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Nel digitale i potentati non hanno pių volto PDF Stampa E-mail

4 Settembre 2022

Un modo per significare il momento attuale è osservare cosa ha comportato la svolta imposta dalla volontà di digitalizzazione. Buttata l’unità di misura umanista che ha segnato l’epoca analogica, ovvero la storia moderna fino ad oggi, lo spirito dell’uomo è mortificato. Senza più orizzonti trascendenti, resta con un pugno di mosche a soffrire di un nichilismo esistenziale che lo rende facilmente dominabile se inconsapevole oppure emarginato, se consapevole di non essere più padrone di se stesso. Senza più neppure la forza di aggregazione – che era stata un tratto tipico dell’epoca analogica – vive in enclavi individuali affacciato alla finestra del proprio monitor. L’eros necessario alla sovversione è stato sedato dall’opulenza di tutto: merci, beni, concetti, immagini, informazione, spostamenti. Non ne resta più per la sovversione, idea che vagheggia come una medusa nella corrente.

L’epoca analogica è stata l’epoca a misura d’uomo. Qualunque avvenimento – tentando di far stare dentro tutto – dal progresso tecnologico al degrado politico aveva come unità di misura l’essere umano, il suo pensiero, la sua immaginazione, le sue aspirazioni. Protagora e il suo mondo sono stati brutalmente assassinati. L’uomo non è più misura di tutte le cose. Per quanto l’industria e il capitale avessero i mezzi per orientare quei pensieri, quell’immaginazione e quelle aspirazioni, la loro azione era necessariamente limitata: il mezzo analogico lo imponeva. Ogni avvenimento, inclusi quelli meravigliosi e impensati dai più, avevano una firma certa che grondava umore umano. I sensi di tutti lo riconoscevano. Ognuno poteva sentirsi tanto rappresentato, quanto corpo unico con quell’idea, quell’impresa, quell’uomo. Il mondo poteva anche essere lontano e sconosciuto ma era vissuto come disponibile. Ci si rapportava ad esso esattamente come avviene per ogni cosa che consideriamo nostra. I padroni avevano più di noi, ma non avevano noi, il nostro cuore, il nostro corpo, la nostra bieca dedizione. C’era una relazione con l’altro e il lontano che aveva il medesimo tenore di quella con il prossimo e il sodale. In tutto ciò, l’identità profonda dell’individuo – sebbene già toccata per i lavoratori dell’industrializzazione della produzione e del terziario – godeva di una traccia profonda in cui risiedere, muoversi e percorrere la vita. L’intera comunità era costituita per ognuno che la componeva e la osservava come un’aggregazione di interlocutori che il grande barcone dell’umanità tutti conteneva. L’avvento del digitale, dopo gli entusiasmi nel suo breve rodaggio, per quanto riguarda le strutture relazionali, ha avuto l’effetto paragonabile ad una bomba atomica simile a quella che ha raso al suolo Hiroshima. La rete di relazioni analogiche, precedenti all’esplosione, dunque di verità, d’ordine, di concezione e immaginazione è stata rasa al suolo. Tutti i poli di riferimento sono venuti a mancare. Gli alvei delle tradizioni comunitarie sono stati riempiti di scorie, oppure di offerte, vendute come occasioni da cogliere, pubblicizzate come progresso.

In epoca digitale, gli ordini analogici si sono baumaniamente liquefatti. Le identità individuali, sociali, eccetera, si sono sciolte sottraendo così la terra storica e biografica da sotto i piedi di ognuno e di ogni comunità. L’allontanamento spirituale dagli ordini della natura si è fatto più che abissale, imponderabile, ingovernabile, inaccessibile. L’alienazione è in agguato diffuso e profuso, la stella polare di se stessi si è spenta. La cui vera, inconfutabile essenza è una corrispondenza di se stessi con norme, leggi e ordini, non più col sentire e il creare. Vaghiamo così nel buio infernale pronti a lotte fratricide, fortuite e provocate. La natura, spiritualmente intesa, non è sostituibile. Chi ci prova non può che ammaliare gli uomini con effimeri incantesimi. Una patologia silente i cui sintomi si rivelano nella ricerca di soddisfazione nel cibo, negli stupefacenti, nel sesso e negli acquisti compulsivi. Sintomi di una carenza di profondità. Un’esperienza necessaria quando dentro di sé non si trova altro che un usa e getta di qualunque tipo, pur di credere d’essere nel giusto.

Per quanto irraggiungibili, i comandanti e padroni dell’epoca analogica mantenevano una dimensione umana. Ora i potentati, strutture private più forti degli stati, in gradi di determinarne, di comprarne, l’orientamento politico non hanno più un volto. La dimensione digitale lo permette. Oltre alla proprietà delle sovranità statali e nazionali già perdute, sottrae anche quelle individuali. La potenza di fuoco mediatico dà agio al corso digitale delle cose di avanzare come una fanfara per il centro del paese, tra filari di sorridenti ubbidienti plaudenti. La moltitudine, ignara del falso progresso, è coriacea e resistente. Le voci di allarme le rimbalzano contro come fanciullesche palline di cerbottana. I veri paladini di quei potentati – sul cui tecnografo sono tracciate le architetture del futuro del mondo – sono proprio quelle inconsapevoli moltitudini. La cui inerzia ha la forza di una colata lavica che tutto travolge, che nulla può fermare. Quello che hanno saputo dimostrare credendo nella scienza, indossando maschere, lavandosi le mani, lasciandosi inoculare, condannando Putin, sono dimostrazioni del nero potere digitale. Sostenuta dalle moltitudini, la repressione, applicata a tutte le espressioni non allineate, conclude il triste excursus del passaggio di proprietà che ha sottratto agli uomini anche la sovranità individuale. In cambio di un diritto al lavoro soggetto a ricatto o di un passaggio di ubbiente carriera.

Lorenzo Merlo

 
Ministero delle periferie PDF Stampa E-mail

3 Settembre 2022

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 Negli ultimi giorni,nelle ultime settimane,tra le mille questioni bollenti e i problemi urgenti del Paese ha fatto irruzione nella campagna elettorale la questione sicurezza": ad alimentare il dibattito due distinte problematiche,la ripresa di numeri considerevoli di sbarchi sulle nostre coste e il proliferare di episodi allarmanti di devianza sociale che in molti casi hanno per soggetto individui molto giovani e come epicentro l' area metropolitana di Milano ma non solo, in quanto risse,bottigliate,lanci di sassi contro veicoli,omicidi e pestaggi per futili motivi, danneggiamenti,spaccio e gang dilagano da settentrione a meridione.

Lasciamo da parte gli sbarchi e la questione degli immigrati clandestini che non rientra nel nostro discorso e concentriamoci sulla devianza sociale,in troppi casi commessa da giovani delle periferie,sia italiani che immigrati di seconda generazione o clandestini: nel calderone ci sono tutti quanti e pretendere di suddividere i colpevoli in tabelle e categorie non solo è demenziale ma una perdita di tempo e uno spreco di intelligenza. È innegabile che in Italia esiste una questione aperta ed è la questione delle periferie,che nei grandi centri urbani sta assumendo toni drammatici-un esempio su tutti l' abusivismo delle case popolari che ha portato a vere e proprie battaglie e risse tra "regolari" e " abusivi", quindi le bravate delle baby gang con atti di teppismo e di vandalismo anche in pieno giorno, alla luce del sole,davanti a tutti; elencare gli episodi sarebbe ridondante,basterebbe andare su qualche motore di ricerca per leggere quelli più clamorosi(Milano,Civitanova Marche,sassi contro le auto in transito nel lodigiano,mega risse a Peschiera del Garda,eccetera.

Inneggiare al solito tifo tra " sceriffi e distintivi" contro i "buonisti" francamente ha fatto il suo tempo e diciamola tutta ha pure largamente stancato e annoiato: si devono guardare in maniera pragmatica i fatti e i fatti dicono che il problema esiste,ha radici profonde,potrebbe peggiorare in futuro e di certo le ricette per risolverlo non sono né le ostentazioni muscolari di forza e neppure il liquidare tutto a "disagio ambientale" e una politica blanda di "comprensione" : entrambi gli atteggiamenti non risolvono un bel nulla,anzi finiscono col peggiorare. Il disagio delle periferie,che è ancor prima di essere un disagio economico-finanziario o di "mancata integrazione " degli immigrati di seconda generazione (che poi è una faccia della realtà,come se tutti i soggetti coinvolti fossero unicamente costoro) è un disagio esistenziale aggravato dalle attuali contingenze negative, non si batte né con la pura repressione né con interventi di vari e fumosi "progetti" di integrazione o quant' altro che spesse volte si arenano nel nulla. Quattro cose vanno fatte e di pari passo,a braccetto perché gli interventi in questo caso sono come un diagramma di Venn nella teoria degli insiemi: 1) la repressione dei crimini e della devianza, perché chi lancia bottiglie contro un tram o scippa o spacca arredo urbano o vetrine o aggredisce con spranghe non deve farla franca e su questo siamo tutti d’accordo: deve passare il messaggio che non si scherza più e lo Stato deve far valere la sua autorità; 2) avere la consapevolezza che la repressione pura porta solo a riempire le galere e a peggiorare la situazione: la repressione deve essere alternata a profondi interventi che debbono andare alla radice del male per cercare non si dice di estirparlo-non si riuscirà mai-ma per lo meno di farlo regredire parecchio 3 ) e mettersi in testa che per fare le prime due cose occorre non solo una presenza tangibile di mezzi e di uomini ma anche di strutture articolate,in grado di comprendere,capire,analizzare le vere cause e agire in profondità e 4) queste strutture devono essere ben gestite,bene foraggiate,dotate di una discreta autonomia e con una presenza capillare laddove il disagio periferico picchia più forte.

Sovente in questi blog si fanno molte analisi; oggi tuttavia non è tempo di analizzare,è tempo di formulare Idee-rigorosamente con la maiuscola,intese come "risultato dell' attività del pensiero umano" e nella sua etimologia greca di "idein",cioè "vedere". Allora proviamo a "vedere" e lanciamo,dal nostro piccolo di cittadini anonimi di un piccolo blog una proposta,un sasso nello stagno vedendo l' effetto che fa: proponiamo al Governo,al prossimo Governo di qualsiasi colore l'istituzione di un Ministero delle Periferie e delle Aree Disagiate con queste caratteristiche: -Dovrà essere un Ministero di un certo peso,con portafoglio e con larghe sovvenzioni; -Il Ministero formulerà programmi e progetti in collaborazione con le sue emanazioni periferiche e tali emanazioni periferiche necessiteranno di larga autonomia poiché,siamo chiari,i problemi delle zone periferiche di Milano non sono simili a quelli di  Roma oppure quelli dei quartieri periferici di Bari,Palermo,Bologna,Torino ,Genova,Napoli o altre piccole e grandi città italiane: il contesto,l'ambiente,la temperie varia da Regione a Regione,da zona a zona e quindi risulta ovvio come dal centro(inteso come sede centrale del Ministero) possano partire solo linee guida con obiettivi condivisi e finalità condivise ,poi il "come" tali linee guida dovranno essere effettuate sarà compito delle sedi decentrate sul territorio; -Il Ministero potrà senza alcun problema collaborare con soggetti esterni(Terzo Settore,Caritas,parrocchie,associazioni culturali,eccetera) con la precisazione che i soggetti terzi saranno appunto collaboratori ed esecutori ma non più: chi vorrà collaborare, dovrà farlo nell' alveo delle idee e delle linee guida e dei protocolli del Ministero stesso,senza prendersi autonomie gestionali. -Si consigliano infine delle "task force",dei "pool" o chiamateli come volete di fior di professionisti quali sociologi,educatori, urbanisti,architetti,psichiatri,psicologi: si consiglia l' assunzione di professionisti motivati,con voglia di fare e di mettersi in gioco senza guardare troppo alle tessere di partito o altro,solo il merito e i curricula; si consiglia inoltre la proibizione ai membri di tali task forces di apparire in televisione (pena l' espulsione immediata  dal Ministero e una multa salata) nei vari programmi e cosiddetti "talk show" perché il Ministero ha bisogno di gente che lavora e che va a controllare i lavori senza perdere tempo in chiacchiere . -Il Ministero dovrà essere aperto ai cittadini e alla collaborazione coi cittadini,coinvolgendoli nei progetti e recependo e analizzando qualora fossero meritevoli tutte le iniziative e idee che verranno sottoposte. Poi come sarà articolato il Ministero,la struttura interna eccetera questo non è argomento di nostra competenza,ci penseranno i "tecnici".

Gli obiettivi del Ministero-che ripetiamo,dovrà essere gestito da un Ministro con portafoglio e avere una certa caratura,non essere uno specchietto per le allodole-saranno questi: -Analizzare con pool di esperti le radici e le cause del disagio delle periferie sia dal punto di vista giovanile sia dal punto di vista economico e sociale; -Elaborare progetti per intervenire in profondità allo scopo di ridurre tale disagio : interventi urbanistici,architettonici,sociali,di decoro urbano,di progettualità sociale e comunitaria (creare luoghi di sana aggregazione giovanile,ad esempio,puntare sullo sport,su circoli giovanili,ecc ecc) ; -Migliorare i servizi essenziali delle aree disagiate riducendo in questo modo la distanza col centro,distanza che non è da intendere come "geografica": creare dispensari,aumentare le aree verdi,i parchi,riqualificare edifici degradati con progetti rivolti specie ai giovani ecc ecc; -E soprattutto essere presenti,tangibili sul territorio: lo scopo essenziale sarebbe quello di mostrare a chi vive che l' autorità è presente non solo per reprimere ma per capire e ascoltare e fare qualcosa,si dovrà lavorare soprattutto e principalmente sui giovani,non importa se italiani o immigrati di seconda generazione(tra l' altro molte gang sono miste,quindi nelle periferie spesso non si fa tale distinzione da intellettualoidi del centro): consapevoli che molti atti deviati sono inconsce richieste d' aiuto o comunque modi non ortodossi per far vedere che "si esiste".

Insomma,da una parte agire punendo le devianze e applicando la legge vigente e dall' altro agire a fondo,molto a fondo sulle cause che provocano tali devianze. Chi vive nelle periferie del disagio deve avere la percezione che non esistono solo gendarmi o giudici ma al contempo una autorità al servizio tangibile del cittadino.Certo,un lavoraccio ma un lavoraccio di cui avremmo bisogno come e più del pane. Bene,a poco più di tre settimane siamo entrati nell' agone della campagna elettorale con una modestissima proposta. Ci sarà qualcuno pronto a recepirla?

Simone Torresani

 
Questioni artiche PDF Stampa E-mail

1 Settembre 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 30-8-2022 (N.d.d.)

Come previsto, la questione dell’Artico procede inesorabile. Gli Stati Uniti hanno previsto di nominare un Ambasciator-at-Large per l’Artico. La carica che si può tradurre come “Ambasciatore generale” verrà data ad un diplomatico con ampi poteri che rappresenterà gli USA per le questioni artiche presso tutte le istituzioni, formali e informali, presenti o che si occupano della regione. Scatta subito sull’attenti il fido Stoltenberg, annunciando che "La NATO deve aumentare la sua presenza nell'Artico" perché i russi stanno trafficando nelle loro basi portando missiloni di ultima generazione. In più, sappiamo degli appetiti cinesi verso questa regione che permetterebbe loro di aggirare le forche caudine degli stretti indo-pacifici. Insomma, si sta apparecchiando il nuovo gioco che porterà la nuova guerra fredda sottozero. O visto che da quelle parti non c'è praticamente nessuno, molto soprazero tanto l'ambiente lì si sta già scaldando di suo. Motivo per il quale poi tutti si stanno agitando visto che sottacqua è pieno di minerali appetitosi ed energie fossili molto poco green. Finalmente, anche i più tonti potranno così capire cosa c’era sotto l’urgenza inderogabile ad accorpare la Finlandia e la Svezia nella NATO, due nazioni storicamente non allineate, pacifiche, conviventi da tempo col vicino russo, prive di materie prime che non siano alberi e renne, senza apparente alcun rilievo strategico che non sia il Mar Baltico che è praticamente un mare chiuso, ma membri del Consiglio dell’Artico. Si noti invece come la punta nord-est della Finlandia sia ad un tiro di schioppo (si fa dell'ironia) dalla città (Murmansk) più grande al mondo sopra il Circolo polare Artico ed unico porto russo che non ghiaccia d’inverno, quindi strategica base militare navale.

Ma tanto non serve a niente dirlo, quando scoppierà il casino annunciato, torme di invasati caricati a molla dai media brain-washing, presi da una aggressiva emotività ingestibile ed insopprimibile, ci faranno sapere la loro inutile opinione formata il giorno stesso in cui succederà qualcosa, ignari che ogni storia ha cause pregresse che loro ignorano, come ignorano tutto l’argomento della politica di potenza in questa fase storica. Così come hanno fatto e fanno per l’Ucraina. Ci vuole pazienza, tanta.

Pierluigi Fagan

 
Una politica pirandelliana PDF Stampa E-mail

31 Agosto 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 28-8-2022 (N.d.d.)

A nobilitare lo spettacolo della politica presente, a voler dare un riferimento alto, culturale, o addirittura un profilo letterario, diremo che siamo entrati nell’epoca pirandelliana della politica. A qualcuno scapperà subito da ridere per l’accostamento ardito tra cultura, letteratura, drammaturgia e la misera giostra politica del presente. Ma anche i periodi più bassi e confusi hanno una loro chiave di lettura, anche il caos e perfino la barbarie può avere letture colte. Il teatro di Pirandello è uscito dalle scene ed è entrato nella realtà politica corrente. A guardare la parabola di Di Maio e di Conte, le liste di Letta, col Pd oscillante fra Draghi, i grillini e Fratoianni, tra governi con la Lega e Berlusconi e poi crociate contro di loro; a vedere le prodigiose giravolte della Bonino e dei radicali, i miracolosi salti di Calenda, ora col suo odiato Renzi, la poligamia di Salvini, alleato coi grillini, coi dem, coi draghiani e con la Meloni, le giravolta delle madame berlusconiane Gelmini e Carfagna, l’ologramma di Berlusconi sulla scena tra maschera e cerone, il ballo delle candidature e le invettive degli esclusi, il ripescaggio grillino dei parenti degli esclusi, possiamo dire che siamo entrati nella fase pirandelliana della politica: il relativismo assoluto, la girandola delle identità, il gioco delle parti e delle combinazioni, la maschera e il volto intercambiabili (come la faccia e il deretano), il paradosso come criterio di scelta e di comprensione, il rovesciamento continuo dei ruoli e degli scopi. Tutti possono allearsi o guerreggiare con tutti e con nessuno, tutti recitano a soggetto, tutti mutano secondo convenienza e situazione, ciascuno a giorni alterni si accorda e si sottrae a ogni accordo, preferisce stare fuori, dentro, al lato, sopra o sotto le alleanze. Le variabili sono infinite e impazzite. È la babele allo stato puro, il caos prima della creazione.

Torna pure il detto di Longanesi, la democrazia si replica per assenza di dittatore… Perché il relativismo assoluto di solito evoca, e invoca, il suo contrario, un bel tiranno, o un dragone, che metta fine al chiacchiericcio e al caos, al ballo di san Vito delle alleanze, degli amici e dei nemici e ci riporti alla contabilità e ai suoi relativi incubi. Solo Pirandello colse il prisma contemporaneo in tutte le sue sfaccettature, il gioco di luci e ombre, comparse e scomparse, recita e realtà, posizioni e fluttuazioni di quel grande palcoscenico che è la condizione umana moderna. Lui si rifugiò sotto le ali del fascismo, che non a caso il filosofo pirandelliano Adriano Tilgher, aveva definito l’assoluto relativismo trapiantato sul terreno della politica. Definizione gradita allo stesso Mussolini. Ma da giorni il teatrino è esilarante, come il gas. E come il gas è letale. Saranno le esalazioni dall’immondizia e dello smog, sarà che non riusciamo a liberarci del negativo perché sono colme le discariche della politica, non c’è nessuna Malagrotta in cui scaricare i rifiuti accumulati. Ma c’è qualcosa di assurdo e malefico nell’aria che non riusciamo a decifrare. Solo Pirandello può spiegare.

A questo paesaggio pirandelliano corrisponde anche la veloce labilità dei consensi e dei dissensi, la giostra delle opinioni e delle intenzioni di voto. Cosa decide gli spostamenti d’opinione, i flussi e riflussi elettorali, i vasi e i travasi? Perché si passa da un momento all’altro da vincenti a perdenti, dal paradiso all’inferno e viceversa, senza una spiegazione ragionevole o una relazione di causa ed effetto? Pensate al trionfo di Renzi, oggi ridotto a un selfie permanente o l’apoteosi di Conte oggi considerato un penoso azzeccagarbugli. E la veloce parabola di tanti leader e leaderini. Non c’erano meriti speciali, legittimazioni conquistate sul campo, eccezionali curricula, risultati straordinari nelle tappe precedenti. C’era solo un friccichio, una Chiacchiera, un clima in tv che si fece passaparola. Consenso virale ma transitorio, senza un vero perché. Poi, senza un vero perché comincia la caduta libera. Esagerato il successo, esagerata la caduta. Nessuno aveva meritato il ruolo di Miracolo Vivente; magari, nemmeno di diventare poi Vituperio della Genti. È solo questione di Fuffa, che Pirandello non contemplò nei destini dei suoi personaggi. Partiti e governi fondati da cabarettisti, carriere folgoranti fondate sull’abilità di giocolieri, maghi e maghette sulla scena che tirano conigli dal cilindro, numeri da circo. Classi dirigenti sorteggiate con criteri meno seri del gratta e vinci o dei pacchi; capriole acrobatiche, entrano escono, mutano… Leaderini che sono tra i massimi inesperti di ogni settore, e s’improvvisano statisti cambiandosi semplicemente d’abito… Chi affiderebbe al primo passante i suoi risparmi e la sua salute? Noi, popolo pirandelliano. Ha tanti proseliti il voto del “famolo strano”. Le trame, i personaggi e i testi di Pirandello sono una versione ancora prudente rispetto al pirandellismo autogestito dagli attori politici in corso. Un giorno bibitari, un altro statisti, un giorno rivoluzionari coi gilet gialli, un giorno euro-occidentali e draghiani, un giorno abolitori della povertà, un giorno democristiani, un altro pidini, grillini, destrorsi, sinistrorsi (Di Maio è un bozzetto di Pirandello che l’autore scartò perché troppo inverosimile).

L’Italia è mobile qual piuma al vento. E dire che da noi il voto era statico, c’era il voto ereditario e d’appartenenza; ora siamo al voto-farfalla. L’Italia cambia opinione ogni stagione. Vedremo come sarà la collezione autunno-inferno.

Marcello Veneziani

 
Una colonia masochista PDF Stampa E-mail

30 Agosto 2022

 Da Appelloalpopolo del 21-8-2022 (N.d.d.)

Se una impresa sana, ossia che usa denaro proprio e non sta nelle mani delle banche, ha ricevuto una bolletta per l’elettricità a luglio di 232.000 euro, mentre quella del luglio 2021 era di 82.000 euro, cosa credete che farà? Sospenderà la produzione. Immaginiamo che produca e imbusti patatine fritte per la Coop la Conad e così via. Accetterà di pagare le penali e fermerà la produzione per l’intero anno o anche per due anni. I lavoratori andranno in cassa integrazione. Invece, l’impresa che è in mano alle banche, dovrà continuare a produrre (debiti) e finirà per impiccarsi, fino al fallimento che arriverà quando le banche negheranno ulteriore credito.

Tutto questo terremoto, questa catastrofe che ci attende, questi fallimenti, questi suicidi, questa cassa integrazione, questi licenziamenti, questa minor domanda interna, questa minore spesa pubblica, e quindi il fallimento di altre imprese e la disperazione di tanti autonomi, saranno dovuti soltanto alla masochistica, irrazionale, insensata scelta di ubbidire agli ordini statunitensi e di adottare “sanzioni” economiche “contro” la Russia.

Inviare armi è sbagliato ma adottare sanzioni economiche contro la Russia è mille volte più sbagliato. L’invio delle armi rivela che siamo una colonia. Le sanzioni dimostrano che siamo una colonia masochista, pronta al martirio per ubbidire al padrone.

Stefano D’Andrea

 
Parole sconsiderate PDF Stampa E-mail

28 Agosto 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 24-8-2022 (N.d.d.)

“La lotta per la Crimea fa parte della lotta per la liberazione dell'Ucraina”. Questa frase pronunciata da Draghi, Presidente, lo ricordo, teoricamente in carica solo per gli affari correnti, è una delle frasi più gravi che si siano ascoltate negli ultimi mesi. Che fosse un pessimo Presidente l’ho sempre pensato. Come ho sempre pensato fosse indissolubilmente legato agli americani e alle lobbies finanziarie (banche d’affari e fondi di investimento, ovvero i principali azionisti delle fabbriche di armi). Ma mai mi sarei immaginato che, in un momento drammatico per il mondo intero (e per l’Europa in particolare) dove la sola cosa che andrebbe fatta è ricercare la pace senza se e senza ma, il primo ministro di un Paese così importate soffiasse sul fuoco della guerra.

Sono mesi che sostengo che le sanzioni non servono a nulla (sono andato in Russia e l’ho visto con i miei occhi proprio perché non mi fido dei nostri politici e della propaganda occidentale spesso meschina come quella russa). Sono mesi che dico che l’invio di armi a Kiev oltre ad essere una palese violazione della Costituzione non serve a raggiungere la pace. Ora leggo queste parole sconsiderate dette da chi preferisce ossequiare Washington piuttosto che fare gli interessi italiani ed europei. Dire “la lotta per la Crimea fa parte della lotta per la liberazione dell'Ucraina” si traduce in un solo modo: “continuate voi ucraini a provare con le armi a colpire la Crimea. Noi forniremo le armi. Voi ci mettete carne e sangue”. Il punto è che nessuna persona minimamente raziocinante (a meno che non sia in mala fede o evidentemente mosso da altri interessi) può pensare che l’esercito ucraino possa conquistare la Crimea senza lo scoppio di una guerra infinita con un probabile utilizzo di armi ampiamente più distruttive di quelle già tragicamente usate fino ad oggi. Oltretutto va ricordato, piaccia o meno, che la stragrande maggioranza degli abitanti della Crimea sono russi e vogliono che la loro terra faccia parte della Federazione Russa. Ciò che dico lo so che farà di me (per l’ennesima volta) un “putiniano d’Italia”. Ma non me ne frega nulla. Qua ci sono Presidenti del Consiglio come Draghi che soffiano sul fuoco della guerra e che ricevono standing ovation per le consuete banalità pronunciate al meeting di Comunione e Liberazione. Aprite gli occhi.

Alessandro Di Battista

 
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