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Avere un figlio non è un diritto PDF Stampa E-mail

23 Marzo 2023 

 Da Rassegna di Arianna del 21-3-2023 (N.d.d.)

Tra quelli alla perenne ricerca della sinistra che non c’è è tutto un fremere di fiducia per il nuovo corso che la Schlein sembra imprimere al Pd, vuoi vedere che si torna a sinistra? Un posizionarsi a “sinistra” che tra l’altro permetterebbe di recuperare (dai 5 stelle) quei voti che prima erano del Pd. Con questo spirito la neo segretaria liberal obamiana partecipa in piazza a Milano alla manifestazione indetta per rivendicare il “diritto” delle coppie arcobaleno a registrare all’anagrafe come propri figli i bambini nati con il ricorso all’ignobile e inumana pratica dell’utero in affitto, pratica che riduce la donna a puro contenitore. E non possiamo che dare ragione a Marco Rizzo quando dice che l’utero in affitto è una pratica degna di Mengele (il medico nazista che faceva esperimenti di eugenetica sui corpi umani). Questi bambini non possono essere registrati come figli, per il semplice fatto che la loro mamma biologica è altrove, pagata (e scaricata) come si può pagare un qualsiasi servizio. A questi sinistri urge ricordare che: - la vita nasce dall’incontro dello spermatozoo maschile con l’ovulo femminile, si mettano l’anima in pace, non si può ingannare la natura; - si ha diritto all’assistenza, al lavoro, alla previdenza, allo studio, ai trasporti…  non a un figlio.

Le innocenti creature nate dalle aberranti pratiche di manipolazione sono il frutto dell’egoismo di gente viziata dalla disponibilità di denaro e da un’ideologia (alimentata dal mercato della “gestazione per altri”) post umana. In Italia la legge, giustamente, lo vieta. Intanto, nella speranza che questo diventi reato universale, che si impedisca all’infima minoranza del mondo ricco e debosciato di affittare uteri di donne povere, rimane il fatto di come considerare allo stato civile questi bambini (poverelli!). La proposta di Marina Ferragni (storica esponente del femminismo italiano), mi sembra la migliore sulla piazza: l’adozione.

Antonio Catalano

 
Uno statista censurato PDF Stampa E-mail

22 Marzo 2023

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 Lo statista censurato di un’Italia a sovranità limitata

Da Rassegna di Arianna del 20-3-2023 (N.d.d.)

È passato inosservato un relitto ritrovato che dice molto della nostra storia repubblicana e pure del nostro presente. Si tratta di un articolo che viene dal passato remoto. È il 1978. L’autore è Aldo Moro, all’epoca presidente della Democrazia Cristiana, in procinto di varare il governo di compromesso storico con il Pci, che gli costò di lì a poco la vita. Non è un articolo come tanti, di ordinario politichese; e non è nemmeno un articolo nel gergo moroteo, di quelli felpati e incomprensibili, tipici del giurista bizantino. Ma, pur ovattato, contiene un messaggio chiaro e comprensibile: Moro denuncia l’ingerenza statunitense nella politica italiana e pur con molti equilibrismi la respinge. Ma l’aspetto più significativo e misterioso di quell’articolo, scritto da Moro per Il Giorno, a cui collaborava da alcuni mesi, è che non fu mai pubblicato, anzi fu rifiutato; il suo testo originale fu ritrovato nella borsa dello statista, in via Fani, nel giorno in cui fu rapito e fu sterminata la sua scorta. Presentando e pubblicando ora questo articolo, il Quotidiano nazionale, che riunisce tra le sue testate anche Il Giorno, sottolinea che lo scritto non fu pubblicato dalla testata perché era “troppo pesante”, usava “toni inusitatamente duri, che la direzione di allora rifiutò”; conteneva una “presa di posizione così netta, dura, contro l’alleato americano” e contro “le pressioni politiche dirette degli Stati Uniti contro la nascita di quel governo con il Pci”. E l’aggettivo duro, ripetuto, stride fortemente con la notoria morbidezza di Moro (era molle anche nel dare la mano).

Il Giorno era diretto all’epoca da Gaetano Afeltra; era di area governativa, anzi “parastatale”; lo aveva fondato Enrico Mattei, alla guida dell’Eni e rifletteva la linea morotea, di centro-sinistra che guarda al Pci. Colpisce che un articolo dello statista all’epoca più potente d’Italia, presidente del partito di maggioranza, principale artefice e regista del governo di unità nazionale che stava nascendo, fosse censurato da un quotidiano, per giunta di area governativa e statale. Immaginare che un direttore del Giorno potesse rifiutare un articolo del suo “editore di riferimento”, lascia un po’ sbigottiti. Come poteva, in nome di chi o di cosa un giornale censurare l’opinione espressa dal numero uno del Palazzo, il leader della Dc, il principale uomo delle istituzioni dell’epoca? Era peraltro uno scritto giornalisticamente rilevante, era di per sé una notizia importante, che aveva dirette implicazioni sulla vita pubblica del paese e sui rapporti internazionali. Cos’era scritto nell’articolo di Moro? Che le pressioni americane aperte, rese pubbliche, creano “disagio” e “limitano la libertà di manovra politica”. Ma, ribadiva Moro, l’autonomia della decisione resta un diritto e un dovere. Ovvero gli statunitensi non avrebbero fermato il cammino di quell’intesa e il nascente governo di solidarietà nazionale. Moro si barcamenava, com’era nel suo stile, cercava di bilanciare la sua tesi, considerava il quadro internazionale, la Nato, l’Urss, l’amicizia con gli Usa e reputava normale la preoccupazione dell’Alleato. Ma poi ribadiva che nel nome dell’eccezionalità della situazione che stava vivendo il nostro Paese, era necessario proseguire su quella linea di larghe intese, aperta al Pci di Berlinguer. Era necessario, diceva, che l’Italia decidesse in piena autonomia. Di lì a poco, mentre il governo Andreotti, voluto da Moro, si accingeva a chiedere la fiducia in Parlamento, veniva rapito e poi ucciso Aldo Moro. Ora è inutile imbarcarsi nella dietrologia e alimentare il sospetto che ci fosse lo zampino americano dietro il sequestro e poi l’uccisione di Moro da parte delle Brigate rosse; molto si è detto, scritto e “filmato” in questa chiave, ma sono congetture senza prove. Ombre e interferenze si allungano semmai sul mancato salvataggio di Moro. In ogni caso è vero che la linea di Moro era sgradita sia agli Usa che all’Urss, ostili per motivi simmetrici all’alleanza col Pci. Che poi, infatti, naufragò. La spartizione di Jalta del 1945 non poteva essere messa in discussione.

Di recente in Rai è stata riproposta un’intervista memorabile fatta a Mixer da Giovanni Minoli a Henry Kissinger, che avrebbe all’epoca minacciato di persona Moro per la sua apertura ai comunisti. Minoli incalzava l’ex segretario di stato americano lanciandogli trasparenti accuse e Kissinger non si scomponeva ma non dissipava affatto le ombre che seguivano a quelle minacce. Se mettiamo insieme l’aperto dissenso americano verso l’alleato italiano, le pressioni che anche Moro riconosceva di aver subito e l’articolo censurato in cui Moro reagiva al pressing americano, si ha la netta conferma di un Paese a sovranità limitata. Qualcuno dirà che era un bene vivere sotto l’ombrello americano, o perlomeno era necessario; molti temevano il compromesso storico e l’ingresso dei comunisti nell’area di governo; dunque, per loro l’azione americana era benemerita. Ma ciò non toglie che era una prova ulteriore della nostra perdurante dipendenza coloniale dagli Stati Uniti e dalle basi Nato. La stessa dipendenza, probabilmente, aveva avuto un ruolo anni prima nel caso Mattei (anche se sulla caduta del suo aereo emersero due piste, una americana e una francese). Poi, le stesse vicende di Tangentopoli, i processi a Craxi e Andreotti e la loro caduta, sembrano comunque avere un nesso con la loro politica filo-araba e filo-palestinese dei nostri governi (era pure la linea di Moro), fino alla vicenda clamorosa di Sigonella. Insomma, gli Stati Uniti non furono solo i liberatori in guerra e i tutori del dopoguerra (tra basi Nato e piano Marshall) ma lo restarono anche trenta, quarant’anni dopo. E pure dopo la caduta dell’Urss. Anzi, la loro influenza sulla politica italiana è ancora forte oggi, come dimostra l’allineamento totale alla posizione americana nella crisi Ucraina, da destra a sinistra, passando per il centro e per Draghi. Ma la scatola nera del Caso Moro resta incartata in quel suo articolo censurato.

Marcello Veneziani

 
Megalomania demente PDF Stampa E-mail

21 Marzo 2023

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 Da Rassegna di Arianna del 19-3-2023 (N.d.d.)

La Silicon Valley Bank è andata in malora per un motivo generico e generale: il sistema capitalistico e industrialista è nella m.… fino al collo e prosegue nello sprofondamento. È il sistema di cui tutti facciamo parte, perché ormai gli unici a non farne parte sono quei rari e minacciati popoli ancora selvaggi, quei rari e minacciati popoli ancora contadini e autosufficienti. In sintesi: un capitalismo ormai imperiale, dopo aver conquistato con la globalizzazione i paesi del terzo mondo, schiavizzato i loro popoli e prodotto laggiù ogni genere di merci a basso costo, spostandovi pressoché tutta la produzione; dopo avere di conseguenza distrutto l'industria e l'agricoltura nei paesi ricchi, rischiando così di eliminare i "suoi" consumatori, ha spinto un'economia fondata sul debito e sul superfluo per continuare a mantenere un'effimera ricchezza e un consumismo demenziale nei paesi dominatori. Quando il debito globale di privati, aziende, Stati, essendo ormai in gran parte debito insoluto, stava per scoppiare lanciando in ogni dove i suoi frammenti bruciacchiati (uno scoppio assordante si era già sentito nel 2008), il capitalismo globale, lanciato ormai come un fuoco d'artificio in un'apoteosi di follia, ha messo in atto quel tentativo di dittatura globale chiamato covid pandemia.

Nel delirio di chi è ormai completamente alienato dalla realtà della vita, i globalcapitalisti e i loro "pensatori" ritenevano di poter modellare la storia e la società umana come se si trattasse di un impasto d'argilla. Non per niente nei documenti del Forum Economico Mondiale, nel periodo della pandemenza, la prima parola del titolo era sempre "shaping": modellare. Forse perché, quando erano bambini, gli venne raccontata quella favoletta in cui Dio crea l'uomo pasticciando col fango, e sentendosi i detti globalcapitalisti uguali agli dèi... Con la pandemenza, che nei loro sogni doveva rendere i popoli inerti come calcinacci, volevano accelerare la Quarta Rivoluzione Industriale, che, oltre a prevedere il dominio assoluto di un'oligarchia sovranazionale travestita da "istituzioni internazionali", prevedeva e prevede il dominio delle "macchine intelligenti" e della cibernetica in ogni aspetto della vita e della società; prevede l'uomo artificiale, geneticamente modificato e "migliorato", coi circuiti elettronici nel cervello e i nanocip nel corpo, studiato in modo da renderlo adatto alle mansioni preposte (tipo la guerra, la conquista dello spazio e degli abissi marini e via delirando) o eliminabile, se non ci sono mansioni da assegnargli.

Dopotutto, il nazismo non è stato un incidente di percorso ma il rivelarsi delle aspirazioni più profonde e genuine del capitalismo: solo un po' troppo precorritrici e "ingenuamente" e sfrenatamente dichiarate.

 

Comunque, così come folle era il nazismo, e dopo aver fatto tutti quegli sfracelli è affondato nella palude del suo orrore, così è folle l'attuale progetto del globalcapitalismo e, dopo aver fatto sfracelli altrettanto orrendi ma meno evidenti (è maturato, in tutti questi anni, anche se non è rinsavito), sta affondando nella palude della sua megalomania demente. La dittatura globale è fallita, nonostante il contorto e distruttivo progetto pandemente, poiché tutti i popoli e buona parte dei governi del mondo (non quelli dell'Europa occidentale, statene sicuri) non hanno eseguito gli ordini, magari hanno fatto finta per un po'; la Quarta Rivoluzione Industriale arranca. I capitalisti allora, come marmocchi spaventati, si sono attaccati alla mammella dei soldi pubblici e stanno succhiando come forsennati. Così è cresciuta l'inflazione, si è sviluppato ulteriormente il debito, e sono diminuiti i consumi che costituiscono il loro carburante. Finalmente ci siamo?

Le migliaia di start-up (aziende che inventano affari da quarta rivoluzione industriale) abortiscono; un'umanità già satura di alienazione da scemofòni (detti volgarmente "smart") non si appassiona al metaverso, e quelli che lo hanno fatto sono già ricoverati in cliniche psichiatriche; gli africani rifiutano i "nostri" vaccini e russi e cinesi si producono da sé i loro veleni; tutte le imprese fallite per la pandemenza non fanno più pubblicità su internet (non ci avevano pensato!); facendo qualche calcolo si è visto che per attuare la "quarta rivoluzione industriale" non basterebbero il petrolio, il rame, il coltan, l'oro, il litio, lo zinco, il ferro, il silicio e altre dieci-dodici cosette, di tre pianeti come il nostro... e, infine, aumentando ormai i debiti globali di un miliarduccio di dollari alla settimana o su di lì... forse siamo allo scoppio finale? E meno male. Se il capitalismo proseguisse, arriveremmo alla fine della vita come la conosciamo sul pianeta, dopo la fine di noi umani come ci conosciamo: non più uomini e donne, non più corpo e anima, non più cervello e cuore, non più sentimenti e affetti, non più genitori e figli, padri e madri, nonni e nipoti; non più arte, non più poesia, non più foreste e campi, montagne e neve, deserti e sabbie. Il capitalismo del ventunesimo secolo delira di modificare la vita naturale in tutti i suoi aspetti, riuscendo solo a distruggerla. […]

E, se vogliamo che il collasso non ci travolga tutti, svegliamoci perché, parafrasando Gramsci, avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza per riapprendere a vivere da comunità umane in armonia con il proprio ambiente naturale, per riapprendere tutte quelle abilità e capacità che la società industriale ha spazzato via, per ripristinare la salute della natura e la nostra. Non aspettiamo un minuto di più per ritessere quei legami di solidarietà, collaborazione, affetto, aiuto reciproco che soli ci possono salvare; per imparare ciò che è veramente necessario alla nostra sopravvivenza. Non aspettiamo un minuto di più per mobilitarci e lottare uniti contro le mostruose imprese che il capitalismo sta portando avanti, dalla guerra e dall'aumento degli armamenti fino a una falsa transizione energetica che rade al suolo le foreste di mezzo mondo per trasformarle in biomasse da bruciare nelle centrali elettriche e si propone di costruire centrali nucleari a ogni crocicchio, fino alla biosintesi che crea mostruosi microrganismi per produrre farmaci tossici o cibi artificiali, e l'elenco potrebbe andare avanti all'infinito ma voi non lo leggereste all'infinito. […]

Sonia Savioli

 
Il dovere della militanza PDF Stampa E-mail

19 Marzo 2023

 Da Appelloalpopolo del 15-3-2023 (N.d.d.)

Nei confronti degli altri Stati, la sovranità è sempre e soltanto statale: è il profilo esterno della sovranità. Lo stato stipula trattati con altri stati; consente o vieta il commercio con altri Stati; si allea militarmente con altri Stati; dichiara guerra ad altri Stati. L’espressione “sovranità popolare” ha un senso soltanto per quanto riguarda il profilo interno della sovranità, quello relativo alla formazione della decisione politica (sia di politica estera che di politica interna). Un uso diffuso ma razionale dei referendum è un primo nucleo di sovranità popolare. Altri istituti, come per esempio la partecipazione di cittadini nelle Corti penali, o rare e simboliche leggi di iniziativa popolare lasciano il tempo che trovano.

Sovranità popolare significa SOPRATTUTTO che i cittadini si organizzano in partiti e che, se non quotidianamente, almeno settimanalmente dimostrano di essere parte del popolo, svolgendo attività di militanza. La sovranità popolare non è un diritto e non è un fatto. La sovranità popolare è il risultato dell’adempimento di doveri, del sacrificio di affetti e passioni individuali, per partecipare alla costruzione di partiti politici, per mesi, anni, decenni.

Volere la sovranità popolare e non militare significa dire “armiamoci e partite”. Non dovete chiedervi se volete militare. Dovete chiedervi se “DOVETE” militare. Il valore di un uomo o di una donna sta tutto nella misura in cui adempiono i loro doveri. Chi non adempie i doveri non vale. Chi li adempie vale. Chi ne adempie tantissimi vale tantissimo. Chi ne adempie tantissimi e con successo è un Maestro. Chi vuole la sovranità popolare e non milita è un ingenuo nel migliore dei casi e un ipocrita nel peggiore.

La Costituzione riconosce il diritto di associarci in partiti. Essa stabilisce che il Parlamento e il Governo non possono toglierci questo diritto. Ma quello che è un diritto nei confronti del Parlamento e del Governo è un dovere nei confronti di noi stessi e un onere da adempiere per non essere ciarlatani o quaquaraquà.

Stefano D’Andrea

 
Offensivo PDF Stampa E-mail

 

18 Marzo 2023 

Offensivo è dover subire illimitatamente la pioggia e l’eruzione della pubblicità come non avesse peso. Offensivo è il suo richiamo al consumo. Offensive le voci suadenti che le compongono. Offensive le formule adottate come fossimo, appunto, impunemente offendibili: in omaggio, comode rate, ultimi giorni, doppi ribassi, scopri di più, saldi, sottocosto, vinci fantastici viaggi.

Offensivo sostenere un consumo sostenendo il “risparmio”. Offensivo permettersi di dire “imperdibile”. Offensivo il già deriso “corri in edicola”. Offensivo reiterare “clinicamente provato”, pur di sostituire il superstizioso “scientificamente provato”, per piallare il senso critico degli uomini ridotti a consumatori.

Offensivo è rimpinzare le case di merci e acquistarne ancora. Offensiva l’obsolescenza per legge. Offensiva è l’invadenza del mercato telefonico. Offensiva una società che vuole garantire sicurezza e che vende assicurazioni. Offensivi i migliori sorrisi di persone contente di svendere per quattro lire i loro migliori sorrisi. Offensivo continuare a parlare di crescita e consumo come volano della vita. Offensivo che le pseudo-autorità, svendute al mercato, a Bruxelles e a Washington, come tutta la politica e le istituzioni, non intervengano.

Offensiva la legge in fieri dell’Unione europea allo scopo del controllo capillare, venduta come merce, quindi rivestita di bugie, affinché sembri un irripetibile vantaggio individuale e sociale. “Il regolamento riveduto è inteso a garantire alle persone e alle imprese l'accesso universale all'identificazione e all'autenticazione elettroniche sicure e affidabili mediante un portafoglio digitale personale sul telefono cellulare”.

Offensiva l’apologia della tecnologia come salvifico sapere e sostituta della politica. Offensivo è il capitalismo della sorveglianza. Offensivo il processo di controllo a mezzo della digitalizzazione, che ci sottrarrà la sovranità di noi stessi. Offensiva è la radio di sottofondo che inquina i pensieri. Offensiva è la trasmissione tv che occupa i locali. Offensivo il balzello del canone Rai.

Offensiva è la pubblicità del lusso nella stessa pagina del disastro della miseria. Offensiva l’enorme quantità di violenza fornita dal cinema e dalla tv. Offensivo che per il profitto venga tollerata.

Offensivo che non si considerino le responsabilità di chi la distribuisce. Offensiva è la stampa che sperpera menzogne e annuncia avvertimenti ai sensibili per video, dai titoli-rapala, che non contengono nulla.

Offensiva l’uniformata loquela e l’uniformata camminata, allontanandosi o avvicinandosi alla camera, dei giornalisti. Offensivo è che la stampa si venda come professionista dell’informazione. Offensivo che tette e culi, gossip e video amatoriali di ippopotami siano il clic con cui si tengono in piedi. Offensiva la sovvenzione governativa alla stampa allineata alle veline del governo. Offensiva la lista di proscrizione del Corriere. Offensivo che nessuno dei veri giornalisti, come non rinunciano a definirsi, abbia avuto alcunché da obiettare sull’offensiva lista di proscrizione redatta dal Corriere e difesa con bugie. Offensivo l’allineamento ai dispacci ucraino-atlantici e covid-governativi di Severgnini, Fontana, Molinari, Giannini (memorabile il suo “miserabili del web” per coprire la sua menzogna in prima pagina), Gruber, Parenzo, Bechis, De Gregorio, Brindisi, Mentana (autoproclamato [può bastare?] re [non basta ancora?] dei verificatori dei fatti [non si può fare di più. Vedi tu!]), Puente, Vespa, Gentili. Fanculo deontologia. Fanculo dibattito. Viva la censura. La criminalizzazione delle idee.

Offensivo il mutismo dell’Ordine e dei suoi associati su Assange, su quello che sta pagando per la democrazia con la quale si riempiono la bocca e con la quale censurano, come loro esclusivo diritto divino, chi non si zerbinizza. Offensivi gli inviati di guerra agli ordini di Zelensky.  Offensivo l’Ordine dei giornalisti di Roma, inetto a fornire risposta ad un esposto contro Bruno Vespa che sosteneva l’innocuità dei vaccini. E anche quello di Milano e quello Nazionale per altre questioni. Offensiva l’irreggimentata comunicazione a maggioranza bulgara sul vaccino.

Offensiva la comunicazione che promuove la guerra per ottenere la pace. Offensivo l’appiattimento della Meloni sulla scia di Letta e Draghi, al comando di Biden o chi per esso. Offensivo che Mattarella dica: “un’aggressione così mai vista dalla II Guerra mondiale” in Europa. Era il vice di D’Alema al momento del deliberato bombardamento, anche italiano, su Belgrado.

Offensivo che chiunque voglia riconoscere le ragioni russe alla guerra non sia considerato utile a comprendere, ma venga criminalizzato ed emarginato. Offensivo il razzismo antirusso delle istituzioni nazionali, europee. Offensivo l’intento di mortificare la Russia a mezzo dell’accerchiamento Nato. Offensiva l’acquiescenza con la quale si accetta l’egemonia degli Usa, qualunque mezzo, menzogna inclusa, impieghino per mantenerla.

Offensiva la svendita della sovranità militare politica. Offensivo che il pacifista – a mezzo di armi – giusto e vero Occidente critichi e rifiuti in coro la recente proposta di pace cinese.

Offensivo l’impiego deliberato dell’inglese in qualunque contesto nostrano. Offensiva un’università corporativisticamente unita a formare uomini ubbidienti. Offensiva un’educazione al rispetto imposta per legge. Offensivo che dire frocio sia perseguibile, che l’offesa stia nell’evento e non nella sua strumentale interpretazione. Offensiva la grande galoppata in sella al velo di maya del politicamente corretto. Offensivo il politicamente corretto, la cancellazione delle culture e dei sessi.

Offensivo avere a che fare con la tsunamica tracimazione di un pensiero che sta qui dentro e che così dichiara la definitiva sterilizzazione del già flebile collegamento dell’uomo al trascendente. “Per me potermi definire ingegnera è una conquista bellissima. Significa potermi identificare con la mia professione, che esercito con competenza e autorevolezza, e allo stesso tempo rivendicare con orgoglio che sono una donna”.

Offensivo l’intento già in atto di cambiare significato alle parole – tra cui guerra che diventa pace –, quello di eliminare le culture per ridurle a cartolina e folklore, di demolire i valori e le identità. Offensiva la distanza dalla natura di questa cultura progressista. Offensivo il disastro sociale perpetrato dalla sinistra. La loro stirpe ha tradito un popolo per fornicare con il mercato e il potere. Lo ha offeso e gettato via come si fa con un oggetto senza valore, e ancora si lamenta per sé. Offensivo il rigurgito di prezzemolico antifascismo. Si può ancora stappare una birra con la destra? Offensivo il suo dagli al fascista come solo argomento da tempo immemore.

Offensivo lo scempio architettonico che ha deturpato le valli, le coste, le pianure d’Italia. Offensive l’urbanizzazione-violenza dei paesaggi e l’ecologia ideologica degli alberi attaccati ai balconi.  Offensivo pagare individualmente i disastri ambientali di pochi.

Offensivo parlare di sostenibilità, economia circolare, green economy, impatto zero, tutti palliativi utili ai timonieri dello status quo. Offensivi gli allevamenti intensivi. Offensiva la moda impellicciata d’animali allevati.

Offensive le politiche di privatizzazione dei servizi sociali, che hanno tentato di sottrarre l’acqua al diritto universale e che – probabile – staranno studiando come sottrarre anche l’aria. Offensivo è il sistema che lo permette, neppure lo discute, se non con risibili cancelli per legge, quali la garanzia della protezione della vita privata.

Offensiva l’alienazione, prima una vergognosa esclusiva dedicata alla classe operaia, ora destinata a tutti noi. Il progressismo lo ha sfruttato fino a sottrargli l’identità e la bussola con cui aveva navigato tutta la vita.  Offensivo non ci sia una sola voce istituzionale che voglia cogliere il significato esiziale dell’armonia uomo-natura spezzata o, peggio, ridotta a documentario.

Offensivo che i tg di oggi parlino della riduzione della disoccupazione, della crescita del Pil, della riduzione del debito pubblico come accadeva quaranta anni fa. Offensivo si faccia credere che la disoccupazione e il debito possano ridursi. Offensivo fondare una società che ha nel Pil l’indice di benessere.

Offensivo che stragi civili, psicopatologie e suicidi siano in costante crescita e che le istituzioni non vogliano rivedere il sistema che hanno creato. Anche il Festival di Sanremo è offensivo. Offensivo l’incondizionato incassare di tanto degrado.

Lorenzo Merlo

 
Una batosta epocale PDF Stampa E-mail

16 Marzo 2023

 Da Comedonchisciotte del 12-3-2023 (N.d.d.)

Arabia Saudita e Iran hanno improvvisamente annunciato in data 10 marzo 2023 la riapertura delle relazioni diplomatiche, a felice esito di un negoziato segreto mediato dalla Cina. Secondo il comunicato diramato in tutti e tre i Paesi, Arabia Saudita e Iran riapriranno le Ambasciate entro due mesi, ribadendo il rispetto del principio di non interferenza negli affari interni di ogni Paese. Il riferimento non è casuale, dato che le relazioni diplomatiche erano state chiuse nel 2016, a seguito della condanna a morte da parte dei Sauditi dell’esponente religioso sciita Nemer al Nemer, condannato nel 2014 ma giustiziato nel 2016, insieme ad 46 altre persone, perlopiù esponenti ritenuti responsabili dei disordini fomentati da Al Qaeda in Arabia Saudita nel 2003-2006. I Ministri degli Esteri dei due Paesi si sono impegnati a tenere un summit a breve per esporre i dettagli dell’accordo.

I due Paesi non diventano ipso facto alleati. Congelato con la tregua di un anno fa il conflitto in Yemen, i Sauditi continuano a non condividere l’attivismo delle milizie pro iraniane in Libano, Siria e nello stesso Yemen, e sono attualmente impegnati in un negoziato mediato dagli USA per un possibile accordo di pace con Israele – prospettiva notoriamente impensabile per l’Iran. Ciò nonostante, non c’è modo di sottovalutare l’importanza dell’annuncio. Innanzitutto, il profondo solco che ha per decenni separato i due Paesi riflette in gran parte la secolare frattura religiosa tra musulmani sunniti e musulmani sciiti, concretatasi in una serie continua di crisi e confronti, dalla Siria allo Yemen; fino al rischio di guerra nel 2019, dopo lancio di alcuni missili, apparentemente da parte di milizie pro iraniane, sui campi petroliferi sauditi. La frattura tra sunniti e sciiti continua ad avere un grosso impatto anche in Iraq, ove obtorto collo tuttora stazionano truppe statunitensi e Nato. Un abbassamento della tensione tra sunniti e sciiti non può che giovare alla stabilità dell’intero Medio Oriente. Ma soprattutto, l’annuncio segna non una mera sconfitta, ma una autentica batosta geopolitica epocale per gli Stati Uniti. I profili della batosta sono tanti e tali da richiedere pagine e pagine di analisi. Sinteticamente, in questa sede: la mediazione e il patrocinio dell’accordo da parte della Cina segnano una sonora sconfitta geopolitica per gli USA, ed una eloquente conferma del crescente ruolo planetario della diplomazia cinese, anche in Medio Oriente. Il ruolo di crescente autonomia dell’ Arabia Saudita appare una realtà ormai acquisita: la leva dell’inimicizia mortale con l’Iran si è ridimensionata, e con essa svanisce definitivamente il sogno USA di una alleanza – o NATO mediorientale – anti Iran. Oltre la sfera propriamente politica, c’è la dimensione economica ed energetica: l’Arabia Saudita in ambito OPEC (di cui fa parte anche la Russia) ha da tempo adottato orientamenti autonomi, rifiutandosi ripetutamente di agire su offerta e prezzi del petrolio in conformità agli auspici USA, nonostante le rinnovate pressioni a seguito della guerra russo-ucraina. Ed infine, il fantasma che più angoscia Washington: per quanto tempo ancora l’ Arabia Saudita continuerà a prezzare il petrolio esclusivamente in dollari? Il regno del dollaro, pur sostenuto dall’indegno vassallaggio dell’euro a gestione Lagarde, dipende comunque in buona parte dal mercato dei petrodollari.

Dulcis in fundo, anche sul piano dell’immagine, c’è ben poco da stare allegri, per gli USA. Dopo gli attacchi ai Sauditi da parte di USA e Paesi europei per il notorio assassinio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istambul nel 2018, il Presidente statunitense Biden aveva visitato Gedda il 16 luglio 2022. La visita era apparsa subito come una sorta di imbarazzante Canossa, ed oltre che per la consueta serie di impagabili gaffes di Biden, finì attaccata da quasi tutti gli osservatori e media statunitensi per l’assoluta irrilevanza dei risultati: il Principe ereditario saudita, Mohammed Bin Salman, di soli 38 anni, non aveva mollato di un solo centimetro alle richieste USA. Oggi è più che mai evidente: nonostante le assicurazioni di Biden, nessun seme è mai germogliato da quella visita.

Il quadro è sempre più chiaro: fuori dalla NATO, gli USA di Biden continuano a ricevere ceffoni in stile Bud Spencer: Xi, Bin Salman, Erdogan, etc. I prossimi ceffoni dovrebbero arrivare da Modi, il Primo Ministro indiano. Pian pianino, forse se ne accorgeranno perfino in Europa!

Belisario

 
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