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Basta con i ricatti PDF Stampa E-mail

16 Maggio 2022

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 Da Comedonchisciotte del 9-5-2022 (N.d.d.)

Sono stati smentiti clamorosamente certi nomi altisonanti della cardiologia italiana che sul Vol. 22, N. 11 di novembre 2021 del Giornale Italiano di Cardiologia scrivevano: “Casi di miocardite e pericardite in giovani individui, prevalentemente di sesso maschile, dopo la vaccinazione mRNA contro il COVID-19 si possono verificare molto raramente e, comunemente, si manifestano con forme cliniche lievi caratterizzate da un’evoluzione favorevole. Non esistono ad oggi dimostrazioni di una relazione certa causa-effetto tra vaccinazione e sviluppo di miocardite e pericardite, nonostante il breve intervallo temporale tra i due eventi suggerisca la presenza di una relazione.” Parole che, forse, volevano spegnere l’allarme crescente sollevato dai numerosi casi di cronaca riferiti a tante vite stroncate da malori improvvisi, notizie non riportate dai grandi media, ma dalla stampa indipendente sì, che hanno iniziato a trapelare con inquietante eco.

È successo, però, che se anche da un lato si è tentato di gettare acqua sul fuoco, dall’altro sempre più gli studi scientifici, provenienti da vari paesi del mondo, hanno iniziato a documentare l’aumento di frequenza di malattie cardiache anche gravi (in particolare miocarditi/pericarditi acute) nei giovani e giovanissimi dopo le vaccinazioni. E più recentemente, proprio a fine aprile, è arrivato – sempre in tema di eventi avversi cardiaci (che, però, non è l’unico filone purtroppo) – l’ennesimo interessante lavoro scientifico, questa volta pubblicato dalla prestigiosa rivista Nature, che documenta chiaramente l’associazione tra l’aumento statisticamente significativo degli eventi cardiovascolari di emergenza nella popolazione UNDER 40 in Israele e il lancio della vaccinazione anti-Covid. Scrivono gli autori: “Nel periodo gennaio-maggio 2021 è stato rilevato un aumento di oltre il 25% in entrambi i tipi di chiamata (arresto cardiaco e sindrome coronarica acuta), rispetto agli anni 2019-2020. I conteggi settimanali delle chiamate di emergenza erano significativamente associati ai tassi di prima e seconda dose di vaccino somministrata a questa fascia di età, ma non ai tassi di infezione da COVID-19. I risultati sollevano preoccupazioni per quanto riguarda gli effetti collaterali cardiovascolari gravi non rilevati indotti dal vaccino e sottolineano la relazione causale già stabilita tra vaccini e miocardite, una causa frequente di arresto cardiaco inaspettato nei giovani.” E più avanti nel documento il concetto è ribadito nuovamente: “Esiste un’associazione solida e statisticamente significativa tra il conteggio settimanale delle chiamate CA (arresto cardiaco) e ACS (sindrome coronarica acuta, in pratica infarto) e i tassi di prima e seconda dose di vaccino somministrata a questa fascia di età. Allo stesso tempo, non è stata osservata alcuna associazione statisticamente significativa tra i tassi di infezione da COVID-19 e il conteggio delle chiamate CA e ACS.” Infine concludono: “Questi risultati sono rispecchiati anche da un rapporto sull’aumento delle visite al pronto soccorso per problemi cardiovascolari durante l’introduzione della vaccinazione in Germania, nonché sull’aumento delle richieste di servizi di emergenza sanitaria per incidenti cardiaci in Scozia”.

Questa recente pubblicazione lancia un serio allarme per la necessità di un’indagine approfondita e si auspica che non passi inosservata alle autorità sanitarie e politiche. Benché miocardite e pericardite possano svilupparsi naturalmente anche a causa dell’infezione da SARS-CoV-2, in base a dati scientifici provenienti da molti Paesi, ormai sta emergendo sempre più chiaramente la verità e cioè che il rischio di problematiche cardiache anche gravi derivanti dalla vaccinazione è molto alto. Difficile, a questo punto, (anche per i più convinti) continuare a credere alla storia che “i benefici superano i rischi.” Inaccettabile (per chi, fin da subito, ha posto domande e sollevato dubbi) seguitare a sopportare certi ricatti. Impensabile (per ogni persona di buon senso) sottostare a eventuali futuri obblighi.

Valentina Bennati

 
Vincolo esterno PDF Stampa E-mail

14 Maggio 2022

 Da Appelloalpopolo del 10-5-2022 (N.d.d.)

Il 9 maggio del 1978, fu assassinato Aldo Moro. Venne assassinato su mandato dei nostri “alleati” (UK e USA su tutti) e col tacito benestare di una buona parte delle istituzioni italiane. Il 16 marzo 1978 la Fiat 130 che trasportava Aldo Moro fu intercettata da un commando delle Brigate Rosse. Moro venne rapito e, dopo 55 giorni di sequestro, il 9 maggio 1978, venne ucciso. Ma perché le Brigate Rosse ammazzarono Moro? Come spiega Giovanni Fasanella, autore de “Il puzzle Moro”, «le Brigate Rosse furono gli utili idioti di un disegno internazionale che era un attacco all’Italia e alla politica italiana compiuto con l’apporto di quinte colonne interne». In base a documenti desecretati a Londra e a Washington (e alle acquisizioni della commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Moro), è dimostrato come USA e Regno Unito, con la complicità di Francia, Germania e Unione Sovietica, avessero interessi convergenti a fermare Moro. L’omicidio di Aldo Moro costituisce un caso internazionale per eccellenza. Tra gli anni ’60 e ’70 la politica estera morotea, soprattutto quella mediterranea, e il disgelo tra DC e PCI rappresentarono un pericolo per gli equilibri mondiali. L’Italia andava fermata. A tutti i costi.

“Dobbiamo scoraggiare le iniziative indipendenti del governo italiano nel Mediterraneo e in Medio Oriente”. Nota interna del Foreign Office, 1970. – “Azione a sostegno di un colpo di Stato in Italia o di una diversa azione sovversiva”. Titolo di un documento top secret del governo britannico contro la politica di Aldo Moro, 1976. – “Le ingerenze sono, sempre e comunque, di parte. Tuttavia, nel caso dell’Italia, dobbiamo fare qualcosa di concreto e non limitarci a discutere”. Reginald Hibbert, sottosegretario del Foreign Office con delega alle questioni europee, 1976. – “L’influenza di Moro e Berlinguer sulla politica estera italiana è forte e potrebbe avere serie ripercussioni […] Il governo italiano va mantenuto sulla giusta via”. Rapporto dell’ambasciatore britannico a Roma Alan Hugh Campbell, 1977.

Aldo Moro, come Enrico Mattei e altri ancora, venne ucciso dal vincolo esterno. Venne ucciso perché con la sua linea politica stava mettendo in discussione il ruolo di colonia che i nostri “alleati” avevano deciso per l’Italia. Oggi in Italia abbiamo una classe politica disposta a sacrificare noi pur di rispettare il vincolo esterno (UE, euro e NATO). Oggi, noi cittadini italiani, il nemico lo abbiamo in casa. Ma come ci spiegò lo stesso Moro durante la seduta per la Costituzione di martedì 3 dicembre 1946, «si precisa come al singolo, o alla collettività, spetti la resistenza contro lo Stato, se esso avvalendosi della sua veste di sovranità, tenta di menomare i diritti sanciti dalla Costituzione e dalle leggi».

Gilberto Trombetta

 
La nuova religione PDF Stampa E-mail

13 Maggio 2022

 L’economia e la tecnologia non sono più strumenti operativi ma ideologie, contenitori di pensiero e creatività. Hanno sostituito la morale e la politica umanista. L’ordoliberismo è la nuova religione che ha richiamato a sé individui da ogni dove, rendendo obsoleto il concetto di destra-sinistra. Si potrebbe dire che con questa epoca, della globalizzazione e digitalizzazione, si svolta tutti a destra. L’epopea socialista si è sciolta nell’acido disperso dai laboratori neocon. A dire il vero, è accaduto anche a quella sovranista, a sua volta posticcia rispetto all’anima spirituale della destra originale. In pratica, è sparito dall’orizzonte cultural-politico tutto il basamento su cui ha poggiato la storia democratica fino a qui. La politica si è venduta all’economia, convinta di aver fatto un affare. E a ragione, se il desiderio era quello di passare dal potere delle idee a quello del denaro. Ma non lo ha fatto per stupidità. Di sé, sono certo, non potrà che dire di averlo fatto per lungimirante arguzia. Condivido. Se arguto è stare nascosti nel cavallo di Troia del nuovo ordine mondiale, parcheggiato da tempo in tutte le società atlantiche e non. Le persone sono state accalappiate con promesse di libertà e garanzie di libero arbitrio, ed educate a colpi di paura di morte, di perdita di guadagni, di accuse di tradimento della morale sociale, della scienza, delle istituzioni. E sono state anche soddisfatte con premi morali – di materiale se ne parlerà solo se l’obbedienza persevererà. Le celebrazioni politico-istituzionali-mediatiche delle bandiere colorate, dei medici eroi, della disgregazione dell’identità sessuale e familiare, di quella nazionale e delle molteplici sovranità regalate, dissipate, gettate o delegate al padrone americano, dell’importazione di immigrati che pur di sopravvivere accetteranno qualunque condizione capestro, della criminalizzazione dei “brigatisti” dissenzienti che ponevano domande e chiedevano risposte mai pervenute, dei “miserabili del web” rei di aver urlato l’assenza di vergogna di una stampa senza dignità, sono state il premio di cui si pavoneggia la maggioranza di noi. Un popolo ignaro di non essere – una volta di più – il detentore della politica, né di essere – sempre più – identificato, identificabile in funzione produttivistico-economica. Se questo lo volete chiamare progresso, fate pure. Basta intendersi sul gergo. E se non volete intendere Pasolini e, con molto anticipo, Tocqueville e altri terrapiattisti, proseguite pure nel vostro surrogato di progresso. “L’idea di formare una sola classe di cittadini sarebbe piaciuta a Richelieu: questa superficie tutta eguale facilita l’esercizio del potere”. (Alexis de Tocqueville, L’Antico regime e la Rivoluzione – 1856) “Non è raro vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, che agiscono in mezzo all'universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo”. (Alexis de Tocqueville, La democrazia in America – 1835)

Chiunque possa giocare bene per ridurre i costi del capitalismo occidentale in funzione concorrenziale a quello cinese, assai più basso, non avrà mai da temere niente. Sarà l’eletto, godrà di carriera e bonus e, come un cretino, dirà che tutto va bene perché lui continua ad andare a sciare con sua moglie e poi alla spa e sono felici. “Che gli altri vadano a vivere in Russia se pensano qui si stia male” è nientemeno che il miglior argomento che si possa sentire dire. Affermato, per altro, con convinzione profonda, come se parlare non possa sussistere senza dover espatriare. L’edonismo e l’opulenza hanno definitivamente scollegato gli uomini dalla natura e dal senso della comunità identitaria. Si combattono l’aberrazione neoliberista, ma molto fa sospettare abbiano stravinto con lo stesso sistema del bon-bon usato con gli indigeni da depredare. Uomini che non sospettano di essere carne da conteggio dentro l’algoritmo del controllo sociale. Che non sospettano di essere condotti a quella condizione affinché il barlume d’inganno non risvegli in loro quei sensi indomabili da svegli. Affinché l’intossicazione e l’assuefazione imponga loro ancora più dosi di grande fratello, di novella 2000, di champions league, di isola dei famosi, da assumere felici. Affinché i venditori di progresso, prosperità, giustizia e verità possano vincere a mani basse.

Creare dissenso sociale genera un costo istituzionale dispersivo che riduce la forza egemonica alla quale l’occidente punta, costi quel che costi. Nel firmamento di campioni a sostegno del progetto in corso prendiamo l’ultimo. L’Italia è passata in un anno dal 41esimo al 58esimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa. Gente comune, gente ucraina, gente russa non fa niente. Vanno bene tutte, sono solo fisiologici danni collaterali da accettare sul grande cammino per confrontarsi con la Cina e, se possibile, per mettere in ginocchio anche lei. La questione guerra, in questo caso, è mondiale. Una strategia che prevede un crescente desiderio e amore della maggioranza verso politiche autoritarie, che finalmente facciano funzionare le cose, impastate da troppo tempo nella pece burocratica. E allora viva la digitalizzazione, il 5G, i chip sottocutanei, la vita a punti, il tracciamento assoluto, i lockdown, le nuove pandemie dalle quali saranno esenti gli ubbidienti, vuoi scommetterci.  L’opposizione sarebbe anche spiritualmente forte, ma è composta da cani sciolti tra le maglie della rete.

Tutto va a destra e nel modo più pdestre. Non c’è bisogno di alcuna idea. Basta essere paladini del futuro di cui tutti parlano. Governo, politica, media fanno un corpo unico per la formazione di un pensiero unico della maggioranza, della cultura, dei pensieri, dei comportamenti. Il grande muscolo atlantico è ancora un bicipite da vantare.

Lorenzo Merlo
 
Niente da salvare PDF Stampa E-mail

12 Maggio 2022

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Per esprimersi con understatement oxoniense: ne abbiamo avuti di governi di merda in Italia, ma un tale guazzabuglio di malafede, incapacità e mercenariato politico quale il "governo dei migliori" è assolutamente senza precedenti. Anche nel fare il male, anche nel fare gli interessi di chiunque tranne i propri cittadini ci potrebbe essere una demoniaca brillantezza, una mefistofelica abilità. Invece questa è gente che balbetta, si contraddice, biascica scuse infami e ridicole, e manifesta l'unica vera abilità nell'attivare le proprie difese lanciando avanti la muta dei giornalisti a gettone, proni a difendere il potere fino all'estremo sacrificio - degli altri.

Questa è una classe dirigente inguardabile e invotabile per chiunque abbia ancora un barlume di dignità, è un ceto che consentirà al paese di rinascere solo quando sarà estinto senza resti, scomparso dalla faccia della terra. Dimenticate che ci sia qualcosa da salvare, dimenticate che ci sia un meno peggio in chi ci ha prima torturato con espedienti idioti, imposizioni inutilmente draconiane e sadismi decerebrati "per il nostro bene" e che ora, nel migliore dei casi, se non ci porta direttamente in guerra, ci lascerà come una colonia fallita e sul lastrico.

Non c'è più niente da salvare.  Devono sparire.  E se non accadrà, questo paese ha solo un futuro come concime, per piante altrui.

Andrea Zhok

 
Manifestare non è azione PDF Stampa E-mail

11 Maggio 2022

 Da Appelloalpopolo dell’8-5-2022 (N.d.d.)

L’azione individuale e quella, più rara, collettiva, sono campi sterminati di nozioni, di esperienze, di massime, di abilità, di capacità, di finezze, di stratagemmi, di strategie di equilibrio e di piani subordinati, di intuizioni, di fermezza, di tenacia, di pazienza, di spregiudicatezza, di freddezza, di ferocia, di patti di sangue e di patti di convenienza, di fratellanza, di cooperazione per stima, di cooperazione per interesse, di cooperazione per attrazione, di rischio, di violenza, di resistenza e di molte altre cose ancora.

Non tutti gli uomini sono vocati per l’azione. Nel ceto borghese un numero abbastanza grande. Nel ceto popolare pochissimi. Il ceto borghese si esercita nel commercio, nelle carriere accademiche, nelle carriere dirigenziali, nelle libere professioni, nei lavori autonomi, nelle collaborazioni, nei consorzi di diritto o di fatto, nei patti tra galantuomini, nei patti del circolo del tennis, nelle turbative d’asta, nelle truffe, nelle società di persone, nelle società di capitali, nelle corruzioni, nelle vendette. La gente comune non è addestrata all’azione. Ciò che valeva un tempo, quando il popolo non era addestrato alle armi, sicché pochi nobili armati assoggettavano migliaia di popolani, vale ancora oggi, perché il popolo non è addestrato all’azione pratica. Non ne sa niente, la rimuove, giudica le virtù con moralismo e giustifica con moralismo la dabbenaggine.

I partiti politici servivano proprio a educare la gente comune all’azione, al sangue e alla m…a. Ma il popolo oggi si tira indietro. Preferisce consumare, come i borghesi decadenti, che preferiscono (o non sanno far altro che) vivere di rendita. Questo è il dramma. Il popolo sa manifestare ma manifestare non è azione, è giocare, divertirsi, ritrovare gli amici, urlare, inveire, offendere, cantare. La manifestazione è consumo.

Stefano D’Andrea

 
Nulla avrà più senso PDF Stampa E-mail

9 Maggio 2022

 Da Comedonchisciotte dell’8-5-2022 (N.d.d.)

L’assenza della verità non è da intendersi come il semplice dominio della menzogna che l’ha sostituita. L’assenza della verità è soprattutto assenza del pensiero, poiché il pensiero nasce e si compie interamente solo attraverso la verità.  Comunque, prima di rispondere sul perché di tale assenza, bisogna cercar di capire cos’è la verità. È assai probabile che l’etimologia della parola verità sia di origine sanscrita, che è una lingua indoeuropea: la parola è vrtta, che significa fatto, accadimento. Pure nei testi antichi zoroastriani troviamo la radice var, che significa credere e che corrisponde alla parola sanscrita varami che si traduce come scegliere o volere. Ovviamente ci sono altre interpretazioni dell’origine della parola. Ma non ci stiamo curando di questo. Ora si sa che la tradizionale formula che definisce la verità è espressa in latino dagli Scolastici sulla scorta della filosofia aristotelica (Metafisica, libro VII): essa stabilisce l’essenza della verità come “adaequatio rei et intellectus”. Vale a dire che ci deve essere una adeguazione, o meglio una conformità o una corrispondenza fra un giudizio pensato e una cosa rappresentata. La vrtta, appunto. Bisogna aver chiaro comunque che il vero e il falso nascono solo con un giudizio o proposizione. Infatti se si usano singolarmente concetti come “uomo”, “corre”, “vince”, “bianco” questi non sono né veri, né falsi, giacché sono vere o false solo le combinazioni fra di loro. Se per esempio dico che “quell’uomo corre” e sta in effetti correndo, il giudizio è vero. Aristotele stabilì inoltre che la verità sta nelle proposizioni dichiarative o apofantiche e non nella cosa rappresentata. Il fatto in sé, o fenomeno, è muto. Solo col giudizio la verità o la falsità vengono poste. I fatti sono solo la misura, il punto di riferimento, ma essi, poiché sono muti, non sono perciò la verità: essa si compie solo nel pensiero articolato. Aristotele aggiunge inoltre che il fatto deve accadere realmente, perché anche un ragionamento perfetto, come è il sillogismo, sebbene sia logicamente valido, cioè rispettoso di tutte le regole logiche, è falso se il fatto non sussiste (nihil est in intellectu, quod prius non fuerit in sensu). È chiaro quindi che la corrispondenza fra pensiero e cosa deve essere perciò conforme.

Ciò che si è scritto sinora è l’espressione corrente e comune del concetto di verità. Tuttavia abbiamo visto che l’etimologia della parola verità può essere intesa come scelta, come libertà di volere. Un grande approfondimento di tale punto di vista lo dobbiamo a Martin Heidegger, quando si interroga sull’essenza della verità. […] Egli ritiene che la consegna di conformarsi ad una qualsiasi rappresentazione oggettuale è possibile solo perché l’esserci umano è aperto ad adeguarsi con essa, cioè di decidere con una deliberazione atta a vincolare il pensiero con la realtà. Questa apertura implica la libertà, che consiste sempre nel voler vincolarsi o svincolarsi da un eventuale rapporto. “L’essenza della verità, compresa come conformità dell’asserzione, è la libertà”. Ecco che così si spiega il temine antico di “varami”, che intendeva la verità come scelta e volere, ossia come un atto razionale che implica apertura positiva verso ciò che è manifesto, e come proposito di conformarsi ad essa. Una libertà tuttavia che può scegliere l’opposto, cioè la non-conformazione e il non-adeguamento. In tal caso si ha la menzogna voluta. L’uomo, secondo Heidegger, è Esserci, cioè un ente (il Ci) aperto all’Essere. Questa apertura nasce quando i primi pionieri della civiltà cominciarono a lavorare collettivamente lungo i grandi fiumi, e quindi a progettare. Il progetto implica sia il pensiero sul cosa fare e sia l’intuizione temporale del futuro, poiché il pro-getto si attua verso il futuro, che di rimbalzo implica il ricordo di ciò che si è fatto, ossia il rimando al passato: ma non è questo il tema che si vuole ora trattare. Poiché l’esserci è sostanzialmente apertura e possibilità, vien da sé che egli può scegliere, e questo costituisce la sua essenza. Ecco perché egli può incamminarsi sulla via della verità o sulla via dell’erranza. Quando si sceglie l’erranza, scrive Heidegger, essa “…domina l’uomo e lo fuorvia”. Nello stesso tempo l’uomo, però, può scegliere di non lasciarsi fuorviare. La verità è quindi l’evento fondante del pensiero umano, e in tale evento “si trova” anche il suo contrario, cioè la menzogna. La vita diventa perciò un gioco, un tragico gioco d’azzardo, in cui il rischio di una caduta nel non-pensiero, e nel non-essere, cioè nella menzogna, è sempre presente. Proprio per questo Heidegger concepì la verità come “alètheia”, come svelamento o non-nascondimento dell’Essere stesso, da lui inteso principalmente come pensiero e tempo, ispirandosi al pensiero di Parmenide ed Eraclito. La verità, in base a questa prospettiva filosofica, era intesa come un’apertura pre-discorsiva, ontologica, ovvero come l’intuizione originaria: essa è l’accadere stesso dell’Essere in cui l’uomo viene ad essere coinvolto. […]

Ora, in relazione a ciò che si è scritto, osserviamo che nel corso della storia umana ci sono state epoche soggiogate dall’erranza ed altre invece rivolte verso la ricerca della verità. Anche il pensiero filosofico, se lo si studia nel suo complesso, è segnato talvolta dal trionfo di filosofie scettiche e nichiliste basate sul dubbio e sul caos, e altre da filosofie che si contrapponevano all’incertezza dubitante, e che cercarono di fondare sistemi di un conoscere saldo e certo. In altre parole si è assistito alla lotta fra coloro che affermavano che non ci sono verità né assolute, né indubitabili, e coloro che invece ponevano con forza spirituale verità ferme ed incontrovertibili. Il primo importantissimo esempio di tale conflitto filosofico risale all’antichità, e ha avuto effetti su tutta la filosofia successiva (intesa come spirito che si attua nella storia) fino a quella moderna. Si tratta dello scontro fra lo scetticismo radicale di Gorgia da Lentini e Socrate-Platone. Il vegliardissimo siceliota siracusano Gorgia da Lentini (campò più di 100 anni) divenne famoso affermando le sue tre principali tesi: 1) nulla c’è; 2) se anche qualcosa c’è, non è conoscibile all’uomo; 3) se anche è conoscibile, è incomunicabile agli altri. Tesi che hanno suscitato una discussione filosofica interminabile, per cui è inutile aggiungere altro. Certamente Gorgia negava che ci fosse una Unità trascendente, in quanto escludeva ogni adesione alla realtà di un Essere inteso come Dio eterno ed infinito. Da queste affermazioni discendeva l’impossibilità di una scienza vera, ontologica e assoluta. L’unica via per la comunicazione restava quella del sentimento capace di persuadere gli ascoltatori (peithò), che però poteva aprire le porte all’inganno (apàte). La retorica diventava l’arte della persuasione (che fruttava molti soldi a Gorgia per il suo insegnamento), la quale spianava la strada al caos derivante dall’inganno. La verità, la morale, la giustizia precipitavano nelle spire di una dialettica puramente discorsiva che distruggevano il senso ed ogni predicabilità permanente ad un qualsiasi soggetto. Si giungeva perciò, alla fine del percorso, alla tragedia spalancata sull’orlo di un caos abissale. Socrate fu il primo filosofo che reagì contro tale relativismo radicale, proponendo, a cominciare da una prospettiva etica imperniata sul concetto di bene, verità intersoggettive condivise. Egli però ragionava ancora in termini umanistici, che erano pur sempre messi sotto la cappa del dubbio, proprio perché tutto ciò che è umano è limitato e finito. La grande reazione profonda, d’immensa portata storica, fu quella di Platone, allievo di Socrate. La morte ingiusta di questi lo sconvolse al punto tale da spingerlo a costruire una scienza filosofica assoluta (epistème), con lo scopo di sradicare definitivamente lo scetticismo totalizzante di Gorgia e dei Sofisti in generale. Egli si convinse che la catastrofe che si era abbattuta in Grecia con le due guerre del Peloponneso erano da imputare proprio alla degenerazione di tutti i valori fondanti dell’essere umano, a partire dalla distruzione della verità operata da una filosofia perniciosa. Platone fondò il sistema delle idee (da ideìn, vedere), visioni intellettuali della verità, ossia gli “”Immutabili”, a cui pochi (i filosofi) possono accedere. Solo il Sommo Bene, che è l’Uno che trascende le stesse idee, è inaccessibile.

Abbiamo riportato, in estrema sintesi, questo esempio filosofico, perché esso rivela sinteticamente il destino che costituisce l’essenza stessa dell’esserci umano, sempre oscillante fra menzogna e verità. Menzogne colossali sono sempre presenti in ogni epoca, che possono durare secoli o decenni (si veda ad esempio la “Donazione” di Costantino o “I decretali dello Pseudo-Isidoro” o il dispaccio di Ems da parte di Bismark, per non dire dei falsi storici perpetrati dagli Usa per entrare in guerra da aggrediti). La prima e potente reazione allo scetticismo fu quella di S. Agostino, quando confutò, a parer mio, in modo decisivo, il pensiero degli Scettici. Egli infatti sancì l’inoppugnabile “si fallor sum”, che anticipò di un millennio e più il “cogito” cartesiano. Il “sì fallor sum” ha il significato ontologico che si può anche sbagliare su tutto, ma non sulla realtà della propria esistenza (De civitate dei, XI, 26). Va da sé, aggiungeva S. Agostino, che l’uomo è sì aperto alla verità, ed è capace persino di cogliere una verità indubitabile, ma essendo un ente finito, non può cogliere quella assoluta che appartiene a Dio.

Verità e menzogna nascono, come s’è detto, dalla possibilità e dalla libertà di scelta: esse sono, come ben rivelava Heidegger, perennemente e strutturalmente costitutive dell’esserci umano. Non a caso egli era stato uno studioso attento di Sant’Agostino, del Cusano de “La dotta ignoranza” e de “Il Dio nascosto” e dei grandi mistici tedeschi (in particolare di Silesio). Possiamo con ciò constatare che le epoche storiche contrassegnate dalla ricerca della verità, sono anche quelle epoche in cui il pensiero umano conosce capacità artistiche, filosofiche e scientifiche straordinarie, mentre, all’opposto, le epoche in cui la menzogna penetra non solo nelle classi dirigenti, ma anche all’interno dei popoli, il caos regna sovrano. Con la menzogna radicale e pervasiva il pensiero declina fino al delirio. È quasi una banalità constatare che la nostra epoca è governata in tutti i suoi gangli dalla menzogna ingannevole, la quale trova il fondamentale supporto di quasi tutti i mezzi di comunicazione. Mai la penetrazione della frode è stata così penetrante in tutta la storia umana, grazie all’imposizione totalitaria della tecnica (il Gestell). Ciarlatani, bari, imbroglioni e millantatori sono al servizio permanente ed effettivo e al soldo di pochissimi detentori di ricchezze esorbitanti e folli. Viviamo nell’epoca della “compiuta peccaminosità” prevista da Fichte; un’epoca senza vera autorità, senza disciplina, indifferente verso ogni verità, sfrenata e senza un filo conduttore, poiché la ragione e la logica vengono rifiutate. “Ci troviamo in una nova gigantesca Babele in cui gli uomini parlano nel vuoto”.

La domanda su come è potuto accadere questo, ha ormai avuto migliaia di risposte, che si possono riassumere con poche parole: trionfo del macchinismo, tirannia del calcolo e del profitto, riduzione dell’uomo nella dimensione di un individualismo atomistico, privo cioè di ogni senso comunitario. Mettiamoci anche la conseguente distruzione del sacro, del bello, del giusto, del bene e del pensare profondo e si ottiene così il quadro completo. Parole che comunque rappresentano un percorso che parte all’incirca nel 1500 e che è giunto ai nostri giorni. Insomma, stiamo assistendo alla vittoria dell’erranza e dell’inganno perpetrate nei secoli, in cui la verità si ritira. “Nihil sub soli novi” scrive l’Ecclesiaste. La tragedia umana consiste appunto in questa continua oscillazione fra il vero e il falso, fra il pensare e la sua negazione. Questa oscillazione sembrerebbe dar origine a cicli storici che in diverse forme si ripetono, poiché la struttura mentale degli uomini non muta, mentre però mutano i movimenti sociali. Ma oggi è assai probabile che non sia più così. Il dominante regno della quantità, creato dal sistema capitalistico, che riguarda l’aspetto demografico, economico, tecnico, e spazio-temporale ci ha condotto verso la terza guerra mondiale, sebbene moltissimi non l’abbiano ancora compreso. Si va diritti verso l’Indifferenziato. Se questo accadrà, e purtroppo ci sono molte probabilità che accada, nulla avrà più senso, poiché ci sarà solo il vuoto dell’abisso.

Flores Tovo

 
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