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Occidente cieco PDF Stampa E-mail

28 Aprile 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 20-4-2022 (N.d.d.)

Rampini in un suo articolo ha fatto notare che quando parliamo di una Russia isolata dovremmo specificare in Occidente, perché nel resto del mondo non è così. Effettivamente in Asia, Africa, Sudamerica e persino Medio Oriente non è così. Basta, come fa notare Rampini, contare gli stati che non applicano sanzioni. Si dirà che c'era da aspettarselo. Direi di no, e piuttosto sorprendenti sono le posizioni di India e Israele. Supponendo che quest'ultimo agisca per sicurezza interna, ha 1.5 mln di ebrei russi, e per prevenire destabilizzazione nell'area, la posizione indiana è invece sorprendente. L'India, considerata dai media ormai in orbita americana in funzione anticinese, non si è rivolta contro Mosca, anzi. Uno sgarbo non gradito che vede una diplomazia muscolare, come quella adottata in Pakistan, in piedi da giorni. Ma non pare siano rose destinate a fiorire.

Perché questa situazione? Sono tutti insensibili primitivi che non hanno a cuore la democrazia? Le ragioni, se vi fosse volontà e lucidità, andrebbero cercate e capite. Bisognerebbe stilare una lista di ipotesi e verificarle. La Russia resta a livello mondiale un partner economico credibile? La Russia mantiene una sfera diplomatica e geopolitica più ampia di quanto analisi spesso scolastiche le attribuiscano? La Russia eredita il posizionamento dell'URSS a favore dei popoli oppressi? Oppure sono decenni di imperialismo US a far preferire i 'mali minori' russo e cinese? Gli US a forza di intervenire in ogni quadrante geopolitico, talvolta anche un poco a casaccio, per essere potenza egemone in ogni dove hanno finito per attirarsi molti nemici? È un vantaggio operare muscolarmente in ogni quadrante o sono più efficaci mix strategici? Insomma, ci sarebbe una lunga lista di ipotesi da valutare, pesare, misurare. Ma niente, la supponenza dell'Occidente e il suo autocompiacimento lo rendono cieco. Così cieco che tutto è ridotto ad un dualismo bene contro male. Putin sanguinario. Putin col polonio per tutti. I soldati russi stuprano e mangiano il nemico. I russi che diventano nuovamente sovietici e neosovietici. Come può funzionare una tale ottusità a livello globale? Non funziona per chi ha ricevuto i confettoni americani e non sono in pochi. O per chi ricorda i massacri in Vietnam, o Abu Ghraib o Guantanamo. Funziona evidentemente di più quando Putin, serafico, all'ipotesi tribunalesca risponde: cominciamo dalla Nato. Però qui in Occidente le TV ripetono la litania. Arrivando a augurare la morte di Putin o un male incurabile. Neanche si fosse al derby Brescia-Atalanta.

Che poi se guardiamo a questo Occidente, più il tempo passa e più le posizioni si complicano. I tedeschi, che così tanto per gradire si riarmano, sono contrari alle sanzioni sul gas. Lo dice persino la loro confindustria. E chissà se tra qualche tempo Stream2 rimarrà tubo morto come dicono gli americani o no. In Francia la Le Pen parla di uscita dalla Nato senza che mai Macron la attacchi su quello. Anzi pare certe volte che la Le Pen dica in parole semplici ciò che Macron pensa. Che buffa situazione. Forse Macron chiamava Putin per il personale francese a Mariupol, ma più probabile che ci sia poca voglia di servire la Nato, desiderio di chiarire le posizioni in Africa e voglia di distinguersi da Nato e anglosfera che nel quadrante Indo-Pacifico alla Francia rompono assai. Insomma, chissà che col trascorrere del tempo e con le continue sparate di Zelensky, guarda caso contro Germania e Francia, anche questo Occidente non cominci a mostrare intensi pruriti. Solo sul riarmo tedesco potremmo farci mille domande. Faranno da soli? Proseguiranno i progetti franco tedeschi? Come hanno preso la cosa oltremanica e oltreoceano?

La sensazione è che se il tanto auspicato default della Russia non arriverà, e francamente pare difficile che arrivi e che se anche arrivasse non finirebbe per travolgere anche noi europei, il tempo giochi a favore di Mosca e di tutti quei paesi che vedono di buon occhio un nuovo ordine mondiale alternativo.  E la sensazione è che la sovraesposizione di Putin possa renderlo a livello globale quella icona, anche un po' pop, che divenne Mao. Magari sbaglio tutto io, ma a uno sguardo sul mondo e non sul nostro ombelico le dinamiche mi sembrano queste.

Nicola Guerra

 
Dobbiamo credere alle favole PDF Stampa E-mail

27 Aprile 2022

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 Da Appelloalpopolo del 24-4-2022 (N.d.d.)

C’era una volta un signore cattivo cattivo di nome Adolfo. Era minuto, coi capelli corvini e portava dei buffissimi baffetti tagliati dritti dritti sotto il naso. Sin da bambino aveva sofferto per il suo aspetto, perché sognava da sempre di essere alto, biondo e con gli occhi azzurri, come gli eroi delle fiabe. Col passare del tempo divenne sempre più cattivo e riversò la sua frustrazione sugli ebrei. Un bel giorno decise di ucciderli tutti e di conquistare il pianeta, ma Capitan America e Zangief di Street Fighter si coalizzarono per sconfiggerlo. E fu così, grazie all’intervento provvidenziale dei due supereroi, che il bene trionfò.

Un numero considerevole di persone scolarizzate in Italia continua ad avere una visione del fenomeno del nazismo non troppo distante dalla versione fiabesca appena esposta. Quando parlo con persone mediamente istruite mi rendo conto che la comprensione della Seconda guerra mondiale non di rado si riduce alle tragiche conseguenze della follia di un uomo malvagio. Una visione ridicola e infantile della realtà, che ignora la complessità dei fenomeni storici, delle direttrici geopolitiche, dei contesti economici e sociali in cui si generano e si sviluppano i conflitti e che non contempla minimamente il ruolo attivo dei popoli, delle masse. Non interrogarsi sulle cause che inducono ciclicamente milioni di esseri umani a desiderare l’annientamento di loro conspecifici e ad adoperarsi per portare a compimento questo desiderio vuol dire essere condannati a ripetere drammaticamente sempre gli stessi errori. Secondo questa visione fanciullesca della storia potrebbe sembrare inutile e pericoloso, dunque, cercare di analizzare la complessità dei fenomeni per far sì che gli errori del passato non si ripetano. Perché mai interrogarsi sulle cause del conflitto, sul processo storico che ha prodotto quella degenerazione che chiamiamo nazismo? Sulle “conseguenze economiche della pace” descritte nel 1919 dal saggio illuminante di John Maynard Keynes? Sulle motivazioni economiche e sociali che hanno alimentato in milioni di individui desiderosi di riscatto un crescendo di insofferenza e odio avverso altri popoli identificati come nemici? Perché mai cercare di capire come si è giunti all’iperinflazione di Weimar? Perché indagare sulle condizioni di vita disumane in cui versavano milioni di tedeschi dopo la Prima guerra mondiale e sull’insostenibilità delle cosiddette riparazioni di guerra previste nel patto di Versailles e sui rischi che questa “pena esemplare” comportava? Per quale ragione studiare la storia dell’Impero tedesco, dalla nascita dello Zollverein, all’unificazione della Germania e dell’afflato imperialista della grande Germania del Secondo Reich? Perché mai studiare le origini e l’affermazione delle teorie eugenetiche in campo scientifico, sostenute da premi Nobel e dai più autorevoli biologi evoluzionisti di quel periodo, che giustificò l’adesione alle teorie razziali di numerosi intellettuali ed esponenti politici? Perché mai addentrarsi nell’analisi del ruolo che l’industria tedesca, in particolar modo quella farmaceutica, ha giocato nell’allestimento dei campi di lavoro prima e poi nei campi di sterminio, che costituivano un terminale fondamentale della capacità produttiva del Terzo Reich? Perché mai entrare nel merito degli interessi economici e militari che si giocavano nel controllo dell’area di confine tra la Germania e la Francia, delimitata dal distretto della Ruhr, dal bacino della Saar, dalla Lorena e dall’Alsazia, cioè le aree siderurgiche più ricche di giacimenti minerari del continente?

Insomma, se ci accontentassimo di una lettura ingenua e fanciullesca della storia potremmo anche porci la seguente domanda: perché cercare di capire la logica dietro le scelte umane quando sono sufficienti le categorie che Propp applicava alle fiabe per spiegare la storia dell’umanità? Esistono i “cattivi” che cercano di fare del male ai “buoni” e alla fine arriva un eroe che ristabilisce la giustizia e tutti vissero felici e contenti. Giusto? Eppure sono stati versati fiumi di inchiostro per spiegare il nazismo, perché la storiella del signore cattivo dai buffissimi baffetti può anche essere sufficiente a saziare il languorino di conoscenza dei più ingenui, ma come spiegare logicamente anche a un bambino il consenso di decine di milioni di individui motivati a portare a compimento i suoi piani malvagi? Gli storici che nei decenni passati hanno cercato di spiegare come siamo giunti dalla pace di Versailles alla Shoah non sono chiaramente stati tacciati di essere nazisti o “hitleriani”. Hanno fatto il loro lavoro, cercando di spiegare con la razionalità e il metodo scientifico, proprio dell’analisi storiografica, il corso degli eventi che hanno portato l’umanità agli orrori del secondo conflitto mondiale. Questo percorso non è solo scientificamente corretto e metodologicamente fondato. Una lettura matura e consapevole della storia costituisce anche la condizione necessaria affinché si possa far tesoro degli errori passati al fine di non ripeterli, se crediamo nella funzione sociale educativa e formativa della storia, che la nostra cultura ricapitola nella locuzione ciceroniana “historia magistra vitae”.

Se avessimo dato retta a Keynes, per esempio, probabilmente il secondo conflitto mondiale non ci sarebbe mai stato, o quantomeno non in quelle proporzioni e con quelle modalità. Se le riparazioni di guerra non avessero condannato alla fame milioni di tedeschi, umiliati e ridotti alla miseria, il nazismo non sarebbe mai attecchito. Quindi è nostro dovere studiare per capire e per non ripetere gli errori già commessi. Oggi, però, è diverso. Secondo la propaganda cui siamo esposti ormai ventiquattro ore su ventiquattro a reti unificate, se non crediamo alle favole siamo complici del male.

Gianluca Baldini

 
L'Italia investe sull'ignoranza PDF Stampa E-mail

26 Aprile 2022

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 Da Comedonchisciotte del 24-4-2022 (N.d.d.)

Abbiamo detto in altre occasioni di essere “passati al bosco”, ossia ribelli, oppositori del nostro tempo. Incomoda posizione, vissuta, come prescriveva Zarathustra “su un alto monte”, dove l’aria è gelida ma pura e si osserva “molto di mondo”. Strana situazione quella italiana, in cui comanda un signore non eletto da nessuno e dove il bilancio statale prevede un aumento delle spese militari e un taglio secco di quelle destinate all’istruzione. Esiste una correlazione tra le due improvvide decisioni. Per armarsi seguendo la volontà del padrone a stelle e strisce, proseguendo in una politica inesistente e servile, non occorre grande cultura. Per svolgere le mansioni assegnate – camerieri o addetti al catering, anche bellico – basta un’istruzione sommaria. Si può affermare che l’Italia investe sull’ignoranza dei suoi giovani, tenacemente perseguita da decenni di incuria, innumerevoli fallimentari riforme scolastiche e, soprattutto, di clamorosa indifferenza nei confronti della cultura, il più rilevante patrimonio immateriale della nostra nazione. Viene in mente la lirica del ventenne Giacomo Leopardi all’Italia: “vedo le mura e gli archi e le colonne, ma la gloria non vedo”. Due secoli dopo, le vestigia sono nascoste dagli orrendi parallelepipedi dei centri commerciali e i muri imbrattati da improbabili geroglifici, le prestazioni di sedicenti artisti di strada. La bruttezza ha conquistato il Bel Paese – ridotto a marca di formaggio – sulle ali di un’ignoranza soddisfatta di sé, segno di un popolo imbarbarito che ha sostituito il look alla bellezza trasmessa dai padri.

La giustificazione al taglio degli investimenti sull’istruzione (investimenti, non spese) fa riferimento alla diminuzione della popolazione in età scolastica. Il dato statistico è inoppugnabile, ma che cosa hanno fatto i governi della repubblica – nessuno escluso – per incentivare quello che dovrebbe essere il primario interesse nazionale, ossia la riproduzione biologica degli italiani, presupposto della persistenza del nostro popolo, della trasmissione della sua cultura, della sua lingua, della sua eredità storica, della sua economia? Assolutamente nulla, tranne incentivare in ogni modo l’individualismo, la denatalità, il crollo dell’istituzione familiare e dell’idea stessa di società naturale aperta alla nascita di nuovi membri della comunità. Eventualmente, i dubbi risparmi nel bilancio dell’istruzione potevano essere stornati a politiche concrete – economiche ed educative – a favore della natalità. Allo stesso modo, l’aumento delle spese militari avrebbe potuto essere destinato a sostenere il lavoro stremato da anni di crisi. Se tutto ciò non avviene, è segno che “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”. L’inversione di tendenza – se mai avverrà – ci sarà solo il giorno in cui gli italiani comprenderanno che i governi non perseguono l’interesse popolare ma rispondono a logiche oligarchiche da cui noi, la trascurabile maggioranza, siamo esclusi. Nel caso dell’istruzione, è difficile negare l’evidenza. Le classi dirigenti lavorano per aumentare l’ignoranza dei sudditi, gli ex cittadini che hanno battuto un primato sconfortante: pagano più tasse che mai. Negli anni drammatici della Seconda guerra mondiale, molti italiani inventarono mille mestieri per ottenere un po’ di denaro dagli occupanti, o liberatori, scelga il lettore il termine corrispondente ai suoi sentimenti. Uno era il lustrascarpe, svolto prevalentemente da bambini e ragazzi in cerca di qualche soldo per la pagnotta. Nacque il neologismo “sciuscià”, dall’inglese shoe-shine, e sulla dura condizione servile di quei piccoli fu girato un commovente film di Vittorio De Sica. Nel mondo capovolto, siamo noi a pagare per svolgere il ruolo di lustrascarpe. Più spese per compiacere l’apparato bellico della Nato, risparmi sull’istruzione degli italiani di domani.  Autolesionismo, insipienza o tradimento?

Nessuno negherà il progressivo declino culturale (e morale) delle classi dirigenti, che trascina in basso il resto degli italiani. Eppure in ogni ambito esistevano tesori di sapienza, volontà, capacità di lavoro, dalle maestranze operaie e contadine sino agli artigiani, agli imprenditori e alla stessa scuola, vertebrata dalla riforma di Giovanni Gentile, il maggiore filosofo italiano del Novecento. Quasi settantenne, il padre dell’attualismo fu assassinato durante la guerra civile. Il primo segnale di una decadenza il cui moto sta accelerando, tra banchi a rotelle, didattica a distanza, perdita di prestigio dei docenti, diplomi e titoli sempre più facili e sempre più svalutati. Al di là della retorica egalitaria, una scuola che insegna, educa e istruisce con la giusta selezione è un primario interesse nazionale, innanzitutto dei ceti più modesti. L’ascensore sociale si è arrestato e si è allargato il divario tra i ricchi – che possono pagare una preparazione adeguata ai figli – e tutti gli altri. Dilagano tuttavia lauree e master che valgono pochissimo in termini culturali e quasi nulla ai fini del futuro professionale. Un numero sterminato di italiani in possesso di titoli di studio ha difficoltà a leggere, scrivere, comprendere testi: è diventato più ignorante e probabilmente meno intelligente. Si chiama effetto Flynn e riguarda l’intero occidente: da almeno vent’anni diminuisce il quoziente intellettivo dei cittadini. L’istituzione scolastica non può non avere responsabilità, unite con la pigrizia mentale di massa che affida tutto allo smartphone. Provvedimenti? Lezioni da remoto, promozioni di massa, distruzione programmata, perseguita, delle materie dette umanistiche, quelle che conferiscono la cultura generale e soprattutto dotano di spirito critico e capacità di ragionamento. La sociologa Ida Magli scrisse che la frammentarietà di cui sembra vittima il sapere umanistico è la sua grande ricchezza. Sconfitto perché insegna a pensare, senza che sia aumentata la competenza scientifica. La scuola, nel migliore dei casi, addestra a svolgere le mansioni decise dall’oligarchia mortificando le eccellenze senza fornire educazione civile. Nel peggiore, è un parcheggio per futuri disoccupati e una possibilità d’impiego poco attrattiva (università a parte) per un numeroso proletariato docente – soprattutto femminile – interessato ad accumulare punteggi per insegnare sotto casa. Malpagati e privi di prestigio, perché dovrebbero sentirsi investiti di una missione, o almeno di un impegnativo ruolo sociale e nazionale? Misera consolazione è sapere di non essere soli nel degrado educativo. In Spagna una recentissima riforma ha abolito di fatto lo studio della filosofia e ridotto la storia alla cronaca della contemporaneità. Pochissimo spazio per la geografia, matematica “inclusiva” (che cosa vorrà dire?), lezioni sul gender e il neo femminismo. Riduzione a gregge ignorante e manipolabile, là, da noi e dovunque nell’Occidente terminale, tranne che per i rampolli della classe dirigente. Un totalitarismo della tabula rasa che rende le generazioni schiave della narrazione dominante, l’unica conosciuta, la sola autorizzata, che cancella tutto, a partire dalla storia.

Illuminante è una vignetta del quotidiano spagnolo ABC. Un nipote chiede al nonno: “ti preoccupa che io non sappia chi fu Don Pelayo? (il re che iniziò la Reconquista nell’VIII secolo, fondatore della nazione). No, figliolo mi dispiace che non sai chi sei tu “. Nel caso italiano, l’obiettivo è ridurci a una popolazione residuale travolta dalla vitalità degli stranieri, formata da camerieri, porta pizza, fattorini e schiavi del modello Amazon, operatori della Disneyland a cui ci stanno riducendo. Il destino dei più svegli sarà quello di influencer sulle reti sociali, guide turistiche e museali. Italia-museo, ovvero cristallizzazione delle glorie passate, rinchiuse in una teca, da osservare a orari fissi, i monumenti e le bellezze naturali semplici fondali, locations per i selfie dei turisti da feste comandate. I modelli saranno sempre più le veline, i calciatori, i partecipanti a programmi come la Pupa e il Secchione; i giochi di ruolo saranno quelli di Uomini e Donne o Amici. L’Italia di Maria De Filippi.

Nondimeno, non pochi giovani riscoprono il sacro, recuperano un rapporto diretto con la natura e la terra fuori dalla retorica di Gaia e dell’ambientalismo d’accatto. In molti fuggono dalle città per ritrovare in campagna il senso della vita, recuperano ed aggiornano la sapienza profonda dei mestieri agricoli ed artigianali. Minoranze, le uniche su cui riporre speranze. La scuola, oltreché scadente, è privatizzata e non insegna più neppure la lingua comune. Alcuni atenei impartiscono le lezioni in inglese, specie nelle materie economiche e finanziarie, un segno disperante di colonizzazione sottoculturale. Quando la scuola si apre alle famiglie la chiamano Open School e perfino i pensionati, per accedere alle prestazioni previdenziali, si devono connettere a MyInps. Del passaporto vaccinale, green pass, portale della digitalizzazione dell’esistenza, meglio tacere per carità di patria. La scuola non educa alla libertà, ma al conformismo e a una religione secolare basata sulla tecnica. Mancano i maestri, sovrabbondano gli istruttori, mentre i giovani si apprestano a recitare il ruolo di militi inconsapevoli di un sistema che li vuole fragili, sottomessi, incolti, lontani dalle domande sul senso della vita, sullo spirito e sulla libertà. Signorini soddisfatti e uomini massa, come previde José Ortega y Gasset. Tutt’al più, i più dotati diventeranno specialisti, persone che conosceranno sempre di più su un argomento sempre più piccolo, e da questa perizia settoriale, angusta, impartiranno lezioni su tutto, dopo aver ascoltato il telegiornale unico, letto la stampa Unica, per ricevere istruzioni. Istruzioni per l’uso, un gigantesco tutorial (si dice così, adesso) scaricabile on line, la nuova enciclopedia della vita a gettone, per la quale è sufficiente saper utilizzare la tastiera degli apparati elettronici, di cui l’Homo digitalis è diventato propaggine.

Nulla è più terribile di un’ignoranza attiva, scriveva Goethe. Cervantes osservava che è volgo, plebe chiunque non sappia, sia pure principe e signore. Ma chi sono costoro, chiede il signorino soddisfatto, barbaro di ritorno che tuttavia sa tutto di Fedez ed Elettra Lamborghini. Forse – il paradosso e il capovolgimento sono le cifre dell’epoca – diminuire le spese per l’istruzione è un bene: meno scuola – questa scuola – meno danni alle menti in formazione. Ha ragione l’americano Rod Dreher, teorico della cosiddetta “opzione Benedetto”, che teorizza la nascita e lo sviluppo di comunità unite dalla cultura e dal desiderio di futuro, che svolgono autonomamente il lavoro educativo abbandonato dalle istituzioni e dai loro padroni oligarchici. Fu l’intuizione di San Benedetto nel buio seguito al crollo dell’Impero Romano, che ridette vita, speranza, lavoro e cultura all’Europa illuminando lo straordinario Medioevo.  Dovremo ricostruire noi, dal basso – con iniziative piccole e grandi, reti di prossimità, libere associazioni – ciò che viene disfatto dall’alto. Una tela di Penelope contro i nuovi Proci.

Per le giovani generazioni italiane – le ultime di un popolo in estinzione? – vediamo tre alternative. La prima riguarda il gregge: accettare la situazione e, all’italiana, cercare di trarne profitto personale. È la regola da otto secoli, da quando ci dividemmo tra Guelfi e Ghibellini per conto di stranieri.  La seconda, triste ma inevitabile, è emigrare, riprendere in mano il proprio destino rompendo con una nazione morente, indifferente ai suoi figli, disinteressata a riprodurre se stessa e trasmettere i tesori ricevuti di civiltà, conoscenza, cultura, prosperità a generazioni capaci di ridar loro vita. La terza opzione è lottare, da posizioni di minoranza – estrema, incompresa, spesso ridicolizzata – per rendere testimonianza a chi ci sostituirà come abitatori di questa piccola penisola. Non tutti vollero cancellare l’Italia, la cultura, il suo popolo, la sua lingua, il suo specifico ruolo nel mondo. Non tutti investirono sulla fine, l’oblio e l’ignoranza. Forse a qualcuno interesserà, domani o dopodomani. Oggi, non resta che stringere i denti, non cedere allo scoraggiamento, non contribuire al deserto che avanza.

Roberto Pecchioli

 
Isis torna a farsi viva PDF Stampa E-mail

25 Aprile 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 20-4-2022 (N.d.d.)

Si sta mettendo in moto la catena delle conseguenze sprigionate dalla guerra in Ucraina, a vari livelli, in vario modo. Sappiamo qualcosa dei russi e degli ucraini, degli americani e degli europei, dei cinesi e degli indiani, ma cosa fanno gli “arabi”? Gli arabi son circa un sesto/quinto dell’islam mentre i più pensano che i due insiemi siano del tutto sovrapposti. In più, magari qualcuno poco incline allo studio del mondo, pensa che gli “arabi” siano un unico sistema omogeneo. Niente di meno vero. Come saprete ci sono sciiti e sunniti, ma invero nel mondo propriamente arabo, gli sciiti sono pochi (Yemen del nord, Bahrein a livello popolare e non di governo). Ci sono arabi mediorientali ed arabi nordafricani, di almeno quattro scuole giuridiche che diversamente interpretano le disposizioni coraniche della sharia. Alcuni sono repubbliche altre monarchie. Le repubbliche hanno in genere una forte componente militare poiché, ai tempi delle colonie europee, far carriera nella struttura militare era l’unica possibilità di emancipazione sociale. Le monarchie sono problematiche, in teoria, poiché il Corano prevede unicamente un unico popolo di Dio nel format popolo-Dio. Le monarchie, quindi, sono un doppio problema. Il primo è che il Corano, col concetto di umma, non prevede partizioni stato-nazionali che è un concetto europeo sovraimposto al mondo arabo quando questo era colonizzato da francesi ed inglesi, soprattutto. Il secondo è che il monarca si pone non al livello del popolo e quindi rompe il format. Tuttavia, nel tempo, alcuni hanno pensato che le monarchie marocchina e soprattutto giordana, fossero legittime in quanto derivate (quanto poi derivate è un altro problema) dal lignaggio Banu Hashim della tribù meccana di cui era originario Maometto, i Quraysh. Né il Corano, né Maometto hanno mai avanzato il concetto di discendenza legittima, anche perché altrimenti avrebbero ragione gli sciiti vs i sunniti. Quando gli europei tagliarono il continuum arabo in stati, alcuni tagli erano diciamo abbastanza storici come l’Egitto o la Siria, altri del tutto improbabili con la Libia o l’Iraq o la penisola arabica. Gli arabi hanno buoni indici di riproduzione, quindi sono per lo più nella fascia anagrafica giovane.

Nella seconda metà del Novecento, dall’Egitto soprattutto ed in buona parte anche in Pakistan che però non è mondo arabo, si venne a formare un complesso ideologico a fini esplicitamente politici. Tale ideologia, essendo dentro il mondo islamico, non poteva far a meno di ricondursi ad una della quattro scuole giuridiche storiche. Scelse la scuola minoritaria, quella hanbalita. Mentre le altre tre, le cui differenze interne per altro non sono molto vistose, si dividono più o meno a pari più di tre terzi del totale, la scuola hanbalita pesa molto poco ed è un fenomeno prettamente saudita dove prende la declinazione wahhabita (per quanto molti hanbaliti non riconoscono i wahhabiti come associati di diritto). È una storia molto complessa e molto poco chiara per poterla esporre qui in breve. Segnaliamo solo che questo complesso ideologico politico detto “salafita” è l’ambito da cui sono nati, pur con diversa ispirazione e strategia, i Fratelli Musulmani, al Qaida e l’Isis. Il fine politico di queste organizzazioni è prendere il potere nazionale in vari contesti, contro le élite laiche militari o contro le monarchie usurpatrici. Ma poiché le élite di questi vari contesti sono in genere in relazioni di interesse con le potenze occidentali, tra cui quelle europee, il loro nemico è sì locale ma per derivata poi anche esterno, cioè “noi” in senso più ampio. Naturalmente perché siamo cristiani e materialisti, ma più prosaicamente perché proteggiamo le élite contro le quali essi si battono. Questo mondo salafita, oltre a non esser affatto compatto ed univoco, “pesa” davvero poco all’interno delle società arabe o meglio, pesa poco in sé per sé, ma poiché spesso è l’unica alternativa radicale allo stato di cose, gode di simpatie maggiori dei suoi effettivi appartenenti. Venne a lungo "coltivato" apposta per tagliare le gambe alle correnti socialiste e raccogliere così in forma coranica la vocazione all'emancipazione.

Qui in Occidente, tutta questa storia non è nota ed è molto confusa. A partire dalla domanda più semplice ovvero come fanno ad esistere organizzazioni come al Qaida e soprattutto l’Isis? In particolare l’Isis, perché mentre al Qaida è una organizzazione vaga ed informale, sebbene ben finanziata, l’Isis ha mostrato capacità operative che presuppongono livelli di organizzazione, anche logistiche, molto sofisticate. Qui la faccenda si fa molto arzigogolata ma non è tema del post. Tema del post voleva essere solo segnalare il farsi vivo del portavoce dell’Isis che ha chiamato alla ripresa della guerra santa contro gli europei, visto che “i crociati si combattono tra loro”. Una nuova stagione di attentati, “in modo da causare dolore e terrorizzare”. https://www.repubblica.it/.../isis_appello_sfruttate.../ È chiaro che la rottura delle simmetrie su cui si è fondato il dopoguerra ovvero gli ultimi sette decenni, offre grandi opportunità a chi vuole cambiare lo stato delle cose. Ed è chiaro che gli europei segnano un pericoloso tracollo delle loro intenzioni geopolitiche visto che si stanno dimostrando niente più che furieri della forza militare i cui generali e decisori ultimi sono americani.

Grande è il disordine sotto il cielo. Gli spagnoli si sono schierati col Marocco e quindi sono diventati nemici degli algerini. Gli algerini sono diventati sempre più alleati di Mosca per quanto corteggiati dagli italiani in cerca di fornitori alternativi. La Tunisia è già in subbuglio e la prossima crisi alimentare sappiamo già come andrà a finire. Sulla Libia penso ci sia poco da sottolineare in chiave caotica. L’Egitto, quanto a crisi alimentare, cadrà in un vero e proprio buco nero a partire da settembre e nessuno sa come farvi fronte. Dei siriani saprete e così degli iracheni dove la vicinanza iranica complica le cose. Forse saprete che la televisione saudita ha mandato in onda una presa in giro molto audace contro la senilità di Biden e saprete del divorzio pronunciato tra il complesso petro-arabo e gli Stati Uniti. I petro-arabi sono inorriditi dalla disinvolta svolta diplomatica di Washington in cerca di energia per gli europei che li sta portando a sdoganare addirittura l'Iran. Poi c’è il quasi colpo di stato in Pakistan che non è arabo ma che è molto influente per via indiretta su certe dinamiche soprattutto militari. La Francia è in vistosa ritirata dall’Africa, la Russia e la Cina (ma anche l’India e le monarchie del Golfo) si stanno allargando. Quindi tutto si muove e dove c’è movimento, per progetti radicali c’è speranza.

Quindi tranquilli, la situazione è schifosa ma potrebbe anche andar peggio.

Pierluigi Fagan

 
Ideologia come falsa coscienza PDF Stampa E-mail

24 Aprile 2022

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La Le Pen no. Ma i nazisti in Ucraina, quelli sì. La Polonia di destra ma anti-russa, assolutamente sì. L'Ungheria di destra, ma filo-russa, neanche per idea.

L'Arabia Saudita misogina sì. L'Afghanistan misogino no. La Cina che fa fare tanti bei danè sia benedetta, la Cina che si governa a modo suo, brrrr, che orrore.

L'Anpi che si limita a fare antifascismo rituale, intoccabile. L'Anpi che osa avere una linea anti-Nato, non ha più senso di esistere.

Bannon ai tempi di Trump era un puzzone. Bannon contro Putin, invece, va benissimo. E fa pure fino.

Assange, quel ficcanaso, che crepi in prigione. La giornalista russa del cartello in diretta, per altro poi assunta da un giornale tedesco, quella è una martire.

Come diceva il buon Marx, l'ideologia è solo una copertura delle convenienze di potere.

Alessio Mannino

 
Terzo tempo PDF Stampa E-mail

23 Aprile 2022

 

 Passato

La spartizione del mondo sottoscritta a Yalta dopo la Seconda guerra mondiale ha mantenuto in equilibro geopolitico l’Est europeo e l’Ovest del mondo. La crisi dei Missili di Cuba, risposta sovietica alla provocazione americana relativa alla collocazione di missili in Italia e Turchia, fu il picco di tensione registrato nel periodo della Guerra fredda (1947-1991). Punta dell’iceberg della cosiddetta corsa agli armamenti, nientemeno che una competizione di matrice americana per il dominio mondiale. I loro uffici marketing avevano chiare le esigenze da soddisfare per realizzare l’egemonia, diffondere la cultura edulcorata dell’american style, penetrare così nei tessuti sociali, invadere e impadronirsi dei nuovi mercati. Ma anche i loro uffici army sapevano come muoversi per acquisire indirettamente nuovi territori, considerati necessari per il contenimento dell’avversario comunista. Tutto ciò senza mai dimenticare il resto del mondo, Centro e Sud America in particolare. Con Gorbaciov, consapevole della precaria salute dell’Unione sovietica, il miracolo della distensione e della denuclearizzazione trovò il modo per compiersi. Prima e dall’altro lato, Nixon non aveva potuto che accettare di buon grado il nuovo corso. La possibilità di consolidare l’egemonia mondiale e avviare la penetrazione commerciale in territorio sovietico si stava profilando. Colto l’impasse sovietico, fu proprio lui a slegare il dollaro dall’oro posseduto e a compiere un considerevole passo egemonico, imponendo così la valuta Usa come riferimento di tutti i mercati del mondo. Le relazioni tra Stati Uniti e l’Urss di Gorbaciov finirono dunque per stringersi. L’Orso era morente, qualunque aiuto avrebbe alleviato l’agonia. In cambio Gorbaciov ebbe modo di collaborare alla caduta di Ceausescu a mezzo della farsa del capolavoro spionistico della rivoluzione romena (1989). Il dittatore era dichiaratamente fuori controllo da tutto e da tutti. La sua politica, che creò la miseria di milioni di romeni, comportò la modernizzazione del paese e – conquista unica al mondo – l’annullamento del debito pubblico, ovvero la completa indipendenza politica. Farlo fuori era in agenda americana da tempo. L’occasione era avvenuta e fu sfruttata. L’occulto intento d’afferrare la parte di mondo che a Yalta avevano dovuto lasciare a Stalin compiva un passo avanti, verso est. Con il sostegno di Eltsin ci metteva pure una mano in casa. Intanto, il pantano afghano segnava la storia e la forza sovietica. Un facile ambito per colpire ai fianchi l’Orso. Addestramento e armi americane furono elargite a piene mani ai mujaheddin a partire dalla fazione più fondamentalista, progenitrice dei talebani. Erano gli ultimi di una vicenda nata con la Rivoluzione d’ottobre soltanto qualche decennio prima. L’economia pianificata stava perdendo la partita contro quella del mercato. Ma furono il centralismo, la corruzione e la repressione dei diritti fondamentali le mine che portarono il sistema dei soviet all’agonia. La caduta a martellate private del Muro di Berlino aprì la breccia all’argine che conteneva i paesi del Patto di Varsavia. L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche cadeva a pezzi. La Russia era stremata e non era più una minaccia.

Presente

Nel 1991 la Guerra fredda aveva esaurito il combustibile. Il primo luglio di quell’anno venne sciolto il Patto Varsavia, organismo privato di ragione e servizio. Ma non l’Alleanza atlantica e la Nato. L’intento imperialista dell’Urss non era – e non sarebbe potuto essere – ereditato dalla Russia, né dalla Comunità degli Stati Indipendenti (1991). In compenso, quello occidentale ebbe modo di mantenere la sua continuità e di vedere nel nuovo presente tutto il necessario per agguantare definitivamente il mondo a mani basse. Con il campo libero, l’Occidente non perse occasione per incensare il proprio modello socio-economico. Liberismo e democrazia non avevano più rivali. Il mondo si sarebbe adeguato al suo schema. I processi di globalizzazione si affermarono come fosse nientemeno che ovvio. Dove serviva, per i più riottosi, si calava l’asso della guerra. Provvigioni energetiche ed esportazione della democrazia erano ragioni più che rispettabili per chi si credeva e crede in diritto di imporre le regole al gioco della storia. Senza alcun potere coercitivo, diversi paesi, una volta membri del Patto di Varsavia, lasciarono il tavolo socialista per tuffarsi a capofitto nell’unica piscina disponibile e ricca di servizi. Il mito edulcorato della Nato e della UE era come zucchero filato per un bimbo la prima volta al luna park. Albania, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Ungheria, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia preferirono qualche regalo in cambio di innocui insediamenti Nato, pur di raggiungere la condizione di benessere che le tv e internet a piene mani somministravano loro. L’Ucraina era in coda al botteghino americano. Il paese del fuoriclasse Ševčenko, ma anche di Breznev e del semisconosciuto Vladimir Antonovič Ivaško – ultimo e non ufficializzato Segretario generale dell’Unione sovietica, in funzione di sostituto, rimasto in carica durante i cinque giorni del crollo sovietico – era il più prelibato dei bocconi sul menu dalla Nato. Agli inizi del nuovo corso, anche la fortuna, coadiuvata dalla Cia, agevolò la politica imperialista americana. La disintegrazione della Jugoslavia, per quanto ex preoccupazione di serie B, fu un altro pedone eliminato nella partita che pareva tutta in discesa. L’ingerenza nel Kosovo e l’umiliazione della Serbia servirono per installare nella sacra regione meridionale del paese Camp Bondsteel, la più grande base orientale americana. Sempre dal reparto marketing, fecero presente che per il futuro serviva benzina e che per fare denaro le guerre erano utili, sia per vendere armi che per ricostruire le devastazioni. Aggiunsero che era il momento buono per far cambiare idea ai paesi islamici, anch’essi già pasturati dalla cultura della libertà che tv e internet lanciavano a piene mani nelle acque virtuose delle lagune islamiche. L’Orso era all’angolo a leccarsi le ferite. Da noi non giungevano neppure i lamenti che, in qualche modo, forse emise. La Cina non era una preoccupazione e, in più, era lontana. Era il tempo per le primavere arabe, sommosse popolari, opportunamente fomentate dalla Cia in funzione di una destabilizzazione del Medio Oriente, prodromo assai utile per arrivare con un contratto di governi fantoccio e, nuovamente, come nel rugby, per attestarsi su un altro pezzo di campo. Era un atto dovuto anche per contrastare il terrorismo islamico, prima politico e poi religioso. Nel 2010 la storia vede comparire il terrorismo islamico e, poco dopo, le fomentate Cia primavere arabe, null’altro che un tentativo di miccia insurrezionale allo scopo di poterne gestire l’evoluzione in funzione di determinare il controllo dei paesi in questione. Mentre gli americani sperperavano energie in Afghanistan e in Iraq, la Russia si era rimboccata le maniche. Da moribonda, aveva recuperato ed era ormai fuori dalla convalescenza. Contemporaneamente, altre realtà si erano mosse. La Cina si era fatta vicina al punto che niente più poteva essere geopoliticamente mosso senza considerare la sua presenza sulla scacchiera. Insieme a lei, anch’essi ora non più parte del miserabile e impotente terzo mondo, l’India, il Pakistan, l’Iran e la Turchia. Consapevoli che la realtà è un essere vivente, gli americani avevano investito in Europa. E avevano ottenuto molto. Tutto, se anche l’Ucraina, ultimo tassello del puzzle di accerchiamento alla Russia, avesse trovato l’incastro giusto. Se qualcuno volesse chiedersi che ci fa ancora la Nato tra i piedi, visto che il Patto di Varsavia è stato obliterato da tempo, non farebbe altro che porsi una delle domande nodali per comprendere la logica imperialista americana, che ormai è sinonimo di IV rivoluzione industriale, il nuovo mezzo di ultima generazione per seguitare a spadroneggiare come finora avevamo visto.

Futuro

La risposta alla domanda nodale è che è meglio infilare un piede nella porta quando è aperta che aprirla quando è chiusa. La resurrezione russa si era compiuta e con essa la certa indisponibilità a divenire vassallo americano. Lasciar crescere la Russia significava alzare il rischio di ritornare al mondo bipolare o multipolare, vista la conclamata presenza della Cina nelle questioni del mondo. Meglio, dunque, fare il massimo per eluderne la forza e per consacrare i confini dell’Occidente. L’Ucraina, ricca di atavico odio antirusso, con ambizioni europeiste e con carenze monetarie, era la preda perfetta per arrivare a un passo dai confini russi e per piazzare armamenti a duplice capacità, convenzionale e nucleare, che tenesse l’Orso in gabbia. L’intento multicentrista russo, apparentemente idea equa e rispettabile, si mostra agli occhi dei designati del Destino manifesto evidentemente inaccettabile. In particolare, dal tempo dei neocon, che nel 2000, nel documento Rebuilding America’s Defens dichiararono apertamente l’intento di divenire il solo modello al quale tutte le culture e le politiche del mondo sarebbero dovuto convergere, a causa del suo intrinseco valore superiore a tutte le altre. Ripescare l’opera dei neocon è utile per riconoscere la logica di accerchiamento della Nato nei confronti della Russia, la cui identità, incompatibile con il modello americano, le aveva impedito di scivolare dritta-dritta in bocca alle fauci occidentali. Non c’erano riusciti con le buone, non restava che provarci con le cattive. Del resto, le garanzie di non estensione della Nato a est, pronunciate da più autorità fra il 1990 e il 1991 – il ministro degli esteri tedesco Genscher, il ministro degli esteri americano Baker, i presidenti G. H. W. Bush e Mitterrand, il segretario generale della Nato Wörner – sono state regolarmente contraddette dai fatti e accompagnate dalla pazienza putiniana. L’installazione degli armamenti puntati sulla Russia entro i confini dei neopaesi-Nato e le continue provocazioni ad essa indirizzate smentirono e continuano a smentire sistematicamente gli intenti iniziali di equilibrio. L’aveva fatto presente già nel 1998 George Kennan, la mente dietro alla strategia americana della Guerra fredda, e ribadito da Fraser, Kissinger, Chomsky e Mearsheimer fra il 2014 e il 2015. La rivoluzione arancione del 2004 e quella dell’Euromaidan, nel 2014, ebbero come conseguenza una russofobia estesa a tutte le dimensioni della cultura ucraina. Un processo che portò al referendum per la Crimea da un lato e alla strage di Odessa e alla guerra in Donbass dall’altro. Erano tutte gocce, o meglio, perle di futuro, che stavano cadendo dall’alambicco del laboratorio americano. Il controllo del mondo non si realizza in un colpo solo. La formazione e la partecipazione della Nato nei confronti delle forze armate ucraine, il passaggio sotto silenzio occidentale della guerra del Donbass, il colpo di stato del 2014 che ribalta la presidenza filorussa regolarmente eletta, la strage di Odessa che secondo qualche idiota non è fatto attendibile a causa di emissari Onu che non l’avrebbero sottoscritto, spingevano l’Ucraina a ovest, staccavano la Russia dall’Europa, permettevano alla Nato l’idea di piazzare armi sul confine est del paese filonazista. Era tutto parte di un elenco di provocazioni nei confronti della Russia con lo scopo di fomentare l’attacco militare russo all’Ucraina. La reazione univoca dei paesi occidental-atlantici, Turchia a parte, che non ha esitato un solo momento a imporre sanzioni e a fornire armamenti, la dice tutta sulla condivisione del progetto egemonico a guida americana. Dice che la posizione e l’intento erano in essere da tempo. Che le sanzioni penalizzino l’Europa, che dice di volere la pace mentre fornisce armi, è un dato che non ha peso. È un dato ovviamente previsto e calcolato. Qualche posticcio nuovo Piano Marshall è certamente in atto dietro le quinte della recessione in avvio per tutti i paesi Europei aderenti all’idiozia degli embarghi. È qui che si innesta l’ormai cresciuto embrione della IV rivoluzione industriale. La grande matassa nella quale siamo ingarbugliati non è portata avanti da un timoniere che naviga a vista. La destinazione è chiara ed esclusiva: restare in corsa per il dominio unipolare del mondo, al massimo lasciare una parte alla Cina. Tutti i fatti in via di venire al mondo sono economicamente computati, affinché il totale permetta di restare concorrenziale al basso costo del capitalismo cinese. Digitalizzazione e culto della tecnologia, black out (prevedibili), politiche terroristiche come eventualità sempre latente, lotte civili fratricide e guerre volte alla riduzione demografica(?), governi tecnocratici, parlamenti esautorati, pensiero unico, stampa asservita, edulcorazione della precarietà, riduzione dei servizi sociali, strumentalizzazione della sanità e della scienza, vita a punti – come per lo ski-lift –, delazioni, ubbidienza, manicheismo, in una parola “Great reset” sono parte delle prospettiva di chi vede il futuro secondo la logica dell’intento egemonico occidentale, che stranamente ricalca quanto già in essere in Cina, a sua volta consapevole di essere vicino ad agguantare l’occidente, senza colpo ferire, e ridurlo a riso bollito per il suo grande popolo.

A ben guardare Il capitale di Marx, rivisto e corretto secondo le dinamiche digitali, deve tornare in cima alla pila di libri sul comodino.

Lorenzo Merlo

 
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