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Pazzi che guidano i ciechi PDF Stampa E-mail

11 Aprile 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 3-4-2022 (N.d.d.)

Due più due fa quattro. Almeno finora; la cultura della cancellazione avanza e se al potere farà comodo che una massa cretinizzata creda il contrario, potrà fare tre o cinque. Troverà intellettuali, militanti, politici pronti a convincere della nuova aritmetica un mondo (occidentale) impazzito.  È la piaga dei tempi, quando i ciechi guidano i pazzi, sospira il povero Gloucester, che non ha più gli occhi, nel quarto atto di Re Lear di Shakespeare. L’atto finisce così: “le notizie variano. È tempo di stare in guardia. Le forze del regno si avvicinano in fretta”. Pazzi e autentici imbroglioni guidano un gregge umano impazzito che non sa più vedere, pensare, reagire.

Che cosa dire, sapendo che una giurista americana, Ketanji Brown Jackson, nominata giudice della Corte Suprema americana da Joe Biden tra un sonnellino e l’altro, ha detto di non poter rispondere alla domanda “può darci una definizione della parola donna?”. Incalzata, ha ripetuto di non possedere gli strumenti culturali per definire la donna. “Non in questo contesto. Non sono una biologa”. Raggelante. Sin troppo gentile la replica. “Il fatto che lei non possa darmi una risposta diretta su qualcosa di così fondamentale come ciò che una donna è, evidenzia i pericoli dell’educazione progressista”. Più sferzante il commento dell’editorialista Piers Morgan. “È ridicolo. Non sono un neurochirurgo, ma so che cos’è un cervello. Questa è la situazione in cui ci porta il pensiero progressista: al terrore di affermare fatti fondamentali e inattaccabili per paura di offendere la brigata woke”, gli autodefiniti risvegliati, i fanatici della cancellazione culturale.

Non è ridicolo, purtroppo, negare ogni evidenza affermando nel contempo ogni sproposito come portentosa scoperta di verità ultime; o penultime, con il progresso non si sa mai.  Ogni stranezza inventata dalle menti di pochi fanatici telecomandati dalle oligarchie sta diventando senso comune e diritto positivo degli stati per la pavidità di chi ha occhi per vedere, ribadire che due e due fa quattro e che “maschio e femmina li creò “, sia stato il Dio biblico, la natura o il caso. Dal cilindro dei maghi Houdini progressisti è uscita l’apodittica affermazione che i sessi – no, i “generi – sono un costrutto socioculturale, che ciascuno può scegliere il suo e modificare l’opzione a volontà, e non sono due, ma un numero indefinito, cangiante, rappresentato dal segno + che è obbligatorio apporre in coda all’acronimo LGBT, Q, I e qualsiasi altra diavoleria salti in mente a soggetti che in tempi normali sarebbero stati affidati alle terapie, non posti in cattedra. La stessa Jackson, peraltro, nominata per essere un esempio vivente di intersezionalità tra tutte le identità vittimiste (è donna, femminista e nera, anzi afroamericana), da convinta abortista, si batté vigorosamente per il diritto delle donne – l’entità di cui ignora la natura per imperizia biologica – a interrompere liberamente la gravidanza.  Si ha l’impressione di vivere in uno sconcertante pesce d’aprile che dura tutto l’anno. Invece è realtà nell’ occidente post-moderno, post umano, nemico della verità e di se stesso. Il prefisso “post” indica qualcosa di irrisolto, indistinto, un nulla travestito da straordinarie rivelazioni a cui nessuna epoca, nessuna civiltà era mai pervenuta. Vietata la domanda cruciale: se nessuno ci aveva mai pensato, non sarà che si tratta di menzogne o addirittura di follie? No, i risvegliati non tollerano obiezioni, il segno più sicuro della natura settaria, totalitaria e ammantata di pazzia delle loro convinzioni. A chi vuol perdere, Giove toglie il senno, sapevano gli antichi. È giunto a compimento un lavorio di secoli, che, tra le altre cose, ha portato alla pressoché totale sparizione del cristianesimo dalle terre in cui è cresciuto e ha improntato una visione del mondo. La filosofa francese Chantal Delsol non ha dubbi. “Il tempo presente conosce un’inversione normativa e filosofica che ci trascina in un’era nuova. La transizione è brutale. È difficile da accettare per i difensori dell’era che scompare. Allo stesso modo con cui il vecchio tende a colorare il mondo della sua decrepitezza e a vederlo decadente, i cristiani oggi si attardano a contemplare il declino del mondo nel loro stesso declino”. La Delsol indica un’unica via d’uscita, deludente: essere semplici testimoni, “agenti segreti di Dio”. Un destino al quale non ci rassegniamo, poiché la verità va proclamata comunque, contro vento e marea. […]

La battaglia è contro due millenni di civiltà cristiana, ma la tempesta travolge ogni cosa, la legge naturale, il buon senso, la storia, la condizione di creatura dell’uomo. La volontà di potenza prende risolutamente un esito nichilista: l’uomo veste l’abito di Dio e dichiara imperfetta la creazione, la natura, l’evoluzione. Dio di se stesso – lo proclama Yuval Noah Harari, il futurologo israeliano consigliere degli stregoni di Davos - l’uomo “aumentato”, attraverso il mito del progresso sale i gradini che portano non al cielo, ma al nulla. Assolutizza la scienza, unica verità inopinabile, sola conoscenza ammessa, con l’assenso delle chiese, ex custodi della trascendenza. Si chiedeva Thomas S. Eliot nei Cori della Rocca: è l’uomo ad avere abbandonato la chiesa o è lei ad avere tradito il suo popolo?

Assistiamo allo scempio della legge naturale e alla torsione delle verità più elementari. […]un mondo impazzito che ha perduto la bussola, in cui tutto ciò che è assurdo, riservato alle risate tra amici o alle cure di uno psicoterapeuta, sta diventando un insieme di norme che governano le malate società occidentali.  Qualche esempio tratto dalla società dello spettacolo, che ha in pugno il cervello rettiliano delle masse. Attori e attrici neri interpretano Amleto e Anna Bolena (una vittima, Enrico VIII è rigorosamente bianco!), un attore nano ha preteso che sia cambiata la storia di Biancaneve e i sette nani per non offendere le “persone di statura molto bassa”. Un’alta dirigente della Disney dichiara che, in quanto madre di un figlio transessuale e di uno pansessuale, intende stabilire una quota minima del cinquanta per cento di personaggi LGBT e appartenenti a minoranze razziali nei film per bambini. I disagi della parte più fragile ed esposta delle classi alte occidentali devono diventare patrimonio comune attraverso il sistema di intrattenimento che cambia la percezione della realtà e i valori (chiamiamoli così) delle nuove generazioni.  Per quanto le nostre affermazioni suonino incomprensibili all’uomo privato di ogni trascendenza, formattato nel corpo e nell’anima da una anti-cultura mortifera, la lotta è ormai su un piano metafisico. L’Homo Deus va sconfitto dalle forze dello spirito alleate con il senso comune dei popoli e dei singoli, che non possono credere che il bianco sia nero.  Tutto ciò che fino a ieri era normale, indiscusso, è stato spazzato via da un decennio in cui alcuni pazzi (e pazze, rispettiamo la parità di genere!) vendicativi, rancorosi, decisero che era necessario porre fine alla normalità e fare tabula rasa della legge naturale. […] È il momento di ribellarsi contro questi mentitori seriali, minoranze piccole ma potentissime (abbiamo visto chi paga il conto…) che stanno sfigurando una civiltà, la nostra, sino a capovolgerla.  In più, ci chiedono di arruolarci a difesa dei “valori occidentali” che una parte sempre più consistente di mondo sta contestando sul piano economico, civile, sociale, valoriale. In questo orribile pesce d’aprile permanente, esigiamo a gran voce di essere lasciati in pace, immunizzati dalle teorie di genere, dalle nevrosi antirazziste, dai capricci sessuali e pansessuali – qualsiasi cosa significhi – dalle ossessioni neo-femministe, dai “costrutti sociali” in cui costoro hanno trasformato l’esperienza umana, la natura, la biologia. Stanno scrivendo un vangelo nichilista intriso di onnipotenza, che conduce ad azioni incontrollabili.  Ne stiamo facendo esperienza nella privazione delle libertà elementari con il pretesto della pandemia, nell’imposizione green, nell’ arruolamento forzoso contro i nostri interessi concreti nelle guerre di dominazione dell’Occidente malato che si sente Dio. Un Dio a testa in giù che revoca le verità e ne istituisce di nuove, provvisorie, valide per oggi: domani sarà ancora meglio, sarà “più”, è il progresso. Dobbiamo fermare con ogni mezzo, a partire dal diritto naturale di resistenza, la corsa del treno lanciato a tutta la velocità verso un precipizio sempre più vicino. È il nichilismo di Thelma e Louise, che al termine della fuga verso equivoche libertà, che in fondo non le hanno soddisfatte, lanciano l’auto e se stesse nel burrone. La gente assennata, che usa il cervello e vede con i propri occhi, ha il dovere di battersi contro i deliri, le psicosi, le nevrosi di una piccola ma influente minoranza di fanatici diventati “padroni del discorso” – per volontà esplicita delle oligarchie d’Occidente – che stanno facendo strame non soltanto di trenta secoli di civiltà, ma della stessa ragione. Lasciamo il pesce d’aprile a un unico giorno – una volta all’anno è lecito impazzire – nella speranza di non essere querelati da qualche antispecista convinto che i pesci siano vittime di una inaccettabile discriminazione. I pazzi non condurranno più i ciechi se questi si strapperanno le bende e rivedranno la luce, cioè la verità e la realtà. La menzogna non dura in eterno. Contra factum non valet argumentum.

Roberto Pecchioli

 
Stimolo dell'emotività, non informazione PDF Stampa E-mail

10 Aprile 2022

 Da Appelloalpopolo del 7-4-2022 (N.d.d.)

Leggendo tra i post dei miei contatti mi pare ci sia poca chiarezza su cosa sia la propaganda bellica, ovvero si tenda a pensare che è propaganda quando vengono riportate notizie false mentre è “giornalismo”, o “corretta informazione” o comunque lo vogliate chiamare, quando vengono riportati fatti “veri”. Questo è assolutamente sbagliato. A distinguere la propaganda dalla normale informazione è il fine, non il mezzo. “Propaganda” è la comunicazione che vuole suscitare determinate emozioni in chi la riceve, in particolare la propaganda bellica vuole suscitare ira, bellicosità, furore e sdegno, ovviamente rivolti verso il “nemico”. È un’esigenza comune ai belligeranti di tutte le guerre, perché guerra vuol dire ragazzotti di vent’anni che devono cercare di ammazzare i loro coetanei dell’altra parte, senza esitazioni, dubbi o pietà, ed è difficile farlo se non vieni convinto che dall’altra parte non ci sono esseri umani ma orchi malvagi che vogliono solo uccidere, distruggere e stuprare.

Stabilito che a distinguere la propaganda è il fine, il mezzo possono essere fatti inventati di sana pianta, fatti veri ma gonfiati ad arte o anche fatti totalmente veri. Dopotutto in qualsiasi guerra di atrocità commesse da ambo le parti da poter utilizzare a scopo propagandistico se ne trovano a piacere. Trovo quindi poco utili queste infinite analisi volte a cercare di dimostrare se ogni singolo articolo che ci viene proposto contenga notizie vere o false. Sappiamo che la Verità è la prima vittima di qualsiasi guerra, sul campo ci sono solo i due belligeranti ed anche i reporter di guerra, ammesso che ancora davvero esista questa figura professionale, vengono tipicamente accompagnati dai soldati di una delle due fazioni, e quindi vedono quello che si vuole che vedano. Io per capire che quella che ci stanno somministrando in Italia è pura propaganda non ho bisogno di conoscere i fatti, cosa che è pregiudicata a tutti noi, presi in mezzo dalle opposte propagande, mi basta vedere i toni usati, il tipo di narrazione, la coloritura emotiva degli articoli.

La comunicazione che ci viene proposta è chiaramente costruita in modo da suscitare non riflessioni ma emotività, in particolare sdegno e furore, verso una delle due parti, ed è quindi a tutti gli effetti propaganda. Ora, la vera domanda è questa. Abbiamo detto che la propaganda è un’esigenza indispensabile per un paese belligerante, ma l’Italia non lo è, quindi perché ci viene somministrata? L’unica risposta cui riesco a pensare non mi piace…

Luca Manzoni

 
Stranezze della guerra PDF Stampa E-mail

9 Aprile 2022

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Chi è nato negli anni '70 oppure mastica un poco di cultura cinematografica ricorderà senz' altro la figura di Luther, il membro squilibrato della gang dei "Rogues" in "The Warrior" di Walter Hill e soprattutto conoscerà la frase pronunciata verso il finale e diretta ai "Warriors”, diventata ormai un cult iconico: "Guerrieri, giochiamo a fare la guerra?" Quarant' anni dopo potremmo rivolgere la stessa frase a Vladimir Putin: seguitemi come ragionamento e partiamo anzitutto mettendo temporaneamente  da parte le distruzioni materiali, i profughi, i video degli ucraini che sparano nelle gambe dei prigionieri russi, le accuse reciproche di stragi e nefandezze, le scene dei morti e quant' altro compresa  la propaganda da ambo le parti, tutti epifenomeni nel panorama complesso della guerra (epifenomeni, in quanto ad esempio la propaganda esula dalla guerra in sé) che ci sono stati e ci saranno sempre e concentriamoci soltanto su due elementi organici della guerra che sono la strategia e la tattica.

Una guerra deve avere sia sul piano militare che politico elementi di strategia e di tattica. Che guerra sta conducendo Vladimir Putin? Sicuramente in modo strano e davvero difficile da capire per gente abituata ai canoni classici di un conflitto. Partiamo dalla questione strategica: l’obiettivo è non far entrare l’Ucraina nella NATO? Da questo punto di vista credo sia già stato raggiunto, difficilmente Kiev in futuro entrerà nell' Alleanza Atlantica e una dichiarazione di Zelensky del 15 marzo lo annuncia in maniera esplicita: "l’Ucraina non diventerà membro della NATO”, è una frase che si può leggere benissimo in Rete. È stato un attacco preventivo, una prova di forza, in quel rapporto di forza che da sempre contraddistingue la politica, della quale la guerra secondo la ben nota definizione del Clausewitz altro non è che la continuazione con diversi mezzi? Se così fosse, l’obiettivo si potrebbe considerare raggiunto e ci sarebbero le basi per negoziati accettabili da ambo le parti. Oppure si tratta di creare due Repubbliche indipendenti nel Donbass come Stati cuscinetto politicamente e militarmente satelliti di Mosca? Se così fosse allora l' intero sforzo bellico dovrebbe essere concentrato nel Donbass e nel sud , verso la Crimea perché qui si entra nella parte tattica del discorso riguardante il dislocamento delle truppe russe in Ucraina, con un fronte settentrionale totalmente inutile, quello che un tempo i manuali chiamavano un "diversivo" per ingannare il nemico e fargli stornare parte delle proprie forze per indebolirle, scoprendo di protezione il vero obiettivo dell' offensiva ma i "diversivi" proprio perché aventi la funzione di ingannare il nemico dovrebbero essere condotti in maniera ben più energica. Non si combatte per togliere eventualmente due regioni ad un Paese impiegando all' incirca 200.000 uomini sul terreno contro un esercito regolare di Kiev che in tempo di pace conta 255.00 uomini -ora sicuramente una cifra più alta coi richiami e i volontari- e 832 carri armati quando si può contare a pieno regime su 2.800 carri armati , 6.100 mezzi corazzati, 1.800 pezzi di artiglieria da campagna e un rapporto di 5:1 solo nella aviazione, senza contare 1.300 mezzi lanciamissili: una "potenza di fuoco spaventosa" come dice il sito "atlantedellaguerra" da cui si tolgono questi dati. Forse Putin punta a un regime change? Non è questo, di certo, il metodo per metterlo in pratica.

Al netto di queste cifre e numeri Putin sta combattendo una guerra della quale, attualmente, non si riesce a capire il significato strategico e nemmeno quello tattico. E si sta trascinando troppo per le lunghe: maggio è vicino, il giorno 9 i russi festeggiano la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale ed è un anniversario molto sentito da quelle parti, in cui Putin rischia fortemente di arrivare senza avere nulla di concreto in mano. Festeggiare una vittoria storica con le truppe da due mesi e mezzo invischiate in Ucraina senza prospettive di uscirne a breve potrebbe avere riflessi, almeno dal punto di vista del consenso interno, assai negativi per il presidente della Federazione Russa. È un modo di combattere una guerra, di portare avanti una guerra, che sta sfuggendo ad ogni logica razionale almeno dal nostro punto di vista.

Non si è mai visto poi nella Storia un Paese in stato di guerra con un altro continuare, con regolarità e rispetto dei contratti, a fornire una materia prima strategica come il gas il cui uso principale non è per cuocere gli spaghetti o riscaldare le case: la quota maggiore del gas, ad un Paese, serve per alimentare l’apparato industriale. Se questo modo di fare la guerra, che sta andando contro ogni senso tattico-strategico, ha una logica alla quale noi sfuggiamo, questo ad oggi non possiamo saperlo. Possiamo solo fare ipotesi: è una guerra di logoramento, in cui si propone di ritorcere le sanzioni contro l’Europa e i Paesi NATO contando sul fatto che i mercati principali del mondo quali Cina ed India (questi due soli Stati contano oltre due miliardi e mezzo di individui, senza contare brasiliani, argentini, eccetera) continuano a commerciare con Mosca? È una ipotesi, come molte altre.

Il giudizio più prudente ed equilibrato in tempo di "tifoserie" sarebbe quello di dire che non bisogna dare Putin per "sconfitto" ma nemmeno si dovrebbe eccedere in senso contrario: queste settimane sono enigmatiche e impossibili da decifrare ma di una cosa possiamo essere certi: tra un mese o due molti nodi saranno sciolti, perché il conflitto sta diventando pericolosamente troppo lungo per entrambe le parti. Anche per un Paese che può vantare risorse immense e grandi alleanze come la Russia.

Noi rischiamo di uscirne con le ossa rotte ma anche Putin alla lunga può indebolirsi, quindi massima attenzione sul conflitto, senza lasciarsi coinvolgere nel gioco delle tifoserie allo stadio con le due squadre di calcio, perché sono settimane caotiche e quindi tutto potrebbe succedere. Calma e gesso.

Simone Torresani

 
Esercitare la logica PDF Stampa E-mail

8 Aprile 2022

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Nel polverone di una propaganda indecente, l’unico strumento che abbiamo per cercare di individuare una qualche verità è l’esercizio della logica. Si tratta di partire da premesse che siano fondate logicamente e fattualmente, per giungere a conclusioni coerenti con le premesse. Proviamo a iniziare da considerazioni che stranamente non sono fatte da nessuno.

Prima premessa. La Russia odierna non ha nulla a che fare col comunismo. Questa è un’asserzione. Ogni asserzione deve essere definita e dimostrata. Farlo è molto semplice. Oggi in Russia operano i cosiddetti oligarchi, cioè monopolisti miliardari. Dei privati che accumulino fortune gigantesche operando sul mercato sono incompatibili con qualunque idea di comunismo. Seconda premessa. Contro Putin e la Russia si è scatenata una campagna di demonizzazione senza precedenti, usando termini come “macellaio” e “peggiore di una bestia”, che supera perfino quanto si disse di Stalin. Questa raffica di insulti iniziò ben prima dell’invasione dell’Ucraina. Da molti anni Putin è gratificato di epiteti come “dittatore”, “corrotto”, “avvelenatore”, “assassino”. Conclusione coerente con le due premesse: lo scontro fra l’Occidente e l’URSS non è mai stato un conflitto ideologico fra la democrazia e il comunismo. I conflitti ideologici sono sempre coperture di interessi molto concreti. Il “comunismo” dell’URSS non interessava granché all’Occidente e per la stessa URSS era solo uno strumento per tentare di espandersi con la forza attrattiva dell’ideologia. Allora perché quell’ostilità, ora ancora più accentuata proprio quando il comunismo, se mai c’è stato, non c’è più? Usciamo dalla logica per formulare un’ipotesi, discutibile come tutte le ipotesi. Ciò che fa odiare la Russia e i suoi capi è il fatto che quel Paese è abbastanza potente, animato da patriottismo e fiero del proprio ruolo storico da non piegarsi alle pretese di dominio universale da parte dell’Impero anglo-americano. Anche oggi il conflitto fra democrazia e autocrazia (almeno c’è il pudore di non chiamarla più comunismo, ma manca il pudore di ammettere che il regime ucraino è tutto tranne che un modello di democrazia) è solo la stanca ripetizione di uno schema che non significa nulla.

Cerchiamo di esercitare la logica anche nel valutare il tormentone di questi giorni, la strage di Bucha. Partiamo da postulati di un’ovvietà disarmante. In guerra si scatenano gli istinti peggiori. La guerra è brutta. Questa è la scoperta dell’acqua calda. Soltanto i pazzoidi che definirono la guerra “sola igiene del mondo” potrebbero contestarli. Proviamo a procedere. L’esperienza di millenni di storia ci dice che eserciti in ritirata, presi da furore e frustrazione, possono compiere massacri di innocenti. Ci dice anche che i vincitori che subentrano ai fuggitivi si vendicano su chi aveva collaborato col nemico. Solo per limitarci a esempi recenti, si può ricordare cosa avvenne in Vietnam dopo la fuga degli americani. Chi aveva collaborato tentò di fuggire con tutti i mezzi (li chiamarono “il popolo delle barche”, ma chi li ricorda più nella totale ignoranza della storia che marchia la nostra inciviltà?). Chi non riuscì a fuggire finì male. Dopo la partenza dei sovietici sconfitti dai guerriglieri islamici in Afghanistan, chi aveva collaborato con l’invasore non visse a lungo e non morì nel suo letto. Appena un anno fa abbiamo visto la fuga di americani e NATO sempre dall’Afghanistan, e i loro collaboratori che cercavano disperatamente di imbarcarsi sugli aerei che decollavano nel caos. Sapevano che i talebani vittoriosi sono gente poco malleabile e poco conciliante. Pertanto, sulla base di queste considerazioni indiscutibili perché fondate su millenni di fatti documentati, la strage di Bucha può essere stata commessa sia dai russi in ritirata sia dagli ucraini subentranti. Per giungere a una risposta occorre formulare le domande appropriate, che sono tre. È vero o falso che i russi si sono ritirati dalla cittadina il 30 marzo? È vero o falso che i reparti della brigata ucraina Safari sono entrati nella località il 31 marzo? È vero o falso che i cadaveri dei civili riversi sulle strade a centinaia sono stati filmati e fotografati solo il 3 aprile? Se la risposta alle tre domande è “sì, è vero”, la strage è stata commessa dagli ucraini che hanno così punito i collaboratori dei russi. Se la risposta alle tre domande è “no, non è vero”, oppure “è solo parzialmente vero”, il massacro è opera dei russi che si sono sfogati su ostaggi e cittadini innocenti. Come provare le vere responsabilità? Semplicemente mandando sul posto inviati determinati a scoprire la verità. Non succederà perché gli inviati sono pagati per ripetere i comizi di Zelensky.

Luciano Fuschini

 
Rublogas PDF Stampa E-mail

7 Aprile 2022

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 Da Comedonchisciotte del 4-4-2022 (N.d.d.)

Saddam, Gheddafi, Iran, Venezuela – tutti ci avevano provato e nessuno ci era riuscito. Ma la Russia è ad un livello completamente diverso. La bellezza del rivoluzionario gas per rubli, il jujitsu geoeconomico applicato da Mosca, è la sua cruda semplicità. Il decreto del presidente russo Vladimir Putin sui nuovi termini di pagamento per i prodotti energetici è stato, prevedibilmente, frainteso dal collettivo occidentale. Il governo russo non chiede affatto il pagamento diretto del gas in rubli. Quello che Mosca vuole è essere pagata alla Gazprombank in Russia, nella sua valuta di scelta, e non su un conto Gazprom in un qualsiasi istituto bancario nelle capitali occidentali.

Questa è l’essenza del poco che equivale a più sofisticatezza. Gazprombank venderà la valuta straniera – dollari o euro depositati dai suoi clienti – alla Borsa di Mosca e la accrediterà su diversi conti in rubli all’interno di Gazprombank. Questo, in pratica, significa che la valuta straniera dovrebbe essere inviata direttamente in Russia, e non depositata in una banca all’estero – dove potrebbe essere facilmente tenuta in ostaggio, o congelata, se è per questo. Tutte queste transazioni, d’ora in poi, dovranno avvenire sotto la giurisdizione russa – eliminando così il rischio che i pagamenti siano interrotti o completamente bloccati.

Non c’è da meravigliarsi che l’apparato servile dell’Unione Europea (UE) – attivamente impegnato a distruggere le proprie economie nazionali per conto degli interessi di Washington – sia intellettualmente incapace di comprendere la complessa questione del cambio degli euro in rubli. Gazprom ha reso le cose ancor più facili inviando notifiche ufficiali alle sue controparti in Occidente e in Giappone. Putin stesso è stato costretto a spiegare per iscritto al cancelliere tedesco Olaf Scholz come funziona il tutto. Ancora una volta, è molto semplice: i clienti aprono un conto presso Gazprombank in Russia. I pagamenti vengono effettuati in valuta estera – dollari o euro – convertiti in rubli secondo il tasso di cambio corrente e trasferiti su diversi conti Gazprom. Così è garantito al 100% che Gazprom verrà pagata.

Questo è in netto contrasto con quello che gli Stati Uniti stavano costringendo gli Europei a fare: pagare il gas russo nei conti Gazprom in Europa, che poi sarebbero stati immediatamente congelati. Questi conti sarebbero stati sbloccati solo alla fine dell’operazione Z, l’intervento militare della Russia in Ucraina. Comunque, gli Americani vogliono che la guerra vada avanti all’infinito, per “impantanare” Mosca, come se questo fosse l’Afghanistan degli anni ’80, e hanno severamente vietato al comico ucraino davanti ad uno schermo verde da qualche parte – certamente non a Kiev – di accettare qualsiasi cessate il fuoco o accordo di pace. Così i conti di Gazprom in Europa potranno continuare ad essere congelati.

Mentre Scholz stava ancora cercando di capire l’ovvio, i suoi tirapiedi economici sono impazziti, facendo balenare l’idea di nazionalizzare le filiali di Gazprom – Gazprom Germania e Wingas – nel caso in cui la Russia decidesse di fermare il flusso di gas. Questo è ridicolo. Sarebbe come dire che, secondo i funzionari di Berlino, le filiali di Gazprom producono gas naturale direttamente nei loro uffici tedeschi dotati di riscaldamento centrale. Il nuovo meccanismo rubli-per-gas non viola in alcun modo i contratti esistenti. In ogni caso, come Putin ha avvertito, i contratti esistenti potrebbero effettivamente essere bloccati: “Se tali pagamenti [in rubli] non verranno effettuati, lo considereremo come un’incapacità degli acquirenti di adempiere ai loro impegni, con tutte le implicazioni del caso.” Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, è stato categorico sul fatto che il meccanismo non sarà sospeso nelle attuali, disastrose circostanze. Ma questo non significa che il flusso di gas verrà immediatamente interrotto. È atteso il pagamento in rubli dai “poco amichevoli” – una lista di stati ostili che include, tra gli altri, Stati Uniti, Canada, Giappone e UE – nella seconda metà di aprile e inizio maggio.

Per la stragrande maggioranza del Sud globale, il quadro generale è chiarissimo: un’oligarchia atlantista si rifiuta di comprare il gas russo, essenziale per il benessere della popolazione europea, mentre è totalmente impegnata nella militarizzazione di tassi d’inflazione tossici nei confronti della sua stessa popolazione. Questo meccanismo gas-per-rubli – chiamatelo Rublogas – è solo il primo tassello concreto nella costruzione di un sistema finanziario/monetario alternativo, in tandem con molti altri meccanismi: il commercio rublo-rupia; il petroyuan saudita; il meccanismo Iran-Russia per l’aggiramento dello SWIFT; e il più importante di tutti, il progetto dell’Unione Economica Cina-Eurasia (EAEU) di un sistema finanziario/monetario completo, la cui prima bozza sarà presentata nei prossimi giorni. E tutto questo è direttamente collegato all’emergere sbalorditivo del rublo come nuova valuta di riserva basata sulle risorse.

Dopo le prevedibili fasi iniziali di negazione, l’UE – in realtà, la Germania – dovrà affrontare la realtà. L’UE dipende da forniture costanti di gas (40%) e di petrolio russo (25%). L’isteria delle sanzioni ha già generato un contraccolpo notevole. Il gas naturale rappresenta il 50% del fabbisogno dell’industria chimica e farmaceutica tedesca. Non c’è un sostituto degno di questo nome, dall’Algeria, dalla Norvegia, dal Qatar o dal Turkmenistan. La Germania è la centrale industriale dell’UE. Solo il gas russo è in grado di mantenere la base industriale tedesca – ed europea – in movimento e a prezzi molto convenienti in caso di contratti a lungo termine. Distruggete questo sistema e avrete turbolenze terrificanti in tutta l’UE ed oltre. L’inimitabile Andrei Martyanov l’ha riassunto così: “Solo due cose definiscono il mondo: l’economia fisica reale e il potere militare, che è il suo primo derivato. Tutto il resto sono derivati, ma non si può vivere di derivati.”

Il casinò turbo-capitalista americano crede alla propria “narrazione” derivata – che non ha nulla a che fare con l’economia reale. L’UE, alla fine, sarà costretta dalla dura realtà a passare dalla negazione all’accettazione. Nel frattempo, il Sud globale si adatterà velocemente al nuovo paradigma: il Grande Reset di Davos è stato distrutto dal Reset Russo.

Pepe Escobar (tradotto da Markus) 

 
Colonia culturale PDF Stampa E-mail

5 Aprile 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 3-4-2022 (N.d.d.)

L’aumento delle spese militari deciso dal governo ha provocato in Italia un vivace dibattito che ha visto spaccarsi persino la maggioranza che sostiene Draghi. Il fatto che si sia comunque trovato un compromesso all’italiana non sminuisce la portata di questa divaricazione che ha fatto riemergere problematiche più ampie e complesse della semplice corsa alle armi. Le armi, infatti, sono necessarie come le medicine, non per curare ma piuttosto per prevenire. Non a caso, la pluriennale pace in Europa è stata garantita dalla deterrenza nucleare. Ma la vera sfida in questa fase storica, se sei un Paese europeo, è quella di procedere ad un riarmo coordinato nel quadro di una UE che sia capace di rendersi sempre più soggetto politico autonomo sul piano internazionale e militare, indipendente dalla Nato e dagli USA e alternativo rispetto a Russia e Cina.

Chi riesce a intuire quello che sta succedendo, vede che siamo di fronte a qualcosa che ha la portata della caduta dell’Impero romano e il decentramento dell’impero americano avrà conseguenze non minori di quel precedente sulle sue province. Il dato di partenza è che il mondo non è più unipolare, come è stato dagli anni ’90, e non è neppure bipolare, come è stato dopo il 1945, ma sta divenendo sempre più chiaramente multipolare. In questo contesto l’Occidente europeo vive una doppia crisi, geopolitica e culturale. Sul piano geopolitico emerge sempre più chiaramente il fatto che l’Europa non si è mai emancipata dalla sudditanza impostale nel secondo dopoguerra dagli USA. Chi vorrebbe l’Europa come contraltare e polo alternativo agli USA, deve constatare che l’allineamento della UE, prima nella vicenda pandemica ed ora nel conflitto russo-ucraino, ha mostrato che l’Europa è sostanzialmente una colonia americana, tenuta a catena corta dal padrone. Il fatto che in questo momento tutta l’Europa stia viaggiando verso la propria rovina economica, opponendo pochissima o nulla resistenza alle scelte americane, mentre i nostri interessi divergono totalmente da quelli degli USA, dice tutto quello che serve per capire. Se non solo l’Italia, ma anche paesi come Germania e Francia non riescono a esprimere una posizione differente, parte della ragione sta nel fatto che il nostro asservimento strutturale agli USA passa attraverso la dipendenza totale sul piano militare (dal ’45 siamo e restiamo pieni di basi militari americane) e sul piano delle telecomunicazioni (la “rete” è sì “mondiale”, ma in effetti è sotto diretto o indiretto controllo americano). Ma c’è anche un’altra ragione, che è assai più attinente alla nostra dipendenza culturale.

L’Europa è soprattutto una colonia culturale americana. Il mondo in cui ci muoviamo è integralmente formato da modelli, format e contenuti di importazione: TV, fiction, filmografia, notiziari, musica, moda, costume, ci forniscono una realtà unipolare per cui passeggiamo virtualmente per le strade di S. Francisco e tra gli attici di Manhattan, viviamo come nostri i problemi di razzismo di un’eredità schiavista e facciamo seriosi interventi legislativi per porre rimedio ai problemi dell’Alabama inginocchiandoci in parlamento o sui campi di calcio, come marionette manovrate dall’alto. I diritti invertiti di una realtà surreale, ma reclamizzata, sono diventati oggetto di insegnamento nelle nostre scuole. Le forme più estreme di un individualismo edonistico e narcisista, sono smerciate come desiderabili obiettivi di vita e di realizzazione personale. Gli USA si sono dimostrati essere un’immensa potenza propagandistica, una macchina micidiale di creazione dell’immaginario. Perciò noi europei non siamo più in grado nemmeno di immaginare forme di vita diverse da quelle fittizie proiettate dalla pubblicità di Hollywood.

Finché gli USA erano il padrone unipolare del mondo, questa nostra collocazione di province dell’impero americano poteva essere relativamente innocua. Ci consentiva di proseguire nel sogno di essere i “civilizzatori del mondo” e, anche se il comando era passato al di là dell’Atlantico, abbiamo continuato a percepirci come il centro del pianeta. Ci pensavamo come la ricca e colta parte dell’impero e potevamo persino fare un po’ gli snob, permettendoci tratti di paternalismo sul piano dell'”alta cultura”. Ma gli USA ora sono in crisi e l’emergere della potenza cinese, la rinascita russa dalle ceneri dell’URSS e anche la tumultuosa insofferenza dell’intero mondo islamico hanno ridato fiato a tutte quelle parti del mondo lontane dai paradigmi americani, che ora riescono ad immaginare la possibilità di esplorare strade proprie. In questo quadro l’assenza europea si staglia in tutta la sua evidenza.

L’Europa oggi appare culturalmente incapace di comprendere e accettare che possano esistere modelli di vita diversi da quelli euroamericani, per una forma di cecità antropologica di cui sono vittime non solo le élite europee, ma anche il popolo minuto cresciuto davanti alla TV. Non riusciamo a capacitarci di come si possa essere e desiderare di essere diversi da “noi”, laddove questo “noi” è l’idealizzazione mediatica e fascinosa della “vita occidentale”. Così noi, i nostri ceti politici e le nostre classi dirigenti, oggi ci troviamo nell’incapacità assoluta di pensare al resto del mondo in termini che non siano quelli di un “grande errore”. Questa cecità culturale poteva non essere preoccupante finché, come provincia dell’impero, non dovevamo davvero confrontarci con niente di davvero diverso. La “diversità” che il mondo euroamericano celebrava era sempre solo una diversità innocua e magari buffa, fatta di “folclore” o di “eccentricità” interna al proprio modello di vita. Ma una diversità che si pensi come mondo alternativo è concepibile solo come un “grande errore” ovvero un grande pericolo. Perciò oggi, per difendere quella realtà virtuale, si assumono forme sempre più dogmatiche, si chiude la bocca ai dissidenti, perché solo il mondo fittizio delle liberaldemocrazie idealizzate, che è stato costruito, appare quello giusto, abitabile e degno. I leader europei non sono alternativi agli americani, perché tutti gli argomenti, tutti i modelli, tutto l’immaginario a cui possono attingere dice loro e al loro elettorato una sola cosa: nessun altro mondo è possibile. Gli altri, tutti gli altri, tutte le epoche diverse dalla nostra, tutte le forme di umanità diverse dalla nostra sono solo errori, incomprensibili brutture e residui dogmatici e l’unica esistenza auspicabile è all’interno di quella gabbia senza sbarre in cui siamo cresciuti.

Però, l’abitudine a uniformarsi e servire è divenuta uno stile di vita e obbliga a raccontare bugie sempre più grandi, e spinge ad essere sempre più intolleranti verso chi non asseconda il gioco di queste illusioni. E rende inutile ogni corsa al riarmo se non governata dalla volontà politica di creare una Europa unita sulla base di valori e interessi condivisi, ma finalmente emancipata e indipendente dalla direzione statunitense. Altrimenti, si rischia di continuare a credersi al centro del mondo, mentre potremmo ritrovarci in tempi straordinariamente rapidi ad essere solo la periferia ottusa e impoverita di un impero, a sua volta in crisi.

Enrico Marino

 
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