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Grandi opere, grandi mali PDF Stampa E-mail

8 gennaio 2008

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E' di prossima uscita un libro che vi consigliamo di leggere: "Grandi Opere. Le infrastrutture dell'Assurdo", Arianna Editrice. L'autore è un nostro nuovo collaboratore, Marco Cedolin. E' un valsusino, vive nel piccolo comune di Mompantero. Scrittore e  studioso di economia, ambiente e comunicazione, collabora anche coi siti Luogocomune, Socialpress, Cani Sciolti e con la rivista Il Consapevole. Fa parte del Movimento per la Decrescita Felice fondato da Maurizio Pallante ed è attivo nel movimento No Tav. Sempre per i tipi di Arianna Editrice ha pubblicato "T.A.V. in Val di Susa. Un buio tunnel nella democrazia" (con prefazione di Massimo Fini). Ma lasciamo la parola a lui, in questo magistrale intervento che vi invitiamo a conservare.

Le grandi opere incarnano meglio di qualunque altra cosa lo spirito della società globalizzata, disposta ad immolare l’uomo e l’ambiente che lo circonda sull’altare della crescita e dello sviluppo.
Veri e propri simulacri di un progresso tanto effimero quanto devastante, i progetti delle grandi opere assorbono oggi nel mondo una parte consistente dei bilanci pubblici, promettendo di restituire sviluppo e benessere, mentre in realtà accanto ai profitti miliardari dei potentati economici che le costruiscono esse creano solamente devastazioni ambientali e squilibri sociali senza fine.
In Italia l’infrastruttura ferroviaria per il TAV, come un’immensa muraglia cinese di cemento taglia in due la pianura padana, prima orizzontalmente da Torino a Milano, poi verticalmente giù fino a Bologna, per poi infilarsi in maniera devastante dentro l’Appennino e riemergere nei pressi di Firenze, il cui sottosuolo sta ancora aspettando di essere sventrato in profondità, e poi ancora giù per altri centinaia di chilometri, attraversando Roma per giungere fino a Napoli. Costerà al contribuente 90 miliardi di euro, per mezzo dei quali sarebbe stato possibile riorganizzare in maniera efficiente l’intero sistema ferroviario nazionale che versa in condizioni disastrose, o ridare un minimo di dignità al servizio sanitario ormai sprofondato al di sotto dei limiti della decenza. I cittadini che finanziano materialmente l’opera non sono mai stati interpellati e la costruzione dell’infrastruttura determinerà per loro solamente ricadute negative, ma purtroppo i mestieranti della politica, i teleimbonitori da talk show ed i professionisti della cattiva informazione si sono dimenticati d’informarli.
Dalla metà del secolo scorso la costruzione delle grandi dighe ha determinato nel mondo disastri sociali più ingenti di quelli generati dalle alluvioni e dai terremoti. La sola diga delle Tre Gole in Cina ha costretto 1.200.000 persone ad abbandonare la propria casa e l’agricoltura di sussistenza per mezzo della quale vivevano, donando loro un futuro da profughi nelle bidonville di qualche grande città. Nonostante ciò la Banca Mondiale e la Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo hanno finanziato e continuano a finanziare le grandi dighe spacciandole come elementi di progresso.
Nell’ambito della costruzione dell’oleodotto Baku – Tbilisi –Ceyhan (BTC) funzionale a soddisfare gli interessi statunitensi ed israeliani in ambito energetico, Turchia, Georgia ed Azerbaijan hanno ceduto al consorzio BTC l’effettivo potere di governo per 40 anni sugli interi 1.770 km di territorio attraversati dall’oleodotto. Decine e decine di migliaia di cittadini turchi, georgiani ed azeri sono così diventati “sudditi” di una corporation ed hanno perso ogni beneficio garantito dalla costituzione del proprio paese senza essere stati neppure informati dell’accadimento.
La travagliata costruzione della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) costerà la cifra esorbitante di 100 miliardi di dollari, prelevati in maniera coattiva dalle tasche dei contribuenti dei 16 paesi che aderiscono al progetto. L’opera è stata sponsorizzata presso l’opinione pubblica dei paesi interessati come un laboratorio scientifico d’eccellenza ed un avamposto per la “conquista” dello spazio. In realtà si tratterà di un manufatto destinato, dopo soli 10 anni di prevista attività, ad incrementare il già consistente numero di rifiuti spaziali, insieme al fatturato delle grandi industrie aerospaziali e degli armamenti (per quanto riguarda l’Italia Finmeccanica su tutte) che hanno curato la costruzione dei vari moduli.
In Italia, come nel resto del mondo, i cittadini sono stati imboniti con atteggiamento paternalistico come si farebbe con un bambino. Hanno detto loro costruiremo il TAV, perché così potrai viaggiare più velocemente, le merci arriveranno prima negli scaffali degli ipermercati e ci saranno meno TIR ad inquinare sulle strade. Costruiremo i megainceneritori, perché così si eviteranno le discariche, l’aria ed i terreni saranno più puliti e tu potrai avere nuova energia e riscaldarti a basso costo con il calore prodotto. Costruiremo nuove gallerie e nuove autostrade per velocizzare il traffico ed evitare che tu corra il rischio di restare in coda e depauperare il tuo tempo prezioso. Costruiremo i rigassificatori per fare in modo che tu possa riscaldarti durante l’inverno ad un costo inferiore. Costruiremo immense dighe perché l’energia idroelettrica è pulita e regolarizzeranno il corso dei fiumi impedendo le piene e le alluvioni. Costruiremo il Mose perché Venezia in futuro non sia più allagata dalle alte maree. Costruiremo la Stazione Spaziale Internazionale perché la scienza e la tecnologia possano aprirsi a nuove frontiere, nuove medicine contribuiscano a mantenerti in salute e nuove tecnologie a migliorare la qualità della tua vita. Costruiremo nuovi oleodotti e gasdotti perché non ci sia rischio che l’energia possa venirti a mancare. Costruiremo nuove basi militari perché contribuiscano creare la pace e preservino la tua sicurezza. Costruiremo, per te, per il tuo benessere e per donarti un futuro migliore.
Così oggi i cittadini vedono spuntare un po’ dovunque i muraglioni del TAV, i piloni dei viadotti, i buchi neri dei tunnel, i nastri d’asfalto di autostrade e tangenziali, le ciminiere dei megainceneritori, le infrastrutture militari e colate di cemento di ogni genere, ma continuano a passare sempre più tempo incolonnati dietro ai TIR in autostrada ed in tangenziale, si ammalano sempre più a causa dell’inquinamento, pagano bollette della luce e del gas sempre più care, assistono all’apertura di sempre nuovi teatri di guerra che si traducono in carneficine inenarrabili, subiscono a cadenza settimanale i rincari alle pompe di benzina, vedono diminuire ogni giorno che passa le proprie opportunità di lavoro, si ritrovano sempre più poveri, sempre più indebitati e prigionieri di un ambiente asfittico e maleodorante che li racchiude fra le sue spire come un bozzolo marcescente e molti di loro iniziano a comprendere di essere stati raggirati.
Solo attraverso l’acquisizione di nuove conoscenze e consapevolezze sarà possibile prendere coscienza delle storture connaturate nel modello di sviluppo della crescita infinita che ci viene presentato come l’unica alternativa possibile.
In realtà un’alternativa al sistema sviluppista e alle grandi opere che sono ad esso funzionali esiste ed è un’alternativa di decrescita. Intesa non come recessione ed impoverimento, bensì come riappropriazione della persona e dei suoi reali bisogni, liberata dall’ossessione dell’economicismo. Decrescita intesa come riscoperta della qualità della vita, dei rapporti col prossimo, della convivialità, del lavoro concepito come valorizzazione delle proprie qualità e non come imposizione meccanica alienante, dell’identità culturale e dell’appartenenza locale, come risposta all’appiattimento sociale imposto dalla globalizzazione e dal gigantismo.
Il futuro dovrà per forza di cose sostituire la macroeconomia globalizzata con microeconomie autocentrate che valorizzino le peculiarità dei territori, privilegiando gli scambi commerciali a corto raggio ed anche le infrastrutture saranno chiamate ad interpretare questa nuova realtà fatta di piccole opere, scarsamente impattanti e ad elevata utilità sociale.
Non si tratta di tornare indietro, ma semplicemente di continuare sulla strada intrapresa da millenni, in completa continuità con l’atteggiamento che l’umanità ha sempre mantenuto nel corso della propria storia. La sobrietà, la reciprocità, l’agricoltura di sussistenza, gli scambi non mercantili, la valorizzazione delle comunità locali, fanno parte del bagaglio culturale dell’umanità molto più di quanto non accada per il sistema sviluppista che in un solo secolo ha depauperato le enormi risorse accumulatesi durante migliaia di anni, arrivando a mettere in pericolo le stesse prospettive di sopravvivenza della specie umana e dell’ecosistema terra che da sempre la ospita.

Marco Cedolin

 
Fini: "Unire le forze contro il sistema" PDF Stampa E-mail

5 gennaio 2008

Il 3 gennaio Beppe Grillo ha messo on line sul suo blog l'intervento di Massimo Fini, presidente di Movimento Zero, al V-Day dell'8 settembre scorso. Abbiamo intervistato a caldo Fini per capirne di più.
Il tuo è stato il discorso più spietatamente critico verso l'attuale sistema politico, la democrazia cosiddetta "rappresentativa". In pratica hai sostenuto che le proposte del V-Day sono di buonsenso, però qui andrebbe sbaraccato tutto, altro che riforme. Come spieghi questa contraddizione?
Io ho detto quel che sostengo da tempo, e cioè che la democrazia rappresnetativa è una truffa, un imbroglio, perchè è un sistema di oligarchie, di aristocrazie mascherate. Questo è il mio punto di vista. In attesa che il sistema crolli, tuttavia, tutto ciò che lo mette in discussione mi vede d'accordo.
Tutto?
In linea di principio sì, con l'esclusione del ricorso alla violenza.
Quali sono secondo te i punti di contatto fra Movimento Zero e il fenomeno Grillo?
Un punto di contatto è che, visto che uno dei cardini della liberaldemocrazia è l'uguaglianza formale dei cittadini davanti alla legge, ci troviamo d'accordo col discorso che fa Grillo sulla legalità. E' un tema che ci vede assai uniti, in questo anche con Di Pietro, per esempio. In generale ci sono due piani: uno  è l'obbiettivo a lungo termine, cioè l'abbattimento finale del sistema; l'altro è il qui e ora, e la battaglia che ci vede a fianco di Grillo è appunto quella della legge uguale per tutti.
E la decrescita, tema caro anche a Grillo?
Certo, anche quello. Solo che Beppe è un tecnoecologista, lui pensa che sostituendo la tecnologia, ad esempio l'idrogeno al petrolio, si cambi qualcosa. Certo che si cambia qualcosa, ma il sistema resta lo stesso. Ciò che noi combattiamo è il disagio esistenziale che il sistema in sè produce. Ecco, questa è la cosa che ci divide più profondamente. Ma comunque siamo molto vicini: lui dice "mandiamoli a casa tutti", e anche noi lo diciamo. Anche se noi vogliamo mandare a casa tutto il sistema.
Ai gruppi di Amici di Grillo sparsi per l'Italia (fra cui ci sono simpatizzanti e aderenti a Movimento Zero) non difetta un grande entusiasmo nel seguire scandali nazionali e problemi locali. Quella che manca loro è una visione d'insieme, un senso complessivo per una critica al presente. Credi che Movimento Zero, almeno in prospettiva, possa colmare questo deficit?
In ipotesi potrebbe. Noi abbiamo un impianto solido di pensiero che Grillo non ha. Grillo ha intuizioni buone, ma come tutte le intuizioni sono limitate. E' una possibilità, sì. A noi manca quello che loro hanno in abbondanza, e cioè l'azione concreta sul territorio, che è più facile proprio quando hai una visione contraddittoria: un giorno fai una cosa, domani ne fai un'altra.
Insomma secondo te, in teoria, sono movimenti "complementari".
Lo sarebbero se si superasse uno dei vizi di questi movimento, che è il narcisismo dei suoi leader, me compreso (anche se finora ho cercato di stare in disparte). Se invece unissimo le forze - io, Giulietto Chiesa, Grillo e altri - faremmo più massa. C'è da dire che è anche responsabilità di chi aderisce a questi movimenti quello di unirsi. Quando ci fu da combattere il fascismo si fece causa comune, dai monarchici ai comunisti. Unirsi è la cosa logica da fare. Non c'è da essere schizzinosi, nè noi nè gli altri. Siccome noi stiamo facendo politica, non siamo solo un movimento culturale in cui ognuno si legge i suoi libri, bisogna capire che un po' di mediazione ci vuole.

 
Babylon PDF Stampa E-mail

4 gennaio 2008

Video di Elia Banelli

E’ la Nuova Babilonia. E’ l’impero fondato sull’intolleranza del diverso. E’ il Leviatano che si nutre del futuro ricorrendolo con folli utopie, e nascondendo lo squallido dominio dell’economia sull’anima.
E’ il mondo che crede di essere l’unico mondo. Il migliore dei mondi possibili e immaginabili.
E’ il mostro ammantato di virtù “democratiche” che assoggetta i suoi sudditi e gli altri popoli col lavaggio del cervello di una vita passata a comprare, consumare ed espellere. Senza un senso al di fuori di questo ciclo artificiale e patologico.
E’ la scomparsa di ogni etica, venduta per un salario da schiavi e abitudini beatamente idiote.
E’ lo stato di diritto che non conosce altro diritto che quello di campare per far andare avanti il treno impazzito di un Progresso che ha svelato la sua vera faccia: uno spaventoso regresso, dove l’esistenza concreta delle persone è una variabile nei programmi di aziende e governi servi delle aziende (finanziarie e multinazionali in primis).
E’ l’Occidente. Siamo noi. Siamo noi se non ci decidiamo a ribellarci a noi stessi.

 
No Tav: "Sempre in trincea" PDF Stampa E-mail

4 gennaio 2007

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Alberto Perino è un attivista di primo piano del movimento No Tav della Val di Susa.
Può sintetizzarmi a che punto è l'iter del Tav in Val di Susa?
Potrei dire “a zero”, ufficialmente. Il Governo, verbalmente, ha dichiarato che i progetti presentati finora erano annullati. Formalmente altri progetti non sono stati presentati, l'Osservatorio sta lavorando sui numeri... Però il ministro dei lavori pubblici ha presentato un progetto all'UE Per chiedere il finanziamento della tratta transfrontaliera con il ministro dell'ambiente francese. Ma nessuno ha visto che progetto è stato presentato. I giornali giocano a inventare tracciati e ipotesi... Noi aspettiamo con gli scarponi nei piedi.
Qual è la situazione del movimento No Tav oggi?
Il movimento NO TAV quest'estate ha prodotto un grande sforzo organizzativo cha ha coinvolto l'intera popolazione della valle e non solo: ha raccolto oltre 32.000 firme in calce ad una lettera  “Ai Governanti” di totale e assoluta contrarietà ad ogni nuova infrastruttura trasportistica in Valle di Susa e la pretesa di un congelamento del traffico merci alla situazione attuale. Queste 32.000 rilegate in otto volumi sono state consegnate finora:
- al Parlamento Europeo a Strasburgo il 25/9 con una delegazione di oltre cento cittadini e amministratori (la delegazione ha incontrato le commissioni petizioni e bilancio oltre a numerosissimi altri parlamentari e ha consegnato le firme direttamente al Commissario ai Trasporti Barrot in un colloquio durato quarantacinque minuti);
- Alla Giunta della Comunità Montana Bassa Valle di Susa il 10/10 con una delegazione di un centinaio di cittadini (Scarica il PDF)
- al Presidente Prodi a Roma il 31/10 con una delegazione di soli cittadini e comitati (il video dell’incontro si trova QUI)
- Al Governatore della Regione Piemonte Mercedes Bresso (Scarica il PDF).
Sono stati inoltre consegnati al Presidente della Provincia di Torino, al Consiglio della Comunità Montana Alta Valle di Susa,  al Governo francese, ed alle autorità della Savoia.
Quali sono i rapporti coi sindaci locali e il governo di Roma?
I rapporti con i sindaci locali sono quelli che sono sempre stati: loro fanno i rappresentanti istituzionali (il che non è sempre facile) il movimento fa il movimento NO TAV, i comitati fanno i comitati. I sindaci hanno dovuto sedersi al tavolo dell’Osservatorio e al tavolo politico di Palazzo Chigi perché sono tavoli istituzionali. I nostri tecnici, nell’Osservatorio, sono bravi e hanno fatto emergere molte cose positive dal nostro punto di vista e i primi due quaderni prodotti hanno spunti che per la prima volta vengono accettati da tutte le parti e che sono favorevoli alla nostra posizione. Purtroppo i quaderni sono anche frutto di una mediazione e quindi contengono anche cose negative per noi. E i media sono in mano a chi vuole fare l’opera: di qui il massacro mediatico falso sull’indispensabilità dell’opera. Il movimento, dal canto suo, ha sempre visto l’Osservatorio come un “cavallo di Troia” e non l’ha mai condiviso con posizioni più o meno dure. E anche le posizioni istituzionali non sono monolitiche: i sindaci legati ai partiti hanno posizioni diverse dai sindaci “indipendenti”. Sicuramente la famosa “democrazia partecipata” della Valsusa ha segnato qualche battuta d’arresto. Ma siamo fiduciosi.
Con il Governo il primo contatto si è avuto a fine ottobre con la consegna delle 32.000 firme a Romano Prodi. Diciamo che è stato un buon riconoscimento “politico” del ruolo dei comitati e del movimento popolare che ha potuto colloquiare con i massimi vertici istituzionali. Per altro ognuno se ne è andato con le proprie convinzioni. Ma un canale è stato aperto.
Qual è il pensiero che voi No Tav avete maturato in questi anni di lotte sullo Sviluppo?
Premesso che il movimento NO TAV ha costruito la sua forza popolare e trasversale sul minimo comun denominatore NO TAV punto e basta, è altrettanto vero che la lotta al TAV ha portato a profonde riflessioni sull’attuale modello di sviluppo e sul suo “non senso”. Si sono fatti molti dibattiti e molte serate sulla “decrescita”; la sensibilità popolare in merito devo dire che è aumentata enormemente. Fin dall’inizio si era consci che la strada “delle grandi opere” ovunque fatte era una strada perdente e suicida. Infatti il Patto di Mutuo Soccorso opera in quella direzione.

 
Democrazia locale PDF Stampa E-mail

2 gennaio 2008

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Il 15 e il 16 ottobre scorsi si è tenuta a Valencia la Conferenza interministeriale del Consiglio d'Europa, in cui i ministri europei responsabili delle politiche locali hanno discusso di temi quali il ruolo dei cittadini nella vita locale e i recenti sviluppi dell'autonomia regionale.
Il Consiglio d'Europa ha quindi lanciato la Settimana Europea della Democrazia Locale, che mira a promuovere la partecipazione dei cittadini in tutta Europa. L'appuntamento si rinnoverà ogni anno in occasione dell'anniversario della Carta europea dell'autonomia locale, firmata il 15 ottobre 1985, che costituisce un modello per le riforme legislative nelle nuove democrazie, e da cui discende la Carta europea delle Lingue Regionali o minoritarie del 1992.
Da tutto questo si potrebbe concludere che l'Unione Europea ci tiene a salvaguardare le identità locali del Continente: il problema è che l'identità locale in un mondo globalizzato non ha senso, e proclamare il "glocale" come fanno alcuni finisce per ridurre l'identità locale alla salvaguardia dei prodotti tipici e all'insegnamento nelle scuole di dialetti che nessuno parla più. Stesso discorso per l'"autonomia locale", che diventa un adattamento della legislazione alle esigenze locali ma soprattutto la possibilità di gestire il denaro locale a vantaggio degli investimenti e delle infrastrutture del posto. E questo per un motivo molto semplice: globalizzazione e localismo non sono conciliabili.
Certamente sono stati fatti passi avanti verso la tutela delle autonomie locali (Catalogna, Paesi Baschi, Scozia, Galles ecc) ma arrivano in un momento in cui tutto questo perde di senso: la tutela della lingua locale per esempio viene quasi sempre annullata dall'invadenza televisiva delle lingue nazionali, e le leggi locali sono solo insignificanti adattamenti di decisioni che vengono prese nei governi nazionali e, sempre più spesso, trasnazionali (UE, WTO, FMI ecc).
E' bene quindi chiarire un punto, onde non cadere in equivoci: la realtà locale, come concetto, non è una nazione più piccola. La nazione, qualsiasi essa sia, non è altro che un piccolo attore della globalizzazione economica, e spezzare la nazione in tante realtà para-nazionali più piccole lascia inalterato il problema, in quanto non elimina i componenti della globalizzazione.
E questo per due motivi fondamentali: innanzitutto la realtà locale può essere anche molto più piccola della macro-regione; inoltre detta realtà deve potere agire in un contesto che non ne minacci l'identità culturale, quindi un'Europa che non abbia come obiettivo primario quello di competere economicamente con altre realtà, ma che miri solamente ad avere la forza economica e militare sufficiente a difendersi dalle altre potenze mondiali (in primis gli Usa) sia in termini culturali che economici e territoriali.
E' fondamentale quindi accettare che nessuna comunità locale può essere decisa dall'esterno o dall'alto: ogni realtà territoriale che abbia la volontà e le capacità per rendersi autonoma deve poter essere libera di farlo, e deve essere l'autorità europea a dovere avanzare motivazioni valide perchè questo eventualmente non possa accadere. L'autorità centrale deve solo garantire le condizioni esterne affinchè questo possa avvenire, al fine di creare un'Europa che somigli più a una federazione di polis che a un anonimo impero finanziario.
E alla base di ciò deve stare il principio secondo cui la politica, per ciò che concerne i suoi abitanti, deve essere decisa da loro stessi e non delegata ad altri: una democrazia diretta quindi che si serva di strumenti quali assemblee o referendum, affinchè su tutto ciò che concerne il cittadino, egli debba avere sempre l'ultima parola. Essa però non può essere usata per prendere decisioni nè che mirino a un qualsiasi sviluppo economico (in particolar modo industriale) nè in qualche modo aggressive verso altre comunità: in questo senso dovrà vigilare l'autorità centrale.
E' bene precisare che la democrazia diretta è tanto più valida quanto più l'ambito è piccolo, perchè più esso si allarga meno è controllabile dal basso e più sono facili derive di ogni tipo.
Nessuna forma quindi di verità tecno-scientifica dovrà essere calata dall'alto: nessuno potrà imporre agli abitanti di una comunità valori e leggi, come curarsi e come educare i propri figli, come costruire le case e come vivere; o addirittura che una certa comunità decida di chiudersi e di non fare entrare più nessuno.
Un'Europa che miri realmente alla salvaguardia del proprio straordinario patrimonio culturale, non solo come diversità ma soprattutto come vitalità e sensibilità individuali uniche al mondo, deve innanzitutto sostituire alla vuota corsa al profitto un'economia che sia al servizio dell'uomo, in modo che egli ritorni a ricercare la felicità nella serena accettazione della vita piuttosto che in una corsa ossessiva al denaro.

Massimiliano Viviani

 
PSL: Paese a Sovranità Limitata PDF Stampa E-mail

31 dicembre 2007

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Siamo un Paesello a sovranità limitata. Dove a reggere i fili della vita nazionale sono non i prestanome della partitocrazia che siede in parlamento, ma il sistema finanziario, coi suoi cortigiani della grande impresa e i poteri forti internazionali (Stati Uniti ed Eurocrazia su tutti). La politica esegue, e i giornalisti stilano le cronache di regime diffondendo la cortina fumogena dello scontro Destra-Sinistra. La televisione, strumento principe della propaganda chiamata "informazione", è il nuovo oppio del popolo. Contro le banche, contro la televisione e i media, contro la politica priva di ogni libertà e autonomia: questi i tre obbiettivi del 2008. A proposito: buon anno! (a.m.)

Lamberto Dini, leader dei Liberaldemocratici, preannuncia la sua uscita dal Governo Prodi. Contemporaneamente il Fondo Monetario Internazionale critica, in "via ufficiosa" pare, la legge finanziaria, perché troppo blanda nei riguardi pensionati e i lavoratori.
Lamberto Dini, è bene ricordarlo, è stato per vent’anni altissimo funzionario del FMI. Il che fa supporre che siamo davanti a una manovra concertata.
Di riflesso il vero punto della questione non è tanto prossima la caduta di Prodi... Quanto la possibile nascita di un governo tecnico, presieduto da Dini e guidato a distanza dal Fondo Monetario Internazionale. Una specie di film già visto ai tempi della caduta del primo governo Berlusconi nel gennaio-febbraio 1995, e sempre con Dini come primo Ministro "tecnico". Tra l'altro non va dimenticato, che l'uomo politico fiorentino è stato senza soluzione di continuità “il” Ministro degli Esteri (1996-2001) del governo di centrosinistra. E probabilmente come "garante" ufficioso del FMI.
Il che rivela a distanza di dodici anni un fatto gravissimo: la progressiva perdita di ogni sovranità politica ed economica da parte dell’Italia in favore di un organismo come il FMI, dietro il quale si nasconde un capitalismo legato ai circoli finanziari internazionali e compiacente, tanto per essere chiari, verso il gigantesco complesso militare-industriale statunitense, straripante di ambizioni imperiali.
Ecco il vero problema. Nulla di nuovo, si dirà.
Certo, ma ora si sta per toccare il fondo. Il che significa, almeno per il futuro, che fin quando i governi rischieranno di cadere per opera di ex funzionari del FMI, per poi finire molto probabilmente nelle mani dei medesimi, non sarà facile definire l’Italia una nazione indipendente.
Si tratta di una questione che, per gravità politica, travalica il discrimine tra destra e sinistra. La cui soluzione imporrebbe, per usare il linguaggio sportivo, uno scatto di reni. O per dirla tutta: una autentica riscoperta della dignità nazionale da parte di tutti i politici. Capire, insomma, che di questo passo, l’Italia a prescindere da Prodi e Berlusconi e da volgari beghe interne, rischia di trasformarsi, e definitivamente, in una colonia economica del FMI e, politicamente parlando, degli Usa: una "Repubblica delle Banane".
Perciò - ripetiamo - la coincidenza tra la presa di posizione di Dini e le critiche, benché “ufficiose” del Fondo Monetario Internazionale, non è sicuramente casuale.
La situazione è molto grave. Pertanto crediamo che l’Italia abbia bisogno di un politico audace e con grandi capacità decisionali, visione e senso della patria, soprattutto nei termini di progressiva riconquista dell’ autonomia economica (pur in un quadro europeo, certo…)
Un politico come Chavez? Forse… Ma dove trovarlo?
Carlo Gambescia

(per gentile concessione dell'autore)

 
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