3 dicembre 2007 E’ on line il settimo numero stampabile di MZ – Il giornale del Ribelle. Potete liberamente scaricarlo cliccando in alto a destra, dove vedete scritto MZ Download. Perché una versione cartacea del blog? Per diffonderne i contenuti col vecchio ma imbattibile sistema della distribuzione a mano, faccia a faccia, porta a porta, nelle biblioteche, nelle università, nel luogo di lavoro, col volantinaggio in strada. Fate quante più copie potete (attenzione a stampare in fronte/retro: pagg 1-2 e pagg 3-4), rilegate con una semplice graffettatrice, e distribuite. In questo numero, in particolare, segnaliamo l'editoriale di Andrea Marcon sull'Afghanistan (che potete leggere anche qui sotto), in cui si ribadisce che Movimento Zero difende il diritto del popolo afghano di difendersi dall'occupazione straniera; e il bell'articolo di Ida Magli, antropologa fondatrice dell'associazione "Italiani Liberi", su veri e falsi problemi della politica italiana. Buona lettura. Noi stiamo coi Talebani Lo gridiamo ancora, anche dopo che la polizia ha sequestrato alla manifestazione di Roma del 9 giugno scorso il nostro striscione che riportava questa frase. Stiamo con i Talebani. Il che non significa che ne condividiamo le idee; a noi non piacciono gli integralisti, di qualunque tipo e colore: né i crociati neocon né i fanatici del Corano. Tantomeno ci piacciono coloro che, fosse anche per difendere il più nobile degli ideali, colpiscono deliberatamente la popolazione civile. Che è esattamente quanto fa la Nato, in Afghanistan come altrove (di colpire i civili, non di difendere nobili ideali) ma che avremmo voluto non facessero pure i Talebani, anche se è evidente che colpire un nemico che si rifiuta vigliaccamente di scendere sul campo di battaglia e uccide con le sue bombe da migliaia di chilometri di distanza finisce col rendere inevitabile il ricorso a strategie terroristiche. Non ci piacciono insomma i Talebani in quanto tali, ma sappiamo ancora distinguere tra invasori e resistenti e crediamo fermamente al principio di autodeterminazione dei popoli. E tra gli invasori degli stessi afghani, ovviamente per il loro bene, c’è purtroppo anche il governo italiano: sì, il governo, perché è assodato che la stragrande maggioranza degli italiani è contraria a questa guerra, così come lo era a quella contro l’Iraq. Ma si sa, la volontà popolare non conta nulla in questa paradossale democrazia, per non parlare della Costituzione e del suo articolo 11 (“L’Italia ripudia la guerra etc. etc….”). Ci vengono a dire che noi non siamo lì per combattere ma per “aiutare la popolazione civile, per costruire scuole, ponti, ospedali…”. Le solite parole con le quali si è sempre cercato di giustificare secoli di colonizzazioni. Troviamo molto meno ipocrite quelle di Kari Yusuf Ahmadi, portavoce dei Talebani: “Non ci interessa se gli italiani distribuiscono elemosine o sparano. Sono alleati degli americani e quindi invasori. Se ne devono andare. Prima lo capiscono e meglio sarà per loro». Minacce che suonano sinistre e da tenere in seria considerazione, visto che i Talebani controllano ormai la stragrande maggioranza dell’Afghanistan e stanno stringendo il loro cerchio intorno a Kabul. Noi aspettiamo, sicuri che se questa missione si rivelerà un’ecatombe per l’esercito italiano (ovviamente non ce lo auguriamo), coloro che adesso nascondono la testa nella sabbia e continuano a votare il rifinanziamento della missione medesima saranno i primi a strillare che questa guerra è stata un tragico errore e che “noi lo avevamo detto”. Miserabili, voi per i quali la permanenza in carica del governo Prodi e il compimento del periodo per la maturazione della vostra pensione da parlamentare valgono di più della vita di migliaia di afgani e di decine di soldati italiani. Noi stiamo con i Talebani, ma la morte di Paladini e quella di tanti altri innocenti ricadono e ricadranno tutte sulle vostre coscienze. Andrea Marcon
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Liberalizzare non è la soluzione |
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3 dicembre 2007 Scioperi, proteste, blocchi, marce. Le categorie di lavoro in Italia sono perennemente sul piede di guerra contro lo Stato e le scelte del governo. Di qualsiasi governo. Perché dovendo questa nostra Italietta ostaggio dei banchieri portare il peso asfissiante e del tutto artificiale dell’immenso debito pubblico, c’è una carenza strutturale di soldi per questo o quel gruppo sociale. Perciò un giorno sono gli operai, un’altro gli addetti ai trasporti, un altro ancora i poliziotti e via via tutti, sistematicamente tutti. E qual è la formuletta magica che sia Destra che Sinistra fanno a gara per meglio recitare in omaggio all’ideologia unica cara alla finanza e alle grandi imprese (assistite)? Liberalizzazioni, of course! Prendiamo un caso controverso come quello dei tassisti romani, che hanno, con arroganza proditoria, azzerato il servizio taxi nella capitale per due giorni (arrivando a tirar fuori a forza dalle auto i colleghi non “allineati”). A far scoppiare ancora una volta la rabbia tassinara è stata la decisione del sindaco Walter Nutella Veltroni, radioso futuro della Dc di sinistra altrimenti nota come Pd, di aumentare le licenze di 500 unità. Un gesto provocatorio: Veltroni sapeva benissimo quale sarebbe stata la reazione. Dai corridoi della politica giunge la voce che l’abbia fatta poco proprio dopo il colloquio con Gianfranco Fini, referente politico di buona parte della lobby dei taxi, per lanciare un segnale del tipo: attenzione, Gianfra’, se vuoi candidarti al Campidoglio come mio successore devi metterti d’accordo con me. E infatti, dopo la jacquerie giallo tassì, ha fatto retromarcia venendo a più miti consigli. I tassisti, intendiamoci, hanno poche o punte ragioni. Sono una di quelle corporazioni ricattatorie che, giustamente dal loro punto di vista, infestano una società polverizzata in tanti interessi che non si parlano fra loro perché manca il collante politico di una visione sociale e ideale che superi le contraddizioni fra lobby, ceti e classi. Ma qui sta il punto: la soluzione dominante, trasversale, è quella di allargare le contraddizioni liberalizzando a più non posso. E’ il consumatore a trarne beneficio, dicono i benpensanti liberali, i vari Bersani di turno. Ma quando mai. Se si fa terra bruciata di limiti e vincoli, come effetto si ottiene la formazione di cartelli, di oligopoli che alla lunga fanno alzare i prezzi del servizio e schiacciano i piccoli. E’ già avvenuto col commercio al dettaglio, dove ormai le grande catene la fanno da padrone. Quindi: da una parte le consorterie corporative non possono mettere in ginocchio una città o un Paese intero, ma d’altro canto non è distruggendo le realtà locali di mercato che il cittadino ci guadagna. La quadratura del cerchio sta in un rinnovato ruolo del pubblico, della politica come strumento di armonia e di controllo, nel commisurare i bisogni della popolazione con i legittimi interessi di categoria, usando il compasso dell’ambito locale. Ma dovremmo essere in un altro mondo. Il nostro mondo, quello che vogliamo. Alessio Mannino
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3 dicembre 2007 Che a Napoli ci sia una cattiva aria, non è un mistero per nessuno. Per questo il Comune (centrosinistra, Iervolino) è prontamente corso ai ripari: divieto di fumare nei luoghi pubblici in presenza di donne in stato di gravidanza e di bambini fino ai 12 anni. Era ora che si facesse qualcosa per migliorare la qualità dell’aria della città partenopea e che si tutelassero i minori. E noi che credevamo che a Napoli ci fosse il problema dei rifiuti. Poveri ingenui! Montagne di rifiuti per le strade, roghi di immondizia e amenità varie possono attendere. «Notevoli e gravi - ricorda l’assessore Nasti - sono i danni derivanti dal tabagismo, auspico che questa attenzione verso i bambini e le donne in gravidanza sia da apripista per iniziative analoghe in altri Comuni ma soprattutto induca a riflettere nel difficile rapporto tra fumatori e soggetti cosiddetti deboli». Ora, che si debbano tutelare i non fumatori dal fumo passivo è un pensiero salutare. Ci sembra il minimo, e lo diciamo da fumatori. La legge Sirchia, almeno per noi, ha una sua finalità positiva. Napoli, però, sommersa dalla “monnezza” che ostruisce strade intere, in mano alla camorra e alle ecomafie, in cui si costruisce a caso senza alcun piano regolatore, probabilmente ha bisogno di altro. Ma forse è proprio qui il punto: visto che Napoli sprofonda di giorno in giorno e non si vede il fondo, anzi, si scava sempre di più, bisogna distrarre l’attenzione dai problemi reali ed impellenti, di fronte a cui le istituzioni sono del tutto impotenti. Già da tempo non si parla più da tempo dei roghi e dei miasmi napoletani: se ne parlerà nuovamente solo quando ci lascerà la pelle qualcuno? La leghista Verona, poi, segue a ruota con il suo sceriffo antipanino: divieto di fumare nei parchi-gioco, anche se il sindaco Flavio Tosi rivendica la paternità dell’ordinanza: era in cantiere già da tempo, la stavano solo mettendo a punto. Nella città scaligera non sarà possibile fumare in 92 aree cittadine, aree dedicate al divertimento dei bambini. Tosi sostiene che sia necessario evitare che venga dato il cattivo esempio. Ma se il cattivo esempio viene dato proprio a partire da casa, a cosa serve imporre un divieto del genere? Cosa si dovrebbe allora fare? Estendere il divieto fino alle abitazioni private? Già in alcuni stati Usa, in Giappone e in Irlanda vigono leggi demenziali: qua non è permesso fumare per strada, là è proibito fumare nei propri appartamenti all’interno di certi condomini. Una psicotica caccia al fumatore che va al di là del buon senso, ma che va a limitare piccole e apparentemente insignificanti libertà e non va veramente a toccare – perlomeno nella nostra Italietta – gli interessi dei produttori di tabacco. Francesco Viaro
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29 novembre 2007 Conferenza di Annapolis sul Medioriente: “la pace sarà raggiunta entro un anno”, ha detto il suo promoter locale, George W. Bush, affiancato da quella guerrafondaia di Condoleeza Rice. In realtà a discutere di pace, a parte la Siria (che ha accettato per non incorrere in sanzioni) ed i soliti "amici" Emirati Arabi, sono stati esclusivamente il premier israeliano Olmert ed il presidente dell'Autorità Palestinese Abu Mazen. Cioè se n'è parlato a senso unico, escludendo i veri interlocutori. Alla conferenza è stata messa al bando Hamas, l'organizzazione definita "terroristica" dagli Usa che ha vinto democraticamente le elezioni legislative del 25 gennaio 2006 ed è tuttora a capo del governo palestinese nei territori occupati della Striscia. Che volete farci: gli Stati Uniti e l'Europa giudicano la democrazia un istituto valido solo quando vincono i loro amici. E soprattutto è stato escluso l’Iran di Ahmadinejad: altro governo eletto dal popolo, legittimo e sovrano. E infatti era questo lo scopo occulto del tavolo americano: isolare il nemico iraniano dai paesi arabi sunniti legati economicamente all'Occidente, perchè colpevole di non piegarsi al ricatto mondiale della santa alleanza Usa-Israele-Europa. Insomma è stata una messa in scena, buona per i fotografi ed i giornali, ma in nessun modo una soluzione ragionevole al sessantennale conflitto israelo-palestinese. Ma si capisce il perchè: fin dal 1976 gli Stati Uniti hanno bloccato il processo di pace, mettendo il veto su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che suggeriva la creazione di due stati sulla base dei confini internazionali (Linea Verde), che traeva spunto dalla precedente risoluzione n.242 del novembre 1967. Un nuovo compromesso è stato raggiunto alla conferenza di Taba, in Egitto, nel 2001, ma in quel caso a far saltare l'accordo fu il primo ministro israeliano Ehud Barak. E intanto milioni di palestinesi sono costretti a vivere come profughi, trattati da "stranieri in casa propria", asserragliati nei lager, divisi da un muro orribile, privati di luce, acqua ed assistenza sanitaria. Un vero genocidio, un nuovo Olocausto contemplato impunemente dagli Usa e dalla comunità internazionale. Si obietterà: il governo palestinese di Hamas non riconosce lo stato di Israele. In parte è falso, perchè i suoi leader hanno ripetutamente invocato la soluzione dei due stati, anche sulla stampa americana. E' comunque un movimento dal peso politico enorme, che ha operato a favore della popolazione nei territori occupati, prodigandosi per la costruzione di scuole, biblioteche, ospedali e servizi civili. Ma questo non sta bene dirlo. La verità ufficiale sancisce che ad Annapolis si farà la pace entro un anno. Ricordatevi di avvisare i palestinesi, però. Elia Banelli
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L'intolleranza è donna (purtroppo) |
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29 novembre 2007 La marcia di Roma contro la violenza alle donne dello scorso 24 novembre non riesce a non cadere nel cretinismo più becero, e come risultato naufraga sotto i colpi dei media. La rabbia neofemminista – per altro, nel merito, giustificata: stupri e angherie domestiche sono le più diffuse e criminali - ricade anche su chi potrebbe essere un valido alleato: l'uomo, il maschio. Prima vengono spediti fuori dal corteo alcuni uomini (la troupe di La7 è stata letteralmente cacciata perchè composta da maschi), forse rei di essere dei violentatori occulti; poi tocca alla forziste civettuole Prestigiacomo e Carfagna: accusate rispettivamente di fascismo e velinismo. La mannaia delle più scatenate colpisce anche le ministre buoniste Turco e Melandri. Si fanno anche distinzioni di colore e forma della vagina: alcune sono di destra o di sinistra, alcune fasciste, alcune da sfilata di moda; una sorta di razzismo venereo. Il neofemminismo è ancora senza mezzi termini, ma anche senza un chiaro progetto. Corteo e slogan duri, di quelli che non si sentivano dagli ultimi afflati degli anni ’70: la perfetta miscela per l'isolamento. Per esser chiari: che le donne non tollerino più i continui soprusi e violenze è una rivendicazione sacrosanta, ma a quanto pare il messaggio è chiaro: sarà un nuovo separatismo, ma di natura meno ideale. Diciamo squadristico e intollerante. La costruzione di una cultura del rispetto e della tutela delle donne va fatta coralmente, riappropriandosi insieme del rispetto della differenza fra Uomo e Donna. E’ una questione che riguarda tutti, poichè la riconquista del valore della donna potente e generatrice, passa anche per la distruzione del concetto di simulacro pubblicitario di donna affermata formato tailleur alla mercè dell’industria dell’immagine. E invece la giornata di sabato rischia di essere ricordata come un'imbarazzante cartolina del peggior veterofemminismo. Antonello Molella
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