodicamente, uno alla volta, vedrete che saremo costantemente occupati a saltare da una visita all’altra, anche perché non è improbabile che qualche cosetta da approfondire con ulteriori esami, venga fuori. Va da sé che, per quanto possiamo impegnarci, un giorno una malattia ci ucciderà comunque ed è anche questo un fatto da tenere in considerazione. Dobbiamo dunque vivere in una costante ricerca di eventuali patologie? Oppure controllare solo di tanto in tanto e parzialmente la nostra salute? E nel caso, dobbiamo farlo nella misura suggerita dal medico curante (se riuscite a rintracciarlo), dalla televisione, dalla Pfizer , dall’organizzazione mondiale della sanità? O magari come ci pare a noi che però siamo incompetenti e, come ribadivano sempre le Virostar pandemiche, non dovremmo neppure aprire bocca senza o in carenza dei prescritti titoli. Certo che a rigore questa non è prevenzione, ma controllo. La prevenzione dovrebbe consistere nell’adottare uno “stile di vita”, come va di moda dire,  che eviti, per quanto possibile, le malattie, non nello scoprirle quando già ci sono. Solo che uno stile di vita salutare e sicuro è spesso meno piacevole e comporta delle rinunce che possono essere più o meno importanti a seconda della psicologia delle persone che sono chiamate a farle. E, ancora una volta, per quanto salutare possa essere il nostro stile di vita, ci dà solo una probabilità maggiore di una vita più lunga e sana, ma non ci garantisce nulla ed è comunque  certo che qualunque cosa facciamo soccomberemo. Nemini parcetur. Ma allora qual è la giusta misura, il giusto compromesso del vivere bene? Chi lo decide? In anni recenti abbiamo avuto ottimi esempi di cosa succede quando a decidere sono i vertici della società della paura: il governo ha ritenuto opportuno prima metterci ai domiciliari, poi imporre un medicinale obbligatorio a tutti i sani, medicinale che, lo ricordo, non era in realtà un vaccino, dato  che per vaccino s’intende qualcosa che impedisca di prendere la malattia, cosa che, per esplicita ammissione dei produttori, il medicinale in questione non faceva. Certo che se poi decidiamo convenzionalmente di chiamare “vaccino” mia nonna, anche lei diventa un “vaccino”, ma così le parole non hanno più un senso.  Ci si chiede: a conti fatti, era più pericoloso il medicinale imposto, o la malattia che intendeva attenuare? Chissà. Forse dipende dalla persona, dalla situazione, ma non mi risulta che nulla di tutto ciò sia mai stato preso in considerazione.  E la paura, tanto generosamente sparsa dai media, serviva a salvaguardare la salute pubblica o più banalmente a vendere il medicinale con bustarella ai competenti uffici? La paura, si sa, fa miracoli e la sicurezza è un’ottima scusa per vendere i gadget più vari, specie se, con un piccolo aiuto istituzionale, si rendono obbligatori, dai gilet arancioni alle catene da neve, dai ripetuti buchi nei muri delle cucine, alle ossessive “revisioni” delle caldaie e alle “linee vita” che ho scoperto non sono assicurazioni, ma cavi tesi sui tetti. Sicurezza prima di tutto. Eppure continuiamo a sentire dai telegiornali notizie di numerose morti sul lavoro che, guarda caso, non si verificano mai negli uffici dove si fanno le esercitazioni e il rischio è zero (no, zero non è un caso che si verifica in natura, ma quasi zero), ma piuttosto nei luoghi dove il rischio c’è davvero, ma non ci sono le esercitazioni.

Ultimamente hanno preso a metterci in guardia contro un altro insidioso pericolo, questa volta psichico: le notizie false, che portano la gente a credere, guarda un po’,  a ciò che non è vero. Come fosse un caso nuovo. In astratto eliminare le notizie false sembrerebbe un’idea mica male (ma chissà che fine farebbero i giornalisti!), purtroppo il problema di fondo resta sempre lo stesso direi da millenni: come si fa a decidere se una notizia è falsa o meno? E soprattutto, chi lo decide? Di fatto nessuno è mai riuscito a rispondere in maniera convincente a queste domande per cui  l’unico rimedio razionale sembra quello di non censurare nessuna notizia. Tuttavia nella società della super sicurezza esporre le fragili menti dei cittadini ad ogni soffio è ritenuta un’opzione eccessiva, per cui si preferisce evitare voci dissonanti da quelle di chi, per definizione, lavora per il nostro bene, e finiamo per ascoltare solo la voce del salumiere che ci assicura che il salame che vende è il migliore. Anzi l’unico. Curiosamente, nonostante il sistema si vanti di tentare di farci salvi da tanti rischi, persino da quelli piuttosto remoti come il percorso da casa a scuola o una nevicata novembrina a Palermo o magari una interpretazione non talmudica sul massacro dei palestinesi, pare non trovi affatto necessario tutelarci da rischi più probabili e concreti, come quello di rimanere senza lavoro o senza casa, oppure senza un accesso facile e tempestivo alle cure mediche. Non è rischioso vivere per strada e ripararsi dietro ai cartoni cosa che succede sempre più spesso nelle città occidentali?

Ma il massimo della discrepanza tra la tutela da rischi trascurabili (ma molto utili per il controllo sociale e/o per arricchire certe categorie di privati che sono poi quelli che realmente spadroneggiano la cosa pubblica), e la tutela da rischi molto più consistenti, è stato raggiunto, mi pare, ultimamente: a quanto pare tutti i governi occidentali, che poi sembrano uno solo, tanto poco si differenziano l’uno dall’altro, sono fermamente decisi a portarci in guerra (di nuovo), contro la Russia, che non è proprio San Marino, ma probabilmente la maggiore potenza militare (e nucleare) al mondo. Ma non sarà pericolosa questa iniziativa? Non potrebbe esporci a un rischio persino superiore a quello di non avere le catene da neve a bordo da novembre ad aprile? A qualcuno potrebbe sembrare di sì, ma probabilmente si tratta di terrapiattisti e teorici del complotto. Comunque non sarebbe male se ci spiegassero qual è il reale interesse del popolo italiano (ed europeo) ad imporre alla Russia sanzioni che hanno come risultato immediato quello di continuare a comprare petrolio russo, ma questa volta da terzi e a prezzo raddoppiato, magari fingendo di non sapere l’origine del prodotto. Qual è l’interesse italiano (o europeo) ad inviare armi, denaro e cannoni (contro la nostra stessa costituzione) in difesa di un governo golpista creato in una provincia russa da un complotto della Cia all’unico scopo di permettere all’élite statunitense di continuare a comandare il mondo? Non è spiacevole la prospettiva non troppo remota di finire vaporizzati in un conflitto nucleare che si svolgerebbe principalmente sul suolo europeo? Non è più preoccupante il rischio di un’esplosione nucleare su una delle numerose basi dell’esercito americano vicine alle nostre città rispetto a quello di trovarsi, Dio non voglia, senza una veste arancione in caso ci si guasti la macchina in una strada trafficata? Eppure nessuno o quasi nessuno sembra accorgersi dell’assurdità di tutto ciò: quasi tutti credono alla verità collettiva predicata dai media o dai saggi della tribù per quanto incredibile tale verità possa essere. Sarebbe infatti sufficiente pensarci su un momento in modo razionale,  provare, con un pizzico di umiltà, a smettere di dare per scontato ciò a cui vogliamo credere solo perché ci fa comodo crederlo e contemplare più oggettivamente le cose. Purtroppo non è così: se questo fosse davvero il comportamento degli individui e soprattutto delle masse, di certo non si continuerebbe a credere che l’Italia è stata liberata e non occupata da un esercito col quale il nostro governo di allora ha firmato una resa incondizionata. Un esercito che a settant’anni dall’invasione è ancora qui e ha provveduto a istallare basi militari dappertutto e continua a dettarci una politica estera e una interna che sono oramai palesemente a nostro danno,  servendosi di una classe dirigente a questo punto di livello intellettuale francamente imbarazzante all’uopo corrotta. Né, per altro, si crederebbe più a Cappuccetto Rosso o alle statue che piangono sangue. Cinquant’anni fa almeno si facevano rumorosi cortei contro la guerra in Vietnam, che pure non ci coinvolgeva direttamente, oggi quasi nessuno sembra avere da ridire su una guerra che ci coinvolge eccome, se non altro perché le nostre tasse vanno a pagare le armi per uccidere i russi (fateci caso, la sanità pubblica non ce la possiamo permettere ma i soldi per Zelensky si sono trovati immediatamente). Anzi, la possibilità di un uso “limitato” delle armi atomiche comincia oramai ad essere una possibilità contemplabile, sdoganata, per così dire. Tutto sommato pare più importante chiamare gli africani Neri anziché Negri, e fingere di essere ecocompatibili, sostenibili, solidali e di sesso variabile come i pesci. Non è bizzarro che la società dei codardi che si terrorizza per un raffreddore, non abbia paura di far la guerra alla Russia? Non andrà tutto bene.

Nestor Halak

 
L'evoluzione della fisica PDF Stampa E-mail

5 Giugno 2024

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 Da Rassegna di Arianna del 2-6-2024 (N.d.d.)

La fisica che si studia a scuola è essenzialmente basata sulla meccanica, almeno inizialmente: infatti si comincia con il movimento, i tre principi della dinamica o leggi di Newton: inerzia, proporzionalità fra forza e accelerazione, principio di azione e reazione. Questa fisica, nata nel mondo moderno due o tre secoli fa, si basa su un assunto della filosofia di Cartesio, cioè che l’osservatore e l’osservato siano ben distinti e quindi che esista un mondo reale e oggettivo al di là di ogni osservazione. In altre parole, mente e materia sono ben distinte, la materia è “esistente in sé”. Inoltre, l’astrazione newtoniana del “punto materiale” presuppone che il mondo osservato sia in definitiva riconducibile a tanti punti, o particelle piccolissime. La teoria atomica ha rafforzato questa visione, persistente anche quando si sono  ipotizzate particelle sempre più piccole (protoni, neutroni, elettroni, e così via). Anche la termodinamica, con la teoria meccanica del calore, si è mantenuta entro questa visione del mondo, battezzata dal fisico Fritjof Capra (1939-vivente): paradigma cartesiano-newtoniano.

Dal 1900 al 1930, più o meno, sono avvenuti, partendo soprattutto dalla fisica, rivolgimenti del pensiero scientifico conseguenti a formulazioni teoriche, sempre confermate, che hanno falsificato il paradigma cartesiano-newtoniano: tale modifica è tuttora in corso e procede molto lentamente. Sono i famosi Trent’anni che sconvolsero la fisica, titolo di un felice libro divulgativo di George Gamow. L’inizio è dato dalla relatività speciale o ristretta, enunciata da Einstein nel 1905, quando la fisica meccanicista o classica ha cominciato a vacillare: spazio e tempo hanno perduto ogni connotazione assoluta, materia ed energia sono diventate la stessa cosa.

 Ogni scienziato inserisce in genere le sue conoscenze in quello che oggi viene chiamato il suo paradigma, seguendo una felice definizione del filosofo Thomas Kuhn (La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1978). Mettiamo quindi in evidenza i due paradigmi maggiormente presenti nella scienza, seguendo la definizione di Fritjof Capra (Il punto di svolta, 1984): il paradigma cartesiano-newtoniano e il paradigma sistemico-olistico. Come sopra accennato, con il paradigma cartesiano-newtoniano tutte le conoscenze vengono inquadrate nell’ipotesi che l’universale sia una gigantesca macchina: in questo paradigma, di fatto tuttora in auge, ci illudiamo di separare i singoli problemi e risolverli uno per uno in modo lineare. Invece, nel paradigma sistemico-olistico non possiamo suddividere in parti l’universale: è necessario prendere in considerazione tutti gli effetti e le retroazioni fra i vari elementi e considerare il grado di complessità di un sistema, che non è divisibile in processi esaminabili singolarmente. Nel primo periodo dall’inizio della fisica, il paradigma principale vigente può essere considerato il determinismo di Laplace (primi decenni dell’Ottocento). Non c’è alcuna libertà, per nessuno, anche se una parte della scienza dell’epoca accettava un pizzico di libertà, ma attribuito soltanto “all’uomo”. Questa idea, allora “di maggioranza” fra i fisici, ha percorso tutto l’Ottocento e, da qualche parte fra il popolo e una fetta della scienza “ufficiale”, persiste ancora oggi. Nell’Ottocento si era ormai affermata la teoria atomica, dove gli atomi erano considerati indivisibili. Ma negli ultimi anni del secolo la scoperta della radioattività rese gli atomi non più indivisibili. Nel modello di Bohr-Rutherford, insegnato ancora oggi, l’atomo appariva come un sistema solare in miniatura, era fatto di “palline” ancora più piccole, ma la concezione di fondo restava ancora quella: esistevano le particelle elementari e il vuoto, attraverso il quale si propagavano le forze che le tenevano unite, o le distanziavano (molto simile a quella del filosofo greco Democrito). Con la relatività speciale, enunciata da Einstein nel 1905, spazio e tempo perdono ogni connotazione assoluta, materia ed energia diventano la stessa cosa. Tutto questo nasce dal fatto che la velocità della luce non è un infinito, è molto grande ma è un numero finito, e anche un invariante. L’unificazione energia-materia è stata accettata, ma ci sono voluti “gli episodi” di Hiroshima e Nagasaki per convincere le masse. Con la relatività generale (1916), la gravità newtoniana diventa la curvatura dello spaziotempo, ma la divisione cartesiana fra mente e materia resta totale. C’è un osservatore che guarda un mondo materiale realmente esistente. In altre parole, il paradigma non è più newtoniano, ma ancora ben saldamente cartesiano. Vagamente, c’è ancora la sensazione che la Natura si comporta come una macchina e non ha alcun genere di “aspetto mentale”, e che la mente sia un prodotto del cervello.

La rivoluzione più grande è iniziata nel 1927, proprio nella Fisica, quando lo scienziato tedesco Werner Heisenberg, dopo alcune meditazioni nell’isola di Helgoland, sul mare del Nord, ha enunciato il suo principio di indeterminazione, che inizialmente riguardava la posizione e la quantità di moto di una particella: il principio è stato poi confermato da Niels Bohr (con l’interpretazione di Copenaghen) e da tutti gli esperimenti successivi. Non si tratta di limiti dei nostri strumenti o dei nostri sensi, ma della natura del mondo. Posizione e velocità non sono determinabili esattamente entrambe. Se vogliamo definirne una, l’altra è completamente indeterminata, e tutto questo proviene da considerazioni matematiche: se il prodotto delle due indeterminazioni è sempre maggiore di una costante mai nulla (che contiene come fattore la costante di Planck), quando una delle due tende a zero (precisione assoluta), l’altra tende all’infinito (indeterminazione totale). Solo l’osservazione, cioè un fenomeno mentale, “sceglie” la grandezza da conoscere.  Ovunque, anche in tutte le grandezze delle espressioni matematiche, vi è un contenuto mentale. Il principio si applica ad altre coppie di grandezze, fra cui la coppia energia-tempo: se fissiamo un istante esatto, cioè vogliamo che l’indeterminazione del tempo sia nulla, la “particella” presenta una massa-energia totalmente indeterminata, il che significa che non è niente di definibile in alcun modo. Non si può separare il fenomeno dall’osservazione, non esiste alcuna realtà oggettiva, esistono solo relazioni, anche mentali. Il dualismo mente-materia è scomparso: non si possono separare. Queste “particelle” sono anche onde, l’Universale è fatto di vibrazioni e di frequenze.

L’indeterminazione applicata al binomio massa-tempo (o energia-tempo) portò a formulare il concetto di vuoto quantistico: non esiste alcuna particella né entità stabile, c’è solo una specie di vacuità creativa. Il dualismo vuoto-pieno è scomparso: “A” e “non-A” possono coesistere. Non esiste alcun “mattone fondamentale” della materia. Se si assume un istante preciso (indeterminazione del tempo nulla), la cosiddetta particella non ha alcuna massa-energia definibile in alcun modo: l’indeterminazione della massa tende all’infinito. Quindi viene messo in dubbio anche il significato della parola “esistere”.  Il cosiddetto “vuoto” è “pieno” di miriadi di particelle che nascono e muoiono in continuazione, vivendo meno del tempo massimo loro concesso. Tutto si riconduce al vuoto quantistico, cioè a una danza di energie che continuamente nascono nell’Essere e svaniscono nel Nulla. Il fisico austriaco Erwin Schroedinger era arrivato alle stesse conclusioni di Heisenberg, riuscendo a formulare l’equazione che porta il suo nome e che descrive l’andamento nel tempo di una probabilità. Ha inoltre enunciato il cosiddetto paradosso del gatto di Schroedinger: nel suo scatolone, il gatto è nella condizione di vivo/morto in quella ora fra la rottura/non rottura della fiala di cianuro e l’apertura dello scatolone da parte dell’”osservatore”. Tertium datur: qualcosa può anche esistere/non esistere contemporaneamente. Tutto si risolve nel vuoto quantistico, che è vuoto/pieno, una Vacuità creativa: così se ne va la visione atomistica di Democrito e dell’Occidente. Possiamo prendere a prestito energia dal Vuoto, pur di restituirla entro il brevissimo tempo che ci è concesso.

Nella seconda metà del Novecento lo studio dei sistemi portò a formulare le idee di sistema complesso e di essere collettivo. Un sistema che abbia un certo grado di complessità si evolve in modo da divenire completamente imprevedibile, anche in linea di principio: infatti si trova ben presto in qualche biforcazione-instabilità, o entra in uno stato caotico. La sua evoluzione non è prevedibile neanche in termini probabilistici. Nei punti di biforcazione il sistema sceglie di prendere una o un’altra via, in modo non determinabile da nessuna legge inerente al mondo energetico-materiale. Gli scienziati meccanicisti dicono che la via viene presa “a caso”, ma non sappiamo cosa questo significhi, né abbiamo alcun motivo per dire che si tratta di una scelta solo se il sistema in esame è il cervello umano. In altre parole, nei sistemi complessi si ha l’emergenza di fenomeni mentali. In alcune espressioni matematiche della fisica quantistica si trova al denominatore una differenza di frequenze, quindi, se le due frequenze sono quasi-uguali, la frazione tende all’infinito, indipendentemente dalla distanza, che può essere grandissima: ne nascono fenomeni non-locali. Forse le vibrazioni e le frequenze sono più importanti delle forze abituali della fisica “ottocentesca”, le distanze non contano… E l’entanglement? Le entità che sono state in contatto anche una sola volta resteranno collegate a qualunque distanza verranno a trovarsi…e istantaneamente, a una velocità che tende all’infinito.

La fisica di Newton persiste nelle scuole ma è superata su un piano “sottile” o filosofico. Di questo gli studenti non vengono neppure avvertiti, almeno inizialmente.  Infatti quella fisica è utile su un piano pratico-applicativo, perché il mondo macroscopico segue ancora, in gran parte, “quella” fisica, e al sistema interessa formare qualcuno che impara a “fare”, ad essere un tecnico, non qualcuno che “pensa”. In realtà, se – come abbiamo visto - non si può “spezzettare” nulla, e neppure fare “riduzioni al semplice”, né considerare le variabili come indipendenti, dato che le retroazioni sono numerosissime e intercollegate, riesce molto difficile in pratica trattare qualunque problema. Bisognerà comunque semplificare qualcosa, ma ogni sistema deve essere considerato come un sottosistema di quello totale, in realtà indivisibile. Comunque, sappiamo che nei sistemi complessi esiste sempre un limite temporale oltre il quale non è possibile fare alcuna previsione, neanche in linea teorica. Questo significa che, da un certo punto in poi, il sistema prende una via completamente imprevedibile sulla base dell’andamento precedente: in altre parole, si manifesta una scelta. Gli scienziati-filosofi materialisti-meccanicisti-cartesiani se la cavano attribuendo al caso l’andamento dopo la biforcazione, ma la parola caso è un’etichetta messa a tutto ciò che non sappiamo (o all’aspetto mentale?).

 Qualche citazione:

Qualunque cosa io dica, Vi prego di interpretarla come una domanda. (Niels Bohr)     L’unica legge è che non c’è nessuna legge. (John Archibald Wheeler) In contrasto con la concezione meccanicistica cartesiana del mondo, la visione del mondo che emerge dalla fisica moderna può essere caratterizzata con parole come organica, olistica ed ecologica. Essa potrebbe essere designata anche come una visione sistemica, nel senso della teoria generale dei sistemi. L’universo non è visto più come una macchina composta da una moltitudine di oggetti, ma deve essere raffigurato come un tutto indivisibile, dinamico, le cui parti sono essenzialmente interconnesse e possono essere intese solo come strutture di un processo cosmico. (Fritjof Capra) Oggi c’è una concordanza di vedute molto vasta – che tra i fisici raggiunge quasi l’unanimità – sul fatto che la corrente delle conoscenze si sta dirigendo verso una realtà non meccanica: l’Universo comincia ad assomigliare a un grande Pensiero piuttosto che a una grande Macchina.  (Arthur S. Eddington e James Jeans) Il problema è la visione del mondo meccanicistica che, malgrado tutto, risulta purtroppo ancora imperante. Dalla nuova Fisica non emerge una visione del mondo come costituito da oggetti separati che interagiscono urtandosi più o meno forte, ma una visione del mondo, invece, che scopre come grazie alla “sintonia” e all’interrelazione, alla cooperazione, si possano “evocare”, quasi magicamente, correlazioni inusitate, potenzialità finora inimmaginabili. (Roberto Germano)

Guido Dalla Casa

 
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