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I tre porcellini PDF Stampa E-mail

9 Agosto 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 7-8-2022 (N.d.d.)

Il rapporto di Amnesty International che ha fatto tanto infuriare i trinariciuti nostrani alla fin fine è un quasi banale esercizio di giornalismo, quel giornalismo che così tanto manca alla narrazione della guerra nata dall’invasione russa dell’Ucraina. A differenza di quanto sostiene il presidente Zelensky, nel Rapporto non c’è alcun tentativo di “spostare le responsabilità” né di mettere sullo stesso piano in contendenti. Nel Rapporto, per esempio, si parla esplicitamente dell’uso di bombe a grappolo (vietate dal diritto internazionale) da parte della Russia, ed è solo un esempio. La vera colpa di questo Rapporto Amnesty è di graffiare l’immagine artificiale che i media occidentali hanno costruito di questa guerra, e che ha trovato la perfetta sintesi nel servizio di Vogue sui coniugi Zelensky: una guerra finta, patinata, dove il Paese aggredito, l’Ucraina, è popolato di eroi senza macchia e senza paura e il Paese aggressore, la Russia, di malfattori tanto vili quanto incapaci. Pensiamo alle cronache della guerra: per mesi ci è stato raccontato che l’esercito dell’Ucraina passava di vittoria in vittoria, fino al giorno in cui ci si è ritrovati con i russi in controllo del 20% del territorio ucraino. Idem con tutto il resto. Chi non ricorda “l’eroe” ucraino, il generale Zaluzhny, contrapposto al “macellaio” russo, il generale (poi vice ministro della Difesa) Dvornikov? L’eroe Zelensky con la maglietta da soldato contrapposto a Putin che molti, per settimane, hanno descritto malato e chiuso in un bunker?

E così via. La vera colpa del Rapporto di Amnesty è di rifiutare la trasformazione di una guerra in una favola, in una specie di tre porcellini e il lupo. Perché chi ha visto qualche guerra, come il sottoscritto che ha cominciato con la Cecenia nel 1994 e ha finito (forse) con la Siria degli anni scorsi, sa ciò che tutti coloro che hanno fatto queste esperienza sanno: sì, ci si nasconde dietro i civili, nella speranza che questo freni il nemico; sì, si spara anche dai centri abitati, da dietro i condomini, dai cortili, nella speranza di cogliere di sorpresa il nemico; sì, si spara al nemico anche sapendo che a essere colpiti potrebbero essere i civili dell’altra parte. Lo fanno tutti, in tutte le guerre. Perché il motto di chi combatte è: meglio loro di me. E non si vede proprio perché gli ucraini dovrebbero combattere in guanti bianchi di fronte a un avversario potente e senza guanti. Infatti non lo fanno per niente. Purtroppo a pontificare qua e là sono soprattutto quelli che parlano delle guerre senza mai averne vista una. Se non fosse così, saprebbero non solo che cos’è successo a Grozny nel 1999 (ceceni asserragliati tra le abitazioni, russi a sparare a tappeto) o ad Aleppo nel 2016 (idem), ma anche ciò che successe a Fallujah nel 2004 (islamisti nascosti tra la popolazione, esercito Usa a usare anche il napalm) o a Raqqa nel 2017 (Stato islamico mischiato ai civili, bombe Usa che fecero migliaia di morti civili). È la guerra del nostro secolo, quella in cui muoiono molti più civili che militari. Poi, certo, i tre porcellini…

Fulvio Scaglione

 
I partiti del dissenso colpevolmente disuniti PDF Stampa E-mail

8 Agosto 2022 

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 Da Comedonchisciotte del 5-8- 2022 (N.d.d.)

Rispettando le prerogative del ruolo che ricopre a tutela della Costituzione e dei principi in essa contenuti – tra cui il più importante: la sovranità appartiene al popolo – il nostro amato Presidente della Repubblica ha deciso di sciogliere le camere a metà luglio, consegnando a parte dell’estate la fase più calda del processo elettorale: la presentazione delle liste. Per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, gli italiani sono chiamati a votare a settembre, precisamente il 25. I partiti dovranno quindi fare tutto di fretta, mettere giù liste, scegliere gli alleati per chi si presenta in coalizione, raccogliere le firme (non tutti) e, ovviamente, nonostante sia quasi in disuso oramai confrontarsi con gli elettori, fare campagna elettorale per accaparrarsi i voti. La campagna elettorale per un po’ è stata un lontano ricordo, quasi come se ci volessero abituare anche alla mancanza del rapporto partiti-elettorato. Ciò anche grazie alle forze parlamentari, tutte unite in un governo di unità nazionale, presieduto da Draghi, che non rispondeva a nessuna volontà se non quella della UE e della NATO. Lui, ex banchiere, che mai ha partecipato alla corsa elettorale, messo a capo del governo per fare ciò che nessuno era in grado di fare: far avanzare a spron battuto l’agenda imposta dai poteri finanziari a prescindere dal consenso dei cittadini italiani. D’altronde chi non ha un partito non ha elettori di riferimento, e quindi non ha nessuno a cui dover dar conto sotto di lui (al massimo sopra di lui in questo caso).

Ci troviamo così a scrivere in un momento davvero concitato, dove alcune coalizioni non si sono ancora palesate, i rapporti di forza sono in fase di studio e c’è chi, a poco meno di un mese dalla presentazione delle liste, ancora è incerto sul da farsi. Prima di fare una panoramica politica e partitica, è importante capire bene l’attuale legge elettorale. La legge Rosato, detta anche Rosatellum, è entrata in vigore il 12 novembre 2017 in sostituzione delle precedenti leggi elettorali (Italicum e Porcellum) soggette a pronunce di incostituzionalità da parte della Corte, ed è stata utilizzata per la prima volta nelle elezioni del 2018. All’epoca, come vi ricordate, non ci fu nessun vincitore, nessun partito o coalizione riuscì ad ottenere la maggioranza per governare e, dopo vari tira e molla durati ben 80 giorni, nacque da un “contratto” tra M5S e Lega il primo governo Conte. Scendendo nel dettaglio del suo funzionamento, il Rosatellum è un mix di proporzionale e maggioritario che favorisce la nascita di coalizioni, con soglie di sbarramento al 3% per chi corre da solo e al 10% per chi corre in coalizione, con almeno una lista della coalizione sopra al 3%. Nello specifico, dopo il taglio dei parlamentari voluto dal 5 Stelle e raggiunto con la legge costituzionale del 19 ottobre 2020, circa due terzi dei seggi – il 61% – sono assegnati con criteri proporzionali in liste bloccate (245 alla Camera e 122 al Senato); il 37% dei seggi (147 alla Camera e 74 al senato) è assegnato in base al modello maggioritario in collegi uninominali e, infine, il restante 2% (8 alla Camera e 4 al Senato) è destinato al voto degli italiani all’estero, per i quali è previsto il voto di preferenza e non con liste bloccate. Nonostante il mix di proporzionale e maggioritario, per l’elettorato il voto si esprime quindi univocamente. All’interno della cabina si vota infatti la lista, e il voto è direttamente valido sia per l’assegnazione con metodo maggioritario (poiché va al candidato uninominale collegato a quella lista) sia per la parte proporzionale, visto che si vota la lista stessa. Se l’elettore invece vota solo il candidato nel collegio uninominale, ed esso è espressione di una coalizione, il voto è spalmato tra le diverse liste che lo sostengono. Per questo motivo, non è possibile il voto disgiunto. In particolare, non è possibile scegliere un candidato all’uninominale non collegato alla lista scelta per il proporzionale. Come dicevamo, questo metodo favorisce le coalizioni e ciò lo si intuisce soprattutto per la parte che riguarda i seggi assegnati con il maggioritario. I partiti uniti in coalizione faranno confluire i voti verso candidati forti scelti di comune accordo per aggiudicarsi il seggio, inoltre le liste che prendono tra l’1% e il 3% riversano i loro voti nelle altre liste coalizzate, voti che altrimenti andrebbero persi. Sotto l’1% invece, non si contano. I partiti che corrono da soli e non superano il 3% non prendono seggi.

Dato il marasma e la proliferazione dei partiti, è chiaro che lo scontro è soprattutto tra coalizioni. Ecco quindi che la grande alleanza Lega-Fratelli d’Italia-Forza Italia sembra essere in grado di imporsi, risultando l’avversario più forte da battere. In questa prospettiva, senza alleanze competitive dall’altro lato, la partita per l’assegnazione del 37% dei seggi potrebbe vedere un risultato scontato, portando l’Italia ad essere governata dalla destra dopo tanti anni. Per questo motivo, il PD sta cercando in tutti i modi nuovi amici e, in questa prospettiva, dopo aver dato vita alla lista “Democratici e Progressisti” insieme ad Articolo Uno di Speranza, è fresca l’alleanza con Azione/+Europa. Dopo giorni di discussioni sulle rispettive posizioni che devono essere tutelate, Letta, Calenda e Della Vedova hanno raggiunto un’intesa elettorale che riapre la corsa al governo. L’opera di costruzione portata avanti dal segretario del PD di un blocco più grande possibile per contrastare la destra – come dicevamo, la coalizione da battere – potrebbe aver spostato però troppo il PD verso una riconferma delle politiche draghiste ora che anche Calenda è parte del progetto, politiche avversate invece da Europa Verde e Sinistra Italiana, oggi più di prima incerte su come posizionarsi. Chi sicuramente non ha accolto con piacere la nuova alleanza PD-Azione/+Europa è Di Maio, che ha presentato in questi giorni il nuovo soggetto politico “Impegno Civico”, di cui è fondatore insieme all’ex presidente della Regione Lombardia Tabacci. Letta ha promesso infatti ai nuovi alleati che nessun segretario di partito e nessun fuoriuscito da Forza Italia e M5S potrà essere candidato nei collegi uninominali, dove invece Di Maio sperava di posizionarsi se ad apparentarsi con il PD fosse stato lui prima degli altri. Stando così le cose, il progetto di Di Maio rischia di naufragare pochi giorni dopo la sua nascita. Conscio che il suo partitino difficilmente potrà superare il 3% se corre da solo, l’unica via d’uscita oggi è accettare l’offerta del PD: candidarsi nei collegi assegnati con il proporzionale sotto l’insegna Democratici e Progressisti. Così potrebbe assicurarsi un posticino nel prossimo Parlamento, mentre non sarà così semplice per coloro che lo hanno seguito fuoriuscendo dal M5S. Anche Renzi è stato tagliato fuori dall’apparentamento Letta-Calenda, che ha visto tramontare così il sogno del cd. Terzo Polo. Da quanto ci raccontano, il PD non ha fatto pervenire alcun’offerta di alleanza all’ex Presidente del Consiglio, che pare sia abbastanza sicuro di potercela fare anche correndo da solo, vedremo. Renzi ci ha dimostrato di avere nove vite come i gatti e difficilmente rinuncerà ad entrare in Parlamento. Il M5S, nel frattempo, con i consensi che viaggiano intorno al 10%, sembra un pesce fuor d’acqua senza amici e senza alleati, eppure Conte si mostra sicuro che possano essere loro la vera sorpresa di questa elezione estiva… convinto lui! Probabilmente sta soltanto cercando di ricostruire la fiducia dell’elettorato. Stesso discorso per la coalizione “Unione popolare “, nata dalla convergenza di Potere al popolo, Dema (il movimento dell’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris), Rifondazione comunista e la componente parlamentare di ManifestA. Nonostante si considerino gli unici veri oppositori del governo Draghi, e per questo forse vorrebbero che li ponessimo nel capoverso successivo – quello riguardante i partiti “del dissenso” – in realtà, proprio come tutti gli altri, sulla pandemia hanno totalmente piegato la testa ubbidendo ai diktat imposti.

Se il quadro quindi è abbastanza chiaro tra i partiti “del consenso”, il discorso non è molto diverso quando si passa ad analizzare la situazione dei partiti “del dissenso”, oggi incredibilmente disuniti nonostante l’alta posta in gioco. Dopo essersi punzecchiati vicendevolmente per mesi e mesi, i leader di questi partiti, ora che sono stati chiamati ad assolvere al ruolo di vera opposizione, non sono riusciti a essere all’altezza del momento storico, frastagliandosi piuttosto che compattandosi in un’unica grande coalizione, che avrebbe potuto avere una speranza non solo di entrare in Parlamento, ma anche di imporsi conquistando una buona fetta di seggi... Insomma, la vera sorpresa potevano essere loro, andando oltre anche le antipatie caratteriali, ma purtroppo non sarà così. Al momento il panorama che abbiamo sotto i nostri occhi vede presenti quattro coalizioni: VITA, fondata da R2020 (Cunial-Barillari), No Paura Day (Sensini), 3V (Teodori), Alleanza Italiana Stop 5G (Martucci) e Sentinelle della Costituzione (Avv. Polacco); ITALIA SOVRANA E POPOLARE, che riunisce Ancora Italia (Toscano), Partito Comunista (Rizzo), Riconquistare l’Italia (D’Andrea), Azione Civile (Ingroia), Italia Unita (Nappi) e Comitati No Draghi; ALTERNATIVA PER L’ITALIA, che vede insieme Il popolo della Famiglia (Adinolfi) e Movimento Exit (Di Stefano); Il matrimonio tra Italexit (Paragone) e Alternativa (Cabras). Poi abbiamo quelle forze che non sono state volute da nessuna coalizione o, molto più semplicemente, hanno preferito correre da sole come: UCDL: Unione per le cure, i diritti e le libertà, fondata da Erich Grimaldi; Forza del Popolo, fondata da Massimiliano Musso.

Un totale di sei realtà che si sono auto-attribuite la rappresentanza del dissenso dei cittadini, dimostrando attraverso le azioni e i programmi elettorali la contrarietà alle posizioni assunte da Conte prima e Draghi poi, hanno deciso quindi di presentarsi a questa tornata elettorale. Tra queste, secondo i sondaggi, la più forte e favorita risulta quella costruita da Toscano, Rizzo e gli altri. Subito dopo quella di 3V e Sara Cunial, diventata la paladina no green pass dell’ultima legislatura; da non dimenticare, per la coalizione di Cabras e Paragone, il sostegno al governo Conte durante i primi mesi di pandemia. Tutte queste formazioni “anti sistema”, come d’altronde avevamo accennato prima parlando di Unione Popolare, non sono sicure di poter presentare le liste in tempo per poter essere presenti sulla scheda elettorale.

Una delle macchie più grandi di queste elezioni riguarda infatti la disuguaglianza tra i partiti e partitini che non devono raccogliere le firme per presentare le liste e quelli che invece (e guarda caso sono le realtà “del dissenso”) devono farlo, in appena un mese, per giunta, non proprio in un mese qualunque ma d’agosto. Qui, come non mai, si palesa la volontà dolosa del Presidente della Repubblica di sciogliere le camere a luglio. Una “normativa irragionevole” contraria al principio di uguaglianza, come ha sottolineato il costituzionalista Gaetano Azzariti, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università la Sapienza di Roma, intervistato da Adnkronos.  Lo spauracchio della raccolta delle firme, da svolgere nelle varie circoscrizioni entro il 22 agosto è un’impresa ardua, proprio per delle piccole formazioni politiche sicuramente non strutturate uniformemente su tutto il territorio nazionale, e che – in appena un mese – devono portare a casa ben 36.750 firme per la Camera e 19.500 per il Senato, ovviamente autenticate. La cosa ancora più incredibile è che questa disuguaglianza è stata creata a regola d’arte proprio nei mesi precedenti la caduta del governo. Si è voluta creare una spaccatura mai vista tra chi è già dentro le istituzioni e ha tutte le intenzioni di restarci e chi sta fuori, andando ad acuire un distanziamento sociale oramai sempre più evidente tra governanti e governati. Seguendo l’iter di come si è arrivati a ciò, leggiamo che inizialmente l’esclusione della raccolta delle firme, come previsto dal Testo unico, riguardava solo “i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi” – quindi PD, M5S, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Successivamente, durante il governo Draghi, nella legge di conversione del “decreto Elezioni” datata 4 maggio 2022, è stato introdotto l’articolo 6-bis che allarga l’esclusione anche ai partiti o gruppi politici in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021 o che abbiano presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia in almeno  due terzi delle circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione  proporzionale o abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione avendo conseguito, sul piano nazionale, un numero di voti  validi  superiore all’1% del totale Così facendo, la platea di coloro che non devono passare le ferie d’agosto a cercare persone sotto l’ombrellone per fargli firmare la lista elettorale è allargata anche ai piccoli partiti come Italia Viva, +Europa, Liberi e Uguali, Coraggio Italia e Noi con l’Italia. Infine, la ciliegina sulla torta: anche Di Maio, tramite un escamotage, è riuscito a sfilarsi dal procacciare adesioni. Grazie all’apparentamento con Tabacci, fondatore di Centro Democratico – partito che ha già partecipato alle elezioni nel 2018 – la lista Impegno Civico (che unisce Insieme per il Futuro al partito di Tabacci), rispetta così i canoni per l’esclusione dalla raccolta delle firme. Tana libera tutti quindi. Alla fine, a dover far fronte a questa immane sfida rimangono giusto giusto soltanto i partiti “del dissenso” (e Unione popolare), per i quali il mese di agosto si prospetta più che rovente.

Per chiudere in bellezza, a ostacolare la raccolta firme ci si è messo anche il Ministero degli Interni, che fino a qualche giorno fa non aveva ancora fornito i moduli necessari ai partiti, come denunciato da Gianluigi Paragone di Italexit e dalle tante altre segnalazioni che ci sono pervenute in redazione. In poche parole: una lotta contro il tempo per portare in Parlamento determinate istanze altrimenti senza alcuna rappresentanza. Eppure se avessero dimostrato unità avrebbero magari potuto raccogliere le firme molto più facilmente; avrebbero dimostrato unione di fronte a tutti gli italiani contro certi poteri. E chissà, lasciatemi sognare, avrebbero magari anche abbassato l’asticella dell’astensionismo ai minimi storici. Peccato che la realtà si riveli essere l’esatto opposto.

Massimo Cascone

 
Il pilota automatico della democrazia terminale PDF Stampa E-mail

6 Agosto 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 4-8-2022 (N.d.d.)

Nel bosco dei ribelli è giunta notizia che in Italia si terranno le elezioni politiche il 25 settembre. Accogliamo l’informazione con uno sbadiglio, seguito da un debole sorriso. Anche il Drago ha gettato la spugna, forse spaventato dall’autunno freddo per mancanza di energia, dalla conseguente inflazione e dalla possibilità di reazioni popolari.

La macchina procedurale della stanca, asmatica democrazia rappresentativa è avviata. Nel bosco non ci sono sezioni elettorali e non si eleggono deputati. Ci limitiamo ad aspettare la frescura settembrina, rammentando una canzone di battaglia di noi ragazzi di tanti anni fa, che osarono sfidare lo spirito dei tempi. “Democrazia, democrazia, è cosa vostra e non è mia. Democrazia, democrazia, in quantoché comandate voi”. Come Walt Whitman, “due strade trovai nel bosco e io scelsi quella meno battuta, ed è per questo che sono diverso”. La distinzione rispetto al poeta di Foglie d’erba è che la sua diversità era l’orientamento sessuale, che non si chiamava ancora così. Pure, nei nostri anni difficili e formativi di democrazia ce n’era assai più di adesso. Gli spazi bisognava conquistarseli palmo a palmo, ma non c’era la palude maleodorante e la dura dialettica delle idee aveva per protagonisti figure dello spessore di Berlinguer, Almirante, Moro, Andreotti, Craxi, La Malfa. Ora vige il pensiero unico, e Tocqueville, dalla tomba, può compiacersi di quanto sia stata profetica la sua analisi sulla tirannia della maggioranza conformista, imbelle, interessata solo a se stessa. Tramonta anche l’idea della democrazia liberale di Ortega, “l’unico governo che rispetta la minoranza, perfino quella più debole. “Sarà che una volta la politica contava qualcosa, progetti e modelli erano alternativi. La gente si divideva su visioni del mondo e della società e anche per questo correva a votare. Da trent’anni – e nell’ultimo decennio con un’accelerazione impressionante – l’intera classe politica si è posta al servizio dei poteri globalisti, rafforzando il modello liberal liberista in economia e libertario-libertino in campo morale. Tutti hanno promosso la privatizzazione di beni e servizi, nell’indifferenza per l’interesse popolare e nazionale; tutti hanno accettato la cessione di sovranità ad organismi tecnocratici e finanziari sovrannazionali.

L’intero cerchio della politica “di sistema” ha segato l’albero su cui è appollaiata, sostenendo il passaggio da un ordinamento democratico ad uno tecnocratico. La sovranità non appartiene più al popolo, sia pure esercitata “nelle forme e nei limiti della costituzione”. È saldamente nelle mani di oligarchie, “esperti” e “competenti” avulsi dalla vita e dalla volontà popolare. Le forze politiche hanno portato all’apice l’arte del camuffamento, continuando a presentarsi sotto le mentite spoglie della sinistra, della destra e del centro, dei conservatori, dei progressisti, dei riformisti e dei moderati. Nella sostanza, termini del lessico politico che non significano più nulla. Le società postmoderne sono diventate postdemocratiche, pur mantenendo, per motivi cosmetici e per avvalorare la menzogna di massa, le forme e le procedure della democrazia rappresentativa. Che non rappresenta più molto, tanto che la tirannia della maggioranza intuita da Tocqueville quasi due secoli fa è diventata il contrario: tirannia della minoranza nell’indifferenza e docilità dei più. In maniera confusa e contraddittoria, un numero crescente di persone lo ha compreso, disprezza la politica e se ne tiene lontana perfino nell’occasione del voto. Tra tante sciocchezze divenute patrimonio di massa, Jean Jacques Rousseau enunciò anche alcune verità. Una riguarda la sovranità, che per il ginevrino il popolo esercita un solo giorno, quello del voto, per spogliarsene dopo aver restituito la matita copiativa. Gli ultimi anni sono stati i primi della transizione post democratica: comandano oligarchie proprietarie di tutto, promotrici di un pensiero dominante tendenzialmente unico che rende superfluo il rito delle votazioni. Siamo plasmati per pensare allo stesso modo, parlare, mangiare, vestirsi in modo uguale, omologato. Perché votare, se i programmi divergono solo su sfumature e se pezzi sempre più ampi del ceto politico trasmigrano da uno schieramento all’altro, se non rispondono al popolo, promettendo ad oligarchie e mercati che saranno fedeli, fedelissimi alla linea? Un alto funzionario dell’oligarchia, l’ex ministro “tecnico” Enzo Moavero Milanesi, ha spiegato in un’intervista ciò che dovrà fare obbligatoriamente il futuro governo “da chiunque sia composto”. Le figurine intercambiabili, oltre a non poter discutere in alcun modo la collocazione internazionale dell’Italia, le sue alleanze (o sottomissioni) e i suoi impegni bellici (nonostante l’evidente dissenso della maggioranza ex sovrana) dovranno praticare una politica di bilancio definita “imprescindibile”. Ovvero spenderanno i nostri soldi come vogliono loro. C’è il patto di stabilità (ma la democrazia è per natura instabile, a differenza delle dittature) con l’impianto sanzionatorio per chi sgarra deciso da chi gestisce i fondi creati dal nulla dalla Banca Centrale, che, in qualità di creditrice (non di prestatrice di ultima istanza) ha “vasta influenza” sulle scelte (obbligate) dell’esecutivo.

La vocazione dogmatica dell’oligarchia sono le liberalizzazioni (balneari, tassisti, imprenditori, siete avvisati) opporsi alle quali significa perdere “gli ingenti fondi europei “, ossia prestiti da onorare. Che ci resta, se il gioco è definito in partenza, le squadre fungibili e decide tutto l’arbitro? Se – puta caso – qualcuno volesse cambiare le regole o il gioco, fuoriuscendo dallo schema obbligato liberal liberista e dal sistema dei diritti individuali che hanno decostruito l’uomo, polverizzato la famiglia, innescato il dramma della denatalità e generato un’impressionante confusione di massa? Nessun problema, recitano i paladini della democrazia terminale. Si può partecipare alle elezioni e presentare un programma alternativo. È la sfolgorante democrazia, il sistema politico più bello ed inclusivo inventato da mente umana. Peccato che ci abbiano appena detto che dobbiamo fare ciò che vogliono loro: si chiama governance, amministrazione controllata dell’esistente. I governi sono amministratori condominiali che rispondono ai costruttori dei palazzi. Se hanno trasferito il potere ad organismi transnazionali, vertici non elettivi, poteri di fatto, cupole finanziarie, mercati, commissioni, lo hanno fatto precisamente per bypassare l’ingombrante parere dei popoli. I quali, nonostante il bombardamento mediatico e culturale, si ostinano a non pensarla come i Superiori.

Pazienza, ripete l’Ottimista Democratico. Andrete in parlamento e farete sentire la vostra voce. Ma il parlamento – il cui nome evoca più la logorrea che l’azione-non conta quasi nulla. I deputati sono scelti uno per uno dai capi dei partiti e se si azzardano a dissentire, l’agiata carriera è finita. Se presentano leggi o proposte, i vertici parlamentari faranno in modo che non vengano discusse o siano stravolte. Se poi le decisioni del governo non piacciono, c’è una doppia tagliola. Il voto di fiducia – il governo Draghi ne ha totalizzati cinquantacinque – blocca il dibattito e costringe ad approvare tutto a scatola chiusa. Oppure si governa a colpi di decreti immediatamente esecutivi che diventeranno legge con le metodologie descritte, o di provvedimenti amministrativi contro cui non vi è possibilità di opposizione o impugnazione, tipo i DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri).

E poi, entrare in parlamento: mica facile. Innanzitutto ci sono gli sbarramenti percentuali, i collegi blindati in cui si sa in anticipo chi vincerà, la difficoltà creata ad arte contro la rappresentanza nella democrazia detta rappresentativa. Negli ultimi tempi sono stati raggiunti vertici impensabili nella negazione della democrazia reale da parte dei cantori h.24 della democrazia teorica. Già svuotato di potere, formato da yes men (e women, non dimentichiamo le quote rosa obbligatorie, che dovranno estendersi ai “generi” inventati dagli intellettuali di servizio) il mezzo migliore per costituire un parlamento privo di vera opposizione, è impedire con regole burocratiche la partecipazione alle elezioni di chi non fa parte del cerchio magico. I partiti – tutti – hanno stabilito per sé un vero e proprio “ius primae noctis”. Poiché la norma prevede che gli aspiranti partecipanti alle elezioni presentino a sostegno un ingente numero di firme di cittadini – autenticate da pubblici ufficiali-il gioco è fatto. Hanno esentato se stessi dall’obbligo – comprese sigle formate in parlamento allo scopo di aggirare la norma – confermandolo per gli altri. Immaginate quanto sia arduo, in piena estate e in tempo di epidemia, raccogliere decine di migliaia di firme “in presenza”. È una legge criminogena: chiunque abbia conoscenza della realtà, sa quali illegalità, quali trucchi siano generalizzati e sa altresì che quasi mai chi autentica le firme è presente al momento della sottoscrizione. Problema risolto per “loro”: nessuna firma. Problema insormontabile per tutti gli altri, se vogliono agire nella legalità. I costi dell’operazione sono ingenti: notai, avvocati, ufficiali giudiziari, modulistica, corse affannose per raccogliere i certificati anagrafici dei sottoscrittori. Una corsa a ostacoli al termine della quale, stremati e senza più un soldo, i potenziali oppositori potranno affrontare il Golia dei partiti di sistema, ignorati, tranne pochissimi spazi contingentati, da radio, tv e giornali, se non per essere attaccati e irrisi. La corsa è ampiamente truccata. Un esempio: da anni il sistema mediatico offre enormi spazi a Carlo Calenda, leader di se stesso. Perché? Evidentemente è “una riserva della Repubblica”, destinato ad affiancare o sostituire chi dicono loro, fingere opposizione o una fronda interna al sistema. Adesso il pariolino, perfetto esemplare di uomo di potere (destra in economia, sinistra nell’agenda dei “diritti”, centro nella gestione degli affari), coglie i frutti e diventa l’alleato preferenziale del PD, partito-Stato filiale dei poteri esterni. E gli altri? Si sgolano a rassicurare, giurare fedeltà ai Superiori mentre si scannano all’interno per accaparrarsi i posti migliori in lista. E l’opposizione? Non pervenuta, come la temperatura di remote località alpine, oppure impegnatissima a mostrarsi più devota ai mercati, alla finanza, agli alleati-padroni. E quella vera, che si è formata nonostante tutto in questi terribili anni? Generosi e sinceri i militanti, tante persone di ogni orientamento che vogliono cambiare le cose, ma duci e ducesse l’un contro l’altro armati, rissosi, incapaci di unirsi. Dissensi ideologici, certo, linee spesso incompatibili, è vero. Ma soprattutto appetiti di piccoli personaggi la cui aspirazione non è cambiare il mondo, ma il proprio status sociale. Un posticino in parlamento fa gola, eccome, come sanno i grillini transumanti a destra e a manca (più a manca, invero), impegnati a ostentare il più alto tasso di progressismo.

Una certezza: nessuna soluzione al presente stato di cose può venire dalla stessa mentalità, dal medesimo humus che l’ha prodotto. Lo diceva Einstein e lo ripetiamo noi, convinti che la via parlamentare – in assemblee destituite di potere, svuotate di prestigio, piene di soggetti ricattabili che alla politica hanno affidato la loro realizzazione personale – non sia più praticabile. Il mondo cambierà – se cambierà – solo per iniziativa di lotte di massa, movimenti sociali, insorgenze di popolo. Assai improbabili al tempo dei tremebondi sudditi mascherati che il potere ha convinto della sua inamovibilità e della mancanza di alternative. Masse depoliticizzate non cambiano il mondo: per questo chi comanda gradisce la nostra assenza alle urne, benché abbia predisposto ogni cosa affinché nulla muti.

Quindi, è la triste conclusione, poco o nulla cambierà dopo il 25 settembre. Per questo chi non se la sente di votare il meno peggio o il meno distante dai suoi interessi e principi si asterrà o annullerà la scheda. Nel gioco della “tela” vi è una situazione in cui uno dei giocatori, qualunque mossa faccia avrà le pedine in posizione vincente e “mangerà” quelle avversarie. È la condizione dell’oligarchia davanti al voto del 25 settembre. Diceva un campione di coraggio e libertà, Aleksandr Solzhenitsyn, che se non sussiste la possibilità di opporsi al male o manca il coraggio per affrontarlo, almeno non si collabori con esso, non si diventi complici. È poco, poco davvero. Ma questo resta a noi ribelli, a noi irriducibili innamorati delle libertà, costretti a gridare al pilota automatico, come tanti anni fa, “democrazia, democrazia, è cosa vostra e non è mia.”

Roberto Pecchioli

 
Il mercato della malattia PDF Stampa E-mail

4 Agosto 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 2-8-2022 (N.d.d.)

Mio zio faceva il sarto e aveva due figlie poco più grandi di me. Quando eravamo bambine ci spiegava che la moda cambiava ogni anno con l'unico scopo di vendere vestiti nuovi a chi non ne aveva bisogno, essendo quelli dell'anno prima ancora in perfetto stato. Erano gli anni Sessanta e certo mio zio non avrebbe mai immaginato che la moda sarebbe stata adottata come metodo anche in medicina. Non poteva immaginarlo perché, nell'ancora arretrata Italia degli anni Sessanta la medicina non si era ancora sviluppata in mercato e gli arretrati medici italiani agivano ancora in scienza e coscienza, con il primo obiettivo di non nuocere.

Adesso, quella che continuiamo a chiamare "medicina", una definizione ormai inappropriata, è uno dei mercati più affollati del globalcapitalismo, e ha bisogno di molta pubblicità e di lanciare continuamente nuove mode. In questo periodo le vediamo succedersi e accavallarsi con furia parossistica. Ma non tratteremo della moda virus-batterio-vaccinistica che imperversa su creature appena nate e non lascia loro scampo per tutta l'infanzia e l'adolescenza, e non tratteremo neanche della moda pandemizzante, un vero diluvio di test e farmaci di ogni tipo, sperimentali e non, di pseudovaccini sperimentali e che, come in ogni diluvio che si rispetti, ha cosparso il terreno di vittime. Ma i virus servono anche ad addebitare loro i danni dei farmaci. Virus e batteri sono diventati i capri espiatori delle stragi attuate dai farmaci e dal loro mercato.

Tratteremo di una moda sulla quale nessuno fa domande o pone dubbi, almeno nella decrepita Europa. Meno dannosa per la salute di tante altre mode farmaceutiche ma così esemplare di come funzioni oggi il mercato della malattia, e di come ne siano soggiogati i cervelli umani, che vale la pena di farla conoscere: la moda della vitamina D. È passato qualche anno da quando un'amica mi telefonò chiedendomi cosa ne pensassi del fatto che il suo medico l'aveva giudicata carente di vitamina D e le aveva ordinato le pilloline "integrative". "Dice che siamo tutti carenti perché non stiamo abbastanza all'aria aperta". "E allora perché non ti ha ordinato di stare di più all'aria aperta?" L'amica si mise a ridere e disse "Hai ragione". Ma si trattava di persona già critica verso il mercato della malattia. Fu solo la prima voce. Poi cominciarono a susseguirsi notizie di amiche e parenti "testate" per la vitamina D e risultate carenti. Segno che un nuovo mercato si apriva. Adòs, adòs, ch'el muntun l'è gros. Anche per la vitamina D, come per il colesterolo, la pressione, il diabete, la tiroide, è bastato modificare i valori normali per creare valanghe di malati immaginari e immaginati. E valanghe di... miliardi. […] Un esercito smisurato: multinazionali dei test diagnostici (non lo sapevate? Eh, sì, oggi abbiamo le grandi industrie dei test diagnostici); multinazionali del farmaco e, per quel che riguarda gli USA, persino le aziende dei lettini solari abbronzanti. Un esercito fornito delle migliori armi e munizioni: i soldi per corrompere, i media per ingannare e confondere. Così i livelli normali di vitamina D, che fino a non molto tempo fa erano dai 20 nanogrammi per millilitro, valore minimo, ai 40 come valore massimo, sono stati spinti a forza dall'Holick e dalla Società di Endocrinologia USA (una delle varie associazioni mediche a scopo di lucro) a un minimo di 30 e un massimo di 50 nanogrammi per millilitro. E non è neanche detto che si fermino qui.

L'esercito è avanzato dilagando in tutto il mondo occidentale. A nulla è servito che medici e scienziati veri, cioè non al servizio del mercato, negassero la "pandemia" di deficienza di vitamina D. Studi su studi, ricerche su ricerche di scienziati senza conflitti d'interesse hanno dimostrato a iosa che le "vecchie" linee guida erano giuste, che l'apporto artificiale di vitamina D (sintetica in molti casi) non reca alcun beneficio a chi non ha sintomi di carenza (in primo luogo rachitismo, ossa fragili), e che può produrre invece ipervitaminosi con le sue conseguenze. Niente da fare: il piccolo, ingenuo, sprovveduto e disarmato esercito della vera scienza nulla può contro le armate della scienza del mercato. […] in questi anni i medico-ricercatori a scopo di lucro hanno attribuito alla vitamina D tutte le qualità che gli imbonitori delle fiere di paese vantavano un tempo per il grasso di marmotta: l'eterna giovinezza o poco meno. Riduce, secondo questi imbonitori-pseudoscienziati "il rischio di infarto, di cancro, di depressione". Però ci sono un sacco di studi che smentiscono le miracolose qualità. La lotta è in corso ma, dato che le varie "società" di endocrinologia e affini, che insistono a raccomandare più di 30 nanogrammi, meglio se 50, si può arrivare a 100... hanno alle loro spalle le lobby del farmaco e i loro soldi, che procurano mezzi di tutti i tipi per pubblicizzare questa nuova moda presso i medici, le aziende sanitarie, le aziende ospedaliere (e tra aziende ci si intende, quando gli interessi coincidono), la vitamina D continua il suo trionfale cammino, aureolata di miracolosa luce.

Per fortuna, i danni del sovradosaggio di vitamina D non sono, in genere, così terribili; solo "nausea, diarrea, poliuria". Oddio, magari la "calcificazione dei tessuti molli" non è una cosa piacevole, e nemmeno i danni da ipervitaminosi da vitamina D a "scheletro, reni, cuore".  Ah, è anche accertato il rischio aumentato di alcune neoplasie nelle popolazioni con livelli di vitamina D superiori a 40-50 nanogrammi per millilitro. Cosa volete che sia? Se gli effetti avversi diventeranno un'epidemia, basterà attribuirli a un virus. In questo "gioco delle tre carte" il mercato farmaceutico è già esperto: riesce a ingannare il pubblico e anche gran parte degli addetti ai lavori. Guardate, per esempio, quanti farmaci sono preposti a provocare un'epidemia di polmoniti di tutti i tipi, da quelle interstiziali agli edemi polmonari: antibiotici, antinfiammatori, anticorpi monoclonali, ace inibitori, anticoagulanti, beta bloccanti, statine... e tanti altri. Molti di questi vengono prescritti e assunti per parecchi anni, quando non per tutta la vita. Che può finire anche grazie ai suddetti farmaci. Oltre alla inondazione di farmaci che possono provocare polmonite interstiziale e altri danni ai polmoni, provoca danni ai polmoni anche l'ossigenoterapia, così popolare in questi ultimi tempi. Sì, l'ossigeno ossida.

Per fortuna, ci sono i virus. Anche i batteri possono fungere da capri espiatori, in alcuni casi. Questo permetterà di nascondere i danni dei farmaci e di vendere vagonate di vaccini. Tutte le agenzie di ricerca di mercato prevedono un futuro glorioso per la vitamina D, prevedono un aumento del mercato, dei profitti e dei dividendi. Quanto agli effetti collaterali dei vari farmaci, sono benvenuti: contribuiscono allo sviluppo del mercato.

Sonia Savioli

 
Stanno già lavorando per la permanenza di Draghi PDF Stampa E-mail

2 Agosto 2022

 Da Comedonchisciotte del 28-7-2022 (N.d.d.)

Il governo Draghi non ha più la fiducia del parlamento da giorni, ma come sapete è tutt’ora in carica per il disbrigo della gestione corrente. Non di meno, non si perita a continuare sulla stessa linea da sempre perseguita, caratterizzata dal dare a bere qualsiasi tipo di balla al popolo italiano. Nel far credere ai fessi che il ferro sia oro, come sempre, ci pensa la cassa di risonanza della stampa di regime, ancora ben attiva benché Draghi abbia le valigie in mano, o almeno questo è quello che ci fanno credere. Mentre la realtà, invece ci dice, che le fratellanze di casa nostra stanno lavorando con abnegazione da minatori per il Draghi-bis.

Ma torniamo al tema dell’articolo ed alla relazione del ministro Franco, che La Stampa (testata di regime), presenta come “l’ultimo colpo di Draghi” – tanto per tirare la volata a coloro che stanno già lavorando per la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi, anche dopo la tornata elettorale in programma a settembre. Draghi il migliore premier del governo dei migliori, quante volte ancora dovremmo ascoltare questa tragica balla prima di convincercene? In uno dei passaggi della relazione di assestamento che il fedele ministro dell’economia ha illustrato, si apprende che nei primi sei mesi dell’anno, nonostante la situazione internazionale, si è registrato un miglioramento del quadro tendenziale di finanza pubblica, con l’indebitamento per il 2022 che «al momento» risulterebbe «inferiore di 0,8 punti» di Pil rispetto alle stime. Il deficit sarebbe quindi inferiore «di circa 14,3 miliardi, interamente dovuto alle maggiori entrate». Questi «spazi finanziari» saranno “destinati” al nuovo decreto aiuti. Oh, che bello!!! 14,3 miliardi per il decreto aiuti, soldi che serviranno per ridurre le bollette, abbassare il costo della benzina e magari anche il carrello della spesa.

Non solo, prima del Consiglio dei ministri, durante l’incontro con le associazioni datoriali di oggi, Draghi aveva addirittura ribadito la volontà di coinvolgere tutti in questa fase di emergenza, per fronteggiare la flessione dell’economia e una stagione autunnale che si attende molto complessa. Si legge nella relazione – “le risorse saranno utilizzate con un provvedimento urgente di prossima adozione che il Governo intende adottare per contrastare i rincari e l’inflazione “. “All’attuazione di questi interventi sono destinati gli spazi finanziari per i quali si chiede l’autorizzazione al ricorso all’indebitamento per un importo complessivamente pari a 14,3 miliardi di euro nel 2022”, si aggiunge. Il nuovo decreto aiuti bis conterrà misure per dare sollievo a famiglie e imprese dagli effetti di una serie di emergenze come caro-energia, inflazione, Covid e siccità. Il decreto intende “contrastare – si legge ancora nella relazione – gli effetti su individui, famiglie, imprese ed enti pubblici legati all’incremento dei prezzi dei prodotti energetici e più in generale dell’inflazione, al perdurare della diffusione del virus Covid-19, alle ripercussioni del prolungato periodo di siccità, nonché per ristorare le amministrazioni centrali dello Stato per le risorse utilizzate a copertura di precedenti provvedimenti di urgenza adottati nel corso dell’esercizio. Si tratta, in particolare, dell’abbattimento degli oneri di sistema sull’elettricità e sul gas disposto per il terzo trimestre dell’anno”.

Insomma, cari miei, se qualcuno avesse ancora dubbi che Draghi non fosse già in campagna elettorale, può mettersi l’anima in pace; questo decreto aiuti così sviolinato dalla stampa di regime, pare proprio essere la risposta alle promesse elettorali che Berlusconi ha già fatto ai pensionati per una pensione minima non inferiore a mille euro. Mi dispiace distruggere i sogni di molti, ma professionalità ed onestà intellettuale mi dicono che tutti noi dovremmo porre la nostra attenzione su un aspetto molto significativo, ovvero da dove arrivano questi tanto pubblicizzati 14,3 miliardi? Ora, senza stare a ripetere le solite lezioncine su come funziona un sistema economico e la contabilità dei bilanci settoriali, le entrate per lo Stato possono arrivare esclusivamente dal prelievo fiscale. Certo, esiste anche la banca centrale che può finanziare illimitatamente i deficit del governo, facendo affluire denaro direttamente nelle casse del Tesoro. Ma questa è un’altra storia, e per la precisione è la storia dell’Italia con la Lira; mentre oggi usiamo l’euro, una moneta che non emettiamo, oltre ad esserci legati mani e piedi, costringendoci ad agire all’interno della follia del pareggio di bilancio. Quindi, per portare avanti il concetto, dobbiamo tornare al dato di fatto, che quando si parla di entrate per il nostro governo, queste provengono esclusivamente dalle tasse che cittadini ed imprese versano all’Erario. E di conseguenza, se parliamo di maggiori entrate – come ci rende edotti l’economista Daniele Franco – logica vuole che stiamo parlando di entrate fiscali più alte, ovvero una quantità maggiore di soldi che sono usciti dalle nostre tasche per entrare in quelle del Tesoro. Quindi, tanto per essere ancora più chiari, questi 14,3 miliardi, sono soldi che il settore privato ha versato in più rispetto alle previsioni di bilancio che il governo aveva fatto. Ora, tutto sarebbe oro che luccica se le maggiori entrate fiscali fossero dovute ad imposte dirette, ovvero a tasse pagate sui nostri redditi. Il che, appunto, farebbe presumere una economia florida in piena espansione, dove sia il settore privato che quello pubblico, beneficerebbero di una crescita importante dell’economia di un paese. Non mi sembra assolutamente il caso del nostro paese, dove il PIL è stagnante da almeno due decadi, ed il rimbalzo avuto dopo il Covid è solo funzionale alla propaganda draghiana. Discorso ben diverso, sarebbe se le maggiori entrate fiscale fossero dovute ad imposte indirette, una su tutte l’IVA. La realtà dei fatti, abbinata alla falsità di chi ci governa, ci dice che, purtroppo per noi, siamo di fronte al secondo caso. E per smascherare il gioco delle tre carte, basta usare la logica, oltre ad andare sul sito del MEF a vedere nel dettaglio le entrate fiscali.  Quello che si può notare a vista d’occhio, è l’enorme differenza in percentuale di incremento fra imposte dirette ed indirette a vantaggio delle seconde. Del resto, che imprese e famiglie, ormai da oltre un anno siano afflitte dal caro prezzi dei settori dell’energia ed alimentare, non è certo una novità. E se i prezzi aumentano è matematico che lo Stato incassi più IVA, come è matematico che i consumatori finali si trovino a dover versare somme maggiori all’erario pur non avendo maggiori entrate (redditi), attingendo ai risparmi personali od in mancanza, al credito. Altro fattore di aumento delle entrate per il Tesoro, sono i maggiori profitti che conseguono le imprese del settore energia, nelle quali lo Stato ha importanti partecipazioni. Anche in questo caso, i maggiori introiti provengono sempre dal settore privato, ovvero dai consumatori. Sul fatto che il caro prezzi, dovuto soprattutto a fenomeni speculativi, fosse una tassazione nascosta, ne avevamo già parlato sul nascere del problema.

Tanto per concludere, il decreto aiuti Vi sta restituendo una parte di quello che siete stati costretti a pagare in più, per l’inerzia del governo di fronte a tali fenomeni speculativi. Quindi, tanto per dare dei numeri, affinché il concetto possa essere chiaro a livello macroeconomico, se Draghi ci ha preso 10 e ci restituisce 5, NOI, oggi siamo in deficit di 5 – e per coprire questo deficit, dobbiamo ricorrere ai nostri risparmi – chi ce li ha – altrimenti dobbiamo bussare alle banche, se ci aprono. Se questo processo, si ripete all’infinito, come di fatto avviene da 30 anni nel nostro paese (stante i surplus governativi continui), la scienza contabile ci dice che resta un’unica soluzione finale: Finire sotto il ponte!!!

Fabio Bonciani

 
Missione compiuta PDF Stampa E-mail

1 Agosto 2022

 Da Rassegna di Arianna del 29-7-2022 (N.d.d.)

“Tra i paesi dell’Europa Occidentale l'Italia aveva uno dei legami più forti con la Russia. La missione di Draghi è stata quella di rompere questo schema, riposizionando l’Italia nei confronti della Russia”: lo scrive il New York Times. Draghi ha non solo trasformato l’Italia in paese belligerante contro la Russia, inviando armi e istruttori alle forze ucraine, ma ha promosso le sanzioni contro la Banca centrale russa e l’ammissione dell’Ucraina nella UE. Per questi e altri “meriti” l’autorevole rivista USA Fortune include Mario Draghi tra “i 50 più grandi leader del mondo”. 

La carriera di Draghi ha una svolta decisiva quando – dopo aver smantellato quale direttore del Tesoro il patrimonio pubblico italiano con le privatizzazioni – diviene direttore e vicepresidente della Goldman Sachs.  La Goldman Sachs non è solo una banca USA ma un centro di potere del gotha finanziario che, attraverso la politica delle “porte girevoli”, piazza i suoi uomini in cariche istituzionali chiave. Dal 2005 al 2021 Draghi diviene prima governatore della Banca d'Italia, quindi presidente della Banca Centrale Europea, infine presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana.

I risultati della “missione” che Draghi ha compiuto con la totale complicità del Parlamento fanno sprofondare l’Italia in una crisi senza precedenti: mentre il prezzo del gas (in seguito alle politiche anti-russe) è salito da 15 a 200 euro al megawattora, l’Italia ha accumulato un livello tale di passività che – scrive Fortune – “il costo del prestito per l'Italia è diventato proibitivo, salendo a livelli insostenibili”. La crisi italiana è analoga a quella in cui sprofondò la Grecia, perdendo con il “pacchetto di salvataggio” della UE ciò che restava del patrimonio pubblico. La situazione è aggravata dalla svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro, che accresce il costo delle importazioni. Decisivo, quindi, è ribaltare la politica che Draghi ha attuato con la sua “missione” in Italia.

Manlio Dinucci

 
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