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Rischia la vita chi osa opporsi al pensiero unico PDF Stampa E-mail

11 Giugno 2024

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 Da Rassegna di Arianna del 9-6-2024 (N.d.d.)

“Il 15 maggio, a Handlova, un attivista dell'opposizione slovacca ha cercato di assassinarmi a causa delle mie idee politiche. Un grande team medico mi ha evitato il peggio. Se tutto si svolgerà in modo ottimale, potrò riprendere gradualmente il lavoro tra la fine di giugno e l'inizio di luglio. È tempo di fare un primo passo. E tale passo consiste nel perdono. Non provo alcun odio verso la persona sconosciuta che mi ha ferito a colpi di arma da fuoco. Non intraprenderò alcuna azione legale attiva contro di lui né chiederò un risarcimento danni. Lo perdono e lascio che affronti ciò che ha fatto, e il motivo per cui l’ha fatto, risolvendolo da sé nella sua mente. Alla fine, è evidente che l'attentatore è solo un messaggero del male e dell’odio politico che l’opposizione politicamente fallita e frustrata ha sviluppato in Slovacchia in proporzioni incontrollabili. Ci si può aspettare che i media anti-governativi, le organizzazioni non governative politiche finanziate dall’estero e l’opposizione inizino a minimizzare il tentativo di uccidermi. Diranno che si è trattato solo di un attacco da parte di una persona confusa mentalmente, che non ci sono collegamenti tra lui e l’opposizione, che il danno alla mia salute non è grave. Ho sempre protetto la mia vita privata, quindi anche ora mi limiterò a dire che l’attacco mi ha causato gravi danni alla salute, ripetute operazioni, molto dolore e sofferenza. Sarà un piccolo miracolo se riuscirò a tornare al lavoro tra qualche settimana. Vorrei chiedere ai media anti-governativi, specialmente quelli co-posseduti dalla struttura finanziaria di Soros, di non intraprendere questa strada e di rispettare non solo la gravità delle ragioni del tentato omicidio, ma anche le conseguenze di questo tentativo. Come si comporterebbero se qualcosa di simile accadesse a uno dei leader dell’opposizione slovacca e se l’aggressore avesse legami con il mio partito, lo Smer? Non ho alcun motivo di credere che si sia trattato di un attacco da parte di un individuo folle. Per diversi mesi avevo comunicato pubblicamente che la probabilità di un attentato contro un politico di governo in Slovacchia si stavano facendo sempre più reali. L’avevo detto ai media e nelle conferenze stampa, l’avevo detto a tutti gli ambasciatori Ue e Nato presenti in Slovacchia. Qualche settimana fa avevo persino chiesto ai miei ministri di non andare tra la folla. No, non avevo alcuna informazione di intelligence; ma la mia esperienza di 32 anni in politica mi aveva messo in guardia. Durante la mia lunga carriera politica, mi sono sempre basato sul fondamentale diritto politico di avere un’opinione diversa. E non sono d’accordo, in linea di principio, con una politica che imponga una singola opinione corretta, cosa che oggi alcune tra le maggiori democrazie occidentali stanno conducendo con fermezza. Rifiuto l’interferenza negli affari interni di altri paesi o l’esportazione forzata della democrazia in paesi che abbiano scelto di seguire la propria strada.

La Slovacchia non ha gli strumenti economici e militari per imporre con la forza i propri interessi. Dobbiamo quindi cercare costantemente di garantire il pieno rispetto del diritto internazionale e avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, senza riguardo per le grandi potenze che sono coinvolte. Se un piccolo paese come la Slovacchia ha leader politici con queste qualità, non è sempre facile gestire le relazioni internazionali. Non tutte le maggiori democrazie sono state entusiaste quando mi sono opposto al bombardamento di Belgrado o quando ho ritirato le truppe slovacche dall’Iraq, quando ho bloccato l’introduzione di quote obbligatorie per i migranti illegali o quando ho fermamente rifiutato la proposta di abolire il diritto di veto per gli Stati membri dell’Ue. Una politica estera slovacca sovrana e assertiva, che deriva certamente dall’adesione all’Ue e alla Nato, ma è orientata verso tutte e quattro le direzioni cardinali, non è certo un fenomeno ora apprezzato. La situazione nei rapporti tra la mia rappresentanza politica e i partner dell’Ue e della Nato si è incrinata dopo l’attacco russo all’Ucraina, dove ci siamo rifiutati di fornire all’Ucraina qualsiasi assistenza umanitaria e militare, e dove continuiamo a dare la priorità assoluta alla pace rispetto alla guerra. È proprio il conflitto in Ucraina che ha ulteriormente rafforzato, addirittura santificato, il concetto dell’unica opinione corretta nell’Ue e nella Nato, e cioè che la guerra in Ucraina deve continuare a tutti i costi allo scopo di indebolire la Federazione Russa. Chiunque non aderisca a questa unica opinione obbligatoria viene immediatamente etichettato come agente russo e viene emarginato politicamente a livello internazionale. È una cruda constatazione, ma nell’Ue non esiste più il diritto ad avere un’opinione diversa.

Dopo la vittoria alle elezioni parlamentari del settembre 2023, quando lo Smer è riuscito a formare il mio quarto governo, si è iniziato ad assistere ad assurdità. Il gruppo dei Socialisti Europei, di cui lo Smer è membro di lunga data, invece di congratularsi per la vittoria elettorale ne ha sospeso l’adesione, chiaramente per opinioni diverse sulla guerra in Ucraina e per la nostra riluttanza a sostenere opinioni estreme su questioni etiche. Durante la riunione del Quartetto di Vishegrad a Praga, c’è stato un tentativo, fortunatamente fallito, di distruggere questa importante struttura di cooperazione regionale con la motivazione che la Slovacchia e l’Ungheria hanno opinioni diverse su certe questioni internazionali. L’indisponibilità di alcune maggiori democrazie a rispettare il concetto di una politica estera slovacca sovrana e assertiva è diventata un punto di forza per l’opposizione slovacca, che nel 2020 era giunta al potere dopo aver grossolanamente abusato politicamente, contro il mio terzo governo tra il 2016 e il 2020, dell’omicidio (non ancora chiarito) di un giornalista e della sua ragazza. Il governo formato dall’opposizione tra il 2020 e il 2023 si era pienamente sottomesso agli interessi dei grandi paesi e, soprattutto dopo l’inizio della guerra in Ucraina, aveva immediatamente adottato il concetto dell’unica opinione corretta. Quel governo aveva letteralmente saccheggiato le forze armate slovacche, riducendo drasticamente la capacità difensiva della Slovacchia e schierandosi acriticamente dalla parte dei paesi che spingono per una soluzione militare del conflitto in Ucraina. Per questo, all'epoca, in Slovacchia il governo poteva fare quello che voleva. Tra il 2020 e il 2023 c’è stato un massiccio abuso del diritto penale per eliminare l’opposizione. Rappresentanti dell’opposizione sono stati incriminati e imprigionati senza prove. E ci sono stati decessi sospetti in custodia cautelare.

Come leader dell’opposizione, sono stato incriminato quattro volte senza motivo per attività politica. Per tre anni abbiamo avvertito l’Ue della situazione in Slovacchia, ma non è stata espressa nemmeno una parola di critica sulla qualità dello stato di diritto in Slovacchia e sui comportamenti del governo nell’abuso del diritto penale per eliminare l’opposizione. Nessuno, né nell’Ue né tra i rappresentanti delle singole maggiori democrazie occidentali, ha chiesto nemmeno una volta spiegazioni sulla morte dell’avvocato Krivočenko, su quella del generale Lučanský e sui procedimenti penali palesemente manipolati. Per le democrazie maggiori, era molto più importante avere a disposizione in Slovacchia forze politiche pronte a fare qualsiasi cosa per interessi stranieri, anche se in netto contrasto con le priorità nazionali slovacche. Dopo le elezioni parlamentari del settembre 2023, quando lo Smer ha formato il mio quarto governo, ha nuovamente confermato, insieme ai suoi partner di coalizione, la politica di una politica estera slovacca sovrana e assertiva, orientata verso tutte e quattro le direzioni cardinali. L’attuale opposizione, incoraggiata dalla connivenza delle maggiori democrazie tra il 2020 e il 2023, ha continuato ad attaccare e accusare il governo. Sapeva e sa che promuovere il diritto a un’opinione diversa e una politica estera slovacca sovrana e assertiva non ha un grande sostegno nelle organizzazioni internazionali di cui la Slovacchia è membro. E allo stesso tempo ha chiaramente fatto capire che è a favore dell’unica opinione obbligatoria: l'opposizione è per la guerra in Ucraina, è per l’abolizione del diritto di veto e considera la Russia e la Cina come nemiche mortali. Dalle elezioni del settembre 2023, nessuno sta più ostacolando l’aggressività crescente e ben nutrita dell’opposizione, né i media, né le organizzazioni non governative, né il capo dello Stato, né Bruxelles né la Nato.

Le minacce fisiche a importanti politici di governo, come nel caso del deputato del Parlamento slovacco Erik Kaliňák e di sua moglie o di Ľuboš Blaha, sono quindi diventate la norma accettabile per gli aggressivi rappresentanti dell’opposizione. L’odio e l’aggressività dell’attuale opposizione, coperti e tollerati dai media influenti, dalle Ong finanziate dall’estero e, purtroppo, dalle indifferenti organizzazioni internazionali, hanno raggiunto il culmine dopo il successo del candidato di coalizione Peter Pellegrini alle elezioni presidenziali della scorsa primavera. La “Bratislava per bene” attacca aggressivamente, spesso anche fisicamente, i rappresentanti del governo. L’opposizione invia provocatori pagati alle celebrazioni delle festività nazionali, che insultano gravemente i funzionari costituzionali. Gli attori apparsi ai raduni dell’opposizione attaccano i rappresentanti del governo durante gli spettacoli teatrali, mentre le dirette televisive sono gravemente strumentalizzate. L’opposizione non mostra alcun rispetto per le autorità e per i risultati delle elezioni parlamentari democratiche. Aggiungo che, dopo la nostra vittoria del 2023, non abbiamo attuato alcuna rappresaglia in risposta ai crimini commessi dall'opposizione quando era al governo dal 2020.

Cari amici, il 15 maggio a Handlova non ha avuto luogo l’attacco di un folle. L’opposizione sta sfruttando il modo in cui le maggiori democrazie impongono l’unica opinione obbligatoria sulle questioni-chiave di politica estera e rifiutano le posizioni sovrane dei piccoli paesi. Nella politica interna slovacca, ciò si traduce nel fatto che qualsiasi eccesso violento e di odio contro il legittimo potere governativo è tollerato a livello internazionale senza alcun commento. L’opposizione non è stata in grado di determinare, perché nessuno l’ha costretta a farlo, il punto critico dove la sua politica aggressiva e piena di odio ha condotto una parte della società. Ed è stata solo una questione di tempo, prima che si verificasse una tragedia. Oggi ho già detto che, dopo quello che mi è successo il 15 maggio, quando a Handlova non sono andato tra la folla, ma mi sono solo diretto verso un piccolo gruppo di persone che mi salutavano amichevolmente, dovrei essere pieno di rabbia, odio e sete di vendetta. L’opposizione a un politico con cui non sei d’accordo non si risolve sparandogli addosso. Al contrario, vorrei esprimere la convinzione che tutto quel dolore che ho attraversato e sto attraversando servirà a qualcosa di buono. La gente ha potuto vedere con i propri occhi quale orrore può accadere se qualcuno non è in grado di competere democraticamente e rispettare un’opinione diversa. Nemmeno io sono un angelo, politicamente: so essere duro. Nemmeno i governi che ho guidato sono stati e sono perfetti. Sicuramente molte cose si sarebbero potute fare in modo diverso. E proprio l’alternativa di fare le cose in modo diverso e migliore, di avere opinioni diverse, deve essere la base elementare di qualsiasi competizione democratica degna di questo nome. L’alternativa non può essere quella di imprigionare un avversario senza motivo o di ucciderlo in modo subdolo. L’opposizione dovrà riflettere, su questo. Se persiste nel suo attuale atteggiamento, l’orrore del 15 maggio - che tutti avete avuto la possibilità di vedere praticamente in diretta - continuerà: e ci saranno altre vittime. Non ho alcun dubbio, su questo, nemmeno per un secondo.

Cari amici, in conclusione voglio ripetere il mio ringraziamento ai medici e al personale sanitario di Banská Bystrica: sono stati eccezionali. Non posso dimenticare nemmeno il personale sanitario di Handlova e il servizio di ambulanza aerea. Grazie anche a voi, per tutte le dimostrazioni di sostegno. Sto apprendendo solo ora l’entità di questo sostegno: è stato e rimane incredibile, e lo apprezzo molto. Spero che la società si calmi e che ci rincontreremo presto in modo significativo e pacifico. Buona fortuna a tutti. E incrociate le dita per me”.

(Discorso alla nazione pronunciato il 5 giugno 2024 dal primo ministro slovacco Robert Fico, miracolosamente sopravvissuto all'agguato dello scorso 15 maggio, in cui è rimasto gravemente ferito)
 
La società dei codardi PDF Stampa E-mail

8 Giugno 2024

 Da Comedonchisciotte del 5-6-2024 (N.d.d.)

Mi trovo spesso a guidare lungo una strada accanto a una scuola che è piuttosto difficile da percorrere perché sovente ostruita da numerosissime auto, parcheggiate ovunque, di solito con una sola persona a bordo ad aspettare. Si tratta dei genitori (genitore uno oppure due ma forse possono essere tre) o chi per loro, degli studenti che si sentono obbligati e probabilmente lo sono davvero, ad andare a prendere i figli all’uscita per evitare i terribili pericoli che il percorso fino a casa comporta per dei minorenni non protetti. Io che ho frequentato le scuole negli anni 60/70 quando la società era barbara e primitiva e questo salvifico uso non era ancora invalso,  lo so bene chi incontravo per strada. Si assume infatti che le nostre città siano sommamente insicure anche per i grandi, ma per i giovani i rischi sono ancora maggiori e la televisione e la rete ce li ricordano di continuo: i pedofili, gli spacciatori, gli assassini e i maniaci sempre in attesa con la bava alla bocca, il traffico che sfreccia a trenta all’ora rischiando di investire i pargoli, l’inquinamento dell’aria che gli avvelena i polmoni, i bulli sempre pronti a colpire nei momenti in cui non c’è sorveglianza, i minorenni che per definizione sono un pericolo per loro stessi, almeno finché non scatta il fatidico calendario ed allora diventano magicamente coraggiosi e responsabili. Chi mai li sorveglierebbe in questo spazio vuoto dalla casa alla scuola se fosse loro permesso di percorrerlo in autonomia, senza neppure, che so, il maestro di danza? Certo, ognuno di loro ha un telefonino, costantemente connesso alla rete, ma sfortunatamente i pargoli sono poco propensi a rimanere in collegamento con i genitori (o magari con la polizia), sovente sono più portati a fare giochini sparatutto o pettegolezzi sui social, per cui restano pericolosi spazi di vuoto anche di interi minuti. Che contatti potrebbero avere in quel percorso, cosa potrebbero dirsi, quali idee tutt’altro che solidali affacciarsi alle giovani menti? Vedete che andare a prenderli in auto è indispensabile anche se dovessero abitare a pochi metri dalla scuola. E’ una questione di sicurezza e di fronte alla sicurezza nient’altro conta, non certo l’autonomia, la libertà, il buon senso, magari neanche la vita stessa. Naturalmente giovani così allevati hanno le migliori probabilità di diventare adulti sani, autonomi e responsabili.

Nell’ufficio dove lavoravo si facevano a cadenza periodica delle “esercitazioni a sorpresa” per essere certi di come comportarsi in caso di incendio. Si dava sommesso preavviso che il giorno tal dei tali si sarebbe svolta l’esercitazione “a sorpresa” così che ognuno si poteva preparare se per caso aveva da sbrigare qualche commissione veloce. L’esercitazione si presentava come complessa e articolata, ma era in realtà molto semplice, consisteva nel far suonare una sirena, allorché tutti dovevano allontanarsi il più velocemente possibile (ma naturalmente senza correre e senza panico), dal posto di lavoro, scendere le scale (mi raccomando di evitare l’ascensore), ed infine ritrovarsi tutti per la strada in punti predisposti a ridacchiare della goffaggine di qualche collega. La semplicità della manovra contrastava con la complicatissima serie di incarichi dai nomi drammatici che venivano affidati a molti, importanti sulla carta, ma che all’atto pratico si risolvevano in nulla. Ovviamente non si poteva pretendere che tutti la prendessero seriamente dal momento che la gente sapeva che non stava succedendo nulla, però alcuni erano davvero più convinti ed erano invariabilmente quelli più in alto nella scala gerarchica. Non che ci credessero davvero, ma in grazia del mestiere dovevano fingere di sì per fare bella figura. Del resto fingevano pure di credere a tutte le ultime strategie di marketing che le agenzie internazionali (americane), di volta in volta  escogitavano per giustificare la parcella da consulenti. La probabilità di una vera emergenza era in pratica trascurabile e a memoria d’uomo non era mai accaduto nulla di pericoloso in ufficio, tranne quella volta che un impiegato aveva detto “vado a prendere il caffè” e poi si era buttato sotto un treno alla vicina stazione, ma questo è un altro tipo di rischio. Se il pericolo non c’è ed è altamente improbabile che mai ci sarà, che senso ha preoccuparsene? Se lo facessimo per tutti i pericoli di analoga probabilità, non avremmo tempo per fare altro. Ma nella società dello spettacolo, la recita pare essere indispensabile. La facevamo persino a scuola.

Tutti sanno che prevenire è meglio che curare e tutti i professionisti del settore consigliano di controllare continuamente il proprio stato di salute al fine di poter intervenire per tempo nel caso insorga qualche malattia senza annunciarsi. Oggi la medicina è estremamente specializzata e noi abbiamo molti organi diversi. Se vogliamo controllarli tutti, periodicamente, uno alla volta, vedrete che saremo costantemente occupati a saltare da una visita all’altra, anche perché non è improbabile che qualche cosetta da approfondire con ulteriori esami, venga fuori. Va da sé che, per quanto possiamo impegnarci, un giorno una malattia ci ucciderà comunque ed è anche questo un fatto da tenere in considerazione. Dobbiamo dunque vivere in una costante ricerca di eventuali patologie? Oppure controllare solo di tanto in tanto e parzialmente la nostra salute? E nel caso, dobbiamo farlo nella misura suggerita dal medico curante (se riuscite a rintracciarlo), dalla televisione, dalla Pfizer , dall’organizzazione mondiale della sanità? O magari come ci pare a noi che però siamo incompetenti e, come ribadivano sempre le Virostar pandemiche, non dovremmo neppure aprire bocca senza o in carenza dei prescritti titoli. Certo che a rigore questa non è prevenzione, ma controllo. La prevenzione dovrebbe consistere nell’adottare uno “stile di vita”, come va di moda dire,  che eviti, per quanto possibile, le malattie, non nello scoprirle quando già ci sono. Solo che uno stile di vita salutare e sicuro è spesso meno piacevole e comporta delle rinunce che possono essere più o meno importanti a seconda della psicologia delle persone che sono chiamate a farle. E, ancora una volta, per quanto salutare possa essere il nostro stile di vita, ci dà solo una probabilità maggiore di una vita più lunga e sana, ma non ci garantisce nulla ed è comunque  certo che qualunque cosa facciamo soccomberemo. Nemini parcetur. Ma allora qual è la giusta misura, il giusto compromesso del vivere bene? Chi lo decide? In anni recenti abbiamo avuto ottimi esempi di cosa succede quando a decidere sono i vertici della società della paura: il governo ha ritenuto opportuno prima metterci ai domiciliari, poi imporre un medicinale obbligatorio a tutti i sani, medicinale che, lo ricordo, non era in realtà un vaccino, dato  che per vaccino s’intende qualcosa che impedisca di prendere la malattia, cosa che, per esplicita ammissione dei produttori, il medicinale in questione non faceva. Certo che se poi decidiamo convenzionalmente di chiamare “vaccino” mia nonna, anche lei diventa un “vaccino”, ma così le parole non hanno più un senso.  Ci si chiede: a conti fatti, era più pericoloso il medicinale imposto, o la malattia che intendeva attenuare? Chissà. Forse dipende dalla persona, dalla situazione, ma non mi risulta che nulla di tutto ciò sia mai stato preso in considerazione.  E la paura, tanto generosamente sparsa dai media, serviva a salvaguardare la salute pubblica o più banalmente a vendere il medicinale con bustarella ai competenti uffici? La paura, si sa, fa miracoli e la sicurezza è un’ottima scusa per vendere i gadget più vari, specie se, con un piccolo aiuto istituzionale, si rendono obbligatori, dai gilet arancioni alle catene da neve, dai ripetuti buchi nei muri delle cucine, alle ossessive “revisioni” delle caldaie e alle “linee vita” che ho scoperto non sono assicurazioni, ma cavi tesi sui tetti. Sicurezza prima di tutto. Eppure continuiamo a sentire dai telegiornali notizie di numerose morti sul lavoro che, guarda caso, non si verificano mai negli uffici dove si fanno le esercitazioni e il rischio è zero (no, zero non è un caso che si verifica in natura, ma quasi zero), ma piuttosto nei luoghi dove il rischio c’è davvero, ma non ci sono le esercitazioni.

Ultimamente hanno preso a metterci in guardia contro un altro insidioso pericolo, questa volta psichico: le notizie false, che portano la gente a credere, guarda un po’,  a ciò che non è vero. Come fosse un caso nuovo. In astratto eliminare le notizie false sembrerebbe un’idea mica male (ma chissà che fine farebbero i giornalisti!), purtroppo il problema di fondo resta sempre lo stesso direi da millenni: come si fa a decidere se una notizia è falsa o meno? E soprattutto, chi lo decide? Di fatto nessuno è mai riuscito a rispondere in maniera convincente a queste domande per cui  l’unico rimedio razionale sembra quello di non censurare nessuna notizia. Tuttavia nella società della super sicurezza esporre le fragili menti dei cittadini ad ogni soffio è ritenuta un’opzione eccessiva, per cui si preferisce evitare voci dissonanti da quelle di chi, per definizione, lavora per il nostro bene, e finiamo per ascoltare solo la voce del salumiere che ci assicura che il salame che vende è il migliore. Anzi l’unico. Curiosamente, nonostante il sistema si vanti di tentare di farci salvi da tanti rischi, persino da quelli piuttosto remoti come il percorso da casa a scuola o una nevicata novembrina a Palermo o magari una interpretazione non talmudica sul massacro dei palestinesi, pare non trovi affatto necessario tutelarci da rischi più probabili e concreti, come quello di rimanere senza lavoro o senza casa, oppure senza un accesso facile e tempestivo alle cure mediche. Non è rischioso vivere per strada e ripararsi dietro ai cartoni cosa che succede sempre più spesso nelle città occidentali?

Ma il massimo della discrepanza tra la tutela da rischi trascurabili (ma molto utili per il controllo sociale e/o per arricchire certe categorie di privati che sono poi quelli che realmente spadroneggiano la cosa pubblica), e la tutela da rischi molto più consistenti, è stato raggiunto, mi pare, ultimamente: a quanto pare tutti i governi occidentali, che poi sembrano uno solo, tanto poco si differenziano l’uno dall’altro, sono fermamente decisi a portarci in guerra (di nuovo), contro la Russia, che non è proprio San Marino, ma probabilmente la maggiore potenza militare (e nucleare) al mondo. Ma non sarà pericolosa questa iniziativa? Non potrebbe esporci a un rischio persino superiore a quello di non avere le catene da neve a bordo da novembre ad aprile? A qualcuno potrebbe sembrare di sì, ma probabilmente si tratta di terrapiattisti e teorici del complotto. Comunque non sarebbe male se ci spiegassero qual è il reale interesse del popolo italiano (ed europeo) ad imporre alla Russia sanzioni che hanno come risultato immediato quello di continuare a comprare petrolio russo, ma questa volta da terzi e a prezzo raddoppiato, magari fingendo di non sapere l’origine del prodotto. Qual è l’interesse italiano (o europeo) ad inviare armi, denaro e cannoni (contro la nostra stessa costituzione) in difesa di un governo golpista creato in una provincia russa da un complotto della Cia all’unico scopo di permettere all’élite statunitense di continuare a comandare il mondo? Non è spiacevole la prospettiva non troppo remota di finire vaporizzati in un conflitto nucleare che si svolgerebbe principalmente sul suolo europeo? Non è più preoccupante il rischio di un’esplosione nucleare su una delle numerose basi dell’esercito americano vicine alle nostre città rispetto a quello di trovarsi, Dio non voglia, senza una veste arancione in caso ci si guasti la macchina in una strada trafficata? Eppure nessuno o quasi nessuno sembra accorgersi dell’assurdità di tutto ciò: quasi tutti credono alla verità collettiva predicata dai media o dai saggi della tribù per quanto incredibile tale verità possa essere. Sarebbe infatti sufficiente pensarci su un momento in modo razionale,  provare, con un pizzico di umiltà, a smettere di dare per scontato ciò a cui vogliamo credere solo perché ci fa comodo crederlo e contemplare più oggettivamente le cose. Purtroppo non è così: se questo fosse davvero il comportamento degli individui e soprattutto delle masse, di certo non si continuerebbe a credere che l’Italia è stata liberata e non occupata da un esercito col quale il nostro governo di allora ha firmato una resa incondizionata. Un esercito che a settant’anni dall’invasione è ancora qui e ha provveduto a istallare basi militari dappertutto e continua a dettarci una politica estera e una interna che sono oramai palesemente a nostro danno,  servendosi di una classe dirigente a questo punto di livello intellettuale francamente imbarazzante all’uopo corrotta. Né, per altro, si crederebbe più a Cappuccetto Rosso o alle statue che piangono sangue. Cinquant’anni fa almeno si facevano rumorosi cortei contro la guerra in Vietnam, che pure non ci coinvolgeva direttamente, oggi quasi nessuno sembra avere da ridire su una guerra che ci coinvolge eccome, se non altro perché le nostre tasse vanno a pagare le armi per uccidere i russi (fateci caso, la sanità pubblica non ce la possiamo permettere ma i soldi per Zelensky si sono trovati immediatamente). Anzi, la possibilità di un uso “limitato” delle armi atomiche comincia oramai ad essere una possibilità contemplabile, sdoganata, per così dire. Tutto sommato pare più importante chiamare gli africani Neri anziché Negri, e fingere di essere ecocompatibili, sostenibili, solidali e di sesso variabile come i pesci. Non è bizzarro che la società dei codardi che si terrorizza per un raffreddore, non abbia paura di far la guerra alla Russia? Non andrà tutto bene.

Nestor Halak

 
L'evoluzione della fisica PDF Stampa E-mail

5 Giugno 2024

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 Da Rassegna di Arianna del 2-6-2024 (N.d.d.)

La fisica che si studia a scuola è essenzialmente basata sulla meccanica, almeno inizialmente: infatti si comincia con il movimento, i tre principi della dinamica o leggi di Newton: inerzia, proporzionalità fra forza e accelerazione, principio di azione e reazione. Questa fisica, nata nel mondo moderno due o tre secoli fa, si basa su un assunto della filosofia di Cartesio, cioè che l’osservatore e l’osservato siano ben distinti e quindi che esista un mondo reale e oggettivo al di là di ogni osservazione. In altre parole, mente e materia sono ben distinte, la materia è “esistente in sé”. Inoltre, l’astrazione newtoniana del “punto materiale” presuppone che il mondo osservato sia in definitiva riconducibile a tanti punti, o particelle piccolissime. La teoria atomica ha rafforzato questa visione, persistente anche quando si sono  ipotizzate particelle sempre più piccole (protoni, neutroni, elettroni, e così via). Anche la termodinamica, con la teoria meccanica del calore, si è mantenuta entro questa visione del mondo, battezzata dal fisico Fritjof Capra (1939-vivente): paradigma cartesiano-newtoniano.

Dal 1900 al 1930, più o meno, sono avvenuti, partendo soprattutto dalla fisica, rivolgimenti del pensiero scientifico conseguenti a formulazioni teoriche, sempre confermate, che hanno falsificato il paradigma cartesiano-newtoniano: tale modifica è tuttora in corso e procede molto lentamente. Sono i famosi Trent’anni che sconvolsero la fisica, titolo di un felice libro divulgativo di George Gamow. L’inizio è dato dalla relatività speciale o ristretta, enunciata da Einstein nel 1905, quando la fisica meccanicista o classica ha cominciato a vacillare: spazio e tempo hanno perduto ogni connotazione assoluta, materia ed energia sono diventate la stessa cosa.

 Ogni scienziato inserisce in genere le sue conoscenze in quello che oggi viene chiamato il suo paradigma, seguendo una felice definizione del filosofo Thomas Kuhn (La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1978). Mettiamo quindi in evidenza i due paradigmi maggiormente presenti nella scienza, seguendo la definizione di Fritjof Capra (Il punto di svolta, 1984): il paradigma cartesiano-newtoniano e il paradigma sistemico-olistico. Come sopra accennato, con il paradigma cartesiano-newtoniano tutte le conoscenze vengono inquadrate nell’ipotesi che l’universale sia una gigantesca macchina: in questo paradigma, di fatto tuttora in auge, ci illudiamo di separare i singoli problemi e risolverli uno per uno in modo lineare. Invece, nel paradigma sistemico-olistico non possiamo suddividere in parti l’universale: è necessario prendere in considerazione tutti gli effetti e le retroazioni fra i vari elementi e considerare il grado di complessità di un sistema, che non è divisibile in processi esaminabili singolarmente. Nel primo periodo dall’inizio della fisica, il paradigma principale vigente può essere considerato il determinismo di Laplace (primi decenni dell’Ottocento). Non c’è alcuna libertà, per nessuno, anche se una parte della scienza dell’epoca accettava un pizzico di libertà, ma attribuito soltanto “all’uomo”. Questa idea, allora “di maggioranza” fra i fisici, ha percorso tutto l’Ottocento e, da qualche parte fra il popolo e una fetta della scienza “ufficiale”, persiste ancora oggi. Nell’Ottocento si era ormai affermata la teoria atomica, dove gli atomi erano considerati indivisibili. Ma negli ultimi anni del secolo la scoperta della radioattività rese gli atomi non più indivisibili. Nel modello di Bohr-Rutherford, insegnato ancora oggi, l’atomo appariva come un sistema solare in miniatura, era fatto di “palline” ancora più piccole, ma la concezione di fondo restava ancora quella: esistevano le particelle elementari e il vuoto, attraverso il quale si propagavano le forze che le tenevano unite, o le distanziavano (molto simile a quella del filosofo greco Democrito). Con la relatività speciale, enunciata da Einstein nel 1905, spazio e tempo perdono ogni connotazione assoluta, materia ed energia diventano la stessa cosa. Tutto questo nasce dal fatto che la velocità della luce non è un infinito, è molto grande ma è un numero finito, e anche un invariante. L’unificazione energia-materia è stata accettata, ma ci sono voluti “gli episodi” di Hiroshima e Nagasaki per convincere le masse. Con la relatività generale (1916), la gravità newtoniana diventa la curvatura dello spaziotempo, ma la divisione cartesiana fra mente e materia resta totale. C’è un osservatore che guarda un mondo materiale realmente esistente. In altre parole, il paradigma non è più newtoniano, ma ancora ben saldamente cartesiano. Vagamente, c’è ancora la sensazione che la Natura si comporta come una macchina e non ha alcun genere di “aspetto mentale”, e che la mente sia un prodotto del cervello.

La rivoluzione più grande è iniziata nel 1927, proprio nella Fisica, quando lo scienziato tedesco Werner Heisenberg, dopo alcune meditazioni nell’isola di Helgoland, sul mare del Nord, ha enunciato il suo principio di indeterminazione, che inizialmente riguardava la posizione e la quantità di moto di una particella: il principio è stato poi confermato da Niels Bohr (con l’interpretazione di Copenaghen) e da tutti gli esperimenti successivi. Non si tratta di limiti dei nostri strumenti o dei nostri sensi, ma della natura del mondo. Posizione e velocità non sono determinabili esattamente entrambe. Se vogliamo definirne una, l’altra è completamente indeterminata, e tutto questo proviene da considerazioni matematiche: se il prodotto delle due indeterminazioni è sempre maggiore di una costante mai nulla (che contiene come fattore la costante di Planck), quando una delle due tende a zero (precisione assoluta), l’altra tende all’infinito (indeterminazione totale). Solo l’osservazione, cioè un fenomeno mentale, “sceglie” la grandezza da conoscere.  Ovunque, anche in tutte le grandezze delle espressioni matematiche, vi è un contenuto mentale. Il principio si applica ad altre coppie di grandezze, fra cui la coppia energia-tempo: se fissiamo un istante esatto, cioè vogliamo che l’indeterminazione del tempo sia nulla, la “particella” presenta una massa-energia totalmente indeterminata, il che significa che non è niente di definibile in alcun modo. Non si può separare il fenomeno dall’osservazione, non esiste alcuna realtà oggettiva, esistono solo relazioni, anche mentali. Il dualismo mente-materia è scomparso: non si possono separare. Queste “particelle” sono anche onde, l’Universale è fatto di vibrazioni e di frequenze.

L’indeterminazione applicata al binomio massa-tempo (o energia-tempo) portò a formulare il concetto di vuoto quantistico: non esiste alcuna particella né entità stabile, c’è solo una specie di vacuità creativa. Il dualismo vuoto-pieno è scomparso: “A” e “non-A” possono coesistere. Non esiste alcun “mattone fondamentale” della materia. Se si assume un istante preciso (indeterminazione del tempo nulla), la cosiddetta particella non ha alcuna massa-energia definibile in alcun modo: l’indeterminazione della massa tende all’infinito. Quindi viene messo in dubbio anche il significato della parola “esistere”.  Il cosiddetto “vuoto” è “pieno” di miriadi di particelle che nascono e muoiono in continuazione, vivendo meno del tempo massimo loro concesso. Tutto si riconduce al vuoto quantistico, cioè a una danza di energie che continuamente nascono nell’Essere e svaniscono nel Nulla. Il fisico austriaco Erwin Schroedinger era arrivato alle stesse conclusioni di Heisenberg, riuscendo a formulare l’equazione che porta il suo nome e che descrive l’andamento nel tempo di una probabilità. Ha inoltre enunciato il cosiddetto paradosso del gatto di Schroedinger: nel suo scatolone, il gatto è nella condizione di vivo/morto in quella ora fra la rottura/non rottura della fiala di cianuro e l’apertura dello scatolone da parte dell’”osservatore”. Tertium datur: qualcosa può anche esistere/non esistere contemporaneamente. Tutto si risolve nel vuoto quantistico, che è vuoto/pieno, una Vacuità creativa: così se ne va la visione atomistica di Democrito e dell’Occidente. Possiamo prendere a prestito energia dal Vuoto, pur di restituirla entro il brevissimo tempo che ci è concesso.

Nella seconda metà del Novecento lo studio dei sistemi portò a formulare le idee di sistema complesso e di essere collettivo. Un sistema che abbia un certo grado di complessità si evolve in modo da divenire completamente imprevedibile, anche in linea di principio: infatti si trova ben presto in qualche biforcazione-instabilità, o entra in uno stato caotico. La sua evoluzione non è prevedibile neanche in termini probabilistici. Nei punti di biforcazione il sistema sceglie di prendere una o un’altra via, in modo non determinabile da nessuna legge inerente al mondo energetico-materiale. Gli scienziati meccanicisti dicono che la via viene presa “a caso”, ma non sappiamo cosa questo significhi, né abbiamo alcun motivo per dire che si tratta di una scelta solo se il sistema in esame è il cervello umano. In altre parole, nei sistemi complessi si ha l’emergenza di fenomeni mentali. In alcune espressioni matematiche della fisica quantistica si trova al denominatore una differenza di frequenze, quindi, se le due frequenze sono quasi-uguali, la frazione tende all’infinito, indipendentemente dalla distanza, che può essere grandissima: ne nascono fenomeni non-locali. Forse le vibrazioni e le frequenze sono più importanti delle forze abituali della fisica “ottocentesca”, le distanze non contano… E l’entanglement? Le entità che sono state in contatto anche una sola volta resteranno collegate a qualunque distanza verranno a trovarsi…e istantaneamente, a una velocità che tende all’infinito.

La fisica di Newton persiste nelle scuole ma è superata su un piano “sottile” o filosofico. Di questo gli studenti non vengono neppure avvertiti, almeno inizialmente.  Infatti quella fisica è utile su un piano pratico-applicativo, perché il mondo macroscopico segue ancora, in gran parte, “quella” fisica, e al sistema interessa formare qualcuno che impara a “fare”, ad essere un tecnico, non qualcuno che “pensa”. In realtà, se – come abbiamo visto - non si può “spezzettare” nulla, e neppure fare “riduzioni al semplice”, né considerare le variabili come indipendenti, dato che le retroazioni sono numerosissime e intercollegate, riesce molto difficile in pratica trattare qualunque problema. Bisognerà comunque semplificare qualcosa, ma ogni sistema deve essere considerato come un sottosistema di quello totale, in realtà indivisibile. Comunque, sappiamo che nei sistemi complessi esiste sempre un limite temporale oltre il quale non è possibile fare alcuna previsione, neanche in linea teorica. Questo significa che, da un certo punto in poi, il sistema prende una via completamente imprevedibile sulla base dell’andamento precedente: in altre parole, si manifesta una scelta. Gli scienziati-filosofi materialisti-meccanicisti-cartesiani se la cavano attribuendo al caso l’andamento dopo la biforcazione, ma la parola caso è un’etichetta messa a tutto ciò che non sappiamo (o all’aspetto mentale?).

 Qualche citazione:

Qualunque cosa io dica, Vi prego di interpretarla come una domanda. (Niels Bohr)     L’unica legge è che non c’è nessuna legge. (John Archibald Wheeler) In contrasto con la concezione meccanicistica cartesiana del mondo, la visione del mondo che emerge dalla fisica moderna può essere caratterizzata con parole come organica, olistica ed ecologica. Essa potrebbe essere designata anche come una visione sistemica, nel senso della teoria generale dei sistemi. L’universo non è visto più come una macchina composta da una moltitudine di oggetti, ma deve essere raffigurato come un tutto indivisibile, dinamico, le cui parti sono essenzialmente interconnesse e possono essere intese solo come strutture di un processo cosmico. (Fritjof Capra) Oggi c’è una concordanza di vedute molto vasta – che tra i fisici raggiunge quasi l’unanimità – sul fatto che la corrente delle conoscenze si sta dirigendo verso una realtà non meccanica: l’Universo comincia ad assomigliare a un grande Pensiero piuttosto che a una grande Macchina.  (Arthur S. Eddington e James Jeans) Il problema è la visione del mondo meccanicistica che, malgrado tutto, risulta purtroppo ancora imperante. Dalla nuova Fisica non emerge una visione del mondo come costituito da oggetti separati che interagiscono urtandosi più o meno forte, ma una visione del mondo, invece, che scopre come grazie alla “sintonia” e all’interrelazione, alla cooperazione, si possano “evocare”, quasi magicamente, correlazioni inusitate, potenzialità finora inimmaginabili. (Roberto Germano)

Guido Dalla Casa

 
Colonialismo d'insediamento genocida PDF Stampa E-mail

3 Giugno 2024

 Da Rassegna di Arianna del 2-6-2024 (N.d.d.)

L'aspetto religioso, nella questione della formazione ed esistenza dello stato di Israele, è sempre stata molto in rilievo - sia in senso positivo che in senso negativo. Ciò ovviamente è in parte vero, ed in parte no. Lo è quantomeno nel senso che il sionismo - ovvero l'ideologia nazionalista su cui si è fondata Israele - nasce da un humus culturale di tipo religioso. Il fatto che, alle origini della religione ebraica, questa presupponesse che i suoi seguaci fossero gli 'eletti da dio', è il fondamento su cui si basa l'eccezionalismo ebraico-sionista, e la pretesa di uno stato tutto per sé. Ovviamente, questo presupposto è quanto di più banale, nel senso che migliaia di anni fa ogni popolazione (anche di etnie diverse) aveva i suoi dei, e dava per scontato che questa relazione fosse 'speciale'. Del resto, non si è forse gridato "Dio è con noi!" sino in tempi assai più recenti? In ogni caso, il sionismo ha fatto di questa presunta eccezionalità il fondamento di una ideologia che - esattamente come la religione nel cui ambito nasce - è esclusiva ed escludente.

Ma, se pure il sionismo ha questa connotazione religiosa, esso è prima di tutto una ideologia nazionalista. E secondariamente, non esistendo precedentemente una nazione esclusivamente ebraica, questa ideologia ha dovuto crearsi una narrazione confacente, ovvero identificare un luogo ove insediare questa nazione e questo stato. E, peraltro, la Palestina inizialmente non era l'unica ipotesi presa in considerazione... Una volta che il progetto sionista si è fermato su questa ipotesi (ben prima dell'olocausto), si inventò il famoso slogan "una terra senza popolo per un popolo senza terra". Che è però, appunto, una doppia mistificazione: perché in quella terra un popolo c'era eccome, e perché gli ebrei non sono un 'popolo'. Fondamentalmente, quindi, il sionismo - nel momento in cui è passato dall'essere una ideologia politica riferita ai fedeli di una determinata religione, all'essere un progetto politico concreto - si è manifestato come la tarda espressione di un fenomeno tipicamente europeo, il colonialismo. In virtù della sua natura, il colonialismo sionista è stato ed è una particolare fattispecie di tale fenomeno, il cosiddetto colonialismo d'insediamento.

Il colonialismo classico europeo, infatti, si è concretizzato nella occupazione militare di un territorio (generalmente collocato in un altro continente), nel trasferimento in loco di una quota di coloni, e nello sfruttamento intensivo delle risorse della colonia stessa - laddove tali risorse comprendevano la popolazione autoctona, utilizzata come forza lavoro in condizioni di servilismo, se non di schiavitù. Nella storia europea esistono sostanzialmente solo due casi di colonialismo d'insediamento, nel quale appunto i coloni non intendono semplicemente sfruttare la colonia, ma farne il proprio territorio: l'America del nord, e l'Australia. In entrambe i casi, le popolazioni indigene sconoscevano totalmente l'idea europea di stato e di nazione, ed erano tecnologicamente (e quindi militarmente) molto più deboli degli europei. In entrambe i casi, nonostante l'estrema vastità dei territori, i coloni europei perseguirono sostanzialmente lo sterminio delle popolazioni indigene, in quanto il loro insediamento presupponeva necessariamente l'eliminazione di coloro che abitavano precedentemente quelle terre. Il colonialismo d'insediamento sionista, invece, si è trovato di fronte una popolazione con una storia ed una identità nazionale e statuale (dai califfati arabi all'impero ottomano), pienamente moderna sotto il profilo tecnologico, e - cosa ancor più rilevante - massicciamente presente in un territorio assai ristretto.

La natura esclusiva del sionismo, che limita agli ebrei la possibilità di colonizzare la terra di Israele, non ha fatto che accentuare quest'ultimo problema, poiché il capitale umano a cui attingere per la colonizzazione è limitato, mentre quello autoctono non lo è. Ci sono quindi tre fondamentali ragioni per cui lo Stato di Israele deve essere genocida. La prima, è che il colonialismo d'insediamento lo è per sua natura. La seconda è che gli ebrei sono una piccolissima minoranza, e non tutti sono disposti a fare i coloni in Terra Santa. La terza è che l'insediamento avviene su uno spazio limitato, dove la spinta demografica degli indigeni è inarrestabilmente più forte di quella dei coloni. Ma, sempre per le ragioni summenzionate, il colonialismo sionista (che è una forma del colonialismo europeo: tutti i leader israeliani sono sempre stati ashkenaziti, cioè ebrei di origine europea, e mai sefarditi, cioè di origine mediorientale o nordafricana) si trova di fronte a una contraddizione insanabile, ovvero che le condizioni storiche e geopolitiche in cui si è manifestato sono a tal punto diverse, da quelle della colonizzazione del continente americano  e australiano, da rendere impraticabile la replica di quel modus operandi. Israele non può che essere genocida, nei confronti dei palestinesi, ma al tempo stesso ciò è semplicemente impossibile da realizzare, quantomeno nella misura 'necessaria'. E se Israele non può essere genocida, semplicemente non può essere, tour court. È questa, l'insanabile contraddizione in cui permane lo stato ebraico, che rende ancor più evidente la sua natura artefatta, che necessita di continui riferimenti biblici per la semplice ragione che non ha né una storia né una cultura comune, e che trova - appunto nell'odio razziale verso una popolazione indigena che ostinatamente rifiuta di scomparire - l'unico vero collante identitario.

Enrico Tomaselli

 
Declino tedesco nel tramonto dell'UE PDF Stampa E-mail

1 Giugno 2024 

 Da Rassegna di Arianna del 31-5-2024 (N.d.d.)

L’Europa è la grande assente. Nelle imminenti elezioni del parlamento europeo è infatti del tutto assente un dibattito in cui, data l’attuale crisi della UE, si prefigurino riforme sistemiche e/o eventuali progetti di rifondazione di una istituzione che sia rappresentativa dei popoli e degli stati europei. Non sussiste pertanto alcuna idea dell’Europa alternativa alla UE: non avrai altra Europa all’infuori della UE. Gli stessi movimenti sovranisti e/o euroscettici, sono rappresentativi di istanze legate ad interessi regionali o di classe, che spesso degenerano in etnicismi dissolutori, non solo dell’Europa, ma degli stati stessi.

La UE non è uno stato, una costituzione europea non è stata mai varata, ma sussiste in virtù del Trattato di Lisbona del 2007, mai sottoposto peraltro ad approvazione popolare. La UE dunque, è una istituzione priva di sovranità politica, che tuttavia è sorta in base ad un patto tra stati, che ha comportato la devoluzione ad essa della sovranità economica, monetaria e in larga parte politica da parte degli stati membri. Questi ultimi hanno quindi rinunciato alla propria sovranità a favore, non di uno stato sovranazionale che integrasse gli stati membri, ma ad una UE fondata su accordi internazionali privi di legittimità popolare. Il parlamento europeo non è dotato del potere legislativo, che è invece esercitato dalla Commissione, ed è quindi una istituzione pletorica, atta a legittimare politicamente i poteri oligarchici di una entità tecnocratico – finanziaria rappresentata dagli organismi della UE. Le coalizioni di maggioranza che si costituiscono in seno al parlamento europeo non assumono la funzione di un potere esecutivo per il governo politico della UE, ma sono predisposte per la mera ratifica di leggi e regolamenti emanati dalla Commissione, in conformità dei trattati istitutivi della UE. Pertanto, tali coalizioni risultano prive di una linea politica propria e sono blindate, in quanto è del tutto irreale la possibilità che si costituiscano maggioranze ostili alla Commissione. Infatti, i partiti sovranisti nel contesto delle prossime elezioni europee, per aspirare ad accedere alle maggioranze parlamentari europee, dovranno effettuare radicali revisioni delle proprie linee politiche, al fine di renderle compatibili con l’establishment che esercita la governance effettiva della UE. Soprattutto nella politica estera, in cui la UE non dispone di una soggettività politica autonoma, ma è parte integrante dello schieramento atlantico. È infatti la Nato a legittimare l’esistenza stessa di una UE che, in caso di disimpegno americano in Europa, non avrebbe più ragion d’essere. L’Europa ha il ruolo geopolitico di una piattaforma territoriale inserita nel contesto strategico della egemonia mondiale americana. In questa ottica è pertanto comprensibile la subalternità europea alla Nato, emersa nella rescissione dei rapporti economici ed energetici con la Russia di Putin (che ha comportato il declino della potenza tedesca), nel conflitto russo – ucraino e nell’incondizionato sostegno europeo ad Israele riguardo alla guerra di Gaza (che ha peraltro il suo fondamento morale nell’ irredimibile senso di colpa collettivo tedesco ed europeo scaturito dalle vicende storiche dell’olocausto). Democrazia, indipendenza, sovranità popolare, sono valori estranei alla UE. Le elezioni europee somigliano sinistramente alle ritualità plebiscitarie degli stati totalitari. In realtà, la classe politica insediatasi al parlamento europeo sussiste quale mandataria della direttive della Commissione.

Le elezioni per il parlamento europeo assumono un rilevo politico come una competizione tra i partiti interna agli stati, non come un confronto sulle politiche europee né tantomeno, su diverse idee dell’Europa. Gli stessi stati europei, privati della loro sovranità economica, conformemente alle regole del patto di stabilità, non possono implementare politiche espansive negli investimenti pubblici, salvaguardare il welfare e gli interessi dei cittadini. La politica estera degli stati europei è subordinata alle strategie della Nato. Si rileva inoltre, che nel contesto dei profondi mutamenti che si stanno verificando nella geopolitica mondiale, in cui si fa sempre più aspra la competizione tra USA e Cina con ingenti investimenti nella tecnologia e nell’innovazione, l’Europa ha ripristinato il patto di stabilità, che impone politiche di bilancio restrittive, a discapito della crescita e dei consumi. Nel nuovo ordine multipolare che si sta affermando, l’Europa risulterà marginalizzata e soggetta alla dipendenza tecnologica, energetica e militare americana.

La UE non ha integrato i popoli, ha istituito solo una unificazione monetaria. Non si è rivelata una unione inclusiva delle politiche fiscali, del lavoro, del welfare. L’assenza di un governo politico sovranazionale dell’Europa ha determinato l’emergere di una governance finanziaria autoreferente, del tutto estranea agli interessi degli stati e dei popoli. Basti pensare che il sistema bancario europeo, nella crisi inflattiva dovuta ai rincari energetici, con la politica degli aumenti dei tassi varata dalla BCE, ha conseguito profitti per 140 milioni annui. Aggiungasi poi che sia il sistema bancario, che quello assicurativo (nella fase post pandemica), che quello energetico (a seguito dei rincari causati dall’interruzione delle forniture russe), non sono stati assoggettati alla tassazione sugli extraprofitti, che peraltro sono stati realizzati a danno dei popoli europei. Questa UE è dunque il destino ineluttabile dell’Europa o la causa della sua irreversibile dissoluzione?

La crisi della UE coincide con il tramonto del modello tedesco. La UE è stata unione asimmetrica in cui si è imposto il dominio economico della Germania, in virtù dell’unificazione monetaria che ha abolito i tassi di cambio, della delocalizzazione industriale nei paesi dell’est europeo, della svalutazione dell’euro rispetto al  marco che ha incrementato la competitività dell’export, delle forniture energetiche a basso costo dalla Russia. Allo sviluppo della Germania ha corrisposto la recessione dei paesi europei più deboli, peraltro destrutturati economicamente e socialmente dalle politiche di austerity imposte dalla UE. La fine delle forniture energetiche russe ha inciso profondamente sulla competitività dell’export tedesco e sulla Germania, così come sulla intera Europa incombe un processo di deindustrializzazione favorito dalla politica protezionista degli incentivi e delle agevolazioni fiscali previste dal piano I.R.A. messo in atto dagli USA. Il modello tedesco ispirato all’ordoliberismus è ormai in fase di avanzata decomposizione.

In questo contesto di declassamento economico e geopolitico dell’Europa, occorre rilevare la sorprendente presa di posizione di Mario Draghi, che auspica un “cambiamento radicale” della governance europea con “nuove regole e più sovranità condivisa” e proclama che per “raggiungere una trasformazione dell’economia europea, dobbiamo essere in grado di fare affidamento su un sistema energetico decarbonizzato e indipendente, una difesa integrata europea, una produzione domestica nei settori più innovativi e una posizione leader nel deep-tech e nell’innovazione digitale”. Alla conversione di Draghi alla politica keynesiana di espansione degli investimenti fa riscontro quella di Francesco Giavazzi, che sostiene l’istituzione di un debito comune europeo per il rilancio dello sviluppo, in aperta contraddizione con le teorie neoliberiste della scuola di Chicago, che contemplavano tagli alla spesa pubblica e riduzione del debito da lui da sempre professate. Così si è espresso in un articolo del 21/04/2024 sul “Corriere della Sera”: “Occorre abbandonare l’idea che il debito sia solo un onere trasmesso alle generazioni future. Se indebitarsi oggi per investire, consentirà ai nostri nipoti di vivere in un continente libero e che cresce perché collocato sulla frontiera della tecnologia, ripagare il debito sarà un onere minore. Anche perché il debito pubblico non deve necessariamente essere ripagato: l’importante è ridurre il rapporto tra debito e PIL e questo dipende dalla crescita. Alla scadenza il debito pubblico può sempre essere rimborsato riemettendo altri titoli”. Tali conversioni simultanee a politiche espansive di Draghi e Giavazzi, sono del tutto strumentali. Infatti si prospettano in sede UE politiche espansive messe in atto mediante debito comune, finalizzate al riarmo dell’Europa imposto dal disimpegno americano, con la relativa devoluzione delle spese per la sicurezza nell’ambito della Nato agli stati europei, in funzione antirussa. Gli USA vogliono comunque scongiurare il sorgere di una Europa quale potenza autonoma ed indipendente dall’Occidente. In tale prospettiva, l’Europa sarà resa dipendente dagli USA, non solo nel settore energetico, ma anche in quello militare, dato il conclamato deficit tecnologico europeo in tema di armamenti. È comunque del tutto impensabile la costituzione di un esercito europeo senza uno stato unitario.

La UE si è rivelata un organismo burocratico irriformabile, affetto da congenito immobilismo. Le elezioni europee si configurano come una sorta di acclamazione incondizionata del sovrano, rappresentato dall’establishment tecnocratico – finanziario preposto alla governance della UE. L’esito di queste elezioni si prefigura peraltro scontato, con la conferma della coalizione tra popolari e socialisti. Il parlamento europeo altro non è che uno strumento di legittimazione politica dei poteri oligarchici dominanti: appare del tutto ridicola la presunta superiorità morale vantata dall’Occidente, quale sistema democratico contrapposto alle autocrazie di Russia e Cina. La UE è l’espressione della dimensione post storica in cui l’Europa è stata relegata dalla fine della Seconda guerra mondiale. La UE è ormai condannata al fallimento perché si è dimostrata del tutto inadeguata ad affrontare le sfide del nostro tempo, rappresentate dalle trasformazioni di portata storica in atto nella geopolitica mondiale. Una Europa politica può nascere solo dalle ceneri della UE. Occorre creare un nuovo europeismo dei popoli che si contrapponga alle oligarchie euroinomani di Bruxelles: una nuova Europa è possibile solo a fronte della dissoluzione della UE, che potrebbe essere ormai imminente.

Luigi Tedeschi 

 

 
Tutti i sintomi di una fase finale PDF Stampa E-mail

27 Maggio 2024

 Da Rassegna di Arianna del 26-5-2024 (N.d.d.)

La guerra in Ucraina si configura sempre di più per uno scontro socioculturale sulle diversità dei modelli di sviluppo, da una parte il sistema occidentale e dall’altra parte il resto del mondo; al primo afferiscono circa 1,2 mld. di persone nelle economie avanzate mentre al polo opposto se ne contano circa 6,7 mld. Si tratta di uno scontro tra economie basate sulla produzione ed economie sempre più basate sui servizi e sulla finanza: uno scontro tra economia reale ed economia finanziaria, un modello che a Occidente ha prevalso fino ad oggi ma ora si trova di fronte ad un inesorabile declino.

Il modello occidentale si è via via plasmato sulla rivoluzione finanziaria avviata nel 1971, quando Nixon dichiarò che la stampa del dollaro sarebbe stata sganciata dal controvalore reale dell’oro mettendo fine al sistema monetario basato sul “gold exchange standard “. La conseguenza fu la formazione di un “limbo” finanziario sganciato da qualsiasi bene concreto e reale, dove la stampa della carta moneta avviene all’infinito senza limiti o vincoli, mentre la finanza si muove in uno spazio etereo senza mai incontrarsi con il mondo reale, che rimane finito e misurabile. Due strade parallele.

È in tale contesto che nasce “Il tempo del dollaro”: per dare un qualche valore a una moneta ormai “eterea”, infatti, gli Usa inventano il petrodollaro ed il sistema Swift, che obbligano i paesi occidentali ad usare il dollaro rafforzandolo come moneta di riferimento. La svolta per la definitiva affermazione avviene poi con la caduta del muro di Berlino, che eliminando il principale avversario politico ed economico lascia campo libero al dominio della finanza e del dollaro come moneta globale di riferimento. La finanza diventa allora una verità incontrovertibile e l’economia cambia il suo DNA da scienza sociale a scienza positiva. Dice il premio Nobel 1994 Lucas: “I mercati finanziari non sbagliano mai nell’allocazione”.  Cinque anni dopo Clinton abolisce la Glass Steagall Act, nata per tenere separate le attività delle banche d’affari da quelle commerciali e i lupi entrano nel recinto cominciando a creare le prime bolle finanziarie. La finanza diventa il mantra che consente il più rapido arricchimento, anche se finirà per distruggere il sistema occidentale che sposa la finanza in modo assolutamente acritico. La finanza e il dollaro, infatti, segnano un predominio negli equilibri globali, ma generano un crescente volume di debito e strumenti finanziari che rendono tale debito esplosivo. Con i derivati e con il sistema bancario ombra arriviamo a 4 quadrilioni (quattro miliardi di miliardi in dollari). E l’Occidente resta cieco. La fase finale di tutti gli imperi include sempre disavanzi e debiti eccessivi, inflazione, una valuta che crolla, decadenza e guerra, e l’occidente presenta tutti questi sintomi.

Agli inizi degli anni Novanta salta anche il sistema delle repubbliche sovietiche, la Cina fa i primi passi nell’economia e il potere che si viene a creare nelle mani degli Usa non trova contrappesi a bilanciarlo alimentando la loro cultura della guerra come fattore di dominio e di sviluppo. Abbiamo le guerre del Kossovo, dell’Afganistan, dell’Iraq, della Siria, del Libano…, che consentono di occupare ampie zone dell’est asiatico favorite dal complesso militare, industriale, politico e congressuale. La cultura finanziaria non ammette repliche e consente il più rapido arricchimento e così quote crescenti di produzione vengono dislocate in paesi del terzo mondo che hanno costi infinitamente bassi. La strategia onnipotente di conquista non percepisce il cambiamento a oriente, della Cina e poi nei primi anni del 2000 anche della Russia e continua a smantellare l’attività manifatturiera per favorire i giochi della finanza. Gli equilibri però cominciano a cambiare e il modello comincia a deteriorarsi dall’interno con le bolle finanziarie che si susseguono sempre più ampie e profonde, mettendo il sistema in un cul de sac: più è alto il debito, infatti, più il debito ha bisogno di crescere alimentando un circolo vizioso senza fine. È lo schema Ponzi a moto perpetuo. Fino a quando il sistema non può che implodere.

Gli Stati Uniti, infatti, sempre convinti della loro superiorità, cominciano ad allagare il sistema economico e finanziario di moneta fiat, cioè senza sottostante, e cominciano le prime bolle e le prime smagliature nella tenuta del debito Usa e del dollaro come moneta di riserva globale, che dalla fine del gold exchange standard ha perso oltre il 90 % in termini reali preparando la sua fase finale. Abituati a gestire la bilancia commerciale sulla tenuta del dollaro, gli Usa assistono le prime spaccature: il debito sul pil si avvita a spirale, avvicinandosi al 140%, crescendo più rapidamente del prodotto interno lordo e spingendo Paesi a dismettere le riserve di dollari a favore di altre monete oppure dell’oro. Illusi dalla loro superiorità militare e finanziaria, gli Stati Uniti   perdono di vista gli equilibri interni, con il risultato che - di fatto - non hanno mai avuto un avanzo primario e la bilancia dei pagamenti presenta un debito di 53.312 mld /$ contro una posizione attiva di 35211 mld /$ con un disavanzo di 18.101 mld /$.

A sorpresa, se guardiamo alla Russia, troviamo invece conti ben più in ordine. Il suo rapporto debito/pil è pari al 14 %, non ha debiti e presenta una bilancia commerciale positiva come la Cina. L’economia russa è dunque più sana di quanto ci viene raccontato con un deficit di bilancio del 2,3 % rispetto al 5,4 % degli Usa. Fino ad oggi tale precario equilibrio è stato sostenibile grazie al ruolo di moneta globale assunto dal dollaro, ma l’attuale contrapposizione sul campo di guerra sminuisce il predominio del dollaro nella denominazione dei prezzi di una buona parte di materie prime.

La sorte della finanza Usa ha contagiato anche i Paesi occidentali che hanno subito l’occupazione finanziaria acriticamente, seguendo la strategia statunitense sia per mancata indipendenza che per eccessiva sottomissione: abbiamo perso aziende che hanno fatto grande l’Italia e adesso ci si presenta il conto. Il ricorso senza limiti al QE ha fatto stampare volumi di carta moneta fiat, ma la domanda di quella moneta si è ridotta avviando una svalutazione di fatto quando manovre come quella del petrodollaro non sono più ripetibili. Le conseguenze per i finanziamenti dei governi occidentali non saranno leggere: per decenni gli Usa hanno fatto affidamento sugli stranieri che accumulavano dollari per reinvestirli in TBUsa e la liquidazione di queste posizioni in un momento in cui i bilanci entreranno in recessione è destinata a salire.

La vera sfida alla cultura occidentale della finanza viene portata dagli altri paesi dell’est e del sud del mondo che rappresentano la manifattura e l’economia reale e che sono stati capaci di sviluppare un modello alternativo alla finanza illusoria. Non c’è da stupirsi che nazioni importanti nel settore energetico stiano abbandonando la nave. I Brics e gli altri paesi stanno già preparando l’alternativa al dollaro con una moneta possibilmente legata all’oro ed un sistema monetario scollegato dallo Swift. Questo grazie alla leva di economie che sono legate alla produzione di merci, dove le attività finanziarie sostengono attività non finanziarie con speculazioni finanziarie minime e dove il sistema è autosufficiente in termini di merci, materie prime e mano d’opera. A conferma del cambio la Cina ha accumulato oro per circa 23.000 tonnellate, la Russia sembra ne abbia a disposizione 12.000, mentre gli Usa ne hanno ufficialmente 8000. Questo oro è destinato a sostituire le valute fiat e la ripresa delle ostilità in Ucraina rischia di destabilizzare completamente un sistema finanziario già esposto al collasso. La struttura dell’economia americana e del suo debito non sono tali da consentire agli Usa il predominio globale e nuovi equilibri si vanno definendo.

Forse la spinta alla guerra senza ricorso a forme di pacificazione in Ucraina rischia di essere una svolta negli equilibri globali.

Fabrizio Pezzani

 
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