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Cambiare orizzonte di pensiero PDF Stampa E-mail

26 Gennaio 2025

 Da Rassegna di Arianna del 24-1-2025 (N.d.d.)

Trump sta giocando con la cultura progressista come il gatto coi topi. Niente di quello che dice è reale, e se si vuole costruire un’alternativa bisogna iniziare a sottrarsi al suo gioco. Quando Trump o Musk parlano o fanno qualcosa non stanno esprimendo quello che pensano, e i loro gesti non sono neanche simboli: sono simulacri, rappresentazioni per altri. Non sono neanche sviste, né segno di alto tasso alcolico, o di autismo, non sono esternazioni involontarie. A quei livelli niente è involontario, ci sono dietro analisi, studi, progetti. Hanno un senso, ma il senso non è quello di manifestare il progetto, bensì quello di costringere a parlare di qualcosa. Le parole e anche alcuni ordini esecutivi non dicono niente del progetto di Trump e di Musk. La loro funzione è opposta: sviare, fare concentrare su altro.

Sono miliardari, posseggono dati, sanno come ragiona l’opinione pubblica progressista, quanto sia ideologica, reattiva, in fondo stupida. Lo sanno benissimo e stanno giocando con la loro stupidità. Sanno che sparare scemenze, firmare certi ordini, fare un gesto equivoco produce effetti immediati, invade e satura la sfera pubblica. La svuota. Nessuno di noi sa niente, nessuno al mondo sa che cosa davvero farà Trump, qual è il progetto di Musk. Certamente ne hanno uno, e potente, certamente tra quattro anni vivremo in un altro mondo. In questo periodo la storia subirà un’accelerazione terribile da tutti i punti di vista. E anche se non sappiamo quale sia il progetto dobbiamo comprendere, se vogliamo davvero costruire un’alternativa, che lo scopo di quelle esternazione è costruire uno spettacolo per il pubblico, affinché il pubblico parli di quello: è lotta di classe nel discorso, serve a dirigere l’attenzione su certe cose e a non fare parlare di altre cose.

L’obbiettivo è svuotare la sfera pubblica: se nessuno sa che cosa davvero vuol fare Trump (per l’Ucraina, riguardo alla Cina, quale uso della tecnologia, quale ordine mondiale) la sfera pubblica non può discutere di niente di reale. Può solo reagire. Serve a impedire che nella sfera pubblica giunga a manifestarsi il malessere che attraversa le nostre società, e che a dargli voce sia una prospettiva che assume una forma diversa dal liberalismo oligarchico che sta dilagando. Trump sa che tutta la mitologia progressista è divenuta priva di credibilità. Ci giocherà senza fine.

Quando la cultura progressista lo attacca lo rafforza, perché Trump ha raccolto i consensi proprio in quel modo, esasperando quei temi. Ogni attacco rafforza Trump. E dunque è conveniente stimolare la cultura progressista a indignarsi: priva di credibilità, sempre più retorica e ipocrita, sorda e supponente verso i problemi delle persone reali, tanto più critica Trump tanto più questi rafforza il consenso. Trump e Musk lo sanno, ma lo sanno perché hanno i dati, sanno che cosa bolle nel mondo della vita, e fanno tutto per quello: dettano l’agenda setting, “parlate di questo, tirate fuori i soliti discorsi che fate da 40 anni e che oramai non mordono il reale e vengono decodificati dalle persone come discorsi ipocriti. Traiamo forza dalle vostre critiche". Sanno che tutti i cuori sanguinanti staranno a gridare, sanno che subito scatterà l’antifascismo estetico. E sanno che le persone normali hanno problemi diversi, che dell’antifascismo estetico non sanno che farsene. Servono a impedire che nasca un'alternativa che parli alle persone, che si faccia carico della loro esigenza di emancipazione, che non sono le parole che usa la sinistra progressista degli ultimi 40 anni.

Quei simulacri servono a impedire che il discorso si sposti sulla realtà: è la realtà che non deve apparire, e sanno che in questo possono contare sulle reazioni di una cultura di deficienti, su quei cretini che parlano di “democrazia deliberativa”, quando ogni persona al bar ti dice: “ma non c’è un accidente da deliberare!”. Se vogliamo costruire un’alternativa reale, concreta, non bisogna contrastare Trump in maniera reattiva. Bisogna capire che tutto ciò che fanno e dicono non manifesta: copre, nasconde. Nessuno sa qual è il loro progetto, e certamente c’è un progetto, potente, risoluto. Quei simulacri sono lotta nel discorso, e l’alternativa nasce non facendosi dettare da Trump e Musk i temi, ma imponendone altri, che non possono essere i soliti cavalli di battaglia della cultura progressista degli ultimi 40 anni.

Non si costruisce un’alternativa usando quell'orizzonte che le persone hanno letteralmente vomitato, ciò che ha perso ogni credibilità. E non si costruisce con i volti di chi ha distrutto ogni credibilità, la ha persa, non si costruisce niente con discorsi melensi e retorici. Trump e Musk sanno di poter contare, negli USA e in Europa, su un’arma formidabile: la mancanza di credibilità di ogni alternativa. Sanno che facendo scattare quei meccanismi la credibilità di ogni alternativa diminuirà ancora di più. Se si vuole, e si deve, costruire un’alternativa, bisogna cambiare discorso, orizzonte di pensiero, abbandonare tutti i santini, tutta la cultura degli ultimi decenni. Se fosse davvero utile non saremmo qui, e se siamo qui vuol dire che quella cultura non serve a niente, è settaria, acceca, ci potete fare i seminari, ma non potete usarla per costruire un’alternativa, popolare, di massa, che parli alle persone concrete e che dia voce ai lori bisogni e desideri. 

Vincenzo Costa


 
Fascisti su Marte PDF Stampa E-mail

25 Gennaio 2025

 Da Rassegna di Arianna del 22-1-2025 (N.d.d.)

Chiedo scusa in anticipo per lo sfogo, ma è francamente insopportabile sentire l'ennesima discussione compunta o scandalizzata sul braccio teso di Elon Musk. È francamente deprimente scoprire (riscoprire, per l'ennesima volta) che l'intellighentsia progressista (ma non solo) del paese è così totalmente incapace di analizzare la realtà per quello che è, di guardare la storia corrente per quello che è, senza proiettarvi sopra fantasmi artificiali.

Cosa abbia inteso fare o dire Elon Musk con le sue scomposte gesticolazioni sul palco è un NON-PROBLEMA. Non perché si tratti di cercare scuse, giustificazioni o altro. Quand'anche Musk avesse, in perfetta lucidità, premeditatamente e senza alterazioni dovute a sostanze psicotrope, deciso di evocare un saluto romano con intenti nostalgici, questo è UN FALSO PROBLEMA. Davvero è sconsolante vedere la povertà categoriale di una grandissima parte dell'"intelligenza politica", che per la millemillesima volta dimostra di entrare in allerta soltanto quando si utilizzano paroline di un secolo fa ("fascismo", "nazismo", "Shoah", ecc.). Santo cielo, viviamo in un altro mondo, in un'altra epoca, con altri problemi, con presupposti sociali e materiali completamente incompatibili con quelli in cui sono emerse le dittature degli anni '20 e '30. Come è possibile che stiamo ancora qui a discutere con queste categorie cadaveriche? Non è possibile continuare a fingere di vivere come se fossimo all'indomani dell'invasione della Polonia, del bombardamento di Guernica o dei vagoni piombati per Auschwitz. La storia insegna molte cose, ma la più importante è che non si ripete mai.

Musk è un personaggio preoccupante, ma non per le sceneggiate goliardiche, non per i presunti o reali saluti romani. Lo è perché - insieme a molti altri, da Zuckerberg a Soros a Bill Gates a Larry Fink, ecc. ecc. - rappresenta in maniera sfacciata la metamorfosi delle liberaldemocrazie in oligarchie a base economica. Il fatto che uno come Musk sia decisivo per la fornitura di sistemi bellici di avanguardia, decisivi in occasione di qualunque conflitto, questo dovrebbe suscitare terrore. Il fatto che il sistema occidentale dei media e social media - e con ciò l'accesso a ciò che conta come "verità pubblica" - siano nelle mani di una manciata di questi personaggi, questo dovrebbe suscitare angoscia. Il fatto che a definire le sorti delle nostre sedicenti e moribonde democrazie siano le esigenze di corporations belliche, energetiche, farmaceutiche, o più generalmente le esigenze della finanza, questa è la tragedia a cielo aperto in cui viviamo. Il fatto che la politica europea sia un gioco di lobby autoreferenziali assolutamente impermeabili agli interessi del popolo, questo è il dramma.

Ma niente di tutto questo muove mai davvero lo sdegno degli analisti ufficiali, di uomini e donne di governo, degli intellettuali "progressisti" e di quelli "conservatori". Si continua a giocare in perfetta cattiva coscienza il gioco di contrapposizioni novecentesche defunte. Si agita l'antifascismo e intanto fioriscono i più sfacciati autoritarismi neoliberali; si agita l'anticomunismo e intanto prosperano le forme peggiori di scientismo economicista; si commemora il genocidio commesso dai nazisti, e intanto sbocciano genocidi in mondovisione nel silenzio più assordante.

Si parla e pensa d'altro, continuamente, pervicacemente, per impedire anche solo per un minuto, alle persone di "uscire dalla matrice", di capire quali sono le vere minacce, di scorgere quali sono i veri nemici. La costruzione sistematica della menzogna attraverso la distrazione, della falsità attraverso la dissimulazione, questo è il vero gioco del potere contemporaneo. Chi, avendo i mezzi intellettuali per capirlo, non vi si sottrae, è complice.

Ecco, adesso potete continuare a giocare con le scartine che vi hanno messo in mano, discettando se  e quanto Musk sia il nuovo volto del pericolo fascista.

Andrea Zhok


 
Ricreare le esperienze PDF Stampa E-mail

24 Gennaio 2025

 Le emozioni non sorgono da noi. Esse sono energia sciamante che si annoda in noi in funzione del nostro stato, della nostra concezione, delle nostre esigenze e soprattutto del nostro gradiente di consapevolezza in merito alla realtà. Se questa è concepita come esterna a noi si tenderà a culminare nel conflitto, con il supporto, appunto, delle emozioni necessarie. Diversamente, se è vista come una nostra creazione, ne verrà l’assunzione di responsabilità di tutto e il potere di tendere alla serenità. Nel primo caso, l’orgoglio, l’importanza personale, tanto celebrate dalla cultura liberista, materialista, egoica, positivista, sono i detonatori dei conflitti di qualsivoglia misura, da quelli endogeni esistenziali a quelli esogeni geopolitici. Nel secondo, ci si trova nello stato di emancipazioni dalle gogne elencate nel primo, e quindi con in dote un altro potere, quello di disinnescare le egregore del maligno. In pratica, se fossimo consapevoli di vivere per un solo istante, sceglieremmo di farlo nella pena o nella beatitudine?

Le emozioni possono essere descritte come mirini o obiettivi. Lenti che obbligano o impongono una vincolante prospettiva sul mondo, sull’altro, su noi. Una specie di tunnel dove non è possibile fare inversione o uscire a piacimento. Sembra nascano in noi e da noi. Ma questa, è una concezione delle emozioni piuttosto inefficace per escogitare come emanciparsene, per evitare di finire nel tunnel e crederlo tutto. A questo scopo, è preferibile concepirle come energia latente che, occasionalmente – ma non fortunosamente – ci attraversano o ci catturano, imponendoci una certa prospettiva sul mondo, a mezzo della quale fioriscono le idee e le esigenze, i pensieri e le azioni che spesso chiamiamo di buon senso. Una formula perfetta per separarci dal mondo, dagli altri, dalla presa di coscienza che emozioni differenti, ma di identica natura, stanno catturando i cuori e le menti degli altri. Come detto, un’ideale base di partenza per credere fideisticamente che i nostri valori siano superiori, fino al diritto di sopraffare quelli a noi sconvenienti.

Davanti a un conflitto non disporre delle consapevolezze necessarie per dare per certo e quindi tenere presente la differente emozione delle parti, impone ad entrambe di giudicare e soprattutto di identificarsi con il proprio giudizio. Una condizione la cui natura è simile a un bisturi: la sua esistenza comporta separazione. Da quello stato quindi, appare necessario difendere il mondo racchiuso nel nostro cannocchiale e perciò combattere, e garantire così lo status quo di sofferenza che tutti, a parole, proclami e leggi, vorremmo eludere. Quando una pari emozione alla nostra attraversa altri individui, le parti tendono ad unirsi, a sentire solidarietà reciproca, a fare corpo. Al contrario se non condivise. 

Lo si può osservare costantemente. Per esempio in occasione di un gol, quando emeriti sconosciuti, tifosi della medesima squadra, esultano o si rattristano. O quando, all’opposto, cioè se non condivise, anche tra fratelli, amanti e amici la frattura relazionale può spaccare soddisfacenti relazioni.

Un’emozione condivisa aggrega in dimensione variabile. Riconoscersi nella medesima cultura, in una ideologia, religione o passione è essere entro la medesima emozione. Solo un’altra emozione, che rappresenta sostanzialmente un cambio di esigenza, scaccia la precedente e impone altri tunnel. La loro violenza e la loro insistenza ci modificano la visione esterna e lo stato intimo. È in questi termini la verità spirituale dell’insorgenza di malesseri e malattie.

Le emozioni fanno sempre da setaccio dell’infinito. Di tutte le idee pure e imperiture, quelle che, secondo Platone risiedono e compongono l’iperuranio, solo le idonee a sostenere la nostra posizione e identità, quindi stabilità, vengono viste o, apparentemente, scelte. Quelle che, a nostro giudizio, ci mettono in pericolo, che fanno traballare oltre l’accettabile la nostra condizione, non sono viste e, se lo sono, vengono scartate. Qualunque espediente è valido per respingere o accettare. La morale, la coerenza, i valori, le priorità finiscono più o meno facilmente al patibolo, strozzati dal filo rosso della sopravvivenza della nostra moralistico-meschina biografia.

Ma se tutte le idee esistono già, così come la risposta a tutti i perché – per trovarli basta trovare gli arzigogoli del filo rosso delle biografie che li mostrano – va da sé che la nostra selezione è necessariamente parziale, e la nostra realtà o descrizione di essa, nient’altro che autoreferenziale. Parziale in quanto di tutte le infinite ne prendiamo una o di tutte quelle prese da altri, la nostra è totalmente o parzialmente autoreferenziale in quanto noi stessi in altro tempo o il prossimo nello stesso tempo, ne estrarremmo altre differenti manciate per descrivere la medesima realtà, a quel punto divenuta un’altra.

Nulla di nuovo, lo hanno detto Humberto Maturana, Kurt Gödel, Platone, Plotino, i Veda, i Toltechi, Hafez, Arthur Schopenhauer, la fisica quantistica (anche se i meccanicisti non ci arrivano), Foucault. Proprio la sintesi di un suo pensiero – la verità è nel discorso – basta a delineare il concetto che la nostra descrizione, il nostro discorso, che seguitiamo a considerare vero e compiuto nel momento in cui lo affermiamo, non è che una suggestione, il risultato di un incantesimo, cioè di un recinto, gogna o emozione che fa di noi ciò che vuole. 

Quello appena sopra, non è che un elenco breve di pensatori e tradizioni, le cui configurazioni del mondo basterebbero a edificare un’umanità immersa in una realtà di bellezza, di pienezza. Ma capire la bontà della loro parola non basta, l’esperienza non è trasmissibile, ricrearla è necessario affinché dal piano intellettual-cognitivo esse divengano carne, sangue, parola e pensiero. 

Infatti, invece di essere saggi da millenni, siamo qui a consumare una vita di stenti e soprattutto vittimistica o peggio, sostanzialmente solo intellettual-ideologica. Un’emozione che ci costringe a identificarci con il tunnel della storia e non vedere mai il cielo. Cioè, a considerare utopia il salto quantico che dal trampolino dalla dimensione egoica ci lanci nella dimensione del bene e del bello; che dal brutale dualismo si possa passare alla consapevolezza dei suoi plumbei limiti. 

Se le esperienze non sono trasmissibili e se riconosciamo che esse hanno il potere di intervenire nella nostra descrizione del mondo, dovremmo anche poter raggiungere la forza per accettare e fare nostra la consapevolezza che viene dalla banale constatazione che stiamo semplicemente dando significato differente alla realtà. Da lì, a riconoscerne il reciproco diritto, dovrebbe essere un’altra banalità. Ma se così non pare, allora c’è di mezzo la prevaricazione egoica e il suo pilastro portante, cioè l’identificazione di noi con ciò che chiamiamo io.

Ma se così seguitiamo a procedere, il nostro immaginario seguiterà a risiedere, con il liquame al collo, nella latrina edificata dal razionalismo, dal materialismo, dal positivismo, dalla scienza e dalla logica formale. Tutti ottimi strumenti per amministrare la vita, ma pessimi, se non letali, quando sono creduti gli unici ad avere diritto di stare sul nostro banco di lavoro, o quando dai campetti di gioco regolamentati e condivisi, ci addentriamo nelle foreste selvagge delle libere relazioni interpersonali, come la cultura scientista che ci domina, impone. Un accidente che, senza che nessuno se ne sia accorto, ha conficcato le unghie fino in fondo a noi, fino a delineare la strada dei pensieri e perfino quella dell’anima, tanto da renderci nemici.

Lorenzo Merlo


 
Liberare la mente PDF Stampa E-mail

23 Gennaio 2025

 Da Rassegna di Arianna del 20-1-2025 (N.d.d.)

C'è una parte ampia di popolazione che, se giungesse una proposta politica recante un punto di vista autonomo, democratico nel senso dell'essere basato sul principio di sovranità popolare e, pertanto, irriducibilmente ostile a quelle forze sovranazionali che oggi negano tale principio quali Unione Europea, NATO, OMS e World Economic Forum, saluterebbe con favore la novità. Se poi la proposta politica recasse la visione d'uno Stato al servizio della popolazione (e non viceversa come oggi), la visione d'un mercato al servizio della società (e non viceversa come oggi), nonché la visione d'una tecnologia al servizio dell'essere umano (e non viceversa come oggi), il favore si tramuterebbe in entusiasmo. Se questa proposta, infine, giungesse da persone aventi una biografia di sinistra e persone aventi una biografia di destra, ma accomunate dall'aver rotto ogni legame d'appartenenza con l'area politica in cui si sono formate, l'entusiasmo si tramuterebbe in identificazione.

Quanto è ampia questa parte di popolazione che non vede l'ora di veder saltare in aria la prigione categoriale destra-sinistra? Non lo so, ma ritengo ragionevole ipotizzare ch'essa abbia dimensioni di massa. La prospettiva qui delineata purtroppo risulta oggi impossibile non già per ragioni materiali e oggettive, bensì e soltanto per ragioni di limitatezza intellettuale.

Liberare la mente dalla gabbia in cui si tiene rinchiusa volontariamente, è il primo passo per liberare i popoli.

Riccardo Paccosi


 
Paranoia PDF Stampa E-mail

21 Gennaio 2025

 Da Comedonchisciotte del 16-1- 2025 (N.d.d.)

Chi sotto le festività avesse bazzicato le librerie in cerca di qualcosa da regalare, si sarà reso conto dello squallore in cui è sprofondata la nostra editoria. Libri di personaggi famosi che rilasciano autobiografie (tutte dettate a chi sa scrivere al posto loro), personaggi televisivi che si improvvisano “scrittori” con volumetti dai titoli strampalati (è in vendita anche il titolo). Ma soprattutto non manca mai l’intellò rigorosamente di sinistra che cerca di rilanciare saggi sul fascismo con lo scopo precipuo di mostrare ai poveri ignorantoni italioti che la camicia nera non passa mai di moda e che l’attuale governo ne rappresenta solo una variante in chiave moderna, contro la quale dover lottare. Parlo del sussiegoso Scurati dal cui libro Sky ha tratto una serie televisiva che ovviamente non guardo; con attori come Luca Marinelli il quale dichiara di vergognarsi di essere stato costretto (ma chi lo costringe?) a interpretare Mussolini.  I suoi tormenti  di attore “antifascista” sono già stati oggetto di sfottò da parte dei social. Il libro da cui è tratto lo sceneggiato, del resto titola con una grande  M sbattuta in copertina. M come il mostro di Düsseldorf  di Fritz Lang, con la stessa grafica del film,  tanto per mostrificare.

Ovunque ci si giri e rigiri in libreria, abbiamo un Mussolini in edizioni di lusso o in brossura. Il sempiterno Vespone ha fiutato l’aria che tira e il suo cadeau natalizio titola “Hitler e Mussolini”, tanto per cambiare. Giordano Bruno Guerri vuol dimostrare che il Duce era uno di noi e che in ogni italiano sonnecchia  un aspirante Dux in cerca dell’uomo forte quale potenziale alter ego. Per questo il suo libro lo chiama semplicemente “Benito“. Già Benito, ovvero uno di noi. Insomma, dappertutto imperversa Mussolini Superstar e ovunque c’è una Mussoliniade seriale che uccide più di un serial killer.

Non abbiamo più romanzi veri né saggi che risveglino coscienze e la nostra letteratura è sprofondata nell’abisso dell’immediato come il mondo dei coleotteri e degli imenotteri. Non esiste più una vera cultura che abbia il coraggio di essere inattuale e perciò proponibile ad ogni epoca. In questi giorni i  media parlano come  di un “grande esponente della cultura”, un fotografo provocatore appena deceduto che ritrae con l’obbiettivo anoressiche in punto di morire, malati di Aids e tossicomani in crisi di astinenza. Requiescat, ma a mio avviso, non è così che si  contribuisce allo sviluppo delle arti visive e della cultura. Pertanto, come diceva Cocteau, leggo, rileggo (e rilego) solo classici. La domanda che mi pongo però è la seguente. Ma dovrò vivere in un paese dove fra 100 anni (che poi è domani) si sentirà ancora parlare in modo angosciosamente assillante di Fascismo e Antifascismo, di Nuovi Fascismi all’orizzonte (magari da Oltreatlantico)  e di Antifa & affini  in perenne mobilitazione? Per dirla in modo irrituale, ma che palle! È evidente il tentativo di dar fuoco alle polveri da parte delle sinistre che non possono vivere né far vivere gli altri se non con il mito della “vigilanza rivoluzionaria”. Della serie (più o meno televisiva) “Guardatevi attorno. Siamo ancora fra voi e possiamo farvi neri”. La cosa comincia ad assumere risvolti maniacali e patologici. Non sono forse i matti con lo scolapasta rovesciato in testa che ripetono compulsivamente sempre le stesse cose?

L’insistenza e questa elevazione a paradigma assoluto e universale per assolvere il presente dai suoi mali e dalle sue storture nel nome di un male trapassato remoto e sepolto. È questa fissazione che costringe, a volte, di malavoglia, a occuparsene ancora. C’è qualcosa di malato o di malafede nell’abuso odierno di fascismo per criminalizzare ogni cosa che si discosti dal presente.” (Veneziani). Ecco perché alla fine è bene non soffermarsi troppo sul paradigma alzheimeriano della ripetizione e reiterazione ad oltranza  su un tema che tanto piace a sinistra al quale la destra risponde in modo pusillo prendendo le distanze dai cosiddetti “mali assoluti”, cercando di esibire goffamente un certificato di verginità antifascista per la sopravvivenza.

Frattanto però, i nuovi totalitarismi tecnologici e tecnocratici, quelli che con il 5G, l’IA e gli algoritmi, i portafogli e le identità digitali, i droni che controllano e controlleranno le vite degli altri, vengono ignorati per inseguire i fantasmi del passato. Quasi certamente i padroni di questi mezzi e di queste tecnologie saranno tutti di provata fede “antifascista”. C’è da giurarci.

Saura Plesio


 
Fratelli roditori PDF Stampa E-mail

17 Gennaio 2025

 Da Rassegna di Arianna del 15-1-2025 (N.d.d.)

Ho sempre avuto simpatia per i Roditori, Mammiferi come noi Primati, molto intelligenti, solidali. Castori, scoiattoli, topi, ghiri, e marmotte, marmotte sulle montagne, con le loro tane superorganizzate, le loro sentinelle: un fischio acuto, pericolo dall’alto (aquila), più grave, pericolo da terra…

La Natura non classifica, ma noi lo facciamo, per intenderci. Fra i Primati, siamo anomali…in 8 miliardi non ci stiamo su questo Pianeta, ma almeno dovremmo mangiare come gli altri, frutta, verdura, radici, tuberi, bulbi. È tardi per rimediare agli eccessi di una nostra civiltà che ha invaso il mondo, ormai dovrà provvedere la Terra, il Grande Inconscio, l’Anima del Mondo…

Come analogia, possiamo prendere proprio un bellissimo, piccolo roditore delle valli nordiche; vale la pena ripetere ancora una volta, con le parole di un antropologo: I lemmings sono piccoli roditori del Nord-Europa e dell’Asia simili ai nostri topi campagnoli. In determinati periodi essi abbandonano le Alpi della Scandinavia in gruppi numerosi, come guidati da un misterioso suonatore di flauto, e si dirigono verso il mare del Nord o il Golfo di Botnia. Lungo questo tragitto, che è il loro senso della storia, essi subiscono gli attacchi dei carnivori o degli uccelli predatori che li distruggono a migliaia. Malgrado tutto, essi proseguono la loro strada e, raggiunta la meta, si gettano nel mare e vi annegano. …

Che cosa potrebbero dire i lemmings se potessero scrivere la storia di una delle loro migrazioni? “Siamo in marcia verso un felice domani, la nostra nazione fortemente strutturata cresce di ora in ora, e nonostante vari attacchi, progrediamo nella stessa direzione, conservando la nostra organizzazione che, sola, permette all’individuo di marciare verso quel progresso che intravediamo già, tutto azzurro, ai piedi delle montagne”.

La storia ha un senso per i lemmings e per la civiltà occidentale: essa sfocia in un suicidio collettivo, prima della “planetizzazione” di una specie. Ogni individuo vede però in questo slancio ultimo una marcia verso una situazione migliore. Più i lemmings si allontanano dal punto di partenza, dicono i naturalisti, più sono eccitati; nulla li può fermare; davanti a un ostacolo sibilano e digrignano i denti per la collera.

Anche noi, ben lontani ormai dalle nostre origini, sentiamo profondamente che nulla deve intralciare la nostra marcia verso ciò che chiamiamo il Progresso.

Noi infatti, uomini dell’Occidente, non facciamo altro che correre verso il mare, verso la morte, in file serrate. A ogni guerra, il vortice in cui siamo afferrati si inabissa sempre più, aumentando il nostro progresso materiale, sminuendo i nostri ultimi valori spirituali, annientando l’umanità fin nel cuore dell’uomo. L’orgoglio ci fa vedere in questa caduta il desiderato compimento della nostra esistenza terrena. Come il Principe di questo Mondo, l’Occidente attira a sé l’umanità intera, promettendo i beni materiali e la conoscenza delle tecniche ma incatenandola per sempre, sostituendo ogni pensiero con l’eterno desiderio, per meglio trascinarla con sé.  (Jean Servier, L’uomo e l’Invisibile, Ed. Rusconi, 1973- in francese: 1967)

Anche le cavallette hanno comportamenti di quel tipo, ma ho scelto i lemmings perché, come sopra detto, molto più simili a noi degli Insetti, anche loro viventi molto notevoli. Probabilmente i lemmings non sanno di andare verso il suicidio, ma è quella valle nordica che si difende dal suo male: anche quella valle è un ecosistema, un essere senziente. Nella migrazione dei lemmings, molti si salvano (circa il 20%) e tornano indietro: sono i più lenti, gli ultimi della migrazione, o quelli che ne restano al margine, sui lati. Forse sono quelli che non ci credono troppo, o forse sono partiti dopo. Sono ancora là, in testa alla valle, con i loro discendenti.

La Terra (l’Ecosfera) è molto più grande di quella valle, ma l’analogia con l’umanità (o l’Occidente) è fin troppo facile. Ma voglio fare un augurio, col cuore: Auguro a tutti gli umani di essere in quel 20% che torna indietro, alla faccia della matematica: 20=100. Un’assurdità? Forse, ma l’augurio sincero può tutto. Possiamo sempre sperare in un “meraviglioso imprevisto”, che non riusciamo neppure ad intravedere. Poi…non esiste solo la materia.

Guido Dalla Casa


 
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