4 Luglio 2025 Da Rassegna di Arianna del 2-7-2025 (N.d.d.) C’è un passaggio, in un documento ministeriale pubblicato quasi in sordina all’inizio dell’estate, che dovrebbe far tremare le fondamenta della nostra Repubblica. È una frase contenuta a pagina 45 del nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021-2027 (PSNAI), approvato con grande ritardo e redatto tra le nebbie dei dipartimenti centrali. Si trova nell’“obiettivo 4: Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”. E recita: “Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento”. Non è una battuta, né un refuso. È la nuova linea di indirizzo strategico dello Stato verso centinaia di Comuni italiani, per lo più montani, collinari o rurali. Si tratta di un cambio di paradigma silenzioso ma devastante: si rinuncia ufficialmente all’idea di invertire la tendenza allo spopolamento. Si pianifica il declino. Lo si accompagna. Lo si normalizza. Per capire la portata della questione, bisogna risalire alla definizione di Aree Interne: sono quasi 4.000 Comuni italiani, sparsi in ogni regione, che si trovano lontani dai centri dove si concentrano servizi essenziali come sanità, istruzione e mobilità. Coinvolgono oltre 13 milioni di cittadini, il 23% della popolazione, distribuiti su quasi il 60% del territorio nazionale. In pratica, l’Italia profonda. Quella che custodisce boschi, pascoli, acque, borghi storici, comunità coese. E che oggi si vede diagnosticare una malattia terminale. Nel PSNAI, approvato nel marzo 2025 ma diffuso solo ora, lo Stato compie una distinzione netta tra territori rilanciabili e territori senza speranza. I secondi, si legge, hanno una struttura demografica compromessa, con popolazione in forte declino e basse prospettive di sviluppo. E quindi, si conclude, non possono avere obiettivi di rilancio. Ma cosa significa, in pratica? Significa che non si investirà più per trattenere giovani o attrarne di nuovi. Che non si costruiranno più servizi in quei luoghi. Che si pianificherà una dignitosa decadenza: un welfare del tramonto che fornisca badanti e medicine, ma non opportunità né speranza. Un gruppo di studiosi, amministratori e attivisti, riuniti il 12 giugno dal CERSTE, ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno: questo documento è un verdetto, non una strategia. E viola in spirito l’articolo 3 della Costituzione, là dove parla dell’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano l’eguaglianza e la partecipazione di tutti i cittadini. Invece di rimuoverli, li si consacra. Si adottano criteri tecnici tempi di percorrenza, densità, indicatori statistici che ignorano la realtà sociale e culturale dei luoghi. Si dimentica che molte fragilità sono state indotte da scelte politiche e tagli strutturali. Che non si può misurare la vitalità di un borgo solo coi numeri dell’anagrafe. Le implicazioni economiche sono enormi. Si accentua la polarizzazione tra città affollate e campagne abbandonate. Si crea un’Italia a doppia velocità dove le periferie non sono più nemmeno oggetto di recupero, ma di gestione passiva. Eppure, proprio in quei territori ci sarebbero opportunità strategiche: agricoltura sostenibile, turismo lento, energie rinnovabili, coesione sociale, difesa idro-geologica. Il paradosso è che nel resto d’Europa, dalla Francia ai Paesi nordici, le aree rurali sono oggetto di investimenti e valorizzazione. Hanno rappresentanza istituzionale, accesso a fondi dedicati, programmi a lungo termine. In Italia, invece, si preferisce accompagnare al tramonto. Non è solo un errore tecnico. È un messaggio devastante: Non contate più. È anche una questione di dignità: le comunità che resistono nelle Aree Interne non vogliono compassione. Vogliono giustizia, possibilità, strumenti. Questo è il punto che il PSNAI ignora. Le Aree Interne non sono solo problemi da contenere, come pare emergere dal documento. Sono risorse da liberare. E se l’Italia vuole davvero essere una nazione coesa, deve smettere di pensare in termini di resa amministrativa e tornare a fare politica, nel senso più alto: ascoltare, valorizzare, scegliere. Perché un Paese che dichiara la fine di sé stesso, un borgo alla volta, sta smettendo di essere una Repubblica. Gabriele Busti
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28 Giugno 2025 Da Rassegna di Arianna del 27-6-2025 (N.d.d.) I capitalisti delle armi, delle banche e dei farmaci, che chiaramente guidano il mondo libero e democratico anche perché posseggono i mass media e decidono quale film della realtà proiettare alle masse affinché votino saggiamente, stanno mettendo a punto una tecnica di governance basata su sceneggiate belliche o guerre controllate. Guerre finte. È molto simile alle guerre senza fine del famoso 1984 di Orwell, concertate da una sovragestione globale che le fa combattere ai tre maxi stati in cui ha suddiviso il mondo, facendo credere agli abitanti di ciascuno di essi che siano guerre genuine e che lo stato cui appartengono stia realmente combattendo altri stati cattivi, e che abbia ragione, cioè diritto a bombardare. Stiamo infatti vedendo, ripetutamente, che vengono inscenate situazioni belliche e prebelliche controllate e che si rivelano tali a una semplice verifica dei fatti. Lo ha reso evidentissimo il recente intervento statunitense nello scontro tra Israele e Iran: i due paesi si colpivano reciprocamente con preavvisi in modo da limitare le perdite umane e non arrecarsi mutuamente gravi danni materiali e senza che le installazioni iraniane per la produzione dell’arma nucleare fossero disabilitate (né quelle israeliane). Israele e Stati Uniti hanno dichiarato che l’Iran era a poche settimane dalla realizzazione dell’arma nucleare ma la AIEA li ha smentiti attestando che l’Iran non stava dotandosi di tale arma. Alla AIEA si sono unite fonti delle intelligence di USA e Francia, nonché parte della stampa, e Trump li ha smentiti e redarguiti, e già si parla di licenziamenti punitivi di questi giornalisti poco patriottici. Lo stesso medesimo Trump aveva preavvisato degli attacchi il governo iraniano, in modo che questo ha potuto mettere in salvo il materiale nucleare su una vistosa flotta di autocarri, la quale ha operato indisturbata da israeliani e americani. Trump ha inscenato una spettacolare, supertecnologica operazione di bombardamento dei cui esiti non c’è certezza; dal Pentagono è trapelato che i risultati sono stati modesti, però ha vantato di aver distrutto la capacità di costruire la bomba atomica. Questa operazione più psicologica che militare è stata ben descritta da Luttwak su Il Giornale del 25 giugno 2025. Luttwak ha sottolineato che Israele avrebbe potuto facilmente distruggere il terminale petrolifero iraniano di Khark, azzoppando finanziariamente il “nemico”, così come l’Iran avrebbe potuto bloccare lo Stretto di Hormuz, ma non lo ha fatto. L’Iran ha preannunciato rappresaglie tremende contro gli USA, ma si è limitato a sparare ridicoli colpi di mortaio su una loro base in Siria e a lanciare una dozzina di missili, preannunciati per telefono, contro un’altra base in Qatar, il tutto senza causare morti o danni. I mercati non hanno mai creduto che la guerra fosse reale e pericolosa; infatti, le borse hanno reagito blandamente e blandi sono stati pure gli incrementi del prezzo del petrolio. Poi ciascuno dei tre governi ha cantato vittoria. Ciascuno ha vinto. Ciascuno ha potuto farsi bello con la sua popolazione in senso propagandistico. Ciascuno ha anche beneficiato di una maggiore solidarietà patriottica intorno a sé stesso come conseguenza dei fatti bellici inscenati. Tutti mentono. Poi Trump sostanzialmente ha tagliato il sostegno militare a Israele, e con ciò ha costretto a cessare gli attacchi all’Iran, facendo così una bellissima figura mondiale, da premio Nobel, se la pseudopace reggerà. Se non reggerà, Nobel lo stesso, per aver eliminato la minaccia nucleare iraniana. Nella realtà, e per sua volontà, gli impianti nucleari iraniani sono stati preservati assieme al loro prezioso uranio già parzialmente arricchito, buoni per inscenare nuove minacce, così che il tutto potrà essere ripetuto ogniqualvolta divenga necessario. Ottimo modello di governance. C’è anche da dire che la storia stessa dell’arma nucleare iraniana ha qualcosa di poco credibile: se realmente il regime degli Ayatollah avesse voluto dotarsi di tale arma e con essa distruggere Israele, non l’avrebbe dichiarato 45 anni fa, rinnovando ad ogni occasione la promessa di farlo, senza mai farlo in -ripeto- 45 anni. Al contrario, non avrebbe dichiarato tale intenzione e si sarebbe dotato della suddetta arma in silenzio e rapidamente, per poi adoperarla al fine suddetto. In realtà, quel regime ha usato la promessa di distruggere Israele con la bomba atomica come uno strumento di psicologia politica per creare e mantenere mobilitazione e consenso nella popolazione nazionale e nel mondo islamico. Cioè, gli ayatollah, con quelle promesse-minacce, hanno aiutato assai i sionisti a giustificare le loro policies aggressive.
In Europa si sta svolgendo una strategia di moltiplicazione delle spese per gli armamenti incalzata da un clima di allarme artificioso circa la minaccia di invasione russa, alimentato dai mass media mainstream, dai capi di stato e di governo (tranne un paio) e dagli esponenti dell’arco neoliberista. Chi non lo alimenta, è eo ipso di ultradestra o ultrasinistra. Quella minaccia, nel mondo reale, non sussiste: la Russia non ha interesse a invadere l’Europa perché ha solo 145 milioni di abitanti su ben 17 milioni e mezzo di chilometri quadrati, con tutte le risorse naturali che vuole; del resto con una popolazione così piccola non potrebbe occupare un’area abitata da quasi mezzo miliardo di abitanti. D’altronde, poiché una guerra tra la Russia e il resto di Europa sarebbe combattuta inevitabilmente con armi nucleari, il riarmo europeo avrebbe senso soltanto se comprendesse la costruzione di un deterrente nucleare, mentre questo non è contemplato. Sostanzialmente, lo scopo del riarmo europeo così perseguito è far guadagnare l’industria degli armamenti che paga laute commissioni alla vendutissima politica, e dotare il potere politico di strumenti per un maggior dominio della popolazione in vista dell’imposizione di restrizioni alle libertà, ai consumi, all’occupazione. Nonché di permettere alla Germania di dare aiuti di stato alla sua industria, sabotata con l’automobile elettrica, e di ridurre il deficit commerciale USA. In Ucraina, un regime autocratico che si arricchisce con la guerra anche rivendendo a stranieri gli aiuti militari che riceve da noi, mantiene il proprio potere coltivando una guerra che sta lentamente perdendo, ma che gli consente di sospendere le elezioni, di chiudere tutti i mass media non allineati, di arrestare gli oppositori e di esercitare un controllo totale sulla popolazione – meno quella cospicua parte di essa che è scappata all’estero. Negli USA, il metodo in esame aveva già funzionato bene con la interminabile campagna di “guerra al terrore” dopo il più che dubbio fattaccio dell’11 Settembre, con le connesse menzogne della complicità dell’Iraq, delle sue armi di distruzione di massa, dei suoi legami con Al Qaida. Menzogne che funzionarono fino a “mission accomplished”. Nel tempo, però, la guerra al terrore si era fatta percepire come una montatura. Ma non è un problema: le montature basta che reggano qualche anno, poi se ne fanno di altre, perché tanto il popolo non ricorda e non impara. Prepariamoci pertanto ad essere stabilmente governati con i metodi sopra descritti. Marco Della Luna
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24 Giugno 2025 Da Rassegna di Arianna del 19-6-2025 (N.d.d.) Il modello multipolare alla prova dei fatti si riduce a una foto dei leaders dei Brics mano nella mano come in un'immagine pubblicitaria della Benetton. L'Iran ha subito un attacco di terrorismo internazionale che ricorda tremendamente quello fatto contro l'Iraq nel 2003. E non parliamo più di violazione del Diritto internazionale, perché questo non esiste più, anzi non è mai esistito alla prova dei rapporti di forza che regolano le relazioni internazionali. L'Occidente potrà essere detestabile e guerrafondaio quanto si vuole, ma rimane unito e solido nella comunità di intenti, con alleanze solide sul piano diplomatico e militare, e con una visione strategica coerente che mira alla distruzione di tutti i suoi nemici proprio nel momento storico per esso più difficile. L'Iran ha subito un attacco gravissimo che ha decapitato la sua leadership militare e scientifica da parte di Israele. In risposta la Russia e la Cina hanno espresso dichiarazioni che non vanno oltre le condizioni di circostanza. Ciò vuol dire che i Brics non sono che un'alleanza di facciata, un summit di grandi potenze non allineate ma disgiunte sul piano operativo comune quando si tratta di rispondere alle aggressioni del mondo unipolare occidentale, che alza la posta e non è disposto a fare nessun tipo di concessione ai suoi sfidanti. Se l'Iran dovesse essere abbandonato al suo destino e subire un attacco fatale con la complicità di un'America ostaggio dell’élite sionista neo-con, il modello multipolare soffrirebbe un colpo durissimo che ne mostrerebbe tutti i limiti e debolezze strutturali. La verità nuda e cruda che spiazza anche i sostenitori di un mondo non più a guida anglo-sionista-americano, è che Russia, Cina, India, più gli altri membri minori, non sono in grado e probabilmente non hanno nemmeno la volontà di perseguire politiche che abbiano un intento comune, perché divise da interessi che non vanno oltre la difesa dei propri obiettivi a breve-medio periodo. Non sappiamo che fine farà l'Iran, se subirà un cambio di regime come ripetono i media nostrani o se l'Ayatollah Khamenei possa cedere il passo al suo successore. Ciò che è certo è che questo non rappresenta un problema per Israele, che ne agogna la distruzione su modello Siria. Un Iran diviso in guerra tra bande, ennesimo teatro di quella strategia del caos dei neocon Usa del duo Rumsfeld- Chebrowsky che mira alla distruzione sistematica di quelle entità nazionali ribelli all'unipolarismo Anglo-sionista-americano. Sull'apparente silenzio della Russia, principale alleato dell'Iran nella regione, si avanzano speculazioni che la vedono concorde nello scambiare la Repubblica Islamica con la mano libera su Kiev. Possibile, ma se così fosse non sarebbe solo un tradimento di un alleato fondamentale nella regione, ma un errore che esporrebbe il fianco caucasico della Federazione al caos che si espanderebbe facilmente al suo interno. Questo al Cremlino lo sanno perfettamente e per questo non possono permettersi il rischio che un cambio di regime trascini l'Iran in uno scenario Iraq 2.0. Dietro le proposte di mediazione offerte da Putin e le condanna dell'attacco israeliano da parte della Cina, i Brics+ sono poco più di una sigla che sancisce qualche intesa economica, non certo un'unione politica coesa e coerente, non hanno nessuna struttura di difesa comune o di supporto strategico, né capacità di reazione concertata alle crisi internazionali. La Russia nello specifico, si trova in una situazione ambigua nei confronti di Israele e non vuole e non può compromettere i rapporti con Tel Aviv, complice la presenza di molti ebrei russi in Israele. La Cina, pur essendo partner commerciale e strategico dell'Iran, ben si guarda da un coinvolgimento diretto per timore di entrare in conflitto con l'Occidente compromettendo i rapporti con Washington, Israele e Medio Oriente (Belt and Road Initiative). In tale quadro l'India è un esempio emblematico di "multiallineamento" più che di multipolarismo, essendo alleato di Israele sul piano tecnologico militare e di intelligence, oltre ad essere un importante acquirente di sistemi d'arma Israeliani e alleato contro l'islamismo politico e che può solo guadagnarne da un concorrente regionale indebolito. Per non citare Brasile e Sud Africa il cui peso specifico nelle questioni geopolitiche è pressoché indeterminante. Se l'Iran dovesse cadere e gli USA dovessero venire coinvolti come in Iraq, con Russia e Cina a fare sostanzialmente da spettatori, l'Occidente collettivo sferrerebbe un colpo decisivo al modello multipolare, perché altri Paesi non allineati potrebbero subire eguale sorte. Vedi Russia che nonostante stia continuando a martellare Kiev non riesce a chiudere la partita ucraina e che, se il conflitto dovesse protrarsi, potrebbe anche subire destabilizzazioni interne. Inoltre l'attacco dell'intelligence israeliana ha evidenti similitudini con quelli ricevuti in Siberia compresi i tempi di preparazione, cosa che non può lasciare indifferente Mosca. Data l'immobilità sostanziale dei partner dell'Iran, è necessario considerare i Brics+ incapaci di opporsi concretamente all'Occidente che ha capacità di coesione maggiore, piani militari operativi integrati, capacità di colpire il nemico in profondità ed essere un blocco economico, politico e militare che non conosce un blocco alternativo in grado di sfidarlo in modo compatto. Assenza di un ruolo alternativo che manca all'Europa: si può dire che i Brics+ ne rappresentino lo specchio per inconsistenza e incapacità di azione e di rappresentazione di un polo geopolitico autonomo. Dalla dottrina del Caos perpetrata da Usa ed Israele, l'ordine multipolare potrebbe schiantarsi contro un nuovo ordine unipolare. Un nuovo secolo americano, dove gli Usa ed i suoi alleati più o meno solidali, uscirebbero vincenti da questa fase di transizione la cui durata è estremamente incerta, e che soprattutto non segnerà necessariamente la fine dell'Impero neo-con USA, ma che potrebbe riproporsi nei decenni a venire, con la solita UE a fare da vassallo, incapace di emanciparsi, e a fare quel "lavoro sporco" che oggi Israele fa in Medio Oriente. Antonio Terrenzio
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23 Giugno 2025 Da Comedonchisciotte del 21-6-2025 (N.d.d.) Nel contesto politico-giuridico contemporaneo, il concetto di legalità ha subìto una trasmutazione profonda e sistemica: da fondamento della convivenza civile a strumento ideologico di legittimazione del potere costituito. Non è un processo episodico o accidentale, ma strutturale: la legalità moderna è diventata l’alibi giuridico delle élite globali, un simulacro di giustizia maneggiabile, manipolabile, revocabile a seconda delle convenienze geopolitiche e degli interessi egemonici. Lo Stato, entità teoricamente garante della legalità, si è progressivamente trasformato — in numerosi contesti — in macchina normativa di disumanizzazione, capace di codificare l’ingiustizia e dichiararla ordine. I casi della Palestina, dell’Iraq, della Libia, dell’Afghanistan, della Siria, fino alla criminalizzazione dei movimenti indipendentisti e socialisti del Sud globale, dimostrano che non esiste una legge neutra: esistono apparati giuridici funzionali alla conservazione di assetti imperiali. Mentre gli Stati Uniti, la NATO e le potenze occidentali continuano a esportare guerra, destabilizzazione e dominio sotto la bandiera della “democrazia”, il diritto internazionale viene impiegato selettivamente: • L’invasione dell’Iraq si è consumata senza alcuna prova delle fantomatiche armi chimiche. • L’aggressione a Gaza è definita “autodifesa”, mentre la resistenza palestinese è etichettata “terrorismo”. • I crimini sistematici commessi da Israele non hanno mai comportato sanzioni proporzionate, né processi nelle sedi sovranazionali. In questo quadro, la legalità cessa di essere diritto e diventa strumento linguistico del potere, piegato alle esigenze di chi comanda, utile a neutralizzare il dissenso, a reprimere le istanze popolari e a rendere decoroso l’indecoroso. In questo mondo rovesciato, chi lotta per liberare il proprio popolo dal colonialismo viene etichettato come terrorista. Chi invece saccheggia, bombarda, occupa e devasta viene onorato come Capo di Stato. L’intera narrazione pubblica è costruita su una menzogna profonda: la ribellione alla schiavitù viene criminalizzata, mentre la sottomissione all’ordine dominante viene celebrata come “legalità”. Ma la storia ci insegna che la verità è figlia dei vincitori. Se i nazisti avessero vinto la Seconda Guerra Mondiale, oggi i partigiani sarebbero chiamati criminali di guerra e gli assassini della libertà sarebbero celebrati come statisti. È la prospettiva a decidere il reato. Non l’etica. Chi vive in modo conforme al sistema viene considerato legittimo. Chi vive in dissenso viene marcato come ribelle. Ma il vero crimine non è la ribellione: è l’adattamento codardo a un mondo ingiusto. La grande frattura è ormai insanabile: non tutto ciò che è legale è giusto, così come non tutto ciò che è giusto può essere dichiarato legale. I popoli che lottano per la propria libertà, i movimenti che rivendicano autodeterminazione, i soggetti che costruiscono alternative al dominio coloniale — vengono perseguitati in nome della legge, quando in realtà sono gli unici portatori di legittimità etica. Per questo oggi la vera norma non può che nascere dalla coscienza collettiva, da un diritto morale superiore che riconosce il valore della vita, della libertà, della sovranità popolare. In assenza di un sistema giuridico che tuteli realmente i diritti dei popoli, l’anima diventa legislatore. E l’obbedienza cieca allo Stato, quando questo Stato è criminale, è il primo atto d’ingiustizia. La sfida dei nostri tempi non è solo politica: è semantica, giuridica, esistenziale. Chi si pone in rottura con l’ordine vigente non è un sovversivo: è un costituente. È colui che tenta di ricostruire una norma fondata sull’equità e non sul dominio, sull’ascolto dei popoli e non sull’imposizione delle oligarchie. Finché la legalità sarà decisa da chi bombarda, da chi saccheggia risorse, da chi negozia con il sangue, l’illegalità sarà l’unica via per essere umani. Ed è in questa tensione che nasce il dovere di disobbedire: con la parola, con l’arte, con la lotta. Perché nella storia, ciò che oggi chiamano reato, domani sarà memoria di giustizia. Mirko Stelfio
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22 Giugno 2025 Da Rassegna di Arianna del 20-6-2025 (N.d.d.) Un'Europa incredibile. I ministri degli esteri di Germania, Francia, Inghilterra, insieme all'Alta rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, incontrano a Ginevra il ministro degli esteri iraniano per evitare l'escalation bellica. Se non fossimo in una situazione tragica, ci sarebbe da ridere. Ma come? Il cancelliere Merz ha osannato Israele per il "lavoro sporco" fatto contro l'Iran, il premier Starmer ha sostenuto con convinzione le minacce durissime di Trump verso il governo degli ayatollah mentre la Commissione europea ha solidarizzato con l'azione dell'esercito di Netanyahu e ora i responsabili degli esteri di questi paesi cercano di convincere l'Iran a non esasperare i toni?? Forse si sono accorti, i sagaci europei, che un eventuale blocco dello Stretto di Hormuz determinerebbe una crisi tanto profonda da travolgere in primis proprio le energivore economie del Vecchio Continente? Forse hanno capito ora che l'Iran, anche senza bloccare Hormuz, può resistere e prolungare il conflitto, magari con il supporto di Cina e Russia, determinando un ulteriore isolamento europeo e, soprattutto, un aggravamento del conto interessi da pagare sul debito dei singoli paesi per effetto di una ripresa dell'inflazione? Forse hanno capito i sagaci europei che l'amico Trump, a cui le imprese europee stanno intanto continuando a pagare dazi del 20-25% su acciaio, alluminio e automotive e un dazio aggiuntivo del 10%, potrebbe intervenire per riaffermare la forza del dollaro in questa congiuntura in evidente difficoltà dal momento che sono decisamente spariti i petrodollari e le petromonarchie del Golfo si tengono lontane dai mercati finanziari Usa? Forse hanno capito i sagaci europei che un intervento Usa e il già citato blocco di Hormuz sarebbero la fine per ogni possibilità di sopravvivenza dell'euro? Di fronte a tutto ciò i sagaci europei incontrano ora il ministro degli Esteri di un paese definito diabolico? Ma la vera domanda è un'altra. Come abbiamo fatto a finire così? Alessandro Volpi
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