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Agente geopolitico del caos PDF Stampa E-mail

6 Novembre 2022

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 Da Comedonchisciotte del 5-11-2022 (N.d.d.)

È arrivata il 28 Ottobre la fumata bianca che porta all’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk. Dopo mesi turbolenti e travagliati, il nuovo “Chief Twit”, come lui stesso si è autoproclamato, può così festeggiare. La vicenda è iniziata a configurarsi nel mese di Aprile, quando Musk, già detentore del 9% delle azioni, formulava un’offerta iniziale dal valore di 44 miliardi di dollari. In un primo momento i maggiori azionisti della società, tra cui i più grandi fondi di investimento, manifestarono pubblicamente un grande disappunto e la chiara volontà di non lasciare l’intero pacchetto azionario ad un’unica persona. Di contro, un’offerta così importante non lasciava loro altra possibilità se non quella di accettarla. Il dado sembrava tratto, ma con l’eccentrico miliardario il colpo di scena è sempre dietro l’angolo. Improvvisamente arrivò una sua dichiarazione sul fatto che non avrebbe proceduto all’acquisizione di Twitter fino a quando il social non avesse stimato il numero esatto dei profili falsi iscritti sulla piattaforma. Iniziava così a delinearsi sempre più chiaramente la strategia di Musk: da una parte mirava a far crollare in borsa i titoli del social, dall’altra scalpitava nel far emergere l’esercito di profili bot presente nella piattaforma. In entrambi i casi Musk ne stava guadagnando in termini economici e di immagine. Un simile arresto dell’operazione fece scoppiare un lungo dibattito sulle implicazioni dell’accordo. Dal momento che il board di Twitter non gli aveva voluto fornire i dati richiesti, scelse di ritirare l’offerta, ufficializzando la propria decisione con una lettera inviata alla SEC, l’autorità che vigila la Borsa statunitense. Tra aggrovigliati e serrati tira e molla si è arrivati agli inizi di Ottobre, quando in un contesto costellato tra denunce e controdenunce, le parti in causa decidono di risedersi al tavolo delle trattative. Da lì l’offerta dei 54,20 dollari per azione viene confermata ed Elon Musk diventa così il nuovo proprietario di Twitter.

“L’uccellino è liberato”. Con un semplice tweet Elon Musk ha di fatto annunciato di aver completato l’acquisizione di Twitter. Inoltre, con queste semplici quattro ma eloquenti parole, ha voluto far percepire ai suoi iscritti (e non solo) che il social sarà finalmente scevro da elementi ostativi alla libertà di espressione. Attraverso una lettera pubblicata nel pomeriggio di giovedì 27 Ottobre, Musk ha deciso di informare gli inserzionisti di Twitter le motivazioni sottostanti all’acquisizione. In tale lettera è stata posta molta enfasi sull’importanza di avere una piazza digitale comune, in cui l’ampia gamma di opinioni potesse essere discussa in modo sano e non violento. Inoltre, aggiunge di non averlo fatto per i soldi, ma per il bene dell’umanità che lui ama e a cui appartiene. Puntando il dito contro i media, scrive che a suo avviso essi avrebbero alimentato estremi polarizzati attraverso la ricerca spasmodica del click e disincentivato il dialogo. Solo il tempo svelerà se queste promesse troveranno fondamento. Il tempo non c’è stato invece per alcune decisioni drastiche, come il licenziamento in tronco di quattro top manager dell’azienda. Escono dall’azienda il direttore finanziario Ned Segal, il legale Sean Edgett, la responsabile degli affari legali Vijaya Gadde e l’amministratore delegato Parag Agrawal, colui che nel 2021 aveva preso il posto del co-fondatore del social Jack Dorsey. Inoltre, in questi giorni, si sta parlando che il 75% dei dipendenti verrà rimosso dal loro incarico. Insomma, Musk si è insediato negli uffici della società di San Francisco con il pugno duro, esprimendo da subito la sua intenzione di mettere in chiaro le cose: c’è un nuovo capo, un nuovo CDA e tutta la macchina dovrà essere plasmata sulle sue decisioni.

Anche le modifiche tecniche sulla piattaforma non si sono fatte attendere. La prima è la nuova pagina di accesso a Twitter, che permette di navigare all’interno anche senza la condizione di essere iscritti al social, differentemente da prima. Ha inoltre chiesto, e sembrerebbe ottenuto, che l’abbonamento alla versione premium della piattaforma (Twitter blu) passi da 4,99 dollari a 19,99 dollari. Tali modifiche hanno lo scopo soprattutto di mandare un messaggio all’intero gruppo: per apportare innovazioni non sono più necessarie lunghe discussioni interne, ma è sufficiente un solo ordine: quello di Elon Musk.

Una novità ulteriore, forse la più importante di tutte, è quella di utilizzare Starlink, il servizio Internet via satellite di SpaceX, per rendere Twitter disponibile nei Paesi in cui attualmente è difficile accedervi. Starlink è il progetto che consentirebbe lo sviluppo di un collegamento internet ovunque efficiente tramite un sistema di parabole che si connettono ai satelliti di SpaceX (1.469 satelliti dichiarati attivi e 272 presto in orbita). Secondo Musk questo sistema garantirebbe a tutti gli operatori un servizio stabile e a basso costo e, per di più, grazie una connessione a 1Gbps, si sfrutterebbe il massimo della velocità oggi raggiunta grazie alla fibra ottica. In futuro, grazie al posizionamento di tutti i satelliti, Starlink potrebbe rappresentare una vera svolta per il settore, in quanto permetterebbe ciò che ancora non si è riusciti a raggiungere: una connessione decente su tutto il globo. Non solo nelle grandi città o periferie, ma anche in mezzo alla foresta, nel deserto o in cima alle vette più alte ed isolate del mondo. Proprio tramite un Tweet risalente allo scorso Agosto, Musk annuncia il suo progetto, quello di rilasciare Starlink il prossimo anno, garantendo l’accesso direttamente tramite i telefoni ed eliminando le dead zones presenti nel mondo. Molti definiscono Elon Musk un visionario, altri ancora un miliardario eccentrico che sta giocando con l’umanità alla stregua di quanto faccia un bambino con soldatini giocattolo. Una cosa è innegabile, Musk sta facendo molto parlare di sé e lo farà ancora di più nel prossimo futuro.

Il New York Times ha definito Elon Musk un “agente geopolitico del caos”. Un epiteto che rimanda ai super cattivi della Marvel Comics, più che a un CEO o a un investitore. Ma la definizione non sembra essere lontana dalla realtà se pensiamo che attualmente, attraverso un semplice tweet, Musk riesce a spostare un quantità di denaro senza eguali. Nessuno, tra attori hollywoodiani o politici di alto rango, sembra avere l’effetto esplosivo che lui sa provocare con una semplice dichiarazione. Di fatto oggi il miliardario, trovandosi ad essere l’unico proprietario di uno dei social più utilizzati al mondo, nonché il realizzatore di un progetto internet mai visto prima, potrebbe essere paragonato, come incisività planetaria, a Paesi di grandi dimensioni. Questo paragone è avvalorato anche da quanto sta accadendo in questi giorni sul fronte bellico in Ucraina. Tutto ha avuto inizio a febbraio 2022, quando Musk annunciava l’arrivo delle connessioni internet satellitari di Startlink in Ucraina. Attualmente nel Paese la citata connessione è diventata il modo principale con cui collegarsi ad Internet, ma non solo. La maggior parte delle infrastrutture militari e logistiche funziona tramite Starlink. Nonostante però Musk abbia attivato la sua fornitura internet in Ucraina già nelle fasi iniziali della guerra, ultimamente il miliardario sudafricano starebbe però attirando una lunga spirale di polemiche dal Paese stesso. Infatti, Musk con un tweet del 3 Ottobre ha proposto una sua personale soluzione al conflitto, che prevedeva, fra le altre cose, l’appartenenza della Crimea alla Russia. La proposta di Musk avrebbe indispettito Zelensky e gli alleati, mentre ha trovato diversi apprezzamenti al Cremlino. Nei giorni seguenti Musk ha sottolineato l’esorbitanza dei costi nel sostenere l’operazione Starlink in Ucraina e secondo la CNN avrebbe inviato una lettera al Pentagono per chiedere finanziamenti. Secondo alcune stime, infatti, dall’inizio della guerra fornire il servizio sarebbe costato a SpaceX oltre 80 milioni di dollari. Il CEO sudafricano ha posto l’accento sul fatto che la sua società non è più in grado di sostenere i costi della rete, minacciando di spegnere Starlink qualora gli Stati Uniti non dovessero intervenire a sostegno. Dopo questo allarme, USA e UE sembrano aver preso posizioni favorevoli nel finanziare Starlink in Ucraina, ma la decisione finale ancora non è stata adottata e le discussioni tra i politici e i ministri sarebbero ancora in corso.

La domanda che bisogna porsi a questo punto è la seguente: con chi sta Musk? Nell’attuale conflitto le sue operazioni sembrano rasentare una sorta di doppio gioco. Da una parte ha fornito gratis, per diversi mesi, internet all’Ucraina, la quale ha potuto beneficiare della rete soprattutto da un punto di vista militare. Dall’altra parte, Musk ha prospettato una proposta di pace che farebbe sorridere maggiormente il Cremlino. Come già affermato, non c’è da stupirsi di nulla quando si parla di Elon Musk, che appare avere in testa una politica estera tutta sua. Le sue idee politiche a volte assecondano quelle dell’Amministrazione Biden, altre volte invece divergono in modo clamoroso. L’acquisto di Twitter ne è una prova. È infatti arduo ritenere che l’amministrazione Biden e i sostenitori del Partito Democratico statunitense abbiano fatto salti di gioia alla notizia che il governo di Twitter è ora accentrato nelle sue sole e indecifrabili mani. Ricordando, inoltre, che la piattaforma social censurò Donald Trump durante la campagna elettorale americana del 2021, è opportuno non escludere un possibile scenario: la riattivazione dell’account di Twitter di Trump. In tal caso sarebbe naturale pensare che Musk stia strizzando l’occhio all’ex Presidente repubblicano. In quel caso, l’eventualità di una partnership tra Truth, il nuovo social di Trump, e Twitter non potrebbe essere esclusa a priori. Gli scenari futuri sono incerti e imprevedibili. Per comprendere i veri scopi di Elon Musk bisogna essere pazienti. Nel prossimo futuro sarà necessario riuscire a codificare i suoi “cinguettii”, in grado ora di risuonare persino dallo spazio.

Carlo Scognamillo

 
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4 Novembre 2022

 Tornare a sé

Spirito, parole ed energia di Chi sei tu? I Ching, lo Zodiaco cinese e il sistema elementale indiano. Una ricerca comparata sugli aspetti archetipali e sulla conoscenza di sé, lungo titolo e sottotitolo dell’ultima pubblicazione di Paolo D’Arpini. Ricercatore indipendente, promotore della Spiritualità laica, dell’Ecologia profonda e del Bioregionalismo. Un testo utile agli appassionati dell’I Ching, agli iniziati che troveranno di che proseguire nel cammino e agli iniziandi, per le risposte agli interrogativi che tutti i risvegli impongono.

Gregory Bateson (1904-1980) è stato un antropologo americano, cibernauta e visionario. Il suo libro Verso un’ecologia della mente è una delle albe scientifiche sorte dalle scosse di quegli anni culturalmente rivoluzionari. Il libro, insieme ad altri non solo suoi, ha illuminato il mondo e la realtà. Questa non era più un semplice oggetto sotto il vetrino della nostra presuntuosamente neutra osservazione, ma il risultato della nostra descrizione. ...vi sono importanti differenze tra il mondo della logica e il mondo dei fenomeni.  La Scuola di Palo Alto, nota per le sue ricerche nel campo della comunicazione, è stata forse la prima istituzione di origine ortodossa in linea con le prospettive di aggiornamento dei paradigmi che emergevano dalla beat generation, dal movimento hippie, dall’uso di sostanze psichedeliche e psicotrope. ...una comunicazione non soltanto trasmette informazione, ma al tempo stesso impone un comportamento. A mio modo di vedere, il principio quantistico coinvolge la mente in maniera essenziale, vale a dire in modo che la struttura della materia non possa mai essere indipendente dalla coscienza!

Prima di loro ed altri, era stata la fisica quantistica a fare presente il limite dell’ordine del pensiero portante di tutta la cultura, quello meccanicistico. Questo aveva come pilastri: il principio di causa/effetto, una verità sempre dimostrabile e, attraverso la sua ripetibilità, comunque residente nella materia misurabile; il tempo oggettivamente quantificabile e oggettivo e lo spazio, detto Vuoto, tra gli oggetti. Colonne di un sistema in grado di vincolare i pensieri, l’intelligenza e la creatività che, con la fisica quantistica e la filosofia ad essa associabile, divenne relativo e circoscritto. Perse il suo potere assoluto. Più precisamente, rimase e resta strumento idoneo ed efficace per muoversi nei campi chiusi, ma inopportuno e ottuso in contesto relazionale. ...han cominciato a spostarsi gli stessi fondamenti della fisica; e che questo spostamento ha prodotto la sensazione che ci sarebbe stato tolto da sotto i piedi, ad opera della scienza, il terreno stesso su cui poggiavamo. [...] La progredita tecnica sperimentale del nostro tempo porta nella prospettiva della scienza nuovi aspetti della natura che non possono essere descritti nei termini dei comuni concetti.

 

Anche chi si occupava dei sentimenti quali creatori del mondo era convenuto al punto in cui si trova la risposta al chi sei tu? Carl Gustav Jung, infatti, con la sua psicologia alchemica trovava piena corrispondenza con quanto detto migliaia di anni prima, trovava nel suo inconscio collettivo quell’Uno eterno ed immutabile, da cui tutto si genera e del quale nulla può essere esperito se non attraverso la storia. Un’ovvietà per chi osserva la vita senza filtri d’interesse, che la tradizione ermetica aveva sintetizzato nella formula così in alto come in basso. Ma è nell’individuazione dello psicoanalista svizzero la completa sovrapposizione con quanto ci chiede Chi sei tu?

L’ordine costituito, puritano, borghese, benpensante fece di tutto per contrastare quanto stava emergendo e contestare lo status quo della politica, della società, della conoscenza e dello scientismo. In quel subbuglio, si può semplicisticamente, ma non riduzionisticamente, dire che c’erano i prodromi della presa di coscienza di se stessi da parte della cultura occidentale, fino ad allora entità in cima al pianeta qualunque esso fosse, economico, culturale, militare, politico, scientifico. Furono di quegli anni le indipendenze degli stati coloniali e la critica al colonialismo stesso. L’embrione era stato concepito. La sua energia di risveglio individuale si è unita a quella del cosmo ed è consapevole di essere insopprimibile. Il nascituro, o il bambino che dire si voglia, era dunque un alieno rispetto alla cultura antropocentrista, analitica e positivistica per eccellenza, figlia della supremazia della vulgata del razionalismo. Sì, perché – cosa non troppo nota – di degenerazione della parola dei lumi si tratta. La ragione non ha gli strumenti per rispondere a tutti gli interrogativi che l’uomo può porsi. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da un difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo.

Cultura occidentale che, nonostante tanta distanza dal cuore – olistico, non analitico – delle tradizioni sapienziali, tanto orientali quanto occidentali, fiorite nei millenni che l’hanno preceduta, stava in quei decenni americani avviandosi – oggi più di allora lo si può affermare – a traguardare la realtà attraverso le medesime prospettive del Taoismo, dei Veda, del Buddhismo – per citare i tre riferimenti presenti nel libro – ma non solo quelli. Sono realmente esistite nell’evoluzione del pensiero umano almeno tre forme spirituali [...] che considerano l’esistenza di un’unica matrice per tutte le cose. Questa matrice è definita Tao o Senza Nome nel taoismo; Brahman o Assoluto Non-duale nell’advaita; Sunya o Vuoto nel buddismo.

Ciò che è in corso in seno alla nostra cultura, è altrimenti detto attraverso la metafora della scoperta del sé individuale. Ovvero di quella presa di coscienza che permette a chi la elabora di prendere in mano la barra del proprio timone. Un passo per disporre del coraggio necessario per navigare in tutti i mari. Governare la barra di se stessi, significa poter far fronte alla vita – nel bene e nel male – con la forza che solo la fede è in grado di conferirci. Non una fede dottrinale, acquisita, bigotta. Niente del genere. Piuttosto quella che deriva dall’avere chiaro davanti a noi stessi la nostra stessa natura. Quindi la nostra missione, ciò che a noi nuoce e ciò che a noi funziona. Ma si tratta di un noi che nulla ha a che vedere con quello assegnatoci dal contesto di nascita, che la cultura del luogo costantemente ci richiede di alimentare. Questo è esattamente il noi che la scoperta di sé riconosce come temporale e fuorviante, perennemente in conflitto con le nostre profondità. Quantomeno perché ignote a noi stessi sono le sue incomprimibili esigenze. E anche inderogabili, in quanto tanto meno vengono rispettate, tanto più alta sarà la probabilità di vivere nel malessere, nell’instabilità, nella vulnerabilità, nella dipendenza. Nel trovarsi a seguire cliché senza la volontà di farlo. Supponiamo che la vita duri un istante. Lo vogliamo consumare nella sofferenza o nella serenità? Questa è la domanda un po’ mindfulness che ci si può porre per discernere se leggere o meno Chi sei tu? e per trovarvi esattamente il necessario a noi, qualunque sia il nostro livello evolutivo.

Il libro dedica la prima parte alla presentazione esplicita ed esaustiva dell’I Ching, del significato simbolico dei segni che lo rappresentano, di quello degli animali dello zodiaco cinese e anche dell’Advaita indiano a cui è necessario riferirsi per una opportuna lettura dell’oracolo, pronunciato dagli esagrammi del libro dei mutamenti. C’è materia per infilarsi nei frattali che, sorprendentemente, sono propri di ogni lettura magica del mondo. Esamina dapprima le parole, rifletti a quello che esse intendono, si manifesteranno allor le fisse norme. Ma se tu non sei quegli che esser qui conviene, il senso allora a te non si rivelerà.

La seconda parte del libro è più discorsiva e letteraria. Entrambe non hanno un capo né una coda. Neppure una logica consequenziale. Una modalità che non rappresenta soltanto l’autore e il suo spirito, ma anche e principalmente quell’impossibilità di dividere l’intero, di crederlo narrabile attraverso una successione progressiva di dati. Un giogo proprio dell’esposizione logico-analitica del linguaggio ordinario che Paolo D’Arpini, a suo modo, mette all’angolo.

 

Tutto ciò non crea problemi in colui che ha colto il centro di sé. Lo può porre invece a chi è ancora in alto mare rispetto al proprio approdo. Chi ancora cerca fuori ciò che è dentro. Chi ancora non ha che i mezzi cumulativo-materialistici per elaborare la realtà. Chi ancora non ha il necessario per conoscere attraverso il sentire. La capacità evolutiva è la capacità di rialzarsi dopo ogni caduta; rappresenta anche ogni inversione di rotta, l’autocritica, la conoscenza di sé: si voltano le spalle alla confusione dell’esteriorità (l’apparire, la ricchezza, ecc.) e si scorge il divino nel profondo dell’anima, ovvero l’Uno.

Dunque il libro non è utile? Nessun libro è utile a trovare se stessi per una miriade di ragioni, tra cui una elementare: siamo universi diversi. Ognuno ha le sue galassie, i suoi poli. Ha perciò il suo peculiare percorso per giungere in vetta a se stesso. Esattamente come l’Occidente moderno e contemporaneo, così vicino alla storia, così lontano dal centro delle cose – dopo gli errori della scienza quale sola detentrice di verità – è arrivato a riconoscere quanto da millenni era noto. In fondo, con legittimità, in quanto l’esperienza non è trasmissibile. Se lo fosse, saremmo saggi da sempre. Ognuno è costretto entro se stesso, entro il proprio universo. Se proprio dovesse essere utile indicare qualcosa, come dice D’Arpini, si può serenamente affermare che chiunque – motivazione permettendo – sarà all’altezza della situazione. Sarà cioè in grado di trovare il proprio sé, disinquinare il proprio pensiero ed esprimere la propria natura. Un processo che non mancherà a nessuno in grado di immaginare la vita lunga un solo istante. Diversamente dalla comune convinzione, l’oracolo non implica superstizione. A dire il vero, se di superstizione si volesse trattare, non si potrebbe lasciare fuori la realtà tutta. Non sono le nostre suggestioni a crearla? Non sono le suggestioni collettive a parlare di oggettività? Non è la suggestione del materialismo a limitare la realtà a ciò che si misura? E il metro di Sèvres come può essere altro da un’arbitraria e autoreferenziale unità di misura, prima imposta e poi condivisa? Il potere dell’oracolo dell’I Ching non appoggia dunque sulla superstizione, in quanto le forze sottili che sottendono alle nostre scelte sono tanto più informative e utili quanto più siamo idonei a sentirle, quindi a leggerle. Non solo. Si può dire che il metodo razionalista di comprimere in colonne di pro e di contro, credendole pure e scevre da suggestioni, sia più soggetto a occulte ideologie e incantesimi. Nuovamente ritorna la necessità della consapevolezza del sé. Lei e solo lei può dirci chiaramente quali pregiudizi, pressioni, timori, interessi personali, soggezioni stanno agendo su noi e in che misura o se, invece, ce ne siamo liberati e quanto. La consapevolezza di sé è condizione necessaria anche all’assunzione piena di responsabilità di tutto ciò che viviamo. Noi non possiamo essere altro che una parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera possiamo esserne separati. Una specie di trucchetto per mantenere al massimo la nostra forza creativa, per alzare al massimo il rischio di consumare quell’istante se non nella beatitudine, quantomeno nella minima pena. Soltanto con quel trucchetto lutti, traumi e sofferenze vengono ridotte e superate.

Di questo, con molti corollari affascinanti, parla Chi sei tu? Lo fa partendo dall’I Ching per concludere ricordandoci come il Tao, i Veda e il Buddhismo, a loro volta e con il loro stile, non facciano altro. Abbracciare qualcuna di quelle direzioni è legittimo e, volendo, può anche riferire la nostra natura, ma credere una via superiore alle altre è interrompere la ricerca e l’allenamento necessario per stare al centro. Un punto dal quale tutto è vero e tutto è maschera. Ma, nonostante le apparenze, non c’è dilemma, come la logica analitica imporrebbe. L’unione degli opposti è la visione che emerge in ognuno che ha scoperto chi è. Da quel centro non è più possibile identificarci con il nostro giudizio sul mondo, quantomeno non più inconsapevolmente. Da quel centro, tutti i binomi del mondo duale cessano di tirarci per il bavero. Di questo ci parla Chi sei tu? che, sempre senza saccenza o dottrinalità – il maestro è meglio cessare di farlo esistere –, fornisce molte risposte a comuni e frequenti interrogativi che chiunque si stia mettendo in gioco cerca all’esterno di sé. Chi sa non fa mostra della sua erudizione, chi fa mostra della sua erudizione non sa. Lo fa usando il lessico generato dall’esperienza. Ognuno, cercando la corrispondenza con il proprio sé, sta avviando la scoperta che il proprio lessico non era la verità, compiendo così un atto di personale ecologia evolutiva. Sotto le forme c’è una sola sostanza. Quando ciò sarà lapalissiano, potremo pensare di essere sulla via che porta in cima a noi stessi.

Lorenzo Merlo

 
La politica viene prima PDF Stampa E-mail

2 Novembre 2022

 Da Comedonchisciotte del 30-10-2022 (N.d.d.)

Ci sono vicende del passato che continuano ad inviare grandi segnali sulle realtà del tempo, non solo per quanto attiene alla dinamica dei fatti storici, ma anche per via delle diverse rappresentazioni e interpretazioni dei fatti storici che emergono dalle fonti. Alcuni approcci interpretativi quanto mai discutibili dei fatti storici rivelano la persistenza di ostinati giudizi e pregiudizi culturali nazionali. Un caso tra i tanti è quello delle vicende del Calendario Gregoriano.

Il Calendario Gregoriano è il calendario solare ufficiale di quasi tutti i Paesi del mondo, introdotto dal Papa Gregorio XIII il 4 ottobre 1582 con la bolla papale Inter gravissimas. Il calendario correggeva l’errore del precedente  calendario di Giulio Cesare, in vigore dal 46 DC al 1582, che assumeva che l’anno durasse esattamente 365,25 giorni. Ma l’anno solare – come calcolato dagli astronomi al servizio del Papa – in realtà durava 365,2425 giorni, ossia 365, 5 ore, 49 minuti e 12 secondi, con la conseguenza della perdita di un giorno in ogni secolo a partire dal 46 DC. Dovrebbe essere afferrabile proprio a tutti che una simile correzione nel calcolo della rotazione terrestre e dell’anno solare – da 365,25 giorni a 365,2425 giorni – non poteva essere stata fondata sulla cosmologia biblica, quanto bensì sulla base dell’osservazione scientifica astronomica. Dal che consegue inevitabilmente che nel 1582 la conoscenza astronomica riconosciuta dalla Chiesa Cattolica NON si fondava più sulla cosmologia biblica. Chiaro come la luce. Esattamente 50 anni dopo da tale riforma, nel 1632 Galileo Galilei pubblica il suo famoso “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, che gli costa la censura, il processo e la condanna alla detenzione da parte della Chiesa Cattolica. Nel “Dialogo”, Galileo ridicolizza e sbeffeggia la cosmogonia biblica – e conseguentemente la posizione ufficiale della Chiesa Cattolica – quale espressa e difesa dall’immaginario, malcapitato Simplicio. Ancora oggi, vien da ridere a leggere il “Dialogo”. Non erano “tempi facili”. La Chiesa Cattolica era sotto l’attacco micidiale di Martin Lutero e Giovanni Calvino, che contestavano l’autorità del Papa nell’interpretazione delle Sacre Scritture, in favore di una lettura ed interpretazione libera e personale. L’opera De revolutionibus orbium coelestium del 1543 di Nicolò Copernico circolava da decenni: un’ opera che indicava la cosmogonia biblica come scientificamente errata. La Terra come uno dei pianeti del sistema solare... come se non bastasse, a stento si stava assorbendo l’infinito shock originato dalla scoperta di decine di milioni di essere umani completamente tagliati fuori dalla rivelazione di Cristo: la popolazione delle Americhe.

 

La Chiesa Cattolica, come dimostrato dalla riforma del calendario gregoriano, sapeva che la realtà scientifica era ben diversa, ma ritenne di non poter tollerare l’aperta derisione della cosmogonia delle Sacre Scritture, per l’evidente rischio che le Sacre Scritture in quanto tali venissero con essa travolte. Il Cardinale Roberto Bellarmino cercò di offrire ripetute “vie di fuga” concettuali ed argomentative a Galileo in difesa dall’accusa di eresia, ma alla fine Galileo fu condannato: al domicilio coatto, che trascorse per qualche anno alternandosi tra la residenza romana dell’Ambasciatore a Roma del Granduca di Toscana Pietro Niccolini e quella del Vescovo di Siena Ascanio Piccolomini, ed infine nella sua residenza personale nella campagna toscana. Non esattamente una prigionia, e frequentemente allietata dall’amicizia personale addirittura di un Vescovo. Il caso di Galileo è famosissimo e considerato come paradigmatico del rapporto potenzialmente conflittuale tra Scienza e Autorità. Ma è nell’Italia del Rinascimento che era rinata anche la scienza, specie la medicina, come dimostrato da Leonardo, Alberti, Vesalio, Cardano, etc etc. Nacquero anche le banche (nonostante la notoria problematica del tasso d’interesse), la contabilità a partita doppia, i contratti commerciali, in sintesi il capitalismo bancario e commerciale. Il pallino del rinato pensiero scientifico – secondo l’interpretazione dominante – passò poi in particolare ai Britannici, attraverso Francis Bacon (1561-1726) e soprattutto, Isaac Newton (1642-1727), considerato “il padre” della scienza moderna, con la sua visione dell’universo come un grande orologio. Visione indiscussa fino agli anni 30 del secolo scorso, con la scoperta della fisica quantistica.

Ma torniamo per un attimo al Calendario Gregoriano del 1582, astronomicamente e scientificamente perfetto – non per nulla è rimasto in vigore fino ad oggi. Il calendario fu immediatamente adottato da Stati italiani, Francia, Spagna, Portogallo, Polonia, Belgio e Olanda, e nel giro di due anni da Austria e Bohemia. Qui arriva la sorpresa: gli Stati luterani e calvinisti lo adottarono solo nel 1700 – 118 anni dopo – e la Gran Bretagna, incluse le colonie nord americane, nel 1752 – esattamente 170 anni dopo. 170 anni con il calendario sbagliato! Pensate a che guai ed aggravi anche nelle relazioni commerciali internazionali! Ovvio che gli Albionici uno straccio di astronomo in grado di verificare la correttezza scientifica alla base della riforma gregoriana, in 170 anni l’avranno anche avuto, che dite? “Not a very long shot!” E allora cosa sarebbe successo? La postura o forma mentis sarebbe stata quella modello: “il calendario è scientificamente corretto, ma siccome è Papale, noi non lo adottiamo?” E può questa postura o forma mentis dirsi scientifica? Ma Sir Francis Bacon e Sir Isaac Newton, e gli ulteriori scienziati britannici testimoni e portatori della “rivoluzione scientifica del mondo Anglo Sassone”, per 170 anni, non hanno avuto niente da dire? Quale sarebbe stata la forma mentis, quella dell’ “abbiamo un calendario sbagliato, ma pazienza”? O quella del “per favore, non mi trascinate in questioni politiche – tengo famiglia”? I “punti” del grande orologiaio Isaac Newton scendono molto rapidamente. Galileo aveva avuto il coraggio di mostrarsi a muso duro di fronte ad un autorità- quella della Chiesa Cattolica – che si percepiva drammaticamente sotto attacco da molteplici fronti. Isaac Newton fece invece finta di niente con un’ altra autorità evidentemente solo apparentemente più benevola, quella della Corona britannica. Ma non sono solo i “punti” del grande orologiaio a scendere, quanto proprio quelli dell’intera cultura Anglo Sassone del periodo. Una cultura effettivamente scientifica avrebbe adottato il calendario dopo qualche anno, indipendentemente da ragioni politico-religiose. Il ritardo di 118 anni di Luterani e Calvinisti e di ben 170 anni tondi degli Anglicani (coloni americani inclusi) parla invece chiaro: “Politics comes first”.

Non è questa però l’immagine che emerge dalla versione dominante della storia della filosofia e del pensiero scientifico moderno. In base a quella versione, saremmo tutti stati “liberati” dalla rivoluzione scientifica Anglo Sassone, contrapposta all’oscurantismo autoritario della Chiesa Cattolica, fino all’effettivo culmine della rivoluzione industriale. Cosa alla fine ci resta, oggi, dell’intera, illuminante vicenda del Calendario Gregoriano? Il dubbio della persistenza del “Politics comes first”, ovviamente! Come si fa a non tenerlo presente? Le dottrine oggi provenienti dal mondo Anglo Sassone, componenti dell’ ideologia Neo Global, sono note: Critical Race Theory, Gender Theory e Global Warming – tutte teorie presentate confezionate con argomentazioni anche scientifiche, quando sono invece contestate da diverse argomentazioni, ugualmente anche scientifiche. Il consenso scientifico non c’è, ma viene presentato come se ci fosse. Dietro queste teorie, vengono proiettate le potenti immagini della lotta di Galileo per l’affermazione della Scienza contro l’Autorità e della liberazione propagandata da Carl Marx e dalla “scuola” di Francoforte (Marcuse, Adorno, Horkheimer, Fromm). Come non restare almeno intimoriti? Come mettersi di traverso contro uno spirito apparentemente espressione della tradizione occidentale? La risposta è semplice: rammentando che “Politics comes first”. Oggi esattamente come ieri.

Belisario

 
Parallelismi e divergenze PDF Stampa E-mail

31 Ottobre 2022

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 Da Comedonchisciotte del 21-10-2022 (N.d.d.)

Anche negli anni Sessanta, come oggi, gli Stati Uniti erano impegnati in una guerra, quella volta nel Vietnam, ma non c’è davvero da sorprendersi: si tratta di una nazione molto aggressiva che è stata quasi sempre in guerra nei suoi duecento anni di storia. Anche allora la narrativa sosteneva che gli americani stavano generosamente difendendo la libertà e la democrazia in un paese molto lontano dalle loro coste, dall’aggressione ingiustificata di una dittatura. Nella fattispecie comunista. Per inciso, né allora né oggi, nessuno ci ha mai spiegato perché i vietnamiti o qualunque altro popolo dovrebbero governarsi secondo i parametri ritenuti giusti dagli americani e non, magari, il contrario. Una lacuna teoretica. La realtà era ovviamente differente: non si trattava di difendere un paese dall’invasione di un altro, ma di impedire la riunificazione di una nazione che stava uscendo dal periodo coloniale francese sotto un governo che gli Stati Uniti non gradivano. Il Vietnam del sud era un’entità artificiosa senza alcuna ragion d’essere locale che serviva unicamente a prolungare il controllo post-coloniale del paese in quella parte dove era ancora possibile farlo. A quel tempo l’esercito americano ancora esisteva e fu progressivamente impiegato nei combattimenti oltremare fino a raggiungere in certi periodi la ragguardevole somma di mezzo milione di uomini. Ma anche in quel caso il peso maggiore della guerra era sostenuto dall’armata indigena, completamente sovvenzionata, addestrata e diretta dagli americani, che combatteva contro l’esercito di liberazione nazionale vietnamita, supportato logisticamente dai sovietici. Naturalmente anche allora i due eserciti vietnamiti parlavano la stessa lingua.

La situazione oggi in Ucraina presenta molti punti in comune e qualche differenza: anche stavolta la narrativa sostiene che gli Stati Uniti sono impegnati a difendere la libertà e la democrazia di uno stato sovrano situato a migliaia di chilometri dalle loro coste aggredito senza motivo da una feroce dittatura. Su questo punto, il tempo sembra non essere passato, nonostante i fatto che oggi il “pericolo rosso”, con tutta la buona volontà da parte di alcuni di riesumarlo, sia scomparso. Anche stavolta la realtà è completamente diversa: non si tratta di difendere la democrazia, del resto in Ucraina, come nel Vietnam degli anni Sessanta, non ve n’è traccia, ma di impedire la riunificazione di territori artificiosamente e fortunosamente sottratti allo stato madre a seguito della caduta dell’Unione Sovietica, quando le repubbliche che ne facevano parte si divisero sulla base a confini amministrativi stabiliti all’interno dell’Urss con criteri che nulla avevano a che vedere con la reale appartenenza etnica e culturale e quindi con confini statuali. Nel caso ucraino, tuttavia, l’esercito americano non è sceso direttamente in campo come successe in Vietnam, anche per la sua pochezza de facto, per cui tutto il peso della guerra , tranne i rifornimenti di mezzi, l’intelligence e la direzione, poggia sull’esercito ucraino appositamente ricostruito negli anni dal golpe del 2013 ad oggi. Al contrario, è presente l’esercito russo che nel caso del Vietnam non ha mai partecipato direttamente.

Durante tutto il periodo della guerra in Vietnam, nessuno degli alleati europei, che allora godevano di ben altra autonomia e di ben altro dibattito interno rispetto ad oggi, si sognò mai di inviare armi o finanziamenti al governo fantoccio del sud, poiché avrebbe significato anzitutto impegnarsi in una guerra non difensiva, cosa che tutte le costituzioni europee sostanzialmente proibivano, ed inoltre subire gli strali di un’opposizione interna organizzata e combattiva. Avrebbe significato mettere in pericolo la crescente prosperità europea, i popoli di allora non l’avrebbero permesso. In quel tempo, nel parlamento italiano erano rappresentate molte posizioni politiche (ed altre erano presenti nel paese e si facevano sentire), ma la divisione che le riassumeva tutte era quella tra destra e sinistra. Rispetto agli “alleati” americani ed alla loro guerra, si può in sostanza affermare che la destra era favorevole e si sentiva rappresentata e difesa dagli statunitensi, mentre la sinistra era contro la guerra e i misura più o meno forte anche contro l’operato delle amministrazioni americane in genere. L’America, insomma, era rispetto alla politica italiana qualcosa che stava a destra. La sinistra si richiamava a più o meno grande distanza, all’Unione Sovietica. L’Italia era quindi ben lontana dall’appoggiare all’unanimità l’avventura bellica americana in Vietnam, anzi, la maggioranza del paese reale era decisamente contraria e contraria era anche quasi la metà della politica rappresentata in parlamento, e questa divisione si svolgeva sulla base della dicotomia destra/sinistra. All’opposto, come possiamo tutti ben constatare, ai tempi della guerra in Ucraina, la posizione politica rappresentata in parlamento è univoca e completamente appiattita sulla posizione americana: in altre parole non esiste un’opposizione, nessuna idea differente da quella del governo è istituzionalmente rappresentata e la mancanza di opposizione è segno caratteristico della mancanza di democrazia. Quanto al paese reale, idee differenti dall’appoggio incondizionato alla posizione americana ci sono, come dimostra anche questo mio scritto, ma non è loro consentito né  di raggiungere il dibattito politico ufficiale né i media main stream e quindi il grande pubblico. In pratica, è come se non esistesse.

Da notare anche una curiosa inversione rispetto alla divisione destra/sinistra, nonostante nella situazione attuale abbia ben poco significato e sulla quale si insiste ancora solo per motivi di differenziazione tra le forze che si contendono/spartiscono il poco potere rimasto al nostro sistema statale: ai tempi del Vietnam la sinistra era per la pace e quindi ferocemente contro gli americani, adesso coloro che si richiamano alla sinistra sono più intransigentemente dalla parte degli americani – e quindi della guerra – di quanto non siano i rappresentanti della destra che, pur non uscendo mai dal solco prestabilito dai poteri esteri che ci guidano, hanno un atteggiamento che definirei meno entusiasta. Insomma l’ America non è più la “destra”, come negli anni Sessanta e Settanta, oggi è per qualche verso la “sinistra” (una “sinistra” che beninteso si occupa di matrimoni gay, non certo, Dio ce ne scampi, di giustizia sociale), ma curiosamente il governo fantoccio attraverso il quale combatte in Ucraina, si richiama ad un’ideologia e ad un simbolismo ferocemente di destra. È probabilmente utile rilevare che in passato l’America è già stata a “sinistra” del nostro governo, esattamente nel ventennio fascista. La bizzarra sorte di alcuni fascisti ha fatto sì che nell’arco della loro vita siano passati dallo sparare agli americani, a collaborare con i loro servizi segreti per eseguire attentati terroristici nel loro stesso paese, a considerarli di nuovo occupanti militari nemici. Dopo tutto è ben chiaro che destra e sinistra sono concetti relativi.

D’altra parte, il governo russo è oggi rappresentato qui da noi come di “destra” , anche se nell’immaginario di gran parte degli italiani la Russia impersona ancora la sinistra e in certe occasioni si serve di immagini potentemente di “sinistra”: ricordate la vecchietta con la bandiera rossa oppure le repubbliche “popolari” del Donbass? La riflessione su questi punti dovrebbe convincerci della sostanziale irrilevanza ai nostri tempi della distinzione destra/sinistra come chiave di lettura dell’odierna situazione politica. Essa pare conservata dal discorso politico istituzionale al solo scopo di creare un’illusione di differenza là dove le posizioni sono sostanzialmente omogenee e strettamente conformi al pensiero unico neoliberista e globalista. Al di là dell’etichettatura politica, la differenza più evidente che si nota negli stati europei di oggi rispetto agli anni Sessanta, è che oggi sono sostanzialmente scesi in guerra a fianco dell’America e dello stato fantoccio da lei creato compiendo azioni prettamente belliche come la fornitura di armi di tutti i tipi, di finanziamenti alla guerra, di addestramento, di logistica e intelligence, l’imposizione di sanzioni draconiane allo stato nemico a costo della propria rovina tanto da non potersi distinguere in nessun modo dalla posizione ucraino/americana. Si può dire che si sono trasformati da alleati subordinati, ma con una certa autonomia e con un certo gioco politico interno quali erano ai tempi del Vietnam, a colonie rette sostanzialmente da governatori nominati da fuori, dotate di autonomia puramente amministrativa e con all’interno nessuna rappresentanza di idee politiche eterodosse in nessun aspetto rilevante della vita pubblica. In sostanza si tratta di un pensiero unico e, a rigor di logica,  il pensiero unico non può essere a destra o a sinistra di se stesso.

Nestor Halak 

 
La crisi è esistenziale e valoriale PDF Stampa E-mail

30 Ottobre 2022

Scriviamo a caldo,a tambur battente,sull' onda delle forti impressioni e quindi consapevoli di fare una analisi frettolosa ed imperfetta,tuttavia riteniamo opportuno analizzare immediatamente la questione per evitare che come sovente accade il polverone dei primi giorni venga soffocato dal tappeto dell' oblio. In poche ore sono accaduti due episodi di intenso allarme sociale: a Milano un uomo di 46 anni,da un anno in cura per problemi di depressione ha accoltellato a casaccio avventori e dipendenti di un centro commerciale,uccidendo un cassiere di trent' anni e ad Asso ,nel Comasco,un brigadiere dei carabinieri ha ucciso il suo comandante di stazione con la pistola d' ordinanza per poi barricarsi nell' edificio. Anche qui,dalle prime voci trapelate,il militare soffriva da alcuni mesi di un ancora non ben specificato "disagio/disturbo psichico".

Verrebbe sulle prime da chiedersi : quanti depressi ci sono in Italia? E può la "depressione" (termine clinico dal significato vago, perché ogni depressione è inquadrabile in una determinata categoria e fenomenologia e a sua volta agisce sull' individuo diversamente,ogni depresso è un caso a sé) sfociare quasi sempre in comportamenti criminali di allarme sociali sino all' omicidio e alla tentata strage accoltellando sconosciuti a casaccio? Che sta succedendo nella nostra società,nelle nostre comunità? Notizie che sino a poco fa erano derubricate alla società americana ora ci colpiscono in pieno e ci allarmano. E ancora : tutto questo è ascrivibile alla contingenza e alla congiuntura di crisi perdurante che senza sosta e passando dall' ambito finanziario passando per quello pandemico e ora energetico e sociale perdura da tempo troppo lungo? La crisi crea criminalità e comportamenti devianti? Rispondere non è facile,diciamo che la devianza sociale -che sfocia nel crimine-è un insieme di vari fattori tra cui: -Fattori biologici (aggressività innata,disturbi ormonali, alterazioni a carico dei sistemi neurotrasmettitoriali e neurologici,ecc) -Fattori psicopatologici e psicologici seppur va detto che non esiste nesso automatico tra psicopatologia e criminalità o devianza-chi li commette,spesse volte è una persona definita normale. -Fattori ambientali tra cui il fattore sociale spicca in evidenza: disgregazione e/o disorganizzazione sociale, deficit di socializzazione,anomia(deficit o assenza di leggi e di regole),mancanza di realizzazione personale, mancanza di un humus strutturale che può portare alla realizzazione personale,eccetera. Potremmo riassumere che per 1/3 sono fattori ambientali,1/3 fattori sociali,1/3 fattori di natura personale-cioè di predisposizione. La spia d' allarme a nostro avviso non sta tanto nell' aumento dei reati a sfondo predatorio,comuni a tutte le epoche storiche la cui forbice si allarga e si restringe a seconda della congiuntura economica o dei rapporti tra le classi sociali, la spia d' allarme qui consta nel fatto che sono in aumento i raptus,i gesti di follia inconsulta,i reati contro la persona (ben diversi dai reati predatori contro la proprietà),i reati a sfondo sessuale e gli abusi vari,i reati di sangue insomma e cosa ancor più preoccupante tali raptus,tali follie omicide stanno uscendo dagli ambiti familiari per riversarsi in furori assassini contro persone sconosciute,perfetti sconosciuti,gente presa a casaccio per la via, per la strada, in un centro commerciale: una "cupio dissolvi" che va a punire la società nel suo insieme. Liquidare tutto come "depressione" e "follia" o "gesti compiuti da persone con disturbi psichiatrici" è riduttivo e non aiuta ad andare alla radice del problema. Se la letteratura psichiatrica contempla individui apparentemente normali o cosiddetti normali che cadono in depressione e la depressione peggiora sino a un punto di non ritorno da sfociare nell'atto di sangue questo è valido per una parte delle persone colpevoli,non è possibile che lo schema sia valido per "tutte" le persone colpevoli di tale reato.

Qui non possiamo derubricare la questione alla solita dialettica di "era meglio prima o dopo la Legge Basaglia" o "riaprire o tener chiusi i manicomi". Non si dice che non si debba affrontare il discorso del trattamento di chi soffre di turbe psichiche o gravi disturbi mentali ma di contestare una forma mentis che liquida sbrigativamente tutti i reati di crimini di sangue e di raptus omicidi come risultato di individui bacati a prescindere: tanto bacati a prescindere,ad esempio,che il colpevole di Milano era incensurato ed era in cura da un anno circa per depressione,il che significa-avendo anagraficamente 46 anni-che per 45 anni non è mai stato un elemento pericoloso per la comunità e poi d' improvviso ecco il buio calare nei meandri della mente. A simili semplificazioni noi crediamo ben poco. Facciamo notare che il singolo individuo altri non è che un elemento inserito,volente o nolente,in un contesto complesso ,collettivo e condiviso molto più vasto che si chiama società(in ambito generale) e comunità(in microscala e in ambito locale),società sempre più disgregata e sfilacciata e impantanata; quanto alla comunità,stendiamo un velo pietoso: potremmo inserire il lemma nel dizionario delle parole estinte per come siamo mal combinati. Contro i fattori biologici e psicopatologici noi possiamo fare ,a parte curare con farmaci e terapie e strutture,davvero ben poco ma comunità e società dovrebbero avere una funzione demiurgica nel plasmare l' individuo e permettergli di tirar fuori il meglio di sé per giungere ad una realizzazione nella vita,possibilmente in base alle inclinazioni. Se manca anche questa funzione demiurgica e di collante allora siamo messi male,è come un fiume irregolare ed impetuoso senza argini.

Parliamoci chiaro: la società odierna o quel poco che ne resta non sta male,sta malissimo,quasi in fase terminale e questa è la radice da cui partono tutti i mali. La sanità psichica della popolazione,dopo anni e anni di emergenze varie e inserita in un contesto altamente esigente e complesso come quello attuale anch' essa non è in buone condizioni,tutt' altro anzi: non meniamo il can per l' aia,la salute psichica della popolazione attualmente versa in condizioni critiche,molto critiche e tutto questo si riverbera nei fatti che leggiamo. Uniamo a tutto questo le crisi varie e continue e una società in disfacimento e il miscuglio tossico risulta perfetto . Questi episodi non vanno obliati dopo cinque o sei giorni.Su questi episodi bisogna ragionare a fondo,analizzare a fondo,scavare e scavare e scavare sino alle radici del male . Ci si deve cacciare in testa che la crisi di tutte le crisi attuali non è tanto quella energetica o finanziaria od economica: è la crisi esistenziale,la crisi valoriale,la crisi identitaria individuale e collettiva. Da questo male nascono gran parte dei fattacci di cronaca . Non sempre si tratta di "depressioni". Bisogna studiare e star sotto a queste cose: guai a noi se dovesse giungere il giorno in cui non faranno più nemmeno notizia!

Simone Torresani

 
L'ideologia del progresso PDF Stampa E-mail

29 Ottobre 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 23-10-2022 (N.d.d.)

Ben scavato, vecchia talpa! esclama Amleto alla vista del fantasma del padre, apparso al principe di Danimarca così lontano dal luogo della sepoltura. Ben scavato, vecchia talpa, ribadirà Karl Marx nel Diciotto Brumaio di Luigi Napoleone, confidando nello spirito della rivoluzione proletaria. La talpa che ha meglio scavato in profondità è l’idea di progresso, nata nel XVIII secolo e diventata totem e tabù della modernità d’occidente. Apparve quando nacque il bisogno di attribuire all’uomo, svuotato di contenuto religioso, un destino con un significato materiale. L’ invenzione del progresso è diventata un’ideologia, tanto che partiti e forze culturali si definiscono progressiste e chi non è dei loro avverte il bisogno di giustificarsi, di circoscrivere o negare la sua opposizione. Come sottrarsi all’idea di progresso, alla sua inesorabile avanzata, opporsi alla quale significa contrastare il cammino dell’umanità, il movimento positivo verso gradi o stadi superiori, con implicito il concetto di perfezionamento, evoluzione, trasformazione continua verso il meglio.

L’ottimismo ottocentesco fece scrivere a Giuseppe Mazzini: oggi sappiamo che la Legge della Vita è il Progresso, con abuso di maiuscole. Il progresso è il senso della Storia (altra maiuscola; ma esiste un senso della storia?), il percorso definito, il Vangelo del Bene e del Giusto. Chi si mette di traverso può essere solo uno squilibrato, un disturbatore insensato a cui togliere la parola. Ascoltarlo equivarrebbe a camminare all’indietro, retrocedere in serie B: regresso. Progresso è luce, ogni obiezione è tenebra. Insomma, essere progressisti è un dovere, un’ovvietà, una laica fede materiale. Come la frase sull’amore incisa sugli anelli dei fidanzati: più di ieri, meno di domani. Le sorti dell’umanità sono “magnifiche e progressive”. Chi non ci crede è un maledetto reazionario, un rottame del passato che non merita di essere confutato: il senso e la direzione positiva del progresso sono indiscutibili, simili a certi postulati matematici indimostrati la cui validità si ammette a priori, o agli assiomi, principi assunti come veri perché ritenuti evidenti o in quanto costituiscono il punto centrale di un quadro teorico di riferimento. Invece no. E la confutazione non proviene da un incallito lodatore del tempo antico o da Unabomber, ma da uno dei più lucidi intellettuali “di sinistra”, Christopher Lasch, l’autore della Cultura del narcisismo e della Ribellione delle élite. Applichiamo allo storico e sociologo americano (1932-1994), per semplice comodità, la categorizzazione destra-sinistra da lui sempre rigettata. Lasch fu piuttosto un populista innamorato delle culture popolari, un socialista sui generis e innanzitutto un intellettuale libero. Ne Il paradiso in terra – titolo assai polemico – afferma che il punto di partenza della sua riflessione è il seguente interrogativo: “come mai tanta gente seria continua a credere nel progresso, mentre la mole di prove avrebbe dovuto indurli ad abbandonare una volta per tutte questa idea”? Le idee ricevute e fatte proprie sono dure a morire, e il progresso è l’idea chiave della cultura di massa. Un notevole fraintendimento, addirittura un paraocchi per chi è cresciuto nelle idee marxiste, che non parlano affatto di progresso, bensì di liberazione dalle catene del capitalismo, la cui idea guida è il bisogno di rivoluzionare continuamente la società. Anche Proudhon mise in guardia dall’ottimismo sciocco di chi confonde il progresso materiale ed economico con il progresso morale. Così scrivono Marx ed Engels nel Manifesto del 1848. “Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo “pagamento in contanti”. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. (…). La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l’uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi. La borghesia ha strappato il commovente velo sentimentale al rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro”.

L’invenzione del progresso è il più straordinario successo del capitalismo, il cui scopo è di abbattere ogni barriera , idea e principio per ricondurre tutto allo scambio misurabile in denaro. Deve svellere ogni radice per costruire l’homo consumens a taglia unica – a una dimensione, dice Herbert Marcuse – un vuoto da riempire con l’immaginario delle merci e con la retorica inappagata dei desideri; una macchina desiderante priva di bussola che corre senza posa alla ricerca del nuovo, programmaticamente migliore del passato, “più”, rispetto al “meno” di ieri, screditato, deriso, rimosso. Eppure, ancora Marx, espresse nei Manoscritti un concetto decisivo, che pare il contrario del progressismo: la radice è l’uomo. Privato di radici, l’uomo si spoglia di se stesso in nome del progresso, accogliendo con gioia compiaciuta ogni novità, sinonimo di avanzamento. Con l’invenzione del progresso e la sua immissione nella cultura di massa, il gioco è fatto: diventa autoinganno, finta felicità che sventola la bandiera della sottomissione all’ordine capitalista. I progressisti di ascendenza socialista e comunista, rinfoderate le ansie rivoluzionarie, non colgono la disfatta, ma percepiscono come una vittoria il presente dominato dalla corsa illimitata (dromocrazia, per Paul Virilio, la maratona infinita scambiata per progresso): un gioco di specchi allucinatorio. Lo compresero i Francofortesi, sottolineando che la cultura di massa e l’idea di progresso non avevano liberato gli uomini, ma li hanno trasformati in vittime consenzienti della pubblicità e della propaganda. Forma merce e società dello spettacolo: l’alienazione al potere. Ne è consapevole un irregolare del socialismo che non si rassegna ad annegare nel minestrone progressista, Jean Paul Michéa. Per lui, l’idea di progresso, declinata come corsa forsennata senza traguardo, svela i due postulati nascosti della sensibilità liberal-libertaria, la Matrix del progressismo. Il primo è l’adesione all’ idea che l’uomo sia solo una macchina desiderante costretta dalla sua natura a massimizzare la propria utilità. Quella riduzione, una volta introiettata come corollario obbligato del progresso, rende impossibile ogni obiezione. Il progresso si inchina alla mistica dei diritti, che diventano una sorta di pretesa di tutti su tutto. Questo finisce per giustificare ogni cosa, dallo sfruttamento più spietato ai nuovi diritti legati alla sfera sessuale e pulsionale. Il progresso è l’ideologia dell’homo oeconomicus, parallelo all’uomo-macchina e all’individuo che si emancipa da ogni credenza o struttura tradizionale. Un processo senza fine – come illimitato è il filo del progresso – che produce un clamoroso rovescio, un’eterogenesi dei fini: la sottomissione a nuove forme di dominio e di autorità: “lo stato moderno e i suoi giuristi, il mercato autoregolato e i suoi economisti, e naturalmente, l’ideale della scienza come fondamento immaginario e simbolico di questo nuovo insieme storico”.

Incredibile è la mutazione, o la trasvalutazione dei valori che il progressismo liberal-libertario ha imposto ai suoi nemici di ieri. Marcuse denunciò per primo la “tolleranza repressiva” del potere nelle società politiche occidentali, la tendenza a far coincidere progresso tecnologico ed emancipazione umana. Affermò l’impostura delle società democratiche che rendono impossibile ogni forma di opposizione. L’ incipit dell’Uomo a una dimensione è “una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico “. La soluzione è tuttavia parte del male: la liberazione attraverso l’Eros, la negazione del principio di autorità, i paradisi artificiali, la chiusura nella dimensione soggettiva. Esattamente ciò che serve al neo capitalismo globalista per perpetuare il suo dominio.

L’altro elemento che legittima l’ideologia del progresso, rendendola trasversale, è l’errore capitale della sinistra “moderna”, attardata nella convinzione che il liberal-liberismo sia una forza conservatrice o addirittura reazionaria. Sono numerosi, sospira Michéa, coloro che “insorgono ancora contro la famiglia autoritaria, il moralismo sessuofobo, la censura letteraria, l’etica del lavoro e altri pilastri dell’ordine borghese, mentre questi ultimi sono ormai stati distrutti o scalzati dal capitalismo avanzato.” Nulla di più insensato della pretesa – o dell’equivoco – progressista di rappresentare la giustizia e il bene: fin dal Settecento e dall’illuminismo, ragione, cambiamento e progresso sono state bandiere e conseguenze dell’ordine economico liberale, la cui stella polare è il mercato fornitore di armonia tra individui razionali mossi solo dall’interesse, privati di filiazione e legami, intollerabili ostacoli al progresso. Che poi il progresso non conduca alla felicità, nonostante gli innegabili miglioramenti di molte condizioni materiali, non scoraggia i suoi fautori: basta spostare l’oggetto del desiderio, far balenare nuovi progressi e il gioco è fatto.

Un altro effetto della superstizione progressista è il curioso suprematismo del tempo presente, in nome del quale chi è vissuto prima di noi ci è inferiore; ha goduto di un numero più basso di mezzi e di diritti, quindi anche la sua umanità è inferiore alla nostra. Il “presentismo” progressista cerca di allontanare il futuro schiacciandolo sull’oggi, poiché altrimenti perderebbe molta della sua efficacia e del suo fascino. Il progresso di domani, infatti, sarà superiore al nostro, con la perdita di autostima e relativizzazione dell’oggi che ne consegue. I padroni del progresso lo sanno e agiscono di conseguenza. Provocano un’ansia costante, consustanziale al progresso – il processo che non può esaurirsi – un’inquietudine interiore che rende dipendenti dal nuovo, dal consumo, dai desideri. Il progresso, anziché aumentare le nostre possibilità e aprire le menti, come pensavano positivisti e pragmatisti, genera tensione, competitività, paura, invidia sociale, a cui non è opposto altro rimedio se non somministrare dosi crescenti della medicina che ha provocato la malattia. In più, disprezzando ogni passato, rinuncia al confronto, pago della superiorità di mezzi del presente. Qui sta una delle contraddizioni progressiste: l’eccesso di mezzi oscura i fini sino a negarli. Il progresso, nella forma in cui è vissuto nella cultura di massa, assomiglia sempre più alla vana corsa circolare del criceto nella ruota e dentro la gabbia. L’invenzione del progresso, la fede accecante che genera, sono le mura della prigione senza sbarre che rende frenetica e mai sazia la vita contemporanea.

Prima o poi anche il progresso tramonterà e gli uomini torneranno sui propri passi, accettando una vita più naturale, umana nel senso nobile del termine. La talpa si stancherà di scavare e osserverà i detriti del suo lungo lavoro. Forse accadrà quanto immaginato dalla geniale leggerezza di Ennio Flaiano: anche il progresso, diventato vecchio e saggio, votò contro.

Roberto Pecchioli

 
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