Questo non č pių il mio Paese |
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16 maggio 2008 Io non mi riconosco più nel mio Paese. Ogni volta che torno da un viaggio all'estero, e ho quindi quel "recul", quel distacco che è necessario all'osservazione e che manca quando stai troppo dentro una situazione, vengo colpito da come ci siamo ridotti. La straordinaria maleducazione, il cinismo, l'indifferenza. Il lettore ricorderà, forse, quel povero portinaio precipitato dal quarto piano sulla strada, a Porta Pia a Roma. Ebbene, i passanti tiravano dritto, presi dai loro impegni, e se il cadavere si trovava proprio sulla loro direttrice, lo scavalcavano. In un'Italia d'altri tempi non sarebbe stato nemmeno pensabile. Ma ciò che più mi colpisce è la nostra volgarità. Eppure non è stato sempre così. L'italiano era anzi conosciuto per una sua naturale e popolana grazia, che insieme alle città d'arte, oggi distrutte dal turismo di massa, e alla bellezza del territorio, oggi distrutta dalla cementificazione, era uno dei motivi che attiravano i ricchi inglesi e francesi a fare il classico "tour d'Italy". Ma non è necessario risalire all'Ottocento o ai primi del Novecento per ritrovare questo tipo d'italiano. Rivedetevi, se vi capita, i filmati dei funerali di Fausto Coppi, seguiti da un'enorme folla di estrazione ovviamente popolare. La gente è vestita modestamente, ma è composta e dignitosa. I volti sono intensi e persino belli nella loro asciuttezza. Nessun sgangherato applauso accoglie la bara all'uscita dalla chiesa. La folla onora in silenzio il suo campione. La commozione, autentica, è tutta interiore. Ho citato i funerali di Coppi perché mi sono ben presenti, ma la stessa antropologia la trovate in qualsiasi documentario degli anni '50. Oggi se ti azzardi ad accendere la TV sei investito da spettacoli orripilanti: gente che ti rovescia adosso i suoi sentimenti più intimi e persino le proprie budella (del resto non c'è una pubblicità che reclamizza un prodotto che "ti aiuta a ritrovare la tua naturale regolarità"?). Cammini per le strade della tua città e sfiori i tavolini di certi locali trendy, carissimi, popolati da un sottobosco dai mestieri inefinibili, griffati dalla testa ai piedi, inguaribilmente kitsch. Non sanno che Lord Brummel diceva che la vera eleganza è quella che non si nota. Ma probabilmente non sanno nemmeno chi fosse Lord Brummel. In compenso sanno benissimo chi è Luisa Corna. A noi ci ha rovinato il benessere. Con questo delirio degli "status symbol", queste sfacciate opulenze, vere o presunte, il disprezzo per i poveri, nessuno accetta più di stare nei propri panni. E la volgarità è proprio un "non stare nei propri panni". Un primitivo può essere rozzo, ma non è mai volgare. Voi avrete forse visto, a volte, all'aereoporto certe gigantesche principesse nere avvolte nei loro abiti tradizionali. Sono eleganti. Vestite all'occidentale sarebbero ridicole. Ecco noi, con questa smania di uscire dall'anonimato della società di massa, siamo diventati ridicoli. Un'altra cosa che mi colpisce è il crollo di un elemento decisivo per la coesione di una società. Di qualsiasi società, vale a dire l'onestà. Quando ero ragazzino, negli anni '50, l'onestà era un valore per tutti. Per la borghesia, se non altro perché dava credito, per il mondo operaio, per non parlare di quello contadino dove la classica stretta di mano valeva, come suol dirsi, più di qualsiasi contratto. Chi tradiva questi principi di lealtà verso i propri concittadini veniva inesorabilmente emarginato. Oggi avviene il contrario. Guardo alla tv i nostri uomini politici, di destra e di sinistra, e mi chiedo perché mai questi personaggi da avanspettacolo devono comandarci. E il ricordo va all'austerità di Luigi Einaudi, di Alcide De Gasperi, di Giorgio Amendola, di Giovanni Spadolini. Il mondo è cambiato, si dirà. È vero. Oggi, in Italia, si può diventare ministri arrivando direttamente dallo show-business. Giorni fa un amico londinese mi diceva, con una piega beffarda che gli stirava le labbra sottili: "Qui in Gran Bretagna si ride di voi". Ho risposto: "Non c'è bisogno di essere stati educati ad Oxford per ridere dell'Italia. Neanche nel Burkina Faso ci prendono sul serio". Massimo Fini Il Gazzettino 16 maggio 2008
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16 maggio 2008 Dal 30 aprile scorso il limite per il trasferimento di denaro contante è sceso da 12.500 a 5 mila euro. Cioè tutti i movimenti di denaro superiori a questa'ultima cifra dovranno per forza essere tracciati, e quindi in qualunque momento resi rintracciabili. E questo, dicono, per contrastare riciclaggio di denaro sporco e attività illecite. Ma allora perchè non controllare, prima, i disinvolti movimenti delle banche e delle finanziarie? Perchè non passare al setaccio i movimenti degli speculatori, per i quali è uno scherzo aggirare le norme attuali? Diventeranno sempre più difficili i passaggi di denaro libero, in contanti o in assegno. E non solo in Italia, ma in tutta Europa. Il futuro sarà segnato dalla carta di credito con i suoi costi aggiuntivi, e con vantaggi discutibili per il cittadino ma certi e inequivocabili per il sistema, che ha bisogno di virtualità e rapidità. Ma non è questo il punto. Ciò che preoccupa è una tendenza generale: quella di sottoporre a controlli e occhi elettronici ogni aspetto della vita dell'individuo. E' una legislazione da Grande Fratello che mira a decidere cosa dobbiamo mangiare, bere, fumare, come dobbiamo educare i nostri figli, guidare la macchina o il motorino. E che sta progettando di catalogare il dna di ogni essere umano per potere meglio trovare chi delinque e chi ha un comportamento "non conforme" (anche solo chi fa sporcare il proprio cane in strada). Ma fino a dove si arriverà? Come la gente fa la fila per entrare al Grande Fratello televisivo a farsi spiare anche quando va al cesso, non diversamente è per il Grande Fratello reale, alias Libero Mercato. La gente non si ribella più, non protesta più, non si incazza più. L'uomo civile è assuefatto perchè è eccitato dalle tante luccicanti opportunità che il Mercato gli mette sotto gli occhi e che non raggiungerà mai. E' l'immaginario colonizzato: dinanzi al controllo, alle norme, alle regole gestite dagli esperti e dai tecnici, tendiamo a sentirci tutti rassicurati, anzichè minacciati. Siamo messi in una condizione in cui crediamo di controllare tutto per ottenere il massimo, quando invece siamo noi a essere controllati, per il vantaggio del Mercato. Ma un mondo dove è tutto controllato, tutto catalogato, tutto ottimizzato è un mondo privo di anima. Ridare un'anima e un significato a questa nostra epoca non significa chiedere più cultura, più libri, più arte: sono tutte cose ormai anch'esse funzionali al sistema. Bisogna invece - paradossalmente - andare nella direzione opposta: accettare le cose senza volere ottimizzarle, semplificare i bisogni, diminuire gli obiettivi e le esigenze. E contemporaneamente però rimettersi a un qualcosa di trascendente - Dio, la Natura, il Destino, l'Ideale - che sappia dare un senso - la serenità - alla nostra esistenza, in particolare nelle situazioni avverse della vita. E non, come succede ora, avvelenarlo anche in quelle più "favorevoli". Massimiliano Viviani
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13 maggio 2008
Marco Travaglio ("il nostro Viscinskij", lo ribattezzò il suo maestro Indro Montanelli) è un giornalista. Punto. In questo Paese dove gli scribacchini e gli "operatori dell'informazione" (quale? dove?) si nascondono dietro una tessera per fregiarsi del titolo, lui fa il suo mestiere: si documenta. Si arma di carte, di fonti, di prove. E poi scrive. Prima della campagna elettorale, è uscito in libreria con un volume dedicato a vita, opere e misfatti giudiziari della gran parte dei politici che oggi siedono in parlamento ("Se li conosci li eviti"). A proposito del neopresidente del Senato, Renato Schifani, ha ripreso quanto già aveva documentato nel suo "I complici" un altro giornalista, Lirio Abbate dell'Ansa di Palermo - uno, per intenderci, che vive sotto scorta - sulla base delle rivelazioni del pentito Francesco Campanella. Assieme al compagno di partito Enrico La Loggia, Schifani è stato socio di un boss mafioso, Nino Mandalà, nella Sicula Brokers, e consulente urbanistico del Comune di Villabate durante la progettazione del piano regolatore su cui avrebbe avuto grande influenza (leggi: tangenti) la famiglia di Mandalà. L'1 maggio sempre Travaglio aveva pubblicato nella sua quotidiana rubrica sull'Unità un articolo ("Scusate il disturbo") in cui riassumeva la carta d'identità di Schifani già contenuta nel libro ("Non è omonimo dell’autore del lodo incostituzionale che nel 2003 regalò l’impunità alle 5 alte cariche dello Stato, soprattutto a una, cioè a Berlusconi, e aggredì verbalmente Scalfaro in Senato perché osava dissentire: è sempre lui. L’altroieri la sua elezione è stata salutata da un’ovazione bipartisan, da destra a sinistra. Molto apprezzati il suo elogio a Falcone e Borsellino e la sua dichiarazione di guerra alla mafia. Certo, se uno evitasse di mettersi in affari con gente di mafia, la lotta alla mafia riuscirebbe meglio"). Articolo puntualmente ripubblicato sul suo blog, Voglioscendere. Ma sabato 10 maggio l'incauto Travaglio racconta nuovamente questi fatti - perchè, per quanto non abbiano dato luogo finora a nessun procedimento contro Schifani, di fatti si tratta - in televisione, nella trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio (un cuor di leone di sinistra, il giorno dopo corso a scusarsi per l'accaduto, dispiaciuto come un bambino che sa di averla fatta grossa). Apriti cielo. E' venuto giù un diluvio di indignate reazioni bipartisan contro quanto era già stato scritto e riscritto senza che mai nessuno avesse fiatato. E' scattata la corsa a dissociarsi. Da cosa, poi, non si capisce: come si fa a dissociarsi dai fatti? Semmai dai toni, o dal corredo di epiteti con cui Travaglio ha apostrofato la seconda carica dello Stato ("muffa, lombrico"). E' come se io affermassi che la Terra è tonda, ma lo dicessi con toni "offensivi". Resta il fatto che la Terra è tonda, non ci piove. Ma niente. La si è buttata in politica, cioè si è parlato di tutt'altro all'infuori che del merito della accuse a Schifani. Il quale è, per l'appunto, colui che in caso di assenza o indisposizione del Capo dello Stato, ne fa le veci. Non stiamo parlando di un sottosegretario o sottopanza qualunque della politica italiana. O forse sì? Personalmente, non crediamo che il giornalismo con la toga di Travaglio sia l'unico, vero giornalismo (travaglismo: per inciso, una derivato della grande tradizione di inchieste e di stile della pubblicistica di destra e non di sinistra, in passato refrattaria e nemica di tribunali e sentenze). Ma lui si è specializzato in questo, e dal punto di vista dell'informazione, quella vera (cioè più completa possibile, a 360°), è utilissimo per avere l'identikit di chi diavolo posizionano i partiti in qualità di nostri "rappresentanti". I loro affari, le loro amicizie, i loro trascorsi, le loro biografie private. Il "dialogo" fra maggioranza e opposizione non c'entra niente. Il solito, subdolo giochetto di trasformare i fatti in conflitto di opinioni, così da neutralizzarli triturandoli nel cicaleccio del botta e risposta fra partiti. Travaglio si è limitato a ricordare le frequentazioni del presidente del Senato. Ma i fatti, in Italia, disturbano sempre il manovratore. Alessio Mannino
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"I Palestinesi devono tornare uniti" |
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12 maggio 2008 Da alcuni giorni in Italia, il parlamentare indipendente palestinese Jamal Naji El-Khoudary è impegnato in una serie di incontri pubblici dove cerca di rompere il velo di silenzio calato sull’assedio di Gaza. E lo fa nel modo più crudo, con cifre e dati sconvolgenti che denunciano la crudeltà e disumanità della violenza commessa da Israele. Delle 1,5 milioni di persone che vivono nella striscia più tristemente famosa del mondo, l’85% vive sotto la soglia di povertà, il 65% è disoccupato, vittima della chiusura obbligata del 97% delle imprese locali, il reddito annuo è sceso a 605 dollari contro i 25.000 dei vicini israeliani. Più della metà dei bambini soffre di denutrizione e 150 milioni di dollari di merci, tra cui alimentari e medicine che potrebbero salvarli, è ferma alle dogane sequestrate dai soldati israeliani (a cui vanno aggiunti il mezzo miliardo di dollari di danni già causati dall’assedio che ha rigettato Gaza nel medioevo). Denuncia inoltre la disonestà della comunità internazionale che ha girato le spalle alla tanto decantata democrazia quando le elezioni sono state vinte dai “non graditi” di Hamas invece che da Al Fatah. Nonostante ciò la resistenza sessantennale non è stata piegata. Quando sono caduti i muri con l’Egitto più di 400 mila palestinesi li hanno attraversati in cerca di tutto, ma invece di rimanere al sicuro oltreconfine come avrebbero fatto altri, sono subito tornati a Gaza a continuare la lotta. Nella sua tappa a Reggio Emilia, El-Khoudary ha risposto alle nostre domande. Quanti parlamentari palestinesi sono attualmente sequestrati nelle carceri israeliane? Ora sono in 37, questo sequestro è contro le leggi e non ha appoggio legale, devono essere rilasciati perché rappresentano il popolo che li ha votati. (Il parlamento palestinese è composto da 132 parlamentari, gli arrestati sono in massima parte membri di Hamas, a cui è stata tolta per mezzo dei rapimenti la maggioranza, ndr). Cosa vorreste che facessero i paesi occidentali per porre fine all’assedio di Gaza? Devono fare pressione su Israele, Israele è una potenza d’occupazione che blocca tutti i varchi e ci assedia. La legge internazionale impone a Israele la riapertura di tutti i varchi per dare al popolo palestinese la possibilità di lavorare e vivere la sua vita, e far entrare a Gaza tutto quel che serve per continuare la vita giornaliera. Tutto ciò è garantito dalla legge internazionale e la comunità internazionale deve veramente fare una forte pressione su Israele in modo che la rispetti. Perchè Hamas dopo aver vinto le elezioni ha preso il potere a Gaza? Il disaccordo palestinese deve finire, io, come presidente del comitato popolare contro l’assedio lavoro affinché il problema sia solo quello di togliere l’assedio a Gaza, parlare di come uscire dalla crisi è meglio che parlare della crisi stessa. Noi cerchiamo di uscirne e far sì che i palestinesi tornino uniti, e questo prima o poi deve essere, Gaza e Cisgiordania devono tornare unite, l’assedio colpisce entrambe in modi diversi. La votazione fatta è stata libera sia a Gaza sia in Cisgiordania perciò deve essere rispettata da tutti quanti. Hamas ha mantenuto una presenza militare in Cisgiordania? Tutti i gruppi militari palestinesi sono dappertutto, sia a Gaza che in Cisgiordania, tutte le organizzazioni palestinesi sono dappertutto. Si dice che Al Fatah sia corrotta... Vede, il popolo palestinese è un popolo di resistenza, vive sotto l’occupazione e l’attacco continuo e cerca di liberarsi. Non è il momento di parlare delle cose negative, alla fine è il popolo che comanda, è lui che vede e decide, in generale tutti i gruppi palestinesi lavorano solo per togliere l’occupazione. Al Quaeda ha criticato più volte i palestinesi, non si impegnerebbero abbastanza nella lotta contro Israele. Come risponde lei da rappresentante del suo popolo? I palestinesi vivono sotto assedio e occupazione e ciò è molto pericoloso per loro, di fronte a questi fatti il popolo palestinese fa quello che può fare. Nella recente guerra tra Hezbollah libanese e Israele, Hamas ha avuto un ruolo particolare? Si è vociferato di una collaborazione militare con l’Hezbollah. Questo lo deve chiedere ad Hamas. Alessandro Marmiroli
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10 mggio 2008 La parabola di Gianfranco Fini è suggestiva: dalla kefiah degli anni del Fuan alla kippah del viaggio in Israele del 2003. Per carità, le metamorfosi sono legittime, anzi spesso auspicabili. A Fini è successo qualcosa di molto comune: capita al fumatore che si allontana dal tabagismo e diventa integralista anti-fumo, a Giuliano Ferrara che abbandona le ammucchiate (da spettatore passivo) del tempo glorioso delle occupazioni universitarie per dedicarsi all’esegesi di Ratzinger, all’ex marxista Bondi che sostituisce la musa greca Erato o il compagno Bordiga con Silvio da Arcore. Voilà, la storia e le mutazioni neuronali ci restituiscono Fini piu’ sionista di Sion. E’ talmente cristallina questa sua metamorfosi da emergere prepotentemente dai salotti “letamaio catodico” nel preciso momento in cui, catturato dalla sua devozione sionista, il nostro “sbrocca”. Negando dignità politica all’aggressione e all’omicidio di Nicola ucciso da cinque neonazi deficienti e, al tempo stesso, offrendo piena (e distorta) dignità politica all’evento, paragonandolo alle proteste contro la politica dello stato di Israele, a Torino. Ovviamente in pieno delirio ma va capito, perché è innamorato di Israele. E’ non è l’unico in Italia. Chi scrive non ha molto interesse al rogo delle bandiere perché apolide dello spirito e privo di simboli di riferimento, di stoffa e non. Forse per questo gli riesce difficile discernere tra stoffa, appunto e carta igienica, tra cio’ che è potenziale terrorismo (i cattivi di Torino) e cio’ che invece è sedicente autorevolezza istituzionale (Bossi) Chiara ed inequivocabile è invece la mattanza silenziosa ed inesorabile di un paese che non c’è, la Palestina. Un non paese, non difeso, non tutelato, neppure dall’antagonismo pavloviano della sinistra ormai “extraparanormale”, con la sua scelta di sterile contrapposizione al sionismo di Fini e colleghi... La comunità ebraica definisce “vulnus democratico” la critica legittima alla politica del governo israeliano (e lasciamo perdere l’accusa di antisemitismo, talmente ridicola da non essere neppure degna di considerazione). Lo stesso dicasi per il preside della facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna che ha bloccato un incontro con il filosofo Gianni Vattimo sul tema. Dissentire è diventato antidemocratico, cosa diavolo sarà allora la democrazia? Evidentemente deve aver a che fare con gli oscuri meccanismi che regolano il simulacro che ci spacciano nella sua variante “rappresentativa”. Quella che si esaurisce nel supremo rituale della delega sodomitica del suffragio. Oscuri meccanismi, appunto, per chi ne vede svanire il senso, giorno dopo giorno, abuso dopo abuso. Non resta che l’attesa di una Fiera del Libro dedicata all’Armenia, se non proprio all’Egitto. Gli Armeni, vittime invisibili di un altro spaventoso genocidio. Oscurato e sepolto. Mauro Maggiora
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9 maggio 2008 Si è formato il nuovo governo. Ministri con portafoglio (e molti privilegi) Esteri: Franco Frattini, il Non Pervenuto. Economia: Giulio Tremonti, il liberista/protezionista a corrente alternata. Interno: Roberto Maroni, quello della Legge Biagi pardon Maroni. Giustizia: Angelino Alfano, l'amico di Silvio. Difesa: Ignazio La Russa, l'ex sanbabilino con vista sui Parioli. Attivita’ produttive: Claudio Scajola, quello che Biagi era un rompicoglioni. Welfare: Maurizio Sacconi, il socialista reaganiano. Politiche Agricole: Luca Zaia, un ras leghista qualsiasi. Ambiente: Stefania Prestigiacomo, quella che va da Floris a lamentarsi di Floris. Infrastrutture e Trasporti: Altero Matteoli, quello che c'è sempre ma non si sa perchè. Istruzione-Università-Ricerca: Maria Stella Gelmini, promossa per meriti di segreteria (azzurra della Lombardia). Beni Culturali: Sandro Bondi, il Poeta ufficiale di Silvio. Ministri senza portafoglio (gli offriremo un caffè per pietà) Riforme federaliste: Umberto Bossi, ministro di uno Stato della cui bandiera voleva fare carta igienica. Semplificazione legislativa: Roberto Calderoli, l'Intellettuale Padano. Pari opportunità: Mara Carfagna, l'Opportunità di fare televisione. Attuazione del programma: Gianfranco Rotondi, la Democrazia Cristiana col microscopio. Rapporti con il Parlamento: Elio Vito, il Fedelissimo. Innovazione e Funzione pubblica: Renato Brunetta, il privatizzatore di tutto ciò che si muove. Affari Regionali: Raffaele Fitto, il Ripescato. Politiche giovanili: Giorgia Meloni, la Giovane Destra che fa carriera. Politiche comunitarie: Andrea Ronchi (chi?).
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