7 maggio 2008 Secondo il Rapporto sulla Criminalità in Italia del Ministero dell’Interno, che riporta dati riferiti al periodo dal 1992 al 2006, nel nostro Paese ci sono stati ogni anno oltre 100 (per l’esattezza 106,9) omicidi per “lite-rissa-futili motivi”. Il dato si riferisce peraltro ai soli omicidi volontari e quindi non a quelli preterintenzionali, quale al momento è rubricato quello del povero Nicola Tommasoli avvenuto a Verona nei giorni scorsi. Eppure intorno al caso si è scatenato un polverone mediatico e politico di proporzioni colossali, come se si trattasse di un episodio straordinario e del tutto inusuale. E sebbene la polizia abbia chiarito fin da subito che le motivazioni di questo brutale e assurdo omicidio non siano in alcun modo di matrice politica, i collegamenti degli assassini con ambienti della destra radicale sono bastati a generare il consueto squallido teatrino di strumentalizzazione politica della vicenda e a paventare da parte dei media una nuova stagione di violenze politiche sulla falsariga di quelle vissute negli anni ’60 e ’70. A tali rilievi gli ambienti di destra, più o meno “estrema”, hanno replicato accusando la sinistra di non voler accettare la sconfitta politica e di inventare pericoli inesistenti per delegittimare e criminalizzare i propri avversari. Cercando di superare la nausea che ci provocano queste vuote chiacchiere fatte sul cadavere ancora caldo di un innocente, a noi sembra che – anche questa volta – il punto della questione vada ben oltre la strumentalizzazione dell’episodio nell’ottica dell’ammuffita contrapposizione “destra-sinistra”. La campagna mediatica sollevata intorno al caso Tommasoli non gioverà a qualche fazione politica, ma solo al sistema nel suo complesso. Dopo anni di chiacchiere sulla necessità di eliminare le ali estreme dello schieramento politico, accusate di provocare l’ingovernabilità del Paese e di propugnare tesi politiche vetuste ed inaccettabili, siamo reduci da elezioni che hanno sancito la fine della rappresentanza parlamentare di tali forze (che poi in realtà esse fossero antagoniste solo a parole, questo è un altro discorso). L’americanizzazione del sistema politico italiano si è così quasi completata, sancendo la presenza esclusiva di due schieramenti diversi soltanto nell’etichetta ma identici nella sostanza, rappresentativi del pensiero unico liberal/liberista e di una fetta minoritaria della popolazione. Di fronte al dubbio, da più parti sollevato, che questo non sia un sistema che garantisce effettiva democraticità, il sistema stesso ha risposto da par suo. Non vi piace la palude conformista veltron/berlusconiana? Guardate quali sono le alternative: pericolosi estremismi forieri di violenza. Non stare con noi nella grande casa del pensiero unico significa essere dei qualunquisti, dei fautori dell’antipolitica, addirittura degli eversivi. Insomma: o noi o il baratro. In un passato neppure troppo lontano il Potere dovette ricorrere alla cosiddetta strategia della tensione per tutelarsi da pericolose spinte centrifughe. Per ora non siamo ancora arrivati a quei livelli, ma episodi come il clamore sollevato intorno al caso di Verona potrebbero essere solo l’antipasto di quello che verrà, un tentativo più soft di fermare con gli strumenti mediatici le richieste di cambiamento creando contrapposizioni fittizie ed inventandosi rischi che non esistono. Qualcuno ha visto nel caso Tommasoli il segnale di un nuovo pericolo fascista, noi invece crediamo che la sua enfatizzazione e strumentalizzazione nasconda invece manovre autoritarie ben più subdole e attuali: non la tirannia del manganello, ma quella dell’omologazione. Andrea Marcon
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6 maggio 2008 La sfera della libertà privata è un recinto che lo Stato dovrebbe toccare il meno possibile. Ma la privacy, quando diventa pretesto per coprire insopportabili situazioni di sfregio alla giustizia sociale, può essere un argomento che giustifica privilegi e zone d'ombra a cui il semplice cittadino, trattato da bue fesso da coloro che ne godono, ha il diritto di ribellarsi. Il caso degli elenchi dei redditi messi on line dall'Agenzia delle Entrate fa parte di quelle indignazioni false e pelose a cui la nostra classe dirigente ci ha abituato. Si dice: che bisogno c'era di renderli pubblici su internet, quando essi sono liberamente consultabili nei Comuni? Ora, a parte il fatto che la Rete - di cui noi non siamo fan ideologici, ma più modestamente e pragmaticamente utilizzatori - è destinata a diventare ogni giorno di più la piazza parallela dell'agorà pubblica, la differenza ha mandato in bestia certi difensori d'ufficio dell'establishment perchè evidentemente ne ha punzecchiato la coda di paglia. Ci sarà pure dell'insano voyeurismo nell'affannarsi a scaricare questi cataloghi di cifre che fanno i conti in tasca al vicino di casa, ma la reazione scomposta di molti (anche di Beppe Grillo, che da genovese duro e puro in fatto di soldi, questa volta ha toppato alla grande unendosi al coro) a noi pare dovuta a un unico e semplice fatto: si va a tastare il punto dolens dell'ipocrisia nazionale, l'evasione fiscale. Intendiamoci: siamo convinti e arciconvinti che questo Stato-sanguisuga ci ammazza di tasse solo per tenere in piedi il baraccone totalitario delle banche, quindi, in linea di principio, uno sciopero fiscale sarebbe tutt'altro che un'idea peregrina. Ma un conto è una rivolta dettata dalla coscienza dello sfruttamento, un altro è la furbizia italiota di evadere il fisco condannando due volte coloro che sono costretti a versare fino all'ultimo centesimo perchè hanno la ritenuta alla fonte (cioè i lavoratori). Ecco, gli alti lai levatisi contro una semplice operazione di trasparenza, che rende più accessibile sapere se un conclamato riccastro dichiara come una colf facendosi beffe di noi tutti poveri idioti che le tasse le paghiamo, sono l'ennesima dimostrazione di come l'Italia sia il Paese del doppio diritto e della doppia morale: una per quei ricchi e potenti che la fanno franca, e una per gli scemi che ancora s'illudono che pagare le tasse sia un dovere. Alessio Mannino
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5 maggio 2008 «L'America è quello che è, ossia l'ultima e l'unica superpotenza, e lo è di gran lunga. Dunque, se l'unica ed ultima superpotenza è posta davanti ad un interesse che ritiene nazionale o vitale - in merito all'Iraq, possiamo discutere se ha individuato bene o meno gli interessi, ma io credo di no - certamente essa deciderà unilateralmente. Non è questo che mi scandalizza...». Franco Venturini, editorialista del Corriere della Sera, 13 maggio 2004, intervento presso la Fondazione Camera dei Deputati. «È innegabile che i valori democratici, del libero mercato e dei diritti civili sono in pericolo dinanzi a tutte le conseguenze che questa Terza Guerra mondiale derivata dalla guerra del terrorismo ha scatenato, a partire dall'11 settembre, data che assumiamo come la più grave, dunque simbolica». Mario Pirani, editorialista di Repubblica, 13 maggio 2004, intervento presso la Fondazione Camera dei Deputati. «Ma l'Afghanistan, diversamente dall'Iraq, è una guerra al terrorismo collettiva sin dalle origini e legittimata dopo l'Onu anche dalle dichiarazioni di Al Qaeda. In quella Kabul dove ieri Karzai ha sfiorato la morte è in gioco il concetto stesso di Occidente, e per questo lì l'Occidente non può perdere. Il che non gli impedisce di essere lontano della vittoria». Franco Venturini, Corriere Della Sera del 28 aprile 2008. Ho citato alcuni passaggi usciti dalla penna di Mario Pirani e Franco Venturini. Due opinionisti che certamente non si possono tacciare di posizioni neocon all'italiana (risparmio pertanto le ilarità del professor Massimo Teodori). Eppure. Anche dall'intervento di due penne così prestigiose emerge una ipocrisia concettuale di fondo del sistema dei media italiani, che solo raramente ospita voci fuori dal coro. L'architrave ideologica che sorregge la trimurti "libero mercato, consumismo, democrazia rappresentativa" che ha negli Stati Uniti una delle punte di lancia non viene mai messa in discussione. Come se si trattasse di un dato aprioristico. La tenuta del mondo cosiddetto occidentale non è certo in questi anni messa in discussione dagli attentati dei fondamentalisti islamici (alcuni dei quali sono stati eterodiretti dalle stesse potenze occidentali). Ad essere in bilico è la capacità degli Stati Uniti e dei loro alleati nani di mettere al sicuro le fonti di approvvigionamento petrolifero (quelle estrattivamente vantaggiose). L'obiettivo è doppio. Uno, cercare di tenere a stecchetto la Cina, per tenere a bada la crescita della nuova superpotenza. Due, sperare (in una utopia alla rovescia per me deleteria) di prolungare il più possibile il modello 'produci consuma crepa' che è ormai il credo senza credo del turbocapitalismo bancario e globalizzato oggi imperante. Così la lotta al terrorismo e la sopravvivenza dell'Occidente sono divenuti la cortina fumogena per permettere a pochi profittatori di sbranarsi gli ultimi brandelli prima che la barca affondi. Se si continua così c'è il rischio che al momento della tragedia l'unica differenza sarà tra chi muore con la pancia piena e chi muore a digiuno. E purtroppo l'avanzata dei colossi indiano e cinese non cambierà molto le cose visto che le loro leadership hanno da tempo abbracciato la ideologia dello sviluppo a tutti costi. Ultima postilla. Dov'era Venturini nel 2004 quando già in molti cominciavano a parlare della crisi finanziaria americana? Ogli gli Usa si tengono in piedi grazie ai debiti contratti col resto del mondo. Che cosa succederebbe se qualche big mondiale decidesse di abbandonare la zavorra Usa? Marco Milioni
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4 maggio 2008 Molto probabilmente, più della metà dei cittadini di Roma, precisamente il 53,6 per cento dei votanti alle scorse elezioni comunali che hanno scelto Gianni Alemanno come sindaco, stanno andando incontro a una delusione. Beninteso, qualche cambiamento rispetto ai tanti anni scorsi nei quali a governare la città è stato un sindaco di centrosinistra ci sarà. Il fatto è che per quanti cambiamenti ci potranno essere, pensiamo (forse) nei temi di sicurezza e in quelli di edilizia sociale tanto sbandierati dall'esponente di An, ciò che non cambierà certamente saranno i meccanismi di fare politica. Tali meccanismi saranno sempre quelli clientelari, e a una lobby di aziende, appalti e incarichi se ne sostituirà un'altra. Roma è stata governata per tanto tempo dal radical-chicchismo sinistrorso, e alle strisce blu di Rutelli (gestite da una azienda con vicinanza - per usare un eufemismo - della moglie Barbara Palombelli) sono seguite tutta una serie di scelte politiche, soprattutto con Veltroni, che non hanno fatto altro che realizzare un mega spot elettorale, durato tanti anni, per l'ascesa dell'attuale premier del centrosinistra alla ribalta che lo ha portato poi a vincere le primarie del Partito Democratico. I romani, insomma, mediante le tasse non hanno visto più di tanto ridurre i problemi della città, quelli veri, intendiamo, quanto realizzare tutta una serie di cose che se da un lato hanno fatto secondariamente percepire Roma come una città viva e piena di iniziative, direttamente sono servite invece proprio come biglietto da visita politico del precedente sindaco. A spese dei residenti. Così come a spese dei contribuenti sono state effettuate queste inaspettate e ingiuste nuove elezioni. Il discorso è semplice: le elezioni hanno un costo diretto per i cittadini. Il precedente sindaco, eletto mediante elezioni, era stato scelto e incaricato dai romani a governare la capitale. A un certo punto, lo stesso sindaco "decide" di lasciare l'incarico per correre come premier del Partito Democratico alle elezioni nazionali. Il che ha comportato la "necessità" di fare nuove elezioni. Con nuovi costi. Sempre a carico dei contribuenti. La cosa non è di poco conto e pochi la hanno rilevata. Per quale motivo i cittadini hanno dovuto sobbarcarsi il peso economico di nuove elezioni? È giusto che per una scelta di Veltroni, il quale a un certo punto del suo mandato decide che non vuole più fare il sindaco ma presentarsi come premier alla guida del paese, si imponga di dover andare a nuove elezioni comunali e sostenere nuovi costi? Torniamo ad Alemanno, che non è affatto il nuovo, l'alternativa, il ricambio del modo di gestire la cosa pubblica. Ma semplicemente un esponente in tutto e per tutto in continuità con il classico sistema politico che governa il nostro paese. Alemanno ha vinto perché Rutelli era impresentabile. Perché Rutelli impersonifica il classico mondo politico che era arrivato a nausea. Ma Alemanno proviene esattamente dallo stesso metodo. Può cambiare lo stile, può suscitare interesse il cambio di segno politico al Campidoglio, possono essere sostenute maggiormente alcune classi e lobby di Roma al posto delle altre di prima, ma la sostanza non cambia: non vi sono visione né metodi nuovi di interpretare la gestione della cosa pubblica perché l'ascesa di Alemanno è in diretta continuità con quella di tanti altri esponenti politici del sistema malato che blocca l'intero Paese, dal locale al nazionale. Certo, l'esercizio di un governo locale può aiutare il politico nell'effettuare qualche scelta in avanti rispetto alle beghe parlamentari nazionali, ma un sindaco, oggi e ovunque, non bada poi molto alla sua funzione del momento, quanto alla prospettiva futura, che volge imprescindibilmente dal Comune al Parlamento. Mediante gli stessi identici metodi. Valerio Lo Monaco
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1 maggio 2008 Se come Nietzsche scrisse "i tre quarti della vita di un uomo non sono liberi dal lavoro, quell’uomo è uno schiavo", ergo oggi dovremmo dedurne che la schiavitù del lavoro si è diffusa a macchia d’olio, dal bracciante agricolo calabrese al “cummenda” milanese. Tutto ciò grazie al modello paranoico della crescita esponenziale, che si legittima con il mito del Lavoro, di derivazione tanto liberale quanto marxista-sindacalista. Un valore assunto in modo acritico da tutti. E' talmente pervasivo che l’attività lavorativa diventa il perno non solo dell’economia ma dell’intera esistenza degli individui. Il lavaggio del cervello parte fin dalla giovane età nelle scuole e università, con la strumentalizzazione della cultura a fini propedeutici all’ingresso nel gregge dei produttori-consumatori. Già tempo addietro questi paradossi erano chiari ad alcuni critici, ma la risposta si indirizzò non verso un capovolgimento radicale bensì verso un re-indirizzamento ideologico che mantenendo il mito del lavoro lo usasse in chiave di lotta di classe, eludendo il problema centrale: il lavoro così come concepito da dopo la rivoluzione industriale altro non è se non una schiavitù, perchè ci priva della vera ricchezza della vita: il tempo. Oggi in occasione della retorica celebrazione del Primo Maggio ci chiediamo: cadute le vestuste ideologie del secolo scorso, ha ancora senso questa festa? Questa ricorrenza nata dalle lotte operaie ottocentesche poteva, infatti, avere un senso in passato, in quanto si opponeva a un certo modello di sfruttamento. Ma oggi questo modello è profondamente cambiato e le ideologie che erano alla base di quelle lotte sono tramontate. Quello che servirebbe oggi non è una festa del lavoro ma una festa di liberazione dal lavoro. Liberazione dal lavoro parcellizzato e alienante dei call-center; liberazione dal lavoro pesante e mal pagato cui son sottoposti decine di migliaia d’immigrati ed emigrati italiani dal sud; liberazione dall’obbligo del lavoro fino a età improbabili come quelle proposte dalle nuove riforme pensionistiche. Questo Primo Maggio potrebbe servirci come stimolo per ripensare davvero in maniera critica i fondamenti del nostro vivere, ma sappiamo bene che questo non avverrà e saremmo soffocati un'altra volta dalle canzonette retoriche e dalle barzellette della kermesse del concerto romano. E intanto la pernacchia di felliniana memoria continua a rimbombare nelle orecchie dei lavoratori. Alberto Cossu Nicola Granella
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30 aprile 2008 E' on line il sedicesimo numero stampabile di MZ – Il Giornale del Ribelle. Potete liberamente scaricarlo cliccando in alto a destra, dove vedete scritto MZ Download. Perché una versione cartacea del blog? Per diffonderne i contenuti col vecchio ma imbattibile sistema della distribuzione a mano, faccia a faccia, porta a porta, nelle biblioteche, nelle università, nel luogo di lavoro, col volantinaggio in strada. Fate quante più copie potete, rilegate con una semplice graffettatrice, e distribuite. In questo numero, l'intervista (ripresa dalla ottima rivista Il Consapevole) a Marco Della Luna, autore di Euroschiavi e di altri libri di grande valore, sulla sua ultima fatica: "Basta con questa Italia!", Arianna editrice. Un'opera che consigliamo a tutti di leggere.
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