7 febbraio 2008 Pubblichiamo una riflessione sul tema della collaborazione fra forze anti-sistema (o semplicemente vicine nell'opposizione alla partitocrazia) inviataci dallo scrittore Marco Cedolin. Divide et impera L’unica vera novità di questi ultimi anni dal punto di vista politico e sociale è costituita dalla ritrovata capacità dei cittadini di aggregarsi ed organizzarsi in maniera trasversale, facendo cadere in questo modo molte barriere precostituite ed iniziando ad intaccare l’egemonia culturale dei partiti politici che da sempre lavorano per acuire le differenze ed ottenere un popolo diviso che risulti assolutamente inoffensivo e ben disposto a subire con supina accettazione qualunque decisione “il partito” proponga come giusta ed inoppugnabile. L’acquisizione di nuove conoscenze ed il maturare di altrettanto nuove consapevolezze hanno prodotto la nascita di movimenti e comitati di cittadini (i movimenti No Tav e No Dal Molin sono gli esempi più eclatanti, ma in Italia ormai si contano a centinaia) politicamente trasversali che portano avanti in maniera autonoma lotte localistiche anche di ampio respiro, sottraendosi al controllo dei partiti e guardando con attenzione sempre crescente alle prospettive di nuovi modelli politici e sociali quali la democrazia diretta e la decrescita. Contemporaneamente a queste realtà di lotta sul territorio, alcuni movimenti culturali, politici e di pensiero, quando non semplicemente singoli personaggi (scrittori, filosofi, giornalisti) hanno intrapreso strade per molti versi parallele arrivando a concepire modelli politici, sociali e culturali antitetici a quello attuale e totalmente estranei alle logiche di etichette anacronistiche e stantie quali destra/sinistra che da ormai 60 anni ingabbiano la sensibilità del popolo italiano per ingrassare a dismisura le “casse” dei partiti politici. I Meet Up di Beppe Grillo balzati all’onore delle cronache dopo il V-day dell’8 settembre, il Movimento per la decrescita felice di Maurizio Pallante, Movimento Zero di Massimo Fini, Repubblica dei cittadini di Elio Veltri ed Oliviero Beha, ma anche Megachip di Giulietto Chiesa ed il lavoro di giornalisti che a vario titolo ed in varia misura si pongono fuori dalle pieghe del sistema come Marco Travaglio, sono tutte realtà che propongono qualcosa di nuovo contrapponendosi in tutto o in parte al modello sociale, culturale, politico ed economico dominante. Sono in molti ormai a domandarsi se questi soggetti saranno in grado d’incidere sulla realtà del nostro Paese o semplicemente si tratta di fuochi fatui destinati a restare elementi marginali che finiranno per dissolversi minati dalla loro stessa marginalità. Nessuno per ovvie ragioni è in grado di dare oggi questa risposta, ma appare evidente che molto dipenderà dalla capacità degli stessi d’interagire fra loro, trovando dei minimi comuni denominatori che consentano di percorrere insieme dei tratti di strada, condividere alcune battaglie, fare delle differenze un valore aggiunto da vivere nel libero confronto e non dei muri all’interno dei quali isolarsi. Se tutte o parte di queste realtà sapranno fare emergere le consonanze di pensiero e prospettiva che indubbiamente esistono fra molti di loro, probabilmente fra qualche anno potremo raccontare che veramente è nato qualcosa di nuovo, in caso contrario una volta di più avrà vinto la logica del “dividi et impera” tanto cara ai partiti politici sempre pronti a fagocitare ogni novità. Marco Cedolin
|
|
Napolitano e le tre sanguisughe |
|
|
|
6 febbraio 2008
Il Presidente della cosiddetta Repubblica, Giorgio Napolitano, vive sulla Luna. Per lui l'inondazione di spazzatura in cui affoga la Campania è un "allarme esagerato". Per lui va salvaguardato il dialogo fra i poli. Per lui l'Italia è ancora uno Stato. Per lui, che oggi ha sciolto il parlamento, esiste ancora una Costituzione, con una sovranità che spetterebbe al popolo (sì, buonanotte). Votare, il 13-14 aprile, non servirà a un bel niente. Perchè noi sudditi siamo e sudditi resteremo. Ridiventeremo cittadini solo quando avremo dato un calcio in culo a una classe parassitaria che signoreggia sui nostri soldi (banche), sui nostri diritti (partiti), sulla nostra coscienza (televisione e media). Questi sono le tre sanguisughe di cui liberarci. Una nuova Liberazione. Una vera Liberazione. Prepariamoci. (a.m.)
|
|
4 febbraio 2008 Il governo delle riforme è abortito prima di nascere. Franco Marini, il lupo marsicano della partitocrazia democristiana, non ce l'ha fatta. Le Camere del Pio Albergo Trivulzio parlamentare saranno sciolte e si andrà a ripetere la messa in croce, pardon in crocetta (elettorale), del popolo mediante le elezioni. Rito sommamente non democratico. E non tanto, non solo, non perchè le liste dei candidati siano bloccate, decise a tavolino dai partiti-mafie. Quando mai le liste le hanno redatte gli elettori? La porcata non sta nel Porcellum. La porcata è nel sistema rappresentativo, che rappresenta soltanto, e da sempre, i cooptati dai partiti, a loro volta marionette di banche, cordate industriali e interessi forti vari. Parlano di riforme. Ma quali riforme possono essere valide, in un organismo dissanguato dalla gigantesca presa in giro della nostra cosiddetta democrazia? Va cambiato tutto, da cima a fondo. Un referendum non ci salverà. Le elezioni, meno che meno. La resistenza passa dal rifiuto. Rifiutiamo la monnezza dei partiti. Di tutti i partiti. Tiriamo lo sciacquone del Grande Cesso. (a.m.) I compagnucci della parrocchietta riformista La parola d’ordine, tra le macerie centro-sinistrose è una sola: bisogna attuare le riforme. Estremo miracolo della sintesi del simulacro mancino, dalle 280 pagine deliranti del Programma del 2006, vero e proprio caso clinico ad un unico perentorio punto... Il sottoscritto, però, deve ammettere la sua totale ignoranza politica: non ha cioè la minima idea di cosa siano, queste benedette riforme... Il silenzio–assenso supino dei giornalai al seguito lo conforta in questa sua ipotesi: discorsi “tecnici”, da “addetti ai lavori”, mica roba da cittadino comune. O meglio, una di queste riforme così inderogabili si conosce: è la famigerata “modifica” della legge elettorale. Una sorta di questione “totemica”. Ci dicono che da lì tutto dipende, crisi di governo, ingovernabilità, financo, forse, la propensione al delinquere parlamentare. I compagnucci della parrocchietta di sinistra hanno a cuore la cosiddetta “questione morale”. La priorità , come dice Veltroni, è "il bene del Paese”. “Il paese non vuole votare con questa legge”, ipse dixit. Peccato che questa legge sia particolarmente funzionale per una distribuzione “democratica” delle prebende clientelari e che quindi tanto vituperata non sia. Alberga nel sottoscritto una “vaga” impressione che questo amor di stato postumo voglia dissimulare il terrore di una debacle elettorale biblica... Ed il resto? A me sembrava che i compagnucci, traghettati dal tondino di ferro anni Settanta all’ostensorio in rame del nuovo millennio, di “riforme” ne avessero fatte fin troppe in questi 11 anni, sette dei quali vissuti sotto la loro “supervisione”. Saccheggio totale e svendita al mercatino di Telecom, Enel, Ferrovie dello Stato, Sme, le fusioni stellari di banche di ogni tipo e pezzatura,i giochi di prestigio con le varie municipalizzate... La disintegrazione del tessuto produttivo manifatturiero italiano, il “merging” selvaggio, le cosiddette incorporazioni che hanno creato migliaia di disoccupati, la grande distribuzione francese e tedesca ma in realtà globalizzata che controlla, di fatto, la distribuzione ed ha azzerato il potere contrattuale dei lavoratori. Dulcis in fundo “la politica sociale” stile BCE, “lacrime e sangue”, che la sinistra più globalizzata e liberista d’Europa ha sposato in maniera acritica. Altro che deriva massimalista! Dall’altro canale di scarico, quello destrorso, poche idee e molto chiare, invece. Saccheggio delle case occupate dalla fazione avversa, pulizia etnica e “stupri” di massa, stile tigre Arkan. Poi un po’ di frattaglie “ad personam” un presidio geriatrico gratis, schede del digitale terrestre per tutti. Oltre al repulisti in rete, per levarci di torno questi rompicoglioni che continuano a farci le pulci, una bella “notte dei doppini”. Amen. Mauro Maggiora
|
|
3 febbraio 2008 E' on line l'undicesimo numero stampabile di MZ – Il Giornale del Ribelle. Potete liberamente scaricarlo cliccando in alto a destra, dove vedete scritto MZ Download. Perché una versione cartacea del blog? Per diffonderne i contenuti col vecchio ma imbattibile sistema della distribuzione a mano, faccia a faccia, porta a porta, nelle biblioteche, nelle università, nel luogo di lavoro, col volantinaggio in strada. Fate quante più copie potete, rilegate con una semplice graffettatrice, e distribuite.
|
|
La balla della controcultura |
|
|
|
3 febbraio 2008 Oggi sembra del tutto naturale l’esistenza dei “giovani” come parte a sé della società, con una propria moda, costume, gergo, cultura e stile di vita. Basterebbe fermarsi un attimo a riflettere per capire come questa non sia una tendenza sempre esistita, ma un fenomeno nato negli anni’50 del secolo scorso. Prima di allora, non esistevano una musica dei giovani e una dei vecchi, una moda giovane e una adulta (se non nelle convenzioni sociali e simboliche, ad esempio i pantaloncini che si imponevano di usare ai bambini), un gergo dei giovani e uno degli adulti, e tanto meno una cultura degli uni e una degli altri. Questo fenomeno, che si preparò per tutto l’800 con l’avvento della modernità, esplode negli Stati Uniti intorno agli anni ’50 - non a caso dopo la Seconda Guerra Mondiale - con la nascita del rock'n'roll, dei primi miti giovanili come Marlon Brando e James Dean, con la comparsa dei blue jeans e dei giubbotti in pelle. Cosa era successo? Semplice: per espandersi, il mercato aveva dovuto inventare una nuova categoria di consumatori provetti, facili alla persuasione pubblicitaria. Cosa poteva esserci di meglio che sfruttare il ribellismo tipicamente adolescenziale, nonchè le frustrazioni post belliche (frustrazioni in parte dovute alla mancanza di guerre: vedi Massimo Fini, Elogio della Guerra)? L’esca non mancò di fare abboccare le prede. Alla fine degli anni’60 la gioventù sembrò accorgersi della truffa e credette di poter utilizzare a suo vantaggio, se non dell’umanità intera, la "cultura giovanile": e venne il ’68. In realtà ben poco di buono né venne fuori, anzi si potrebbe parlare di eterogenesi dei fini: fu catastrofe per la cultura con C maiuscola. Innanzitutto fu sopravvalutata la musica come strumento di liberazione, quando nei fatti i dischi degli hippy erano per lo più prodotti da multinazionali che facevano il soldo sulle contestazioni (vedi Pink Floyd). La cultura prodotta fu nei fatti scadente: un esempio su tutti le vulgate filo-marxiste del periodo o gli esotismi da quattro soldi che si fermavano alla parte più esteriore delle culture orientali, di fatto usate a pretesto o mal comprese. Altra geniale “conquista” fu l’amore libero, che incentivò la disgregazione della famiglia e lo scadimento dei sentimenti in virtù di un’idolatria del corpo e delle sue presunte libertà (arbitrio e tirannia dell’Ego più basso, si veda Woodstock o le comunità hippy alla Huxley), o per citare lo scrittore Houellebecq: “il liberalismo sessuale è l’estensione del dominio della lotta a tutte le età della vita e a tutte le classi sociali”. Per carità, non che in questi movimenti giovanili non ci fosse del buono, ma a conti fatti oggi a cosa è servito tutto ciò se non a produrre con la scusa della ribellione una valanga d’ignoranza spacciata per controcultura e una nuova intolleranza e ostilità a tutto ciò che è tradizione? La mancata visita del Papa alla Sapienza ne è esempio della cronaca di questi ultimi giorni. Venne poi, alla fine degli anni ’70, la nascita del punk (sorvoliamo sul femminismo moderno, a nostro giudizio una delle pagine più tristi degli ultimi tempi). Se inizialmente il punk fu anche un movimento genuinamente antisistema (molta musica punk fu realmente autoprodotta e non inventata dall’industria discografica), esso ben presto si arenò non riuscendo a produrre nulla di veramente alternativo e cadendo anch’esso nelle mani dell’industria discografica e della moda eterodiretta. Fenomeni più recenti come le contestazioni legate a musiche nere come l’Hip hop, di antisistema hanno veramente ben poco: basta accendere la tv e vedere Mtv per capire come in realtà siano tutt’uno con ciò che all’inizio volevano criticare… Ora, non vogliamo certo mostrare simpatie con chi parallelamente a questi eventi intendeva contrastarli in modo nostalgico riferendosì in modo sterile alle “tradizioni” più disparate o a un recupero del tutto acritico del fascismo, vedasi Ordine Nuovo e compagni di merende, che oltre a qualche disordine e morto (come del resto hanno fatto anche le frange di sinistra) non hanno prodotto. Che oggi poi il periodo della giovinezza si sia allungato a dismisura travolgendo anche i fatti biologici, rientra nelle logiche del mercato. Poiché i giovani erano i migliori consumatori, quale strategia poteva essere migliore per incrementare i consumi, che convincere anche chi giovane non è più di esserlo ancora per stimolarlo a comportarsi da giovane e indurlo a consumare come essi? A conti fatti tutta questa smania della giovinezza, tutto questo fervore e riconoscimento della cosiddetta cultura o contro cultura giovanile, ad altro non serve che a perpetuare questo scellerato sistema. Alberto Cossu - Nicola Granella Riflessione interessante. E stimolante. Infatti diciamo la nostra, e invitiamo anche i nostri collaboratori e lettori a farlo. Condivisibilissima l'analisi di fondo: le subculture giovanili sono tutte, indistintamente, un prodotto artefatto o, nel migliore dei casi, strumentalizzazioni del sistema produttivo e consumistico. Su questo non possono esserci dubbi: il mercato si appropria di tutto perchè trasforma tutto in merce da vendere e comprare. Tutto, oggi, è business. Anche se lo si nega o lo si combatte, il meccanismo "spendi e godi" è ovunque. Giusta anche l'accenno alle genesi storica. I giovani sono una categoria creata a tavolino per un tempo ripiegato sulla vita automatizzata tipica dell'Occidente, quello successivo alle guerre e alla cultura esclusivamente "alta" (ma qui bisognerebbe citare anche il lavoro di demolizione compiuto, giudizi estetici a parte, dalle avanguardie e in generale dal clima nichilistico della cultura otto-novencentesca). Non saremmo però così drastici nel bocciare senza appello perlomeno la buona fede delle ribellioni giovanili della seconda metà del secolo passato. O, diciamo meglio: riconosciamogli, a questo continuo turbinìo di movimenti esistenziali, culturali, musicali ed estetici, l'attenuante del loro significato profondo. Che, secondo noi, è questo: il malessere genuino di chi non trova più sbocchi socialmente ammessi e culturalmente ritualizzati alla naturale ansia di cambiamento insita negli ormoni dell'età. Perciò, se oggi ci troviamo di fronte a un dark, a un punk, a un metallaro, a un rocker o a qualsiasi altro fan di uno stile "alternativo", non ci sentiamo di condannarlo. Claudio Risè, uno psicanalista junghiano fautore del recupero del "selvatico" (e del "padre", inteso nella sua accezione più larga, quindi anche collettiva, come autorità giusta e severa), sostiene che quei ragazzi che rivestono la propria identità pubblica dell'armamentario simbolico di certe subculture, cercano in realtà l'Ombra, ovvero la parte istintiva, caotica, sensuale, dionisiaca - qui non siamo d'accordo con l'anatema sull'idolatria del corpo, ma è un discoso che merita una trattazione a parte - che il nostro edonismo da spot pubblicitario ha represso spacciandosi da "liberazione" dei costumi. A maggior gloria (e profitto) di aziende e multinazionali del divertimento. C'è sicuramente del buono, quindi, in quelle ingenue contestazioni. Sempre meglio del nulla di oggi. Almeno qualcosa si muoveva. Oggi l'encefalogramma è drammaticamente piatto. E la vera tragedia sta proprio in quella patologica e perversa continuazione dell'adolescenza fino ai trent'anni e oltre: una micidiale miscela di comodità, passività, mammismo, regressione, casa&lavoro che sta sfibrando la vitalità di una generazione. Il fascismo non capiamo francamente cosa c'entri con il ragionamento, però. Così come non capiamo tutto questo agitarsi sui giornali per la commemorazione del '68. Basta, con questi stanchi riti dei decennali, dei ventennali e dei quarantennali! Del '68 MZ non si occuperà. Una rivolta fatta apposta da certi giovanotti che aspiravano a diventare classe dirigente: tutto qui. Le trasformazioni negli stili di vita si affermarono già prima, con l'industrializzazione di massa degli anni Cinquanta e con il consumismo generalizzato dei Sessanta. Meglio il punk, sicuramente. (a.m.)
|
|
|