Avviso Registrazioni

Scusandoci per l'inconveniente, informiamo i nuovi utenti i quali desiderino commentare gli articoli che la registrazione deve essere fatta tramite Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Login Form






Password dimenticata?
Nessun account? Registrati

Cerca


 
  SiteGround web hostingCredits
L'evoluzione della fisica PDF Stampa E-mail

5 Giugno 2024

Image

 Da Rassegna di Arianna del 2-6-2024 (N.d.d.)

La fisica che si studia a scuola è essenzialmente basata sulla meccanica, almeno inizialmente: infatti si comincia con il movimento, i tre principi della dinamica o leggi di Newton: inerzia, proporzionalità fra forza e accelerazione, principio di azione e reazione. Questa fisica, nata nel mondo moderno due o tre secoli fa, si basa su un assunto della filosofia di Cartesio, cioè che l’osservatore e l’osservato siano ben distinti e quindi che esista un mondo reale e oggettivo al di là di ogni osservazione. In altre parole, mente e materia sono ben distinte, la materia è “esistente in sé”. Inoltre, l’astrazione newtoniana del “punto materiale” presuppone che il mondo osservato sia in definitiva riconducibile a tanti punti, o particelle piccolissime. La teoria atomica ha rafforzato questa visione, persistente anche quando si sono  ipotizzate particelle sempre più piccole (protoni, neutroni, elettroni, e così via). Anche la termodinamica, con la teoria meccanica del calore, si è mantenuta entro questa visione del mondo, battezzata dal fisico Fritjof Capra (1939-vivente): paradigma cartesiano-newtoniano.

Dal 1900 al 1930, più o meno, sono avvenuti, partendo soprattutto dalla fisica, rivolgimenti del pensiero scientifico conseguenti a formulazioni teoriche, sempre confermate, che hanno falsificato il paradigma cartesiano-newtoniano: tale modifica è tuttora in corso e procede molto lentamente. Sono i famosi Trent’anni che sconvolsero la fisica, titolo di un felice libro divulgativo di George Gamow. L’inizio è dato dalla relatività speciale o ristretta, enunciata da Einstein nel 1905, quando la fisica meccanicista o classica ha cominciato a vacillare: spazio e tempo hanno perduto ogni connotazione assoluta, materia ed energia sono diventate la stessa cosa.

 Ogni scienziato inserisce in genere le sue conoscenze in quello che oggi viene chiamato il suo paradigma, seguendo una felice definizione del filosofo Thomas Kuhn (La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1978). Mettiamo quindi in evidenza i due paradigmi maggiormente presenti nella scienza, seguendo la definizione di Fritjof Capra (Il punto di svolta, 1984): il paradigma cartesiano-newtoniano e il paradigma sistemico-olistico. Come sopra accennato, con il paradigma cartesiano-newtoniano tutte le conoscenze vengono inquadrate nell’ipotesi che l’universale sia una gigantesca macchina: in questo paradigma, di fatto tuttora in auge, ci illudiamo di separare i singoli problemi e risolverli uno per uno in modo lineare. Invece, nel paradigma sistemico-olistico non possiamo suddividere in parti l’universale: è necessario prendere in considerazione tutti gli effetti e le retroazioni fra i vari elementi e considerare il grado di complessità di un sistema, che non è divisibile in processi esaminabili singolarmente. Nel primo periodo dall’inizio della fisica, il paradigma principale vigente può essere considerato il determinismo di Laplace (primi decenni dell’Ottocento). Non c’è alcuna libertà, per nessuno, anche se una parte della scienza dell’epoca accettava un pizzico di libertà, ma attribuito soltanto “all’uomo”. Questa idea, allora “di maggioranza” fra i fisici, ha percorso tutto l’Ottocento e, da qualche parte fra il popolo e una fetta della scienza “ufficiale”, persiste ancora oggi. Nell’Ottocento si era ormai affermata la teoria atomica, dove gli atomi erano considerati indivisibili. Ma negli ultimi anni del secolo la scoperta della radioattività rese gli atomi non più indivisibili. Nel modello di Bohr-Rutherford, insegnato ancora oggi, l’atomo appariva come un sistema solare in miniatura, era fatto di “palline” ancora più piccole, ma la concezione di fondo restava ancora quella: esistevano le particelle elementari e il vuoto, attraverso il quale si propagavano le forze che le tenevano unite, o le distanziavano (molto simile a quella del filosofo greco Democrito). Con la relatività speciale, enunciata da Einstein nel 1905, spazio e tempo perdono ogni connotazione assoluta, materia ed energia diventano la stessa cosa. Tutto questo nasce dal fatto che la velocità della luce non è un infinito, è molto grande ma è un numero finito, e anche un invariante. L’unificazione energia-materia è stata accettata, ma ci sono voluti “gli episodi” di Hiroshima e Nagasaki per convincere le masse. Con la relatività generale (1916), la gravità newtoniana diventa la curvatura dello spaziotempo, ma la divisione cartesiana fra mente e materia resta totale. C’è un osservatore che guarda un mondo materiale realmente esistente. In altre parole, il paradigma non è più newtoniano, ma ancora ben saldamente cartesiano. Vagamente, c’è ancora la sensazione che la Natura si comporta come una macchina e non ha alcun genere di “aspetto mentale”, e che la mente sia un prodotto del cervello.

La rivoluzione più grande è iniziata nel 1927, proprio nella Fisica, quando lo scienziato tedesco Werner Heisenberg, dopo alcune meditazioni nell’isola di Helgoland, sul mare del Nord, ha enunciato il suo principio di indeterminazione, che inizialmente riguardava la posizione e la quantità di moto di una particella: il principio è stato poi confermato da Niels Bohr (con l’interpretazione di Copenaghen) e da tutti gli esperimenti successivi. Non si tratta di limiti dei nostri strumenti o dei nostri sensi, ma della natura del mondo. Posizione e velocità non sono determinabili esattamente entrambe. Se vogliamo definirne una, l’altra è completamente indeterminata, e tutto questo proviene da considerazioni matematiche: se il prodotto delle due indeterminazioni è sempre maggiore di una costante mai nulla (che contiene come fattore la costante di Planck), quando una delle due tende a zero (precisione assoluta), l’altra tende all’infinito (indeterminazione totale). Solo l’osservazione, cioè un fenomeno mentale, “sceglie” la grandezza da conoscere.  Ovunque, anche in tutte le grandezze delle espressioni matematiche, vi è un contenuto mentale. Il principio si applica ad altre coppie di grandezze, fra cui la coppia energia-tempo: se fissiamo un istante esatto, cioè vogliamo che l’indeterminazione del tempo sia nulla, la “particella” presenta una massa-energia totalmente indeterminata, il che significa che non è niente di definibile in alcun modo. Non si può separare il fenomeno dall’osservazione, non esiste alcuna realtà oggettiva, esistono solo relazioni, anche mentali. Il dualismo mente-materia è scomparso: non si possono separare. Queste “particelle” sono anche onde, l’Universale è fatto di vibrazioni e di frequenze.

L’indeterminazione applicata al binomio massa-tempo (o energia-tempo) portò a formulare il concetto di vuoto quantistico: non esiste alcuna particella né entità stabile, c’è solo una specie di vacuità creativa. Il dualismo vuoto-pieno è scomparso: “A” e “non-A” possono coesistere. Non esiste alcun “mattone fondamentale” della materia. Se si assume un istante preciso (indeterminazione del tempo nulla), la cosiddetta particella non ha alcuna massa-energia definibile in alcun modo: l’indeterminazione della massa tende all’infinito. Quindi viene messo in dubbio anche il significato della parola “esistere”.  Il cosiddetto “vuoto” è “pieno” di miriadi di particelle che nascono e muoiono in continuazione, vivendo meno del tempo massimo loro concesso. Tutto si riconduce al vuoto quantistico, cioè a una danza di energie che continuamente nascono nell’Essere e svaniscono nel Nulla. Il fisico austriaco Erwin Schroedinger era arrivato alle stesse conclusioni di Heisenberg, riuscendo a formulare l’equazione che porta il suo nome e che descrive l’andamento nel tempo di una probabilità. Ha inoltre enunciato il cosiddetto paradosso del gatto di Schroedinger: nel suo scatolone, il gatto è nella condizione di vivo/morto in quella ora fra la rottura/non rottura della fiala di cianuro e l’apertura dello scatolone da parte dell’”osservatore”. Tertium datur: qualcosa può anche esistere/non esistere contemporaneamente. Tutto si risolve nel vuoto quantistico, che è vuoto/pieno, una Vacuità creativa: così se ne va la visione atomistica di Democrito e dell’Occidente. Possiamo prendere a prestito energia dal Vuoto, pur di restituirla entro il brevissimo tempo che ci è concesso.

Nella seconda metà del Novecento lo studio dei sistemi portò a formulare le idee di sistema complesso e di essere collettivo. Un sistema che abbia un certo grado di complessità si evolve in modo da divenire completamente imprevedibile, anche in linea di principio: infatti si trova ben presto in qualche biforcazione-instabilità, o entra in uno stato caotico. La sua evoluzione non è prevedibile neanche in termini probabilistici. Nei punti di biforcazione il sistema sceglie di prendere una o un’altra via, in modo non determinabile da nessuna legge inerente al mondo energetico-materiale. Gli scienziati meccanicisti dicono che la via viene presa “a caso”, ma non sappiamo cosa questo significhi, né abbiamo alcun motivo per dire che si tratta di una scelta solo se il sistema in esame è il cervello umano. In altre parole, nei sistemi complessi si ha l’emergenza di fenomeni mentali. In alcune espressioni matematiche della fisica quantistica si trova al denominatore una differenza di frequenze, quindi, se le due frequenze sono quasi-uguali, la frazione tende all’infinito, indipendentemente dalla distanza, che può essere grandissima: ne nascono fenomeni non-locali. Forse le vibrazioni e le frequenze sono più importanti delle forze abituali della fisica “ottocentesca”, le distanze non contano… E l’entanglement? Le entità che sono state in contatto anche una sola volta resteranno collegate a qualunque distanza verranno a trovarsi…e istantaneamente, a una velocità che tende all’infinito.

La fisica di Newton persiste nelle scuole ma è superata su un piano “sottile” o filosofico. Di questo gli studenti non vengono neppure avvertiti, almeno inizialmente.  Infatti quella fisica è utile su un piano pratico-applicativo, perché il mondo macroscopico segue ancora, in gran parte, “quella” fisica, e al sistema interessa formare qualcuno che impara a “fare”, ad essere un tecnico, non qualcuno che “pensa”. In realtà, se – come abbiamo visto - non si può “spezzettare” nulla, e neppure fare “riduzioni al semplice”, né considerare le variabili come indipendenti, dato che le retroazioni sono numerosissime e intercollegate, riesce molto difficile in pratica trattare qualunque problema. Bisognerà comunque semplificare qualcosa, ma ogni sistema deve essere considerato come un sottosistema di quello totale, in realtà indivisibile. Comunque, sappiamo che nei sistemi complessi esiste sempre un limite temporale oltre il quale non è possibile fare alcuna previsione, neanche in linea teorica. Questo significa che, da un certo punto in poi, il sistema prende una via completamente imprevedibile sulla base dell’andamento precedente: in altre parole, si manifesta una scelta. Gli scienziati-filosofi materialisti-meccanicisti-cartesiani se la cavano attribuendo al caso l’andamento dopo la biforcazione, ma la parola caso è un’etichetta messa a tutto ciò che non sappiamo (o all’aspetto mentale?).

 Qualche citazione:

Qualunque cosa io dica, Vi prego di interpretarla come una domanda. (Niels Bohr)     L’unica legge è che non c’è nessuna legge. (John Archibald Wheeler) In contrasto con la concezione meccanicistica cartesiana del mondo, la visione del mondo che emerge dalla fisica moderna può essere caratterizzata con parole come organica, olistica ed ecologica. Essa potrebbe essere designata anche come una visione sistemica, nel senso della teoria generale dei sistemi. L’universo non è visto più come una macchina composta da una moltitudine di oggetti, ma deve essere raffigurato come un tutto indivisibile, dinamico, le cui parti sono essenzialmente interconnesse e possono essere intese solo come strutture di un processo cosmico. (Fritjof Capra) Oggi c’è una concordanza di vedute molto vasta – che tra i fisici raggiunge quasi l’unanimità – sul fatto che la corrente delle conoscenze si sta dirigendo verso una realtà non meccanica: l’Universo comincia ad assomigliare a un grande Pensiero piuttosto che a una grande Macchina.  (Arthur S. Eddington e James Jeans) Il problema è la visione del mondo meccanicistica che, malgrado tutto, risulta purtroppo ancora imperante. Dalla nuova Fisica non emerge una visione del mondo come costituito da oggetti separati che interagiscono urtandosi più o meno forte, ma una visione del mondo, invece, che scopre come grazie alla “sintonia” e all’interrelazione, alla cooperazione, si possano “evocare”, quasi magicamente, correlazioni inusitate, potenzialità finora inimmaginabili. (Roberto Germano)

Guido Dalla Casa

 
Colonialismo d'insediamento genocida PDF Stampa E-mail

3 Giugno 2024

 Da Rassegna di Arianna del 2-6-2024 (N.d.d.)

L'aspetto religioso, nella questione della formazione ed esistenza dello stato di Israele, è sempre stata molto in rilievo - sia in senso positivo che in senso negativo. Ciò ovviamente è in parte vero, ed in parte no. Lo è quantomeno nel senso che il sionismo - ovvero l'ideologia nazionalista su cui si è fondata Israele - nasce da un humus culturale di tipo religioso. Il fatto che, alle origini della religione ebraica, questa presupponesse che i suoi seguaci fossero gli 'eletti da dio', è il fondamento su cui si basa l'eccezionalismo ebraico-sionista, e la pretesa di uno stato tutto per sé. Ovviamente, questo presupposto è quanto di più banale, nel senso che migliaia di anni fa ogni popolazione (anche di etnie diverse) aveva i suoi dei, e dava per scontato che questa relazione fosse 'speciale'. Del resto, non si è forse gridato "Dio è con noi!" sino in tempi assai più recenti? In ogni caso, il sionismo ha fatto di questa presunta eccezionalità il fondamento di una ideologia che - esattamente come la religione nel cui ambito nasce - è esclusiva ed escludente.

Ma, se pure il sionismo ha questa connotazione religiosa, esso è prima di tutto una ideologia nazionalista. E secondariamente, non esistendo precedentemente una nazione esclusivamente ebraica, questa ideologia ha dovuto crearsi una narrazione confacente, ovvero identificare un luogo ove insediare questa nazione e questo stato. E, peraltro, la Palestina inizialmente non era l'unica ipotesi presa in considerazione... Una volta che il progetto sionista si è fermato su questa ipotesi (ben prima dell'olocausto), si inventò il famoso slogan "una terra senza popolo per un popolo senza terra". Che è però, appunto, una doppia mistificazione: perché in quella terra un popolo c'era eccome, e perché gli ebrei non sono un 'popolo'. Fondamentalmente, quindi, il sionismo - nel momento in cui è passato dall'essere una ideologia politica riferita ai fedeli di una determinata religione, all'essere un progetto politico concreto - si è manifestato come la tarda espressione di un fenomeno tipicamente europeo, il colonialismo. In virtù della sua natura, il colonialismo sionista è stato ed è una particolare fattispecie di tale fenomeno, il cosiddetto colonialismo d'insediamento.

Il colonialismo classico europeo, infatti, si è concretizzato nella occupazione militare di un territorio (generalmente collocato in un altro continente), nel trasferimento in loco di una quota di coloni, e nello sfruttamento intensivo delle risorse della colonia stessa - laddove tali risorse comprendevano la popolazione autoctona, utilizzata come forza lavoro in condizioni di servilismo, se non di schiavitù. Nella storia europea esistono sostanzialmente solo due casi di colonialismo d'insediamento, nel quale appunto i coloni non intendono semplicemente sfruttare la colonia, ma farne il proprio territorio: l'America del nord, e l'Australia. In entrambe i casi, le popolazioni indigene sconoscevano totalmente l'idea europea di stato e di nazione, ed erano tecnologicamente (e quindi militarmente) molto più deboli degli europei. In entrambe i casi, nonostante l'estrema vastità dei territori, i coloni europei perseguirono sostanzialmente lo sterminio delle popolazioni indigene, in quanto il loro insediamento presupponeva necessariamente l'eliminazione di coloro che abitavano precedentemente quelle terre. Il colonialismo d'insediamento sionista, invece, si è trovato di fronte una popolazione con una storia ed una identità nazionale e statuale (dai califfati arabi all'impero ottomano), pienamente moderna sotto il profilo tecnologico, e - cosa ancor più rilevante - massicciamente presente in un territorio assai ristretto.

La natura esclusiva del sionismo, che limita agli ebrei la possibilità di colonizzare la terra di Israele, non ha fatto che accentuare quest'ultimo problema, poiché il capitale umano a cui attingere per la colonizzazione è limitato, mentre quello autoctono non lo è. Ci sono quindi tre fondamentali ragioni per cui lo Stato di Israele deve essere genocida. La prima, è che il colonialismo d'insediamento lo è per sua natura. La seconda è che gli ebrei sono una piccolissima minoranza, e non tutti sono disposti a fare i coloni in Terra Santa. La terza è che l'insediamento avviene su uno spazio limitato, dove la spinta demografica degli indigeni è inarrestabilmente più forte di quella dei coloni. Ma, sempre per le ragioni summenzionate, il colonialismo sionista (che è una forma del colonialismo europeo: tutti i leader israeliani sono sempre stati ashkenaziti, cioè ebrei di origine europea, e mai sefarditi, cioè di origine mediorientale o nordafricana) si trova di fronte a una contraddizione insanabile, ovvero che le condizioni storiche e geopolitiche in cui si è manifestato sono a tal punto diverse, da quelle della colonizzazione del continente americano  e australiano, da rendere impraticabile la replica di quel modus operandi. Israele non può che essere genocida, nei confronti dei palestinesi, ma al tempo stesso ciò è semplicemente impossibile da realizzare, quantomeno nella misura 'necessaria'. E se Israele non può essere genocida, semplicemente non può essere, tour court. È questa, l'insanabile contraddizione in cui permane lo stato ebraico, che rende ancor più evidente la sua natura artefatta, che necessita di continui riferimenti biblici per la semplice ragione che non ha né una storia né una cultura comune, e che trova - appunto nell'odio razziale verso una popolazione indigena che ostinatamente rifiuta di scomparire - l'unico vero collante identitario.

Enrico Tomaselli

 
Declino tedesco nel tramonto dell'UE PDF Stampa E-mail

1 Giugno 2024 

 Da Rassegna di Arianna del 31-5-2024 (N.d.d.)

L’Europa è la grande assente. Nelle imminenti elezioni del parlamento europeo è infatti del tutto assente un dibattito in cui, data l’attuale crisi della UE, si prefigurino riforme sistemiche e/o eventuali progetti di rifondazione di una istituzione che sia rappresentativa dei popoli e degli stati europei. Non sussiste pertanto alcuna idea dell’Europa alternativa alla UE: non avrai altra Europa all’infuori della UE. Gli stessi movimenti sovranisti e/o euroscettici, sono rappresentativi di istanze legate ad interessi regionali o di classe, che spesso degenerano in etnicismi dissolutori, non solo dell’Europa, ma degli stati stessi.

La UE non è uno stato, una costituzione europea non è stata mai varata, ma sussiste in virtù del Trattato di Lisbona del 2007, mai sottoposto peraltro ad approvazione popolare. La UE dunque, è una istituzione priva di sovranità politica, che tuttavia è sorta in base ad un patto tra stati, che ha comportato la devoluzione ad essa della sovranità economica, monetaria e in larga parte politica da parte degli stati membri. Questi ultimi hanno quindi rinunciato alla propria sovranità a favore, non di uno stato sovranazionale che integrasse gli stati membri, ma ad una UE fondata su accordi internazionali privi di legittimità popolare. Il parlamento europeo non è dotato del potere legislativo, che è invece esercitato dalla Commissione, ed è quindi una istituzione pletorica, atta a legittimare politicamente i poteri oligarchici di una entità tecnocratico – finanziaria rappresentata dagli organismi della UE. Le coalizioni di maggioranza che si costituiscono in seno al parlamento europeo non assumono la funzione di un potere esecutivo per il governo politico della UE, ma sono predisposte per la mera ratifica di leggi e regolamenti emanati dalla Commissione, in conformità dei trattati istitutivi della UE. Pertanto, tali coalizioni risultano prive di una linea politica propria e sono blindate, in quanto è del tutto irreale la possibilità che si costituiscano maggioranze ostili alla Commissione. Infatti, i partiti sovranisti nel contesto delle prossime elezioni europee, per aspirare ad accedere alle maggioranze parlamentari europee, dovranno effettuare radicali revisioni delle proprie linee politiche, al fine di renderle compatibili con l’establishment che esercita la governance effettiva della UE. Soprattutto nella politica estera, in cui la UE non dispone di una soggettività politica autonoma, ma è parte integrante dello schieramento atlantico. È infatti la Nato a legittimare l’esistenza stessa di una UE che, in caso di disimpegno americano in Europa, non avrebbe più ragion d’essere. L’Europa ha il ruolo geopolitico di una piattaforma territoriale inserita nel contesto strategico della egemonia mondiale americana. In questa ottica è pertanto comprensibile la subalternità europea alla Nato, emersa nella rescissione dei rapporti economici ed energetici con la Russia di Putin (che ha comportato il declino della potenza tedesca), nel conflitto russo – ucraino e nell’incondizionato sostegno europeo ad Israele riguardo alla guerra di Gaza (che ha peraltro il suo fondamento morale nell’ irredimibile senso di colpa collettivo tedesco ed europeo scaturito dalle vicende storiche dell’olocausto). Democrazia, indipendenza, sovranità popolare, sono valori estranei alla UE. Le elezioni europee somigliano sinistramente alle ritualità plebiscitarie degli stati totalitari. In realtà, la classe politica insediatasi al parlamento europeo sussiste quale mandataria della direttive della Commissione.

Le elezioni per il parlamento europeo assumono un rilevo politico come una competizione tra i partiti interna agli stati, non come un confronto sulle politiche europee né tantomeno, su diverse idee dell’Europa. Gli stessi stati europei, privati della loro sovranità economica, conformemente alle regole del patto di stabilità, non possono implementare politiche espansive negli investimenti pubblici, salvaguardare il welfare e gli interessi dei cittadini. La politica estera degli stati europei è subordinata alle strategie della Nato. Si rileva inoltre, che nel contesto dei profondi mutamenti che si stanno verificando nella geopolitica mondiale, in cui si fa sempre più aspra la competizione tra USA e Cina con ingenti investimenti nella tecnologia e nell’innovazione, l’Europa ha ripristinato il patto di stabilità, che impone politiche di bilancio restrittive, a discapito della crescita e dei consumi. Nel nuovo ordine multipolare che si sta affermando, l’Europa risulterà marginalizzata e soggetta alla dipendenza tecnologica, energetica e militare americana.

La UE non ha integrato i popoli, ha istituito solo una unificazione monetaria. Non si è rivelata una unione inclusiva delle politiche fiscali, del lavoro, del welfare. L’assenza di un governo politico sovranazionale dell’Europa ha determinato l’emergere di una governance finanziaria autoreferente, del tutto estranea agli interessi degli stati e dei popoli. Basti pensare che il sistema bancario europeo, nella crisi inflattiva dovuta ai rincari energetici, con la politica degli aumenti dei tassi varata dalla BCE, ha conseguito profitti per 140 milioni annui. Aggiungasi poi che sia il sistema bancario, che quello assicurativo (nella fase post pandemica), che quello energetico (a seguito dei rincari causati dall’interruzione delle forniture russe), non sono stati assoggettati alla tassazione sugli extraprofitti, che peraltro sono stati realizzati a danno dei popoli europei. Questa UE è dunque il destino ineluttabile dell’Europa o la causa della sua irreversibile dissoluzione?

La crisi della UE coincide con il tramonto del modello tedesco. La UE è stata unione asimmetrica in cui si è imposto il dominio economico della Germania, in virtù dell’unificazione monetaria che ha abolito i tassi di cambio, della delocalizzazione industriale nei paesi dell’est europeo, della svalutazione dell’euro rispetto al  marco che ha incrementato la competitività dell’export, delle forniture energetiche a basso costo dalla Russia. Allo sviluppo della Germania ha corrisposto la recessione dei paesi europei più deboli, peraltro destrutturati economicamente e socialmente dalle politiche di austerity imposte dalla UE. La fine delle forniture energetiche russe ha inciso profondamente sulla competitività dell’export tedesco e sulla Germania, così come sulla intera Europa incombe un processo di deindustrializzazione favorito dalla politica protezionista degli incentivi e delle agevolazioni fiscali previste dal piano I.R.A. messo in atto dagli USA. Il modello tedesco ispirato all’ordoliberismus è ormai in fase di avanzata decomposizione.

In questo contesto di declassamento economico e geopolitico dell’Europa, occorre rilevare la sorprendente presa di posizione di Mario Draghi, che auspica un “cambiamento radicale” della governance europea con “nuove regole e più sovranità condivisa” e proclama che per “raggiungere una trasformazione dell’economia europea, dobbiamo essere in grado di fare affidamento su un sistema energetico decarbonizzato e indipendente, una difesa integrata europea, una produzione domestica nei settori più innovativi e una posizione leader nel deep-tech e nell’innovazione digitale”. Alla conversione di Draghi alla politica keynesiana di espansione degli investimenti fa riscontro quella di Francesco Giavazzi, che sostiene l’istituzione di un debito comune europeo per il rilancio dello sviluppo, in aperta contraddizione con le teorie neoliberiste della scuola di Chicago, che contemplavano tagli alla spesa pubblica e riduzione del debito da lui da sempre professate. Così si è espresso in un articolo del 21/04/2024 sul “Corriere della Sera”: “Occorre abbandonare l’idea che il debito sia solo un onere trasmesso alle generazioni future. Se indebitarsi oggi per investire, consentirà ai nostri nipoti di vivere in un continente libero e che cresce perché collocato sulla frontiera della tecnologia, ripagare il debito sarà un onere minore. Anche perché il debito pubblico non deve necessariamente essere ripagato: l’importante è ridurre il rapporto tra debito e PIL e questo dipende dalla crescita. Alla scadenza il debito pubblico può sempre essere rimborsato riemettendo altri titoli”. Tali conversioni simultanee a politiche espansive di Draghi e Giavazzi, sono del tutto strumentali. Infatti si prospettano in sede UE politiche espansive messe in atto mediante debito comune, finalizzate al riarmo dell’Europa imposto dal disimpegno americano, con la relativa devoluzione delle spese per la sicurezza nell’ambito della Nato agli stati europei, in funzione antirussa. Gli USA vogliono comunque scongiurare il sorgere di una Europa quale potenza autonoma ed indipendente dall’Occidente. In tale prospettiva, l’Europa sarà resa dipendente dagli USA, non solo nel settore energetico, ma anche in quello militare, dato il conclamato deficit tecnologico europeo in tema di armamenti. È comunque del tutto impensabile la costituzione di un esercito europeo senza uno stato unitario.

La UE si è rivelata un organismo burocratico irriformabile, affetto da congenito immobilismo. Le elezioni europee si configurano come una sorta di acclamazione incondizionata del sovrano, rappresentato dall’establishment tecnocratico – finanziario preposto alla governance della UE. L’esito di queste elezioni si prefigura peraltro scontato, con la conferma della coalizione tra popolari e socialisti. Il parlamento europeo altro non è che uno strumento di legittimazione politica dei poteri oligarchici dominanti: appare del tutto ridicola la presunta superiorità morale vantata dall’Occidente, quale sistema democratico contrapposto alle autocrazie di Russia e Cina. La UE è l’espressione della dimensione post storica in cui l’Europa è stata relegata dalla fine della Seconda guerra mondiale. La UE è ormai condannata al fallimento perché si è dimostrata del tutto inadeguata ad affrontare le sfide del nostro tempo, rappresentate dalle trasformazioni di portata storica in atto nella geopolitica mondiale. Una Europa politica può nascere solo dalle ceneri della UE. Occorre creare un nuovo europeismo dei popoli che si contrapponga alle oligarchie euroinomani di Bruxelles: una nuova Europa è possibile solo a fronte della dissoluzione della UE, che potrebbe essere ormai imminente.

Luigi Tedeschi 

 

 
Tutti i sintomi di una fase finale PDF Stampa E-mail

27 Maggio 2024

 Da Rassegna di Arianna del 26-5-2024 (N.d.d.)

La guerra in Ucraina si configura sempre di più per uno scontro socioculturale sulle diversità dei modelli di sviluppo, da una parte il sistema occidentale e dall’altra parte il resto del mondo; al primo afferiscono circa 1,2 mld. di persone nelle economie avanzate mentre al polo opposto se ne contano circa 6,7 mld. Si tratta di uno scontro tra economie basate sulla produzione ed economie sempre più basate sui servizi e sulla finanza: uno scontro tra economia reale ed economia finanziaria, un modello che a Occidente ha prevalso fino ad oggi ma ora si trova di fronte ad un inesorabile declino.

Il modello occidentale si è via via plasmato sulla rivoluzione finanziaria avviata nel 1971, quando Nixon dichiarò che la stampa del dollaro sarebbe stata sganciata dal controvalore reale dell’oro mettendo fine al sistema monetario basato sul “gold exchange standard “. La conseguenza fu la formazione di un “limbo” finanziario sganciato da qualsiasi bene concreto e reale, dove la stampa della carta moneta avviene all’infinito senza limiti o vincoli, mentre la finanza si muove in uno spazio etereo senza mai incontrarsi con il mondo reale, che rimane finito e misurabile. Due strade parallele.

È in tale contesto che nasce “Il tempo del dollaro”: per dare un qualche valore a una moneta ormai “eterea”, infatti, gli Usa inventano il petrodollaro ed il sistema Swift, che obbligano i paesi occidentali ad usare il dollaro rafforzandolo come moneta di riferimento. La svolta per la definitiva affermazione avviene poi con la caduta del muro di Berlino, che eliminando il principale avversario politico ed economico lascia campo libero al dominio della finanza e del dollaro come moneta globale di riferimento. La finanza diventa allora una verità incontrovertibile e l’economia cambia il suo DNA da scienza sociale a scienza positiva. Dice il premio Nobel 1994 Lucas: “I mercati finanziari non sbagliano mai nell’allocazione”.  Cinque anni dopo Clinton abolisce la Glass Steagall Act, nata per tenere separate le attività delle banche d’affari da quelle commerciali e i lupi entrano nel recinto cominciando a creare le prime bolle finanziarie. La finanza diventa il mantra che consente il più rapido arricchimento, anche se finirà per distruggere il sistema occidentale che sposa la finanza in modo assolutamente acritico. La finanza e il dollaro, infatti, segnano un predominio negli equilibri globali, ma generano un crescente volume di debito e strumenti finanziari che rendono tale debito esplosivo. Con i derivati e con il sistema bancario ombra arriviamo a 4 quadrilioni (quattro miliardi di miliardi in dollari). E l’Occidente resta cieco. La fase finale di tutti gli imperi include sempre disavanzi e debiti eccessivi, inflazione, una valuta che crolla, decadenza e guerra, e l’occidente presenta tutti questi sintomi.

Agli inizi degli anni Novanta salta anche il sistema delle repubbliche sovietiche, la Cina fa i primi passi nell’economia e il potere che si viene a creare nelle mani degli Usa non trova contrappesi a bilanciarlo alimentando la loro cultura della guerra come fattore di dominio e di sviluppo. Abbiamo le guerre del Kossovo, dell’Afganistan, dell’Iraq, della Siria, del Libano…, che consentono di occupare ampie zone dell’est asiatico favorite dal complesso militare, industriale, politico e congressuale. La cultura finanziaria non ammette repliche e consente il più rapido arricchimento e così quote crescenti di produzione vengono dislocate in paesi del terzo mondo che hanno costi infinitamente bassi. La strategia onnipotente di conquista non percepisce il cambiamento a oriente, della Cina e poi nei primi anni del 2000 anche della Russia e continua a smantellare l’attività manifatturiera per favorire i giochi della finanza. Gli equilibri però cominciano a cambiare e il modello comincia a deteriorarsi dall’interno con le bolle finanziarie che si susseguono sempre più ampie e profonde, mettendo il sistema in un cul de sac: più è alto il debito, infatti, più il debito ha bisogno di crescere alimentando un circolo vizioso senza fine. È lo schema Ponzi a moto perpetuo. Fino a quando il sistema non può che implodere.

Gli Stati Uniti, infatti, sempre convinti della loro superiorità, cominciano ad allagare il sistema economico e finanziario di moneta fiat, cioè senza sottostante, e cominciano le prime bolle e le prime smagliature nella tenuta del debito Usa e del dollaro come moneta di riserva globale, che dalla fine del gold exchange standard ha perso oltre il 90 % in termini reali preparando la sua fase finale. Abituati a gestire la bilancia commerciale sulla tenuta del dollaro, gli Usa assistono le prime spaccature: il debito sul pil si avvita a spirale, avvicinandosi al 140%, crescendo più rapidamente del prodotto interno lordo e spingendo Paesi a dismettere le riserve di dollari a favore di altre monete oppure dell’oro. Illusi dalla loro superiorità militare e finanziaria, gli Stati Uniti   perdono di vista gli equilibri interni, con il risultato che - di fatto - non hanno mai avuto un avanzo primario e la bilancia dei pagamenti presenta un debito di 53.312 mld /$ contro una posizione attiva di 35211 mld /$ con un disavanzo di 18.101 mld /$.

A sorpresa, se guardiamo alla Russia, troviamo invece conti ben più in ordine. Il suo rapporto debito/pil è pari al 14 %, non ha debiti e presenta una bilancia commerciale positiva come la Cina. L’economia russa è dunque più sana di quanto ci viene raccontato con un deficit di bilancio del 2,3 % rispetto al 5,4 % degli Usa. Fino ad oggi tale precario equilibrio è stato sostenibile grazie al ruolo di moneta globale assunto dal dollaro, ma l’attuale contrapposizione sul campo di guerra sminuisce il predominio del dollaro nella denominazione dei prezzi di una buona parte di materie prime.

La sorte della finanza Usa ha contagiato anche i Paesi occidentali che hanno subito l’occupazione finanziaria acriticamente, seguendo la strategia statunitense sia per mancata indipendenza che per eccessiva sottomissione: abbiamo perso aziende che hanno fatto grande l’Italia e adesso ci si presenta il conto. Il ricorso senza limiti al QE ha fatto stampare volumi di carta moneta fiat, ma la domanda di quella moneta si è ridotta avviando una svalutazione di fatto quando manovre come quella del petrodollaro non sono più ripetibili. Le conseguenze per i finanziamenti dei governi occidentali non saranno leggere: per decenni gli Usa hanno fatto affidamento sugli stranieri che accumulavano dollari per reinvestirli in TBUsa e la liquidazione di queste posizioni in un momento in cui i bilanci entreranno in recessione è destinata a salire.

La vera sfida alla cultura occidentale della finanza viene portata dagli altri paesi dell’est e del sud del mondo che rappresentano la manifattura e l’economia reale e che sono stati capaci di sviluppare un modello alternativo alla finanza illusoria. Non c’è da stupirsi che nazioni importanti nel settore energetico stiano abbandonando la nave. I Brics e gli altri paesi stanno già preparando l’alternativa al dollaro con una moneta possibilmente legata all’oro ed un sistema monetario scollegato dallo Swift. Questo grazie alla leva di economie che sono legate alla produzione di merci, dove le attività finanziarie sostengono attività non finanziarie con speculazioni finanziarie minime e dove il sistema è autosufficiente in termini di merci, materie prime e mano d’opera. A conferma del cambio la Cina ha accumulato oro per circa 23.000 tonnellate, la Russia sembra ne abbia a disposizione 12.000, mentre gli Usa ne hanno ufficialmente 8000. Questo oro è destinato a sostituire le valute fiat e la ripresa delle ostilità in Ucraina rischia di destabilizzare completamente un sistema finanziario già esposto al collasso. La struttura dell’economia americana e del suo debito non sono tali da consentire agli Usa il predominio globale e nuovi equilibri si vanno definendo.

Forse la spinta alla guerra senza ricorso a forme di pacificazione in Ucraina rischia di essere una svolta negli equilibri globali.

Fabrizio Pezzani

 
Senza via d'uscita PDF Stampa E-mail

23 Maggio 2024

Da Rassegna di Arianna del 20-5-2024 (N.d.d.)

Tutte le società sono governate da una élite, che sfrutta e controlla il resto del corpo sociale. Ciò che fa della nostra élite anglo-americana un vero e proprio tumore maligno,  è che essa si regge sull’imposizione di una moneta di riserva internazionale, che è al contempo una moneta debito generatrice di un debito sempre crescente e non rimborsabile, quindi uno squilibrio essenziale e ingravescente nel tempo, compensabile solo con un'escalation incessante di depredazione e violenza. Fintanto che il dollaro o qualsiasi altra moneta debito verrà imposto come moneta di riserva e degli scambi internazionali, non vi sarà pace nel mondo. Auspico che gli USA tornino ad essere una grande potenza produttrice ed esportatrice. Adesso sì sono ridotti a produrre poco ed esportare quasi niente (se non con l'imposizione, come il metano che ci vendono a prezzo quadruplo di quello che pagavamo alla Russia), e ad importare e comprare moltissimo dal mondo "pagando" con una moneta inflazionata e screditata, che devono imporre agli altri paesi con l'intimidazione e con la guerra, spacciandole per protezione della sicurezza internazionale: praticamente imitano l'estorsione e la "protezione" mafiosa, applicandole su scala globale. Ma non si può vivere per sempre di rendita ed estorsione.

In Italia, intanto, ci ritroviamo con una bella bomba finanziaria: in base ai nuovi Patti di stabilità l'Italia deve tagliare 13 miliardi all'anno di spese e contemporaneamente sostenere i costi per la guerra e per la Green transition: 273 miliardi stimati per l'efficientamento energetico della casa entro il 2030: semplicemente, non è possibile, se non facendo ciò che vogliono i falchi europei, ossia mettere le mani direttamente sul risparmio degli italiani. Non avrete più niente e sarete felici. Però l'Asse del Male sono gli altri. Col tempo la guerra mostra a tutti il suo vero volto, ma a pochi i suoi veri beneficiari, perché questi controllano le notizie. Quando nel secondo dopoguerra l'Europa e il Giappone si legarono economicamente e monetariamente agli Stati Uniti, la cosa aveva un senso, perché questi avevano un'economia fortemente produttiva, trainante e a credito, mentre ora hanno un'economia produttivamente svuotata, fortemente a debito e parassitaria. Perciò oggi Trump minaccia sanzioni contro quei paesi, soprattutto Brics, che osino sostituire il dollaro come moneta di riserva e scambio internazionale, dicendo che sarebbe una sorta di sedizione. Ma la sua minaccia è una ammissione che il dollaro sta traballando, minato dalla profonda deindustrializzazione degli USA e sotto il peso dei 34.000 miliardi di debito pubblico, di cui più di un terzo formatosi dal 2020 in qua; e invero da tempo ormai il dollaro riesce ancora ad imporsi solo attraverso minacce, interventi militari e  colpi di stato contro i governi "sediziosi", come in passato contro la Libia e l'Iraq. Proprio perché agonizzante, l'Impero del dollaro è sempre più pericoloso, aggressivo, guerrafondaio, mentre i mezzi con cui le banche centrali gestiscono il disastro del debito insostenibile assomigliano all'accanimento terapeutico su di un malato terminale: alzano i tassi e strangolano Stati, banche commerciali e tutto il settore finanziario. Poi abbassano i tassi, e l'inflazione distrugge il potere d'acquisto delle valute.

Non c'è via d'uscita, ma solo un barcamenarsi alternando somministrazioni di stimoli monetari da una parte e strette sui tassi dall'altra: come dare a un moribondo un cocktail di farmaci per combattere i sintomi prima, poi un altro cocktail contro i loro effetti indesiderati, e dare a credere che il paziente possa guarire.  Analoga funzione pseudo terapeutica, mirante a guadagnar tempo espandendo il credito e l’emissione di titoli, hanno misure come la pandemia, la Green Transition e la crociata contro la Russia. I gestori di questa manipolazione ci chiamano a pagare, rischiare e combattere per prolungare la vita al loro sistema fallimentare, mentre ci stanno costruendo addosso uno stato di sorveglianza e bio-manipolatore di tipo orwelliano, liberticida e depredante. Fallimentare non solo sul piano economico e monetario, ma anche su quello civile, sociale, culturale: una società in via di impoverimento e disgregazione all'insegna di una crescente ingiustizia. E che non riesce nemmeno a imporsi contro un nemico che è un ventesimo in fatto di PIL e un decimo in fatto di popolazione.

Gli interventi che si fanno su sistemi molto complessi, quale è lo scacchiere mondiale, producono effetti spesso opposti a quelli preannunciati. Così, mentre nuoce gravemente a noi, l'insieme delle sanzioni teoricamente dirette contro la Russia, che doveva tagliare le gambe a quel paese entro pochi mesi, sta invece rafforzando la sua economia perché spinge Mosca ad investire nella propria industria, nel renderla indipendente, e a uscire dal globalismo commerciale, rafforzando al contempo i rapporti con la Cina, l'India e persino la Corea del Nord. Inoltre, la risana psicologicamente dalle manie cretine e alienanti importate dall’Occidente, manie di correre dietro ai brands e alle griffes. La gente si rivolge di più alle cose vere, allo studio  e alla cultura.

Noi invece stiamo spendendo e arrischiando non per difendere l'Ucraina o Israele, bensì il vacillante signoraggio internazionale del dollaro. È dura essere vassalli del paese detentore della moneta di riserva internazionale, soprattutto da quando questo è sovraindebitato. Non bisogna dimenticare mai che, storicamente, l'Unione Europea è un progetto della CIA così come  Pinochet, Zelensky e le primavere arabe; mentre l'Italia unificata del 1861 fu un progetto della classe bancaria londinese, così come la Jugoslavia del 1918. Intanto, però, la Russia che tiene testa anche industrialmente all'occidente pur avendo un PIL pari a un ventesimo, confuta il mito del PIL come misuratore della forza economica di una nazione, e raccomanda di usare invece il PPP, PURCHASE POWER PARITY, cioè il potere d'acquisto comparato. Altrimenti si continuerà a scambiare per ricchezza reale il fatturato di improduttivi servizi e scambi finanziari, inutili sia per sfamarsi che per combattere una guerra, e che possono venire imposti al mondo soltanto con la minaccia.

Marco Della Luna

 
Campagna elettorale che ignora il tema decisivo PDF Stampa E-mail

21 Maggio 2024

 Da Comedonchisciotte del 20-5-2024 (N.d.d.)

Le elezioni per il nuovo parlamento europeo si terranno dal 6 al 9 giugno, a seconda dello Stato membro. I parlamentari avranno solo un potere molto limitato: voteranno le leggi elaborate dalla Commissione che, fin dalla sua istituzione, non è stata altro che cinghia di trasmissione della Nato all’interno delle istituzioni europee. La Commissione si appoggia sia sul Consiglio dei capi di Stato e di governo sia sul padronato europeo (BusinessEurope). I parlamentari hanno anche un altro potere: quello di formulare risoluzioni, ossia pareri a maggioranza semplice, che però nessuno legge né tantomeno gli dà seguito. Poiché l’attuale maggioranza è atlantista, tutti questi pareri riprendono la propaganda logorroica della Nato.

Negli Stati membri queste elezioni sono tradizionalmente sfogatoi per gli elettori. I governi quindi le temono e incoraggiano una proliferazione di liste alternative nei territori dei concorrenti. In Francia, dove la legislazione sul finanziamento delle campagne elettorali è molto restrittiva, il denaro che gli Stati Uniti e l’Eliseo iniettano in queste campagne proviene prioritariamente da Stati esteri (generalmente africani) e dalle imprese che stampano il materiale elettorale dei candidati. Questa strategia porta a un’impressionante proliferazione di liste: già 21 in Francia e 35 in Germania! Sebbene le elezioni avvengano sempre per lista, ogni Stato ha un proprio sistema di voto. Nella maggior parte dei casi si tratta di liste bloccate, come in Germania e in Francia. In altri Stati, come Irlanda e Malta, le liste sono trasferibili: ogni seggio da ricoprire viene votato singolarmente (il che riduce il ruolo dei partiti, pur mantenendo la proporzionalità). In altri casi ancora, come in Svezia e Belgio, gli elettori possono modificare l’ordine della lista da loro scelta. Oppure, come in Lussemburgo, possono votare candidati di liste diverse. Ognuno di questi sistemi di voto presenta vantaggi e svantaggi, ma non misurano tutti la stessa cosa. I Trattati avevano previsto partiti europei, che però non esistono; segno che non esiste un popolo europeo. I partiti nazionali sono quindi spinti a coalizzarsi in alleanze per designare il proprio candidato alla presidenza della Commissione europea. Tra questi candidati il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo sceglierà. Questo metodo di elezione indiretta è stato introdotto nel 2014. In pratica, la coalizione più grande viene identificata in anticipo. Jean-Claude Juncker e in seguito Ursula von der Leyen sono stati quindi designati prima che la loro coalizione conquistasse la maggioranza relativa. Perché Mario Draghi possa imporsi a capo della Commissione, sarà necessario che la coalizione arrivata prima cambi bandiera all’ultimo momento: dopo la presentazione del suo rapporto sulla competitività delle imprese europee, Draghi verrebbe scelto per sostituire la ricandidatura di Ursula von der Leyen. Un maneggio che consentirebbe di cambiare brutalmente i temi in discussione: durante il periodo elettorale si discute dei risultati dell’amministrazione von der Leyen, ma poi, improvvisamente, il tema centrale diventa federare l’Unione europea a scapito degli Stati membri. È un argomento di cui gli elettori non capiscono nulla. Possono capire che «L’Unione fa la forza», ma non capiscono le conseguenze che si ripercuoterebbero su di loro se gli Stati membri scomparissero. L’Unione europea non è affatto un organismo democratico, ancor meno lo sarebbe lo Stato-Europa.

Anche se Mario Draghi non potesse presentarsi, la domanda centrale, ma occultata, rimarrebbe questa: «Le popolazioni dell’Unione europea devono o no formare uno Stato unico, benché oggi non formino un popolo unico?». In altre parole, accetteranno che le decisioni vengano loro imposte da una maggioranza di “regioni” (non si parlerebbe più di Stati membri) cui non appartengono? Questa problematica fu esplicitamente posta dal cancelliere tedesco Adolf Hitler nel 1939. Egli voleva creare una Grande Germania, composta da tutti i popoli di lingua tedesca, al centro di una costellazione di piccoli Stati europei, ciascuno fondato su un particolare gruppo etnico. Dopo la caduta del Reich, nel 1946 il primo ministro britannico Winston Churchill avrebbe voluto creare gli Stati Uniti d’Europa, cui il suo Paese non avrebbe in alcun modo partecipato. L’idea era che “l’impero su cui non tramonta mai il sole” potesse confrontarsi con un unico interlocutore, comunque non in grado di competergli. Anche questo progetto non fu realizzato: qui la spuntò il «mercato comune». È su questo che torniamo ora.

In ambito economico, l’Unione si sta muovendo verso una specializzazione del lavoro. Per fare esempi, alla Germania andrebbe l’automobile, alla Francia toccherebbero i prodotti di lusso e alla Polonia i prodotti agricoli. Ma come reagiranno gli agricoltori tedeschi e francesi che saranno sacrificati all’interesse di quelli polacchi, o i produttori di auto polacchi, a loro volta sacrificati a beneficio di quelli tedeschi? In ambito di politica Estera e di Difesa, l’Unione ha sposato la linea atlantista. In altre parole difende le stesse posizioni di Washington e Londra. Ma questa linea potrebbe essere imposta a tutti, anche agli ungheresi, che si rifiutano di diventare antirussi, o agli spagnoli, che si rifiutano di sostenere i genocidari israeliani. Secondo i Trattati, la Difesa dell’Unione è affidata alla Nato. Il presidente statunitense Donald Trump pretendeva che questa difesa non costasse nulla agli Stati Uniti e che gli europei aumentassero le spese militari al 2% del PIL. A oggi solo 8 Stati su 27 lo hanno fatto. Se la Ue diventasse un unico Stato, il desiderio di Washington diventerebbe un obbligo per tutti. Per alcuni Paesi come l’Italia, la Spagna e il Lussemburgo, ciò significherebbe un’improvvisa riduzione dei programmi sociali. È improbabile che le popolazioni lo apprezzerebbero. Inoltre, c’è il caso particolare della Francia, che è membro permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e possiede la bomba atomica. Dovrebbe mettere queste prerogative al servizio dello Stato unico, con il rischio che la maggioranza del Consiglio europeo le usi contro le opinioni dei francesi. Ma anche in questo caso le popolazioni non lo accetterebbero. Tra l’altro, lo Stato-Europa (che non ha nulla a che vedere con il continente europeo, molto più esteso) sarebbe quindi un impero, costretto però ad accettare che parte del suo territorio, Cipro Nord, sia occupata dalla Turchia dal 1974.

Nessuno di questi problemi è nuovo: a causa di essi alcuni politici europei, tra cui il generale Charles De Gaulle, acconsentirono al “mercato comune” e rifiutarono “l’Europa federale”. Oggi sono di nuovo al centro delle preoccupazioni dei leader europei atlantisti, ma non dei loro popoli. Ecco perché faranno di tutto per nasconderli in queste elezioni. È la questione centrale, ma anche quella che inquieta di più. A questi problemi politici si aggiunge quello organizzativo. L’era industriale ha lasciato posto a quella dell’informatica e dell’intelligenza artificiale. Le organizzazioni verticali dell’inizio del XX secolo, in economia e in politica, hanno lasciato posto a organizzazioni orizzontali e in rete. Il modello verticale dello Stato-Europa è quindi superato prima ancora di nascere. Inoltre, chiunque conosca quest’enorme macchina amministrativa, ne ha già visto la futilità: alla fine serve solo a rallentare la crescita che invece sarebbe supposta stimolare. L’Unione è ormai molto indietro rispetto a Cina, Russia e Stati Uniti; il progetto federale non solo le impedirà di riprendersi, ma la farà addirittura retrocedere rispetto alle potenze emergenti.

Si potrebbe pensare che i sostenitori dello Stato-Europa abbiano interesse ad attrarre un’ampia partecipazione per legittimare il loro progetto. Non è così: il progetto federale non viene discusso in questa campagna elettorale, ma se ne discuterà il giorno successivo, con Mario Draghi. Quindi tutti stanno facendo il possibile per sottolineare che l’Unione organizza delle elezioni (fatto ritenuto sufficiente a renderla democratica) ma al tempo stesso si assicurano che il minor numero possibile di persone s’intrometta. La partecipazione, nell’intera Unione, potrebbe non raggiungere la metà degli elettori.

Thierry Meyssan ( Traduzione di Rachele Marmetti)

 
<< Inizio < Prec. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Pross. > Fine >>

Risultati 113 - 128 di 3845