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Plebiscito contro Draghi PDF Stampa E-mail

27 Settembre 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 26-9-2022 (N.d.d.)

La destra ha vinto. Ma questa è la democrazia dell’alternanza, non certo dell’alternativa. Chiunque si attenda il cambiamento resterà presto deluso. La linea politica del nuovo governo dovrà essere infatti compatibile con le scelte già imposte da vincoli esterni, indipendentemente dall’esito delle elezioni: la UE, la Nato e soprattutto il giudizio dei mercati. Il nuovo governo dovrà attenersi ai programmi già decisi in sede UE con il Pnrr, dovrà uniformarsi all’atlantismo e alla russofobia occidentale e, in caso di scelte non gradite all’establishment, saranno i mercati a imporre la linea politica governativa, pena il default. Quale margine di scelta resta alla politica? Quasi nulla, dato che i paesi occidentali sono governati con il pilota automatico.

Si è agitato lo spettro del fascismo, del pericolo sovranista, dell’estremismo. Ma l’unica deriva estremista di questa destra è quella atlantista: la destra si è opposta alla sinistra in quanto a quest’ultima si è rinfacciato un filo atlantismo troppo moderato. Si evoca inoltre il pericolo del sovranismo di destra già dilagante in Europa. Ma i sovranisti europei (con l’eccezione parziale della Le Pen), avversano l’Europa in quanto non si riconoscono nella UE, ma nella Nato. Il sovranismo europeo si rivela dunque funzionale alla strategia imperialista americana che ha sempre contrastato qualsiasi velleità autonomista dell’Europa.

I rincari energetici e la guerra produrranno presto gravi crisi economico – sociali, che si riveleranno ingovernabili. Pertanto, dinanzi a nuove e gravi emergenze, i vincoli esterni europei imporranno nuovi governi tecnici e/o di unità nazionale. È probabile dunque che si verificherà presto la fuoriuscita di Forza Italia e di una Lega desalvinizzata dalla maggioranza di centro – destra, il cui governo si rivelerà da subito debole ed eroso da continue conflittualità interne. È quindi ipotizzabile una riedizione a breve di un nuovo governo tecnico guidato da Draghi, o da Cottarelli o da qualche clone finanziario a disposizione.

Il PD, nonostante le ripetute disfatte elettorali, rimane comunque il partito istituzionale che dispone del monopolio della rappresentanza dell’Italia in Europa. La “credibilità” italiana in Europa è garantita dal PD, partito rappresentativo dell’oligarchia tecnocratico – finanziaria cui è devoluta nei fatti la governance dell’Italia. Sono dunque del tutto prevedibili manovre anti – italiane ordite dal PD con l’avallo della UE al fine di destabilizzare il governo italiano.

Le elezioni sono state stravinte da Fratelli d’Italia: l’unico merito della Meloni è stato quello di essere il solo partito di opposizione al governo Draghi. Ma queste elezioni, al di là della vittoria della Meloni, si sono rivelate un plebiscito contro Draghi e i partiti che lo hanno sostenuto. L’impopolarità di Draghi è emersa con evidenza: perfino nei feudi della sinistra gli elettori hanno votato in maggioranza per la destra, manifestando una totale avversione popolare a Draghi e ai suoi ascari. È stato lo stesso Draghi a determinare la crisi di governo e a provocare le elezioni anticipate, al fine di sottrarsi alle sue responsabilità politiche all’esplodere della preannunciata drammatica crisi del prossimo autunno. Lo scenario che imporrà la narrazione mediatica ufficiale al manifestarsi della crisi è del tutto prevedibile, anzi scontato: l’Italia del governo Draghi era credibile, europeista e avviata verso la crescita e le riforme, ma con la fuoriuscita di Draghi è esplosa una crisi devastante. Occorrerà dunque, per far fronte alle nuove emergenze, evocare il ritorno improcrastinabile del taumaturgo Draghi.

La crisi istituzionale italiana ed europea è evidente ed ormai irreversibile. Essa è testimoniata dalla astensione record del 36% e dall’esito di un voto che ha premiato l’unico partito di opposizione. Ma la deriva oligarchica delle istituzioni italiane è lampante. Il sistema democratico è stato di fatto sovvertito, in quanto alla sovranità popolare si antepongono i diktat europei ed atlantici. Ne sono testimonianza le ingerenze americane nella campagna elettorale riguardo a fantomatici finanziamenti russi ai partiti politici sovranisti e l’indebita ingerenza della von der Leyen che ha minacciato di reagire con “strumenti giusti” nei confronti di governi sgraditi alla UE, come è stato fatto con l’Ungheria di Orban. Tra i popoli e le istituzioni si è creata in Europa una frattura irreversibile. Dalla crisi incombente scaturiranno conflitti sociali insanabili. Ma sarà la crisi della Germania, i cui effetti si riverseranno su tutti i paesi europei, a determinare la destabilizzazione della UE e a rimettere in discussione le scelte filo atlantiche europee. Tale crisi avrà conseguenze sistemiche rilevanti: determinerà la fine del modello economico tedesco, improntato al rigore finanziario e strutturato su di una economia basata sull’export.

Il 25 settembre non è stato il giorno del giudizio universale, come preannunciato dai toni apocalittici dei media in campagna elettorale. Oltre il 25 settembre, come possiamo constatare oggi 26 settembre, c’è vita. In queste elezioni, data l’elevata percentuale di astenuti, è emersa una vasta area di popolo potenzialmente antagonista al sistema. Trattasi del popolo degli esclusi, marginalizzati dai partiti, ma alla ricerca di un’area politica di riferimento. Chi saprà interpretare le istanze di questo vasto dissenso, per tradurle in un programma politico antagonista credibile e generatore di consenso? Attualmente questo interrogativo resta purtroppo senza risposta. 

Luigi Tedeschi  

 
Fine dell'operazione militare speciale PDF Stampa E-mail

25 Settembre 2022

 Da Comedonchisciotte del 24-9-2022 (N.d.d.)

Il discorso televisivo di Vladimir Putin e le successive dichiarazioni del Ministro della Difesa Shoigu, che hanno annunciato la parziale mobilitazione delle riserve dell’esercito russo per aggiungere un totale di 300.000 uomini alla campagna militare in Ucraina, sono stati ampiamente riportati dalla stampa occidentale. La stessa stampa occidentale ha anche riferito dei piani per lo svolgimento di referendum sull’adesione alla Federazione Russa nelle repubbliche del Donbass questo fine settimana e negli oblast di Kherson e Zaporizia in un futuro molto prossimo. Tuttavia, come spesso accade, la correlazione tra questi due sviluppi non è stata vista o, se vista, non è stata condivisa con il grande pubblico. Dal momento che negli ultimi due giorni la stessa interrelazione è stata evidenziata nei talk show della televisione di Stato russa, colgo l’occasione per esporre ai miei lettori i fatti principali sulla piega che prenderà ora il conflitto in corso in Ucraina ed una visione aggiornata di quando potrà terminare e con quali risultati.

L’idea stessa dei referendum nel Donbass è stata ridicolizzata dai media mainstream negli Stati Uniti e in Europa. Vengono denunciati come “finti” e ci viene detto che i risultati non saranno riconosciuti. In realtà, al Cremlino non interessa affatto che i risultati siano riconosciuti come validi in Occidente. La loro logica sta altrove. Per quanto riguarda l’opinione pubblica russa, l’unica osservazione critica sui referendum riguardava la tempistica, visto che alcuni patrioti avevano apertamente dichiarato che era troppo presto per tenere il voto, dato che la Repubblica Popolare di Donetsk e gli oblast di Zaporozhie e Kherson non sono ancora stati completamente “liberati.” Anche in questo caso, la logica di queste votazioni risiede altrove. È scontato che le repubbliche del Donbass e gli altri territori dell’Ucraina ora sotto occupazione russa voteranno per entrare a far parte della Federazione Russa. Nel caso di Donetsk e Lugansk, era stato solo grazie alle pressioni di Mosca che i loro referendum del 2014 avevano riguardato la dichiarazione di sovranità e non l’adesione alla Russia. All’epoca, il Cremlino non vedeva di buon occhio un’annessione o una fusione di questo tipo, perché la Russia non era pronta ad affrontare il previsto massiccio attacco economico, politico e militare da parte dell’Occidente che ne sarebbe seguito. Oggi, Mosca è più che pronta: è infatti sopravvissuta molto bene a tutte le sanzioni economiche imposte dall’Occidente già prima del 24 febbraio, nonché alla crescente fornitura all’Ucraina di materiale militare e di “consiglieri” dei Paesi della NATO. Il voto sull’adesione alla Russia raggiungerà probabilmente il 90% o più di voti favorevoli. Anche ciò che seguirà immediatamente da parte russa è perfettamente chiaro: a poche ore dalla dichiarazione dei risultati del referendum, la Duma di Stato russa approverà un disegno di legge sulla “riunificazione” di questi territori con la Russia e, nel giro di un giorno o poco più, sarà approvato dalla Camera alta del Parlamento e subito dopo sarà convertito in legge dal Presidente Putin. Al di là del suo servizio come agente dei servizi segreti del KGB, di cui gli “specialisti della Russia” occidentali parlano all’infinito nei loro articoli e libri, ricordiamo anche la laurea in legge di Vladimir Putin. Come Presidente, è rimasto sistematicamente all’interno della legge nazionale e internazionale. Lo farà anche ora. A differenza del suo predecessore, Boris Eltsin, Vladimir Putin non ha governato per decreti presidenziali, ha governato con leggi promulgate da un Parlamento bicamerale costituito da diversi partiti. Ha governato nel rispetto del diritto internazionale promulgato dalle Nazioni Unite. Il diritto delle Nazioni Unite parla della santità dell’integrità territoriale degli Stati membri, ma il diritto delle Nazioni Unite parla anche della santità dell’autodeterminazione dei popoli.

Che cosa ne consegue dalla fusione formale di questi territori con la Russia? Anche questo è perfettamente chiaro. In quanto parti integranti della Russia, qualsiasi attacco a questi territori, e sicuramente ci saranno attacchi di questo tipo da parte delle forze armate ucraine, è un casus belli. Ma prima ancora, i referendum erano stati preceduti dall’annuncio della mobilitazione, che indica direttamente cosa farà la Russia se gli sviluppi sul campo di battaglia lo richiederanno. Le fasi progressive della mobilitazione saranno giustificate all’opinione pubblica russa come necessarie per difendere i confini della Federazione Russa dall’attacco della NATO. La fusione dei territori ucraini occupati dalla Russia con la Federazione Russa segnerà la fine dell'”operazione militare speciale.” Una OMS non è qualcosa che si conduce sul proprio territorio, come hanno osservato un paio di giorni fa i relatori del talk show Una serata con Vladimir Solovyov. [Questa annessione territoriale] segna l’inizio di una guerra aperta contro l’Ucraina, con l’obiettivo della capitolazione incondizionata del nemico. Ciò comporterà probabilmente la rimozione della leadership civile e militare e, molto probabilmente, lo smembramento dell’Ucraina. Dopo tutto, il Cremlino aveva già avvertito più di un anno fa che il percorso di adesione dell’Ucraina alla NATO, imposto dagli Stati Uniti, avrebbe portato alla perdita della sua statualità. Tuttavia, questi obiettivi particolari non erano stati dichiarati fino ad ora; l’OMS riguardava la difesa del Donbass dal genocidio e la de-nazificazione dell’Ucraina, concetto di per sé piuttosto vago. L’aggiunta di altri 300.000 uomini in armi alla forza dispiegata dalla Russia in Ucraina [ora si parla di tre contingenti da 300.000 uomini ciascuno, per un totale di quasi un milione di richiamati, N.D.T.] rappresenta un quasi raddoppio e sicuramente porrà rimedio alla carenza di fanteria che ha limitato la capacità della Russia di “conquistare” l’Ucraina. È stata proprio la mancanza di soldati sul terreno a spiegare il doloroso e imbarazzante ritiro della Russia dalla regione di Kharkov nelle ultime due settimane. Con le poche truppe impegnate al fronte nella regione [i Russi] non erano riusciti a resistere alla massiccia concentrazione di forze ucraine. Il valore strategico della vittoria ucraina è discutibile, ma ha aumentato notevolmente il loro morale, che è un fattore importante per l’esito di qualsiasi guerra. Il Cremlino non poteva ignorarlo.

Alla conferenza stampa tenutasi a Samarcanda la scorsa settimana al termine dell’incontro annuale dei capi di Stato dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, era stato chiesto a Vladimir Putin perché avesse mostrato così tanta moderazione di fronte alla controffensiva ucraina. Aveva risposto che gli attacchi russi alle centrali elettriche ucraine, seguiti alla perdita del territorio di Kharkov, erano solo “colpi di avvertimento” e che ci sarebbero state azioni molto più “impattanti.” Di conseguenza, mentre la Russia passa dall’OMS alla guerra aperta, possiamo aspettarci una massiccia distruzione delle infrastrutture civili e militari ucraine per bloccare completamente tutti i trasferimenti di armi fornite dall’Occidente dai punti di consegna nella regione di Lvov e da altri posti di confine fino alle linee del fronte. Potremmo aspettarci anche il bombardamento e la distruzione dei centri decisionali ucraini a Kiev.

Per quanto riguarda un ulteriore intervento occidentale, i media occidentali hanno ripreso la poco velata minaccia nucleare del Presidente Putin nei confronti dei potenziali co-belligeranti. La Russia ha esplicitamente dichiarato che qualsiasi aggressione contro la propria sicurezza e integrità territoriale, come quella sollevata dai generali in pensione negli Stati Uniti, che nelle ultime settimane avevano parlato alla televisione nazionale della disgregazione della Russia, sarà affrontata con una risposta nucleare. Visto che la minaccia nucleare della Russia è ora diretta contro Washington, piuttosto che a Kiev o a Bruxelles, come si supponeva finora, è improbabile che i politici di Capitol Hill rimangano a lungo indifferenti alle capacità militari russe e perseguano un’ulteriore escalation. Alla luce di tutti questi sviluppi, sono costretto a rivedere la mia valutazione su ciò che era emerso alla riunione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. I media occidentali avevano focalizzato l’attenzione su una sola questione: il presunto attrito tra la Russia e i suoi principali partner globali, India e Cina, per la guerra in Ucraina. Mi era sembrato che questo aspetto fosse stato esagerato. Ora sembra essere una vera e propria assurdità. È inconcepibile che Putin non avesse discusso con Xi e Modi di ciò che stava per fare in Ucraina. Se davvero la Russia ora dedicherà allo sforzo bellico una parte assai maggiore del proprio potenziale militare, allora è del tutto ragionevole aspettarsi che la guerra finisca con la vittoria russa entro il 31 dicembre di quest’anno, come il Cremlino sembra aver promesso ai suoi fedeli sostenitori. Al di là della possibile perdita della condizione di Stato da parte dell’Ucraina, per Washington una vittoria russa sarebbe molto di più di un’emorragia di sangue simile a quella dell’Afghanistan. Metterebbe in luce lo scarso valore dell’ombrello militare statunitense per gli Stati membri dell’UE e porterebbe necessariamente ad una rivalutazione dell’architettura della sicurezza europea, come chiedevano i Russi prima della loro incursione in Ucraina a febbraio.

Gilbert Doctorow (tradotto da Markus) 

 
Traditore del popolo italiano PDF Stampa E-mail

23 Settembre 2022

 La Russia mobilita altre 300.000 persone, l’escalation verso il ritorno dell’atomica e della guerra globale avanza senza interruzioni. Due sottomarini russi armati con missili nucleari si aggirano nel Mediterraneo, ed uno si trova di fronte la Sicilia probabilmente puntato contro la base americana di Sigonella.  Nel frattempo, anche le imprese più solide sono stremate da bollette decuplicate. Frasi come “l’anno scorso in questo periodo pagavo 2000 euro di bolletta, quest’anno me ne sono arrivati 20.000, un altro mese così e chiudiamo” sono all’ordine del giorno, basta fare un giro nei negozi per sentirle.

E questo signore riceve un premio. Questo signore che da Presidente del Consiglio non è stato capace di garantire la sicurezza dei suoi concittadini anzi li ha esposti al peggiore dei rischi, quello della guerra. Così come non è stato capace di proteggerne l’economia tuffandola in un’inflazione e una crisi senza precedenti.  Il premio però, almeno dal punto di vista del padrone americano, lo meritava tutto! È riuscito in una missione impossibile: portare l’Europa, contro qualsiasi suo interesse economico e politico, dentro il conflitto. È stato l’uomo americano in Europa sin dal primo momento, invece di aggregarsi ai più miti alleati come Francia e Germania, ha giocato il ruolo del falco coinvolgendo l’intera Europa nella guerra più di quanto non lo fosse già. Servile e astuto come pochi! Ha usato le finanze pubbliche come un bancomat per mandare centinaia di milioni di euro in armi infischiandosene di qualsiasi altra calamità colpisse i suoi concittadini, mostrando un cinismo che deve aver compiaciuto moltissimo i padroni d’oltreoceano.  Ironico è anche il termine “statista” usato dagli americani per premiarlo, essendo chiaro che l’Europa non ha statisti e proprio per questo può essere trascinata a destra e a manca, premiando poi il cocchiere di turno. Oggi come oggi un Erdogan conta nelle relazioni internazionali più di tutti i leader europei messi insieme.

Il premio americano se l’è certamente meritato, così come la carezza sulla testa. Ma stia altrettanto certo che l’unico premio che riceverà dalla storia sarà la medaglia di traditore del popolo italiano, traditore del suo ruolo di Presidente del Consiglio e traditore della storica tradizione di neutralità, diplomazia e dialogo internazionale del nostro paese.

Luca Pinasco

 
Cosa c'è dietro gli alti prezzi dell'energia PDF Stampa E-mail

21 Settembre 2022

 Da Appelloalpopolo del 3-9-2022 (N.d.d.)

1) RIMOZIONE DELL’ASPETTO STRATEGICO

Da quando mi occupo di energia, ormai oltre dieci anni, ho sempre visto il dibattito nel settore svilupparsi unicamente intorno a due fattori: quello economico (quanto costa) e quello ambientale, totalmente incentrato nella sua declinazione climatica (quanta CO2 emette). Perfettamente in linea con l’approccio da “fine-della-storia” dell’ultimo trentennio, il fatto che l’approvvigionamento di una quantità sufficiente di energia a prezzi accettabili rivesta per uno Stato innanzitutto un’importanza strategica fondamentale – direi addirittura vitale – in Italia, il Paese di Enrico Mattei (!), era ormai totalmente assente, ignorato, rimosso sia dagli operatori del settore sia dalla classe dirigente. Questa rimozione del significato strategico dell’energia ha provocato inevitabilmente l’assenza di politiche di sicurezza energetica, mirate al mantenimento di buone relazioni internazionali con i fornitori e al perseguimento della massima autosufficienza possibile e, mi sento di affermare, è la causa principale dell’attuale disastrosa situazione nella quale ci troviamo.

2) FINANZIARIZZAZIONE E AZIENDALIZZAZIONE DEL SETTORE

Sul primo aspetto di (rimozione della) natura strategica, si innesta perfettamente la trasformazione del settore energetico in direzione aziendalista e finanziaria realizzata attraverso: – la privatizzazione delle grandi aziende energetiche (Eni, Enel), che smettono di avere come finalità l’interesse nazionale e spostano l’obbiettivo sull’ottenimento dei massimi dividendi per gli azionisti; – la liberalizzazione dei mercati energetici al grido di “più concorrenza, più convenienza”, per ritrovarsi (già prima dell’esplosione dei prezzi) con una pletora di offerte nelle quali per il normale cittadino o imprenditore è praticamente impossibile districarsi, e con il tanto osannato “mercato libero” da sempre più costoso (in media) rispetto a quello di “maggior tutela”; – lo spostamento degli acquisti da parte dei fornitori verso contratti spot nei grandi hub, i nuovi mercati virtuali dove la speculazione finanziaria è libera di fare il bello e il cattivo tempo, che hanno via via rimpiazzato i vecchi contratti pluridecennali con prezzi e quantità praticamente fissi.

3) REGOLE DI MERCATO CHE FAVORISCONO SUPER-PROFITTI

Scendendo nei dettagli di funzionamento del mercato elettrico, c’è un aspetto tecnico poco conosciuto, la cui modifica consentirebbe un calo consistente e immediato del costo dell’energia elettrica e che trovo estremamente esemplificativo della volontà politica di favorire i profitti a scapito degli interessi dei cittadini: il sistema del prezzo marginale. Si tratta del meccanismo utilizzato nel mercato elettrico per determinare, ora per ora, il prezzo dell’elettricità, facendo incrociare la domanda stimata del sistema elettrico e l’offerta da parte dei vari produttori. Ogni produttore, per ciascuna ora di ciascun giorno, indica quanta elettricità può fornire e a che prezzo. Il mercato elettrico accetta le offerte a partire dalla più bassa e via via a salire, fino a coprire il fabbisogno previsto. Il meccanismo del prezzo marginale prevede che tutta l’energia elettrica venga pagata al prezzo massimo entrato nel pacchetto. Per esempio, se un impianto a carbone ha offerto 1.000 MWh a 40 €/MWh, mentre l’ultimo fornitore entrato nel gruppo ha offerto 1.000 MWh da gas naturale a 870 €/MWh, entrambi incasseranno 870.000 €, anche il proprietario dell’impianto a carbone che avrebbe venduto i suoi 1.000 MWh a 40.000 € e realizzerà così un super profitto di 830.000 €! 870 €/MWh sarà poi il prezzo orario che contribuirà a determinare il costo dell’energia elettrica per tutti i consumatori, il cosiddetto Prezzo Unico Nazionale (PUN).

A ben vedere, si tratta dello stesso sistema utilizzato dal Ministero dell’Economia e Finanze per il collocamento dei titoli di stato a medio-lungo termine: stabilita la quantità di titoli da collocare, il MEF accetta le offerte a partire da quella con interesse più basso, fino a quella più alta necessaria a coprire il fabbisogno. E poi paga a tutti l’interesse massimo tra quelli accettati, anche a chi si sarebbe accontentato di un interesse inferiore. Un meccanismo che non ha altre spiegazioni se non la precisa volontà di trasferire ricchezza dal basso verso l’alto.

Nino Di Cicco

 
Non è come ce la raccontano PDF Stampa E-mail

20 Settembre 2022

 Da Appelloalpopolo del 9-9-2022 (N.d.d.)

“Spezzeremo le reni alla Russia”. “Pochi giorni e la Russia fallirà”. “La Russia è isolata”. Come sempre non solo la realtà dei fatti è diversa da quella che raccontano, ma è addirittura antitetica. Le cose vanno quasi sempre al contrario di come le raccontano. D’altronde, sono gli stessi che per decenni ci hanno raccontato le magnifiche sorti e progressive di Unione Europea ed euro e che negli ultimi due anni ci hanno intrattenuti con la surreale narrazione del Covid. Secondo un report di Goldman Sachs, non proprio un organo di propaganda russa, all’inizio del prossimo anno, cioè in pieno inverno, la bolletta di una tipica famiglia europea toccherà in media i 500 euro al mese. Si tratta di un aumento di circa il 200% rispetto al 2021. Vale a dire che le bollette energetiche costeranno il triplo. A livello europeo, si tratta di un aumento di circa 2.000 miliardi di euro solo per le bollette. Il 15% del PIL. Tradotto in parole semplici, vuol dire la chiusura di migliaia di aziende e l’impossibilità per milioni di famiglie di fare fronte all’aumento dei costi. Un vero e proprio tsunami economico e sociale che farà rimpiangere anche le due grandi crisi petrolifere degli anni 70 (per chi se le ricorda).

Le cause di questa crisi sono alcune lontane nel tempo e altre meno. Il punto però è che si tratta sempre e comunque di cause auto-inflitte che hanno tutte un’origine comune: l’appartenenza all’Unione Europea. Le privatizzazioni degli anni ’90 (tra cui rientra ENI) erano una precondizione per l’ingresso nella UE. La liberalizzazione del settore energetico operata attraverso i decreti Bersani prima e Letta poi, ce le ha chieste la UE. L’aumento dei costi dei permessi per l’emissione della CO2 lo ha voluto la UE. Le sanzioni alla Russia le ha imposte la UE su ordine di Washington.

Vale sempre comunque la pena ricordare che il nemico purtroppo noi lo abbiamo innanzitutto in casa. Nessun altro Paese può vantare una classe politica che si batte con tanta determinazione contro gli interessi del Paese che governa. Nelle casse del Tesoro stazionano quasi 80 miliardi di euro. Negli ultimi mesi, con i rendimenti ai minimi degli ultimi 30 anni, il MEF ha emesso puntualmente molti meno Titoli di Stato a lunga scadenza (30 e 50 anni). Ad aprile 2021, davanti a una richiesta di 65 miliardi ne ha emessi appena 5. Nell’asta di gennaio di quest’anno, davanti a una richiesta di 55 miliardi ne ha messi appena 7. Con l’aumento dei tassi di interesse che si sta per abbattere su di noi (grazie alla BCE), oggi ci costerebbe molto di più (visto che non abbiamo una BC che funga da prestatrice di ultima istanza a differenza di quasi tutto il resto del mondo). Non solo: vuol dire che se avessimo soddisfatto la richiesta quando ne avevamo l’occasione e con i tassi di interesse così bassi, oggi quel debito si sarebbe ridotto considerevolmente proprio alla luce dell’aumento dei tassi. Insomma, i soldi per affrontare il caro energia ci sono e se ne potevano trovare molti di più praticamente a costo zero (con l’attuale inflazione i tassi di interesse reali non erano solo bassi, ma negativi, come negli anni ’60 e ’70). Eppure nessuno dei partiti attualmente presenti in parlamento ha detto né tanto meno fatto qualcosa. Per un pericoloso mix di cialtronaggine e malafede. Perché a loro non interessano gli interessi dell’Italia, ma quelli dei potentati sovranazionali e dei grandi capitali esteri. Perché loro a parole rispettano la sovranità di tutti i Paesi e di tutti i popoli. Tranne di quello che dovrebbero governare: l’Italia.

Gilberto Trombetta

 
Punto di non ritorno PDF Stampa E-mail

19 Settembre 2022

Scostamento di bilancio sì, o scostamento di bilancio no? Oramai è scontro anche all’interno delle stesse coalizioni. Nel centrodestra Salvini chiede uno “scostamento” di 30 miliardi di euro (peraltro assai modesto) sostenendo che è meglio fare 30 miliardi di debiti adesso e salvare migliaia di imprese, piuttosto che farne 100 fra qualche mese per evitare chiusure generalizzate e licenziamenti in massa. Come dargli torto? La Meloni, invece, con i piedi piantati saldamente per terra, è di tutt’altro avviso, perché con il nostro debito pubblico già alle stelle (ben oltre il 150% del PIL) sarebbe da folli aumentarlo ancora. Come dare torto anche a lei?

La verità è che siamo pericolosamente vicini al punto di non ritorno. O forse l’abbiamo già raggiunto. La verità è che, se non troviamo il coraggio per spezzare le sbarre della gabbia dove siamo rinchiusi, saremo fatalmente destinati a soccombere, stretti tra l’incudine di spese necessarie e indifferibili, e il martello dell’indebitamento pubblico attraverso cui ottenere il denaro occorrente per tali spese. E ciò mentre le emergenze si sommano alle emergenze. Siamo ancóra in emergenza postpandemica, con interi comparti squassati dai lockdown e incravattati dai debiti con le banche, con un sistema sanitario con l’acqua alla gola, senza fondi, senza personale (tranne i medici ukraini e gli infermieri cubani), con alcuni ospedali del sud che assomigliano sempre più ai gironi infernali. Siamo in piena emergenza climatica, idrica soprattutto, anche qui con interi comparti (agricoltura, zootecnia) assediati da una siccità spaventosa. Continuiamo ad essere in emergenza migratoria, invasi letteralmente da legioni di immigrati clandestini, quasi tutti giovani, in forze, e minacciosamente in età di servizio militare. Con problemi enormi di “accoglienza”, di ordine pubblico, sanitari e, naturalmente, con costi da capogiro per le nostre finanze. E, come se non bastasse, c’è ora l’emergenza di una guerra cui ufficialmente non partecipiamo, ma che ci costa un occhio della testa per delle sanzioni che colpiscono in primo luogo la nostra economia, per aiuti militari all’Ukraina il cui costo effettivo è rigorosamente top secret e, da ultimo, per quella masochistica “riduzione della dipendenza dal gas russo” che ci procurerà una catastrofe di cui ancóra non si percepiscono le spaventose dimensioni.

Questa è la situazione reale di una Italia che si avvia allegramente all’appuntamento elettorale del 25 settembre, con due schieramenti che sono alternativi tra loro solo per un paio di pur importantissimi argomenti: l’immigrazione selvaggia e la follia gender, con un centro-destra che in materia ha certamente una lucidità che manca totalmente al centrosinistra. Per il resto, però, i loro programmi sono praticamente gli stessi. In primo luogo, la “fedeltà alle alleanze”. Il che comporta l’accettazione del dominio coloniale USA, anche nei suoi aspetti maggiormente lesivi dei nostri interessi nazionali, come nel caso dell’odierna guerra americana contro la Russia. E, subito dopo, la “fiducia nell’Europa”, cioè in questa funesta Unione Europea che – non mi stancherò mai di ripetere – è in realtà l’anti-Europa. Una fiducia assolutamente malriposta, perché questa pseudo-Europa è solamente una trappola finanziaria che ci avviluppa con tutti i suoi infernali strumenti: da un PNRR che vuole farci fare le loro riforme con i nostri soldi, a un MES che periodicamente ritorna incombente sui nostri destini, a tutta la disastrosa architettura fatta di “riforme”, di “sacrifici necessari”, di macelleria sociale, di agguati alla nostra qualità della vita e, naturalmente, di tutta quella infame politica bellicista e sanzionatoria che mette in pericolo la pace europea.

È inutile farsi illusioni, quindi. Dopo il 25 settembre cambierà solamente qualcosa: l’Italia tornerà probabilmente a difendere i suoi confini da una invasione migratoria che è un’arma impropria utilizzata da ambienti e servizi che ci sono ostili. E – diciamo anche questo – non sarà cosa da poco. Per il resto, però, cambierà ben poco. Temo che la Meloni non avrà il coraggio di opporsi né alla “fedeltà alle alleanze”, né alla “fiducia nell’Europa”. Il che significa che l’Italia continuerà a dibattersi fra le tante “emergenze” di cui si è detto. Esiste tuttavia un mezzo per opporsi a questo infame destino che ci hanno riservato i “poteri forti”. È il ricorso ad una moneta nazionale parallela, con cui lo Stato italiano potrebbe affrontare i costi altissimi delle tante emergenze che, altrimenti, finirebbero per strangolare la nostra economia. I banchieri di scuola anglosassone – incominciando dal nostro Draghi – vedono una cosa del genere come la peggiore sciagura. E questo sarebbe un motivo in più per scegliere questa strada. Altrimenti, ci resterebbe soltanto la “agenda Draghi”, buona soltanto per imporci “le riforme che l’Europa ci chiede”.

Michele Rallo

 
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