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La nuova fase dell'Occidente PDF Stampa E-mail

19 Novembre 2023

 Da Rassegna di Arianna del 14-11-2023 (N.d.d.)

Uno dei grandi interrogativi della storia antica può illuminarci sull'attuale situazione: come mai Tacito, un senatore della repubblica romana, scrisse un'opera come l'Agricola che conteneva una ferocia critica all'imperialismo romano? Perché un membro dell'élite romana contestava i capisaldi ideologici dell'espansionismo romano? La risposta per noi è semplice: perché Tacito viveva all'apogeo dell'Impero (apogeo che veniva subito dopo le guerre civili), credeva fermamente nei suoi valori (la pax romana e la supremazia della Legge sul caos barbarico), e si accorgeva di come nella pratica questi valori venissero piegati a meri appetiti di conquista territoriale. La sua opera non ha come obbiettivo demolire gli ideali dell'Impero Romano, ma richiamare la classe dirigente latina a realizzarli.

1900 anni dopo è accaduto qualcosa di simile nell'Impero euro-americano: i Diritti Umani sono stati la carta dei valori elaborata dell'impero euro-americano al suo apogeo, e si sono imposti dopo il disastro delle guerre fratricide (prima e seconda guerra mondiale) per ridare slancio ideale ad un imperialismo ormai in crisi ideologica. Le feroci contestazioni che sono avvenute in Occidente dagli anni '60 in poi perché fra le proclamazioni ufficiali e la realtà dei fatti i diritti umani erano ben poco rispettati, si basavano sull'idea che l'impero al suo culmine avesse la forza politico-economica per realizzare i suoi ideali, senza piegarli ai bassi interessi delle necessità economiche e geopolitiche del momento. Ora siamo entrati in una nuova fase, che l'attuale conflitto medio-orientale ci illustra perfettamente: l'impero euro-americano è in crisi, e non fa nemmeno più finta di attenersi a delle leggi per giustificare l'uso della sua forza, semplicemente lì dove percepisce un pericolo (vero o presunto) colpisce più duro possibile per eliminarlo, indifferente alle leggi che ha elaborato per moderarsi. Richiamarsi ai diritti umani per spingere le élite occidentali a costringere Netanyahu&co al cessate il fuoco ha quindi poco senso: avrebbe avuto senso 30 anni fa, quando gli USA e l'Europa erano al culmine della loro potenza, adesso che si percepiscono assediate dagli imperi emergenti (Russia, Cina, India, ecc.), tutta la retorica riguardante la moderazione della forza e la tutela dei popoli più deboli è poco più di rumore di fondo.

In estrema sintesi il problema è questo: Tacito ci insegna che gli Imperi si danno delle regole per moderare l'uso della forza e producono una classe dirigente che crede in tali regole quando sono al loro apice, per poi dismetterle non appena l'impero entra in crisi e le regole precedentemente elaborate sono d'intralcio al suo bisogno di sopravvivere. Lo shock per noi occidentali è quindi duplice: l'attuale guerra ci mette davanti al fatto che le nostre élite dopo averci inculcato a forza il culto dei diritti umani li ritengono poco più di carta straccia, e che il nostro impero è in crisi profonda, forse irreversibile. L'Occidente è quindi nudo, e abbiamo scoperto che senza vestiti non offre un grande spettacolo.

Federico Leo Renzi

 
Tanta fuffa PDF Stampa E-mail

17 Novembre 2023

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 Da Rassegna di Arianna del 14-11-2023 (N.d.d.)

La quasi totalità delle crisi geopolitiche e quindi dei conflitti che da oltre un secolo investono Africa, Medio Oriente e Asia trovano origine nell’ideazione del nuovo ordine mondiale scaturito a partire dal primo dopoguerra: fu allora che i vincitori, animati da interessi egemonici e specifici interessi economico-finanziari, chini sulle carte geografiche tracciarono con squadra e righello (spesso inventandoseli) i confini degli Stati facendo strame di ogni senso logico ed etnografico. Il folle progetto si aggravò all’indomani del secondo conflitto mondiale, allorché il mondo fu suddiviso in due zone di influenza geopolitica: nella testa dell’Occidente a trazione angloamericana, fase intermedia e premessa per conseguire, in un secondo tempo, un Ordine Mondiale unipolare, così come poi è risultato del tutto evidente. Se gli Stati-nazione che si affermarono in Europa erano derivati dalla disgregazione degli Imperi centrali e dunque in qualche misura preservavano una certa omogeneità etnica, linguistica, culturale e religiosa, non così è stato per Africa, Medio Oriente, e sopra tutto per quella parte dell’Asia a ridosso dell’Europa.

Di tutte le creazioni di nuovi Stati, quella rivelatasi più nefasta (per quel che ne è conseguito) è stata l’invenzione di Israele. Un corpo estraneo in un ambiente ostile che ha determinato una crisi di rigetto senza soluzione di continuità. A ben promuoverne la fondazione è stata principalmente l’URSS di Stalin, con l’intento di piantare un chiodo ostile al mondo arabo, allora formato da monarchie. Senonché le monarchie – via una l’altra – furono soppiantate da repubbliche di tipo socialista, cosa che ha dato agio agli USA di attrarre a sé Israele e farne il bastione difensivo degli interessi occidentali e più segnatamente di quelli statunitensi. I Paesi arabi crescevano di potenza e di ricchezza grazie al petrolio e al contempo procedevano al recupero dell’Islam politico: in questa dinamica veniva ad accrescersi il contrasto con gli ebrei fondatori dello Stato di Israele, in massima parte formattati dall’occidentalismo liberale pur preservando l’identità (specificità) ebraica e avendo ormai acquisito la forma mentis dello Stato-nazione a caratura liberale.

Dice il vero chi dice che uno Stato palestinese  non è storicamente mai esistito, ma la stessa cosa vale per lo Stato ebraico. Quando gli ebrei arrivarono in Palestina lì c’erano già i palestinesi, così come nelle Americhe, quando arrivarono gli europei, c’erano già i nativi pellerossa che consideravano sé stessi come nazione. E quando i sionisti fondatori dello Stato di Israele arrivarono in Palestina vi trovarono ebrei di plurimillenaria discendenza ma non sionisti, che erano già lì con i palestinesi. Se proprio uno Stato si doveva imporre alla geografia del mondo, in quel luogo, quello Stato doveva essere edificato con ebrei e palestinesi autoctoni, che solo in seconda battuta avrebbero potuto accogliere ebrei della diaspora ed ebrei i cui antenati non avevano mai neppure visto la Palestina. Invece è sorta un’entità spuria, edificata da elementi estranei alla Palestina e circondata da Stati e popolazioni ostili, in cui l’avversione reciproca si è andata sempre più accrescendo, con tutto quel che ne è conseguito e di cui siamo ben a conoscenza.

Oggi Israele sta portando avanti una guerra di conquista ossia di ampliamento dei propri confini, una modalità della guerra che potremmo definire classica, sul tipo di quella condotta – per certi versi –dall’Impero Romano o – pari pari e in toto – dalle orde asiatiche di Gengis Khan: la differenza è che Israele pratica una guerra totale, che prevede sottomissione e/o annientamento anche della popolazione civile. È una fesseria la pretesa di costringere la guerra dentro parametri legali sulla base di trattati internazionali che stabilirebbero cosa sono e cosa non sono crimini di guerra, quali armi sono lecite e quali no. La guerra è rottura totale di ogni parametro “legale” e ogni esercito la conduce secondo necessità e quota parte della propria etica. Chi vince, a partire dalla buffonata del processo di Norimberga, stabilisce cosa è e cosa non è criminale.

In questo quadro, tutto quel che ruota attorno alla guerra è fuffa. Fuffa la narrazione del 7 ottobre e la relativa narrazione che ne viene data per supportare quell’accadimento come casus belli (sono accadute quel giorno cose sottaciute); fuffa le proteste, anche quando a scendere in piazza sono folle imponenti come in Pakistan o in Inghilterra; fuffa le propagande contrapposte che certe volte sono pure ridicole (come i cartoni animati diffusi da Israele sulle fortificazioni sotterranee negli ospedali); fuffa l’enfatizzazione dell’antisemitismo (che pure esiste e che però ha anche diverse implicazioni, come l’antisemitismo occidentale contro gli arabi o l’antisemitismo declinato in islamofobia quand’anche esercitato contro laici...). Ma qui entra in campo anche la guerra etimologica, per cui si accorpa tutto in un termine: antisemitismo quando è solo antigiudaismo, antisionismo e antiebraismo. E ancora fuffa la chiamata in campo della Shoah e del nazismo. […]

Ma “fuffa” in che senso? Nel senso che tutta questa gran cassa mediatica, tutta questa manipolazione emotiva, queste proteste, queste chiamate in campo della storiografia dei vincitori etc. non ha alcun peso specifico sulla guerra. Come non ce l’ha il come e perché è sorto lo Stato di Israele nel modo e con le caratteristiche in cui è sorto (come in modo sintetico ho scritto in apertura di questo scritto). Quel che conta e non è fuffa è la guerra – con tutti i suoi atti eroici e orrori – e chi la vincerà. E questa guerra la vincerà Israele, per quanto non sarà l’ultima e non mancherà di un secondo, terzo, quarto tempo dove non è detto che a ri-vincere sarà Israele. Tutte le questioni a latere, come i bombardamenti disumani, la mattanza di bambini, donne e vecchi, saranno riassorbite nell’immaginario collettivo in seconda battuta, come coda normalizzatrice degli effetti collaterali della guerra, a cominciare da una buona produzione hollywoodiana di film dove con gli israeliani vedremo in azione qualche Rambo, perché – si sa – sono i gloriosi americani che hanno liberato Auschwitz. Insomma, a torto o a ragione oggi Israele, con la copertura USA, può fare quel che vuole e, a parte la copertura degli USA, a essere decisivo sarà il responso della guerra: che è supremazia rispetto alla politica essendo la politica (invertendo l’assioma di von Clausewitz) il proseguimento della guerra con altri mezzi. Le opinioni pubbliche, gli orientamenti delle popolazioni rispetto ai giochi delle élite globaliste dominanti non hanno alcun peso specifico. Le masse comunque ideologizzate, contrariamente a quel che sostengono i marxisti, non contano una fava: fuffa anche loro.

L’unica domanda da porsi è: fino a quando l’aberrazione di questo ordine mondiale che ha avuto per culla il primo conflitto mondiale e per nutrice il totalitarismo liberale reggerà e come imploderà/crollerà? Le premesse per la sua disintegrazione a est dell’Occidente sono state poste. Non sarà una passeggiata, ma se si vuole riporre fiducia nella virtù cristiana della speranza, allora effettivamente questa speranza ha una qualche ragione di sussistere. Di certo una speranza sterile è l’idea dei due Stati indipendenti in Palestina a cui pedissequamente si attaccano i narratori della favola oggi in voga.

Maurizio Murelli

 
Parole chiare di Mario Draghi PDF Stampa E-mail

16 Novembre 2023

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 Da Comedonchisciotte del 14-11-2023 (N.d.d.)

Quanto abbiamo detto, scritto e spiegato in questi anni, per far comprendere alla maggioranza, sul fatto che una moneta senza Stato, in mano a poteri privi di legittimazione democratica, non potesse assolvere al suo naturale compito di provvedere al benessere dei popoli ma solo al perseguimento degli interessi esclusivi di una ristretta élite? Bene, oggi ce lo conferma anche colui che più di tutti ha contribuito a creare e sostenere nel tempo questa moneta di stampo colonialista, rappresentata dall’Euro, che, in quanto a povertà e sofferenze, ha condotto le vite della maggioranza dei popoli europei alle soglie del terzo mondo.

È per rendere ancora più chiari ed evidenti questi concetti che voglio tornare sulle parole che Mario Draghi ha rivolto ai poteri europei alla vigilia dell’Ecofin, direttamente dalle colonne di quello che ormai possiamo definire il suo ufficio stampa personale: il quotidiano londinese di business e finanza, Financial Times.  C’è una frase all’interno dell’articolo pubblicato appunto sul Financial Times, con la quale Arlecchino Mario Draghi si confessa burlando: “L’economia europea ha perso competitività negli ultimi 20 e più anni, rispetto non solo agli Stati Uniti ma anche al Giappone, alla Corea del Sud e, ovviamente, alla Cina”. L’euro e le sue folli regole austere – pensate un po’ che coincidenza! – sono stati introdotti il primo gennaio del 2002…. poco più di 20 anni fa! Ecco, sarebbe più che sufficiente abbinare l’ammissione di Draghi di quella che ormai è una realtà evidente sotto gli occhi di tutti, con la data dell’introduzione della moneta unica, per arrivare facilmente a partorire quell’elementare collegamento che da decenni molti di noi mettono in evidenza: ovvero che tutte le nostre disgrazie collimano perfettamente a livello temporale con l’introduzione della moneta unica europea. Quante volte abbiamo detto, scritto e spiegato che nei sistemi economici moderni la moneta è elemento essenziale per il buon funzionamento degli stessi e la creazione di un benessere diffuso! E quando un qualcosa di essenziale per le nostre vite, di contro lo rendiamo deliberatamente scarso – in conseguenza di regole e dogmi, frutto esclusivamente di scelte politiche a dir poco scellerate – significa che coloro che hanno messo in atto queste scelte, sono i principali responsabili dell’accaduto.

Certamente non possiamo non considerare Mario Draghi fuori dall’elenco di questi responsabili. Anzi, per i ruoli di primo piano che egli ha ricoperto all’interno delle istituzioni europee ed italiane e per la foga sanguinaria con cui, in prima persona, ha dapprima progettato, poi applicato ed infine protetto il sistema-Euro; forse, la Storia potrebbe addirittura collocare il suo nome al primo posto, quando deciderà di fare giustizia su chi sono stati i maggiori responsabili di questo disastro umanitario. I due paesi europei per i quali, più di tutti gli altri, le mani di Mario Draghi sono ancora virtualmente sporche di sangue, sono Grecia ed Italia. Ossia i due paesi costretti ad una perenne scarsità di denaro da Mr Britannia ed i suoi compari di stanza a Bruxelles, con la scusa di dover rientrare da un debito che sappiamo bene non esistere per gli Stati sovrani nella moneta. È bene essere chiari, i continui avanzi primari conseguiti negli anni dai governi italiani e greci, per trasferire soldi dalle tasche delle loro famiglie e imprese in quelle dei rentier locali e del mondo finanziario, sono la più alta e delinquenziale forma di colonialismo del ventesimo secolo su cui Mario Draghi ha apposto la sua firma. Certamente unica nella storia dell’umanità per dimensioni di ricchezza finanziaria. Ed oggi, dopo che per decadi ha contribuito a trasferire fiumi di denaro dalle mani di chi lavora a quelle di chi, in modo del tutto spregiudicato e diabolico, si diverte a speculare sulla vita degli altri, Mario Draghi, dall’alto del suo nuovo ruolo dove gli è richiesta una analisi accurata sullo status della competitività europea rispetto al resto del mondo, ci viene a dire che “negli ultimi 20 anni o più, l’Europa ha perso competitività con il resto del mondo”.

Certo per colui che conosce bene i meccanismi diabolici sui quali egli stesso ha costruito questo progetto di distruzione, credo non sia stata opera di grande sforzo certificarne oggi i risultati finali, già ampiamente previsti, calcolati e posti come obiettivo fin dall’inizio. Fai mancare il denaro all’economia reale, in più la riempi di debito e la sommergi di tasse, obbligandola ad una deflazione salariale infinita (la quale sappiamo mina irrimediabilmente i consumi), mentre nel contempo consegni monopoli di Stato e malloppo ad un manipolo di rentier che fanno parte della tua fratellanza e poi ci dovremmo meravigliare se oggi non siamo più competitivi! La meraviglia semmai, è come ancora il paese riesca a stare in piedi e più ancora come non sia già esploso quel dramma sociale, che spesso la storia ci insegna sfociare in tragiche guerre civili; in conseguenza appunto di una corda che ormai è stata tirata oltre ogni limite di quella che è l’estensione massima della nostra scala sociale.

Draghi senza la minima vergogna ci confessa anche come i poteri profondi di stanza a Roma e Bruxelles avevano progettato di vivere indisturbati sulle spalle e con il sangue degli altri, fino alla fine del mondo. Questo sarebbe accaduto se gli sconvolgimenti attuali a livello geopolitico non avessero messo in crisi il loro idilliaco paradiso. In sostanza il modello europeo faceva ampio affidamento sugli Stati Uniti per la difesa, sulla Cina per produrre ed importare prodotti cheap and low quality da far consumare alle masse e sulla Russia per l’energia a basso costo. Questo mentre i loro Signori si dedicavano indisturbati all’accumulo, all’interno di quella che era ed è tutt’ora un vera e propria opera di costante saccheggio di popoli e nazioni. Bene, anzi male direi! Dopo che noi ve lo diciamo da decenni, quindi anche Mario Draghi certifica che le cause delle nostre infinite sofferenze quotidiane sono tutte riconducibili all’uso che è stato fatto di questa moneta comune e precisamente nel farla mancare dove ve ne era reale necessità; solo per il desiderio di pochi appartenenti di vivere nell’abbondanza inseguendo il potere ultimo e divino sulla vita degli uomini. Questo e solo questo è il disegno massonico che muove le coscienze di chi ci comanda! Quindi, fatto fuori il dogma del debito pubblico, tolte di mezzo le fantasie sul fatto che la moneta sia un qualcosa di scarso ed eliminata la frode secondo la quale dovremmo andare a chiederla in prestito ai mercati, cosa ci propone ora Mario Draghi? Semplice, ce lo ha già detto! In linea con il solito pensiero unico, caratterizzato dal famoso idioma “più Europa”, Draghi spinge sull’acceleratore per arrivare al più presto a rendere realtà il progetto che vede come approdo finale la formazione degli Stati Uniti d’Europa. Quindi un controllo della moneta e della sua distribuzione ancora più accentrato in poche mani, con i centri decisionali sempre più lontani dalle esigenze ed i bisogni della gente e ancora più liberi di indirizzare la moneta secondo i desideri di accumulo elitari.

Immaginatevi! Se già oggi i nostri governanti pur potendo disporre di piena libertà in quanto a decisioni di politica fiscale, si inginocchiano ai voleri di una Commissione Europea non eletta da nessuno; quando tale libertà sarà tolta loro definitivamente, non avranno più neanche la necessità di coprirsi la faccia, come fanno oggi, con la falsa scusa del “ce lo chiede l’Europa”. È chiaro che questo progetto di definitivo consolidamento politico di questa Unione Europea – che vede come capofila Mario Draghi – oggi a forte rischio per gli sconvolgimenti geopolitici in corso (guerra in Ucraina, questione israelo-palestinese, i BRICS+ che vanno verso un mondo multipolare e conseguente de-eurizzazione), sta andando avanti sempre più in fretta, non certamente per il bene dei popoli ma esclusivamente per le necessità degli stessi poteri che lo hanno partorito.

Fabio Bonciani

 

 
Ogni nostro istante è una verità PDF Stampa E-mail

15 Novembre 2023

Immersi nella superstizione che ci sia un mondo di fronte a noi e quindi preda dell’incantesimo dell’oggettività, incaponiti a seguire l’idolatria del razionalismo, ci sfuggono le prospettive utili per evolvere, per realizzare educazioni e politiche più consone all’uomo, meno infettate di idealismo.

Ce l’avevo sotto il naso e non lo vedevo. Quanto volte ce lo siamo detti, quante ce lo hanno detto e quante lo abbiamo detto ad altri. È una formuletta apparentemente ovvia e innocua, ma che contiene una sostanza piuttosto sconosciuta, dal potere deflagrante. Appare ovvia e innocua perché sembra riferire una realtà alternativa che avremmo effettivamente potuto vedere, conoscere, scegliere, realizzare. Solo che non lo era per niente. Non c’era alcuna alternativa a parte quelle che abbiamo vagliato, ma alla fine comunque scartato, tralasciato, svalutato. Quella formuletta induce in noi la convinzione d’avere sbagliato e le sue conseguenze, quali la colpevolizzazione, l’esclusione, il senso di colpa. Un suo potere che viene meno una volta emancipatisi dalla superstizione che non era vero, avevamo a disposizione paritaria anche ciò che poi non abbiamo scelto. Solo il cosiddetto senno di poi ci permette, sfacciatamente, di impiegarla, la formuletta. Ma è un ulteriore abbaglio. Infatti solo il visto è il considerato e, al suo interno, solo l’utile è scelto. Tutto è selezionato secondo in filo rosso della nostra biografia, altrimenti detto destino. Ciò che resta fuori, indipendentemente da quanto poi lo si possa aver ritenuto sotto al naso, era stato a noi invisibile.

Misconoscere o, peggio, non avvedersi della nocività dello smodato impiego del senno di poi, non tarda a condurci alla sopraffazione del prossimo che non ha visto quanto aveva sotto al naso. Sopraffazione ricca di tutte le misure possibili. La più impiegata da noi, persone serie, intelligenti e rispettose del prossimo, nonché erudite e religiosamente scientifiche (ma sarebbe opportuno dire scientiste) è il deliberato impiego dell’ovvio. Non esiste ovvio se non nel mondo autoreferenziale che la nostra storia, le nostre emozioni e il nostro allineamento hanno selezionato e se non nel campetto di gioco in cui più persone condividono regole, linguaggio e sue accezioni. Allora sì che è ovvio che 2+2 faccia 4. Ma non è per niente ovvio ciò che secondo altri avremmo dovuto scegliere, quando il campetto di gioco nostro è diverso da quello altrui. Né quando siamo consapevoli che i nostri campi hanno righe che li delimitano secondo l’esigenza del giocatore. È così che tutta la cosiddetta realtà non è che suggestione e che la suggestione dei prepotenti ne elegge una sopra le altre. Tuttavia anche questi inciampano e battono il naso. Dovrebbe bastare per far insorgere in noi la consapevolezza che stavamo adottando una modalità di relazione col prossimo piuttosto violenta. Ma non va così. Non c’è senno di poi che possa ravvederci. La nostra spinta biografica non ci rende idonei a vedere le verità che la metafora autoreferenziale del campetto ci mette sotto al naso. Solo dall’esterno di noi, da altri universi, o da noi in altro momento, si può ritenere che altro da quanto avevamo scelto era a nostra disposizione. Passare con il rosso per un sopra-pensiero ne è un campione, non avvedersi delle bugie di chi ci sta a cuore, ne è un altro. Lo stesso avviene quando si pensano cose fuori contesto, quali ridere a un funerale, leggere e non seguire il racconto, dimenticare la pentola sul fuoco.

Ma la questione del ce l’avevo sotto al naso, non riguarda soltanto le sviste, ovvero ciò che grossolanamente si potrebbe spingere dentro la scatola dei cosiddetti errori. No. Per niente. La questione è più ampia ed è estesa a tutto e a tutte le circostanze della vita. Ogni nostra posizione nei confronti di qualunque situazione segue una via che si apre davanti a noi strada facendo, silentemente condotta dalle esigenze contingenti, a loro volta obbligate della nostra biografia. Ovunque ci porti nel bene e nel male, verso la soddisfazione delle nostre aspettative ed intenti, o verso la loro frustrazione e irrealizzazione, significa che abbiamo scartato le ipotetiche alternative. Oltre, fuori, al di là di quello che vediamo – che il vincolo della nostra biografia ci impone/concede di vedere – il mondo sparisce, e, a causa di quello che vediamo il mondo esiste, ad esso limitato. Se così non fosse non avremmo problema alcuno a sottrarre alla tristezza un nostro amico, né alcuna difficoltà a far convertire alla nostra ideologia i nemici. La lista degli esempi è lunga quanto la vita. Ogni situazione rivela che non abbiamo potuto considerare altro se non quello cui eravamo obbligati. In ogni momento possiamo trovare nella nostra biografia posizioni che avevamo sostenuto, dalle quali ora prendiamo le distanze inorriditi. Ogni nostro istante, come dice il Tao, è una verità. Giudicarlo un istante dopo è una blasfemia.

Se così non fosse, sarebbero davvero acuti e arguti coloro che si disperano per Cassano e Balotelli, geni del calcio che avrebbero potuto fare di più. Sì, ma solo secondo una teoria – che solo loro concepivano – scambiata per realtà. Come razionalmente non possiamo sottrarre da un’emozione il prossimo, così non possiamo neppure indicare la retta via per non sbagliare. È il potere dell’egregora che ci domina. In quanti avranno provato a redarguire e a “correggere” Cassano e Balotelli? Un acume e un’arguzia purtroppo assai diffusa. Ma non c’è da farne una colpa a coloro che ne dispongono. Siamo figli di una cultura cieca quando si tratta di riconoscere i perché e le radici delle nostre scelte e comportamenti. È la cultura meccanicista, materialista, fondata sul principio del causa-effetto adottato anche in ambito di relazioni umane, quindi una sorta di elefante in cristalleria. Ovvio, no? Cultura quantitativa, inetta a concepire che siamo universi diversi, ma geniale nel ritenersi in potere di giudicare stupido chi non si sia avveduto che aveva la soluzione della sua vita proprio sotto il naso.

Lorenzo Merlo

 

 
Un'intervista scomoda PDF Stampa E-mail

12 Novembre 2023

L’informazione che ci viene propinata dai giornali e dalle TV a diffusione nazionale è pura propaganda, massiccia e sistematica. Questo si verifica quando si è in guerra o quando i poteri non si sentono più sicuri. Una delle modalità della propaganda consiste nel nascondere le notizie sgradite, o ignorandole o facendole scivolare rapidamente in una zona silente e grigia, in modo che non entrino nella consapevolezza del fruitore. È il caso della recente intervista concessa da Draghi al pur autorevolissimo Financial Times. I contenuti di quell’intervista sono esplosivi, quindi devono essere accortamente occultati.

Draghi è stato il capo del peggiore governo in tutta la storia della Repubblica italiana. Insieme al suo ineffabile ministro della Sanità ha gestito la cosiddetta pandemia in modo infame. Resterà come capolavoro di cinismo e di negazione della logica il suo famigerato intervento in cui affermava il falso dicendo che chi si vaccinava si rendeva immune, per proseguire garantendo la morte ai non vaccinati, additati poi alla pubblica esecrazione perché non vaccinandosi avrebbero infettato anche quelli che aveva dichiarato immuni. A un esame di logica sarebbe stato bocciato immediatamente e invitato a scegliersi altri studi, come puericultura o scienze dell’alimentazione. Ha imposto l’obbrobrio del green pass, nel silenzio dei vecchioni della Corte costituzionale e del presidente della Repubblica. Allo scoppio della guerra fra Russia e Ucraina (ma in realtà fra Russia e NATO) il suo governo è stato fra i più forsennati. Il suo ministro degli esteri ha definito Putin “peggio di un animale”, seguendo Biden per il quale il presidente russo è un macellaio. Epiteti che non furono rivolti nemmeno a Stalin e che pregiudicano ogni possibilità di trattativa con un leader su cui hanno fatto gravare anche la minaccia di condanna presso il Tribunale internazionale per crimini di guerra (e Netanyahu? E Bush il giovane che si è reso responsabile della morte di centinaia di migliaia di civili?). Draghi fu anche corresponsabile di sanzioni alla Russia che hanno danneggiato soprattutto l’Europa. Un disastro.

Ebbene, questo pessimo capo di governo quando può parlare più liberamente dice cose talmente esplosive che viene di fatto censurato. Nella recente intervista ha affermato sostanzialmente tre cose: 1) l’economia europea va verso la recessione; 2) la Russia doveva essere fermata prima, quando si prese la Crimea e quando intervenne in Siria; 3) l’UE è destinata a sciogliersi e tutt’al più a tornare a una sorta di CEE se non si darà una forza armata comune, una politica estera comune e una politica economico-fiscale comune.

In buona sostanza, usando i verbi al passato quando parla del contenimento della Russia, ammette che è troppo tardi, cioè che la Russia sta vincendo la guerra. Non dice che sarebbe il secondo disastro della NATO dopo la fuga dall’Afghanistan ma il succo del ragionamento è questo. Nella sua disamina dell’Europa odierna fa chiaramente intendere che l’UE può sopravvivere solo come Stati Uniti d’Europa, cosa evidentemente impossibile perché nessuno Stato li vuole seriamente. Pertanto il futuro non lontano dell’UE è il suo fallimento, che porterebbe con sé anche la fine dell’euro.

Queste sono le implicazioni dell’intervista di Draghi. Si comprende perché su di essa sia rapidamente calato il silenzio. Intanto continuano a raccontarci favole, ma la concretezza del reale incombe con tutta la sua drammaticità.

Luciano Fuschini

 
Collaborazionisti PDF Stampa E-mail

11-11-2023

 Da Rassegna di Arianna del 6-11-2023 (N.d.d.)

Telecom Italia, con l'assenso del governo Meloni, ha deliberato la vendita per 19 miliardi di euro della rete fissa italiana, alla società statunitense KKR. Il gruppo KKR non è solamente un grande gruppo americano, ma, per comprenderne l'autonomia rispetto al comparto militare-industriale, ha come presidente l'ex generale americano David Petraeus.

L'infrastruttura delle telecomunicazioni è oggi la più importante infrastruttura che definisce le capacità operative di una nazione nel mondo moderno. Su questa infrastruttura circola: 1) l'informazione pubblica; 2) le transazioni monetarie; 3) qualunque operazione di interesse militare.

Praticamente gli abbiamo dato le chiavi di casa e lo ius primae noctis. Per chi avesse ancora avuto dei dubbi, la destra italiana è parte del progetto di svendita del paese agli USA esattamente quanto la sinistra. Essendo quella italiana la condizione di una colonia, il termine giusto per la nostra classe dirigente è quella di "collaborazionisti con le forze di occupazione coloniale". Visto che di questi tempi mancano occasioni di buon umore, non vedo l'ora di arrivare nei pressi delle prossime elezioni in cui assisteremo per la millesima volta allo spassoso gioco delle parti in cui la destra borbotterà seriosamente di "sovranità nazionale" e la sinistra li accuserà per questo di "fascismo". I grandi pezzi di cabaret non invecchiano mai.

Andrea Zhok

 
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