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Una finestra di opportunitą PDF Stampa E-mail

11 Gennaio 2025

 Da Rassegna di Arianna dell’8-1-2025 (N.d.d.)

Le recenti dichiarazioni di Mark Zuckerberg sono di notevole interesse giacché segnano la nuova fase di uno scontro ai vertici del capitalismo occidentale che, per quanto riguarda lo specifico di Facebook, è iniziato esattamente sette anni fa. Il 26 gennaio 2018, durante il meeting di Davos, riguardo a Facebook e Twitter George Soros dichiara: "queste piattaforme ingannano i loro utenti manipolando la loro attenzione. È un pericolo attuale e ha già svolto un ruolo importante nelle elezioni presidenziali americane. Davos è un buon posto per annunciare che i loro giorni sono contati". Passa un mese, ed ecco che la società americana Cambridge Analytica denuncia come Facebook abbia utilizzato i dati di milioni di utenti per orientare i risultati delle elezioni presidenziali americane vinte da Trump nel 2016 e, forse, anche quelli del referendum sulla Brexit in Gran Bretagna. Nei giorni immediatamente successivi la Federal Trade Commission americana apre indagine su Facebook, la Camera dei Comuni inglese convoca riunione d'emergenza sul medesimo argomento e un'interrogazione viene effettuata dal presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani. A seguire, parte in tutto il mondo una campagna virale con l'hashtag #DeleteFacebook, che invita a cancellarsi dalla piattaforma. A soli due mesi di distanza dalle pubbliche minacce di Soros, infine, Facebook perde 36 miliardi in Borsa nell'arco d'una sola giornata.

Oggi, dopo aver obbedito negli ultimi sette anni a tutte le direttive di censura politica, Zuckerberg associa il proprio destino a quello di Trump annunciando il cambio di rotta e l'eliminazione del ruolo dei fact checker (il che, per noi italiani, significa la messa fuori gioco della cricca di Enrico Mentana). Per noi cittadini delle nazioni europee, si tratta di un cambiamento oggettivamente positivo, soprattutto in considerazione delle normative europee degli ultimi anni che, come ha ricordato lo stesso Zuckerberg, si sono impegnate innanzitutto a "istituzionalizzare la censura".

Il CEO di Facebook ha lasciato intendere che l'incremento della libertà d'espressione riguarderà principalmente tematiche di politica interna come immigrazione, teorie transgenderiste e via dicendo. Dunque, pur essendo possibile ipotizzare altresì che potrà esserci un maggiore margine di libertà riguardo alla critica dell'Unione Europea o in merito al conflitto russo-ucraino, credo che sarebbe illusorio aspettarsi cambiamenti per ciò che invece riguarda i temi di politica estera inerenti al Sud America e, soprattutto, al Medio Oriente.

Le parole di Zuckerberg esprimono il punto di vista trumpiano di un imperialismo nazionalista che va a sostituire l'imperialismo globalista di matrice dem/neocon: infatti, egli non manca di rimarcare come questo nuovo corso possa e debba essere usato per orientare la politica dei paesi sudamericani e della Cina. Inoltre, l'ingresso nel CdA di Meta di un esponente della élite globalista quale John Elkann, indica che Zuckerberg annuncia sì un cambio di rotta, ma lo fa mediando con gli stessi assetti di potere che hanno dominato negli ultimi decenni. Malgrado tutto questo, l'insieme di queste vicende indica l'apertura d'una finestra di opportunità.

Coltivare un punto di vista autonomo e popolare, significa essere estranei al problema - ch'è invece proprio di destra e sinistra - di doversi identificare necessariamente con Trump oppure con l'asse globalista. Il punto di vista dell'autonomia popolare, in altre parole, non necessita di immaginare alleanze con l'imperialismo trumpiano bensì di saper leggere correttamente le convergenze parallele d'interesse che si stanno materializzando sotto i nostri occhi. L'opportunità che ora si dischiude è quella di saper approfittare dello scontro ai vertici per attivare mobilitazioni autonome e popolari contro coloro che vogliono affossare società ed economia nel baratro della guerra. In altre parole l'obiettivo minimo, che s'impone oggi e con urgenza, è quello di cacciare i capi di governo della maggior parte delle nazioni europee e abbattere la marcescente struttura eurofederale.

Riccardo Paccosi


 
Fratelli Musulmani inaffidabili PDF Stampa E-mail

10 Gennaio 2025

 Da Comedonchisciotte del 7-1-2025

I Fratelli Musulmani, un movimento con profonde radici storiche e ambizioni ideologiche, sono diventati un’entità controversa nel panorama geopolitico dell’Asia occidentale. Mentre la sua retorica enfatizza spesso la resistenza all’imperialismo e la liberazione della Palestina, le sue azioni, intenzionali o meno, si allineano spesso agli obiettivi strategici del regime sionista. Questo paradosso ha sollevato seri interrogativi sul ruolo, le intenzioni e le contraddizioni interne della Fratellanza.

Un chiaro esempio di questo fenomeno può essere osservato nelle politiche della Turchia sotto la guida del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), che opera in un contesto fortemente influenzato dall’ideologia dei Fratelli Musulmani. Il coinvolgimento della Turchia nel conflitto siriano, con il pretesto di sostenere la democrazia e proteggere i diritti umani, ha finito per indebolire la Siria, un Paese storicamente considerato una roccaforte della resistenza contro il regime sionista. L’entità sionista ha beneficiato direttamente della disintegrazione delle strutture statali siriane e della paralisi delle sue capacità militari, eliminando un importante avversario ai suoi confini. Gli aerei nemici hanno condotto centinaia di attacchi alle scorte militari strategiche della Siria per neutralizzare qualsiasi minaccia futura, mentre la Turchia e i nuovi governanti siriani stavano a guardare. I parallelismi tra le manovre della Turchia in Siria e le strategie emergenti della Fratellanza in Egitto sono sorprendenti. In entrambi i casi, la retorica della riforma e della liberazione ha mascherato politiche che hanno portato alla frammentazione e all’instabilità. Se questa traiettoria continua, l’Egitto, come la Siria, rischia di diventare un teatro di caos, conflitti interni e l’erosione delle sue capacità militari, uno scenario che si allinea in modo preoccupante con gli obiettivi a lungo termine del regime sionista.

L’entità sionista persegue da tempo una strategia di frammentazione regionale per garantire il proprio dominio. Indebolendo sistematicamente gli Stati vicini, spesso definiti “Stati-anello”, si assicura l’assenza di minacce militari credibili. Questa strategia ha avuto inizio con la Siria, uno Stato il cui forte esercito un tempo rappresentava una sfida significativa alle ambizioni israeliane. Il crollo delle capacità militari della Siria a causa di un conflitto prolungato ha rappresentato una grande vittoria per il regime sionista. L’Egitto è ora il prossimo obiettivo critico. Con la sua ricca storia, la sua posizione strategica e uno degli eserciti più forti del mondo arabo, la stabilità dell’Egitto è di fondamentale importanza. Tuttavia, le attività dei Fratelli Musulmani minacciano di minare questa stabilità. Se le strutture militari e governative dell’Egitto vacillano, il regime sionista si troverà ancora più al sicuro da potenziali minacce.

Dopo l’Egitto, la Giordania e l’Iraq sembrano essere i prossimi candidati alla destabilizzazione. La posizione strategica della Giordania e le vaste risorse dell’Iraq li rendono obiettivi primari. Il progetto del regime sionista per la regione è chiaro: smantellare gli eserciti e le strutture governative degli Stati vicini per garantire un dominio incontrastato. Le azioni dei Fratelli Musulmani, siano esse guidate da errori ideologici, manipolazioni esterne o fallimenti interni, si allineano inavvertitamente a questo progetto.

Per comprendere questa traiettoria, è necessario esaminare le dinamiche interne dei Fratelli Musulmani. Un tempo movimento incentrato sulla liberazione di Gerusalemme e sul ripristino della dignità islamica, oggi è afflitto da una deriva strategica e da contraddizioni ideologiche. Lo scollamento tra i suoi principi fondanti e le azioni della sua attuale leadership è netto. Mentre i membri di base della Fratellanza possono rimanere impegnati nella causa della liberazione, la leadership ha spesso adottato politiche che contraddicono questo obiettivo. Questa crisi interna è esacerbata dalla presenza di leader compromessi o infiltrati all’interno della Fratellanza. Questi individui, influenzati da forze esterne o spinti da ambizioni personali, sono riusciti ad allontanare il movimento dal suo percorso originario. Le loro decisioni non solo hanno minato la credibilità della Fratellanza, ma l’hanno anche resa vulnerabile alla manipolazione di potenze esterne, tra cui il regime sionista e i suoi alleati.

L’incapacità della Fratellanza Musulmana di riconoscere e affrontare l’inganno strategico che ha di fronte è stato un passo falso catastrofico. La retorica della democrazia e delle riforme è stata usata come arma contro di essa, creando divisioni e favorendo alleanze al servizio di agende esterne. La leadership della Fratellanza deve affrontare la scomoda realtà che le sue azioni, in molti casi, hanno minato gli stessi obiettivi che sostiene di difendere. Per i membri originari della Fratellanza Musulmana, quelli che aspirano veramente a liberare Gerusalemme e a resistere all’occupazione, questo è un momento critico per fare i conti. Devono superare l’autocompiacimento e l’inazione, sfidando gli errori strategici della leadership. Se non lo faranno, non solo eroderanno la loro credibilità, ma saranno anche coinvolti nell’avanzamento dell’agenda sionista.

La traiettoria dei Fratelli Musulmani ha profonde implicazioni per l’Asia occidentale in generale. Indebolendo Stati chiave come la Siria e l’Egitto, la Fratellanza ha involontariamente contribuito a creare un panorama regionale caratterizzato da frammentazione e conflitto. Questo ambiente non solo avvantaggia il regime sionista, ma perpetua anche cicli di instabilità che minano la capacità della regione di resistere al dominio esterno. La liberazione di Gerusalemme, una causa che risuona profondamente in tutto il mondo islamico, non può essere raggiunta attraverso alleanze e politiche che indeboliscono le strutture fondamentali della regione. I Fratelli Musulmani devono riconoscere che il loro percorso attuale è insostenibile. Un ritorno ai suoi principi originari, unito a una ricalibrazione strategica, è imperativo.

I Fratelli Musulmani si trovano a un bivio. Possono continuare sulla strada attuale, segnata da passi falsi strategici e derive ideologiche, oppure intraprendere un profondo processo di introspezione e riforma. Questo processo deve iniziare con una valutazione onesta del loro ruolo nel promuovere o ostacolare la causa della resistenza. I membri autentici dei Fratelli Musulmani devono rivendicare la visione originale del movimento e unirsi contro la complicità della leadership in politiche che servono agende esterne. Devono dare priorità alla liberazione di Gerusalemme non solo come obiettivo retorico, ma come obiettivo tangibile che richiede chiarezza strategica e unità. La posta in gioco non è mai stata così alta. Le ambizioni del regime sionista si estendono oltre la Palestina e comprendono la frammentazione e l’assoggettamento dell’intera regione. Le azioni dei Fratelli Musulmani, intenzionali o meno, hanno finora contribuito a far avanzare questa agenda. Ora è il momento di agire con decisione. La mancata azione non solo macchierà l’eredità dei Fratelli Musulmani, ma accelererà anche la realizzazione degli obiettivi espansionistici del regime sionista.

Il futuro richiede coraggio, chiarezza e impegno costante nei confronti dei principi di giustizia e resistenza. Per i Fratelli Musulmani e per l’intera regione, la scelta è chiara: ricalibrazione o collasso.

Mohammad Ali Senobari  (Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini)

 

 
Piccolo uomo PDF Stampa E-mail

9 Gennaio 2025

Secondo Nietzsche ciò che chiama volontà di potenza sarebbe il primo punto identitario dell’uomo consapevole di se stesso e di ciò che ci impaccia nella mota del moralismo, delle ideologie, del vittimismo, dell’egocentricità. Un uomo che, nel gergo del filosofo tedesco è detto übermensch, in italiano oltre uomo. 

Diversamente dalle convinzioni della vulgata progressista, volontà di potenza non implica alcuna disponibilità, né predilezione, alla sopraffazione. Pura demagogia di colui al quale è inutile chiedere: com’è l’acqua?

Oltre quale uomo? Oltre quello tendenzialmente ordinario e più comune che non ha, o non ha ancora avuto, la consapevolezza della dimensione effimera della realtà. Nietzsche ha un nome anche per questa figura che tutti conosciamo, che tutti siamo o siamo stati e ritorneremo ad esserla. La chiama piccolo uomo, che impersonifica l’opposto della volontà di potenza. Il fondamento del piccolo uomo si esaurisce nella secolarità e così, anche la sua energia viene consumata ed esaurita secondo criteri che potremmo dire d’interesse personale, secondo un raggio d’azione vincolato dalla lunghina della sua morale, che allunga o accorcia come il domatore col puledro. 

Il piccolo uomo è così ortodossamente strutturato che difficilmente riesce a sfuggire a se stesso. Non sospetta, infatti, il suo potere magico di realizzazione, immaginazione, visione e creatività. Crede che tutto stia nei suoi saperi cognitivi. Pensa che un approccio scientifico sia la sola modalità per essere e trovare il vero, dipanandolo dalla messe di facezie ciarlatane – così le chiama – ovvero da tutto quanto non è in grado di riconoscere significato ed energia. Il piccolo uomo se ne vanta, costringendo e comprimendo l’intera realtà vera – così la chiama – entro le sue tesserine logiche. 

La sua esistenza segue necessariamente linee di sviluppo ed evoluzione incardinate alle logiche amministrative-replicative che ha appreso, venendo al mondo per poi, con il suo borioso esempio, perpetuarle nella sua cerchia di relazioni, come fossero il bene per il mondo. Vive nella sofferenza in quanto inetto a riconoscere le cause della sua condizione, che cerca di alleviare con sintomatiche medicine allopatiche. Sofferenza che considera sua propria, solo perché la vive in sé, e perché non sarà mai un Cristo, per riconoscere in essa quella del mondo intero e così alleviarla o eluderla. Una sofferenza la cui prima linea ha frequentemente l’aspetto della cupidigia, dell’avidità, della superbia, dell’acrimonia che, invece, gestisce a ossequi, a gomitate e a bugie, ma di cui si ritiene soddisfatto quando lo portano a superare e a umiliare il prossimo. Tre dei sette vizi capitali che, insieme, costituiscono il recinto entro il quale scaturisce il suo immaginario, formula i suoi pensieri e realizza le sue azioni, altruistiche e benemerite incluse. 

Senza la prospettiva del palcoscenico e degli applausi, al pari del tossicomane che non è mai privo della bustina, non si muove. Quando le vicende lo fanno scendere a terra e la claque tace, passa alla modalità vittimismo come fosse il più elementare, banale e dovuto diritto e dovere. Lo fa come fosse ovvio, senza sospettare che la vita dell’ovvio è la morte della conoscenza. Da qui, da questo pensiero debole che lo contraddistingue, si sente – ovviamente – anche in diritto di sentirsi offeso se, quanto rivolto a lui, non gli aggrada, se proviene da un ordine del mondo differente dal suo, del quale – ovviamente – si sente superiore. Il piccolo uomo non pensa alla sua debolezza, alla sua interpretazione, all’investimento della realtà che compie con i suoi valori, per riconoscere le cause della sua sofferenza. Preferisce dedicarsi anima e corpo a riconoscerla nella presunta forza dell’altro. Va da sé perciò che nel dolore si dedichi ad accusare, non a cercare quale sua interpretazione della realtà glielo abbia procurato. Pare incredibile, ma sembra che l’emancipazione dalla propria vulnerabilità, non sia affar suo, che ci sia sempre qualcuno che debba assisterlo nella sua debolezza (e così mantenergliela). 

La trasmutazione di tutti i valori è una formula che Nietzsche impiega per alludere alla necessarietà delle consapevolezze opportune per intendere e realizzare la natura dell’oltre uomo; per dire che l’esperienza non è trasmissibile, cioè che ricreare è necessario. Sulla trasmutazione il piccolo uomo sa solo dire che si tratta di un’utopia. Un’espressione che, peraltro, gli piace ripetere ogni qualvolta qualcosa di estraneo al suo binario gli si para davanti. E ci crede, non sospetta che ogni utopia corrisponda semplicemente al non ancora creato in se stessi, all’idea non estratta dall’iperuranio che tutto di noi e del mondo contiene e, per questo, sodale all’eterno ritorno. Non sa che anche un tavolo è un’utopia finché non ne ha avuto la visione.

Il piccolo uomo è pronto a colpire chi esce dal suo seminato di regolette autoreferenziali. Sembra sia il suo primo comandamento. 

E sembra sia nel suo DNA nascondere la mano a tutti i costi, dietro leggi, pagando avvocati e corrompendo giudici se nelle sue facoltà. 

Così, passo dopo passo siamo all’oggi dove la permeabilità ha sostituito la rettitudine, dove ha perfino inventato un lessico travestito da ciò che lui considera progresso. La maggioranza dei piccoli uomini ci narra il mondo a sua immagine e somiglianza, ci dice cosa vale, cosa pensare, cosa fare. Il piccolo uomo consuma la vita aprendo e richiudendo porte morali, nascondendo le proprie contraddizioni, dedicandosi ad arraffare per gioire il tempo di un cerino infiammato, che vede come una pira di soddisfazione. 

Tra le molteplici contestualizzazioni in cui il piccolo uomo esprime la sua natura, vi è quella in cui dimostra l’inettitudine a vedere i limiti della conoscenza logico-razionale, dell’inadeguatezza del piatto meccanicismo con il quale si arroga il primato di poter e saper descrivere il mondo e, soprattutto, di estrarne le verità.

Il piccolo uomo non sa che deridere le modalità di conoscenza a lui ignote, ovvero tutte quelle che non sono comprimibili nella sua scatoletta logico-razionale. Quella in cui la dimensione estetica viene piallata fino ad essere limitata alla sola questione del bello. Questione peraltro ben più profonda rispetto al foglio sottile e vanesio, superficiale e edonista, lenzuolo mortuario con il quale, a cuor leggero, la riduce, coprendo così l’infinito potere della conoscenza contemplativo-estetica.

Qualunque sia l’osservazione del piccolo uomo, essa è sempre egocentrica e, qualunque sia la sua prospettiva, egli guarda il mondo sempre attraverso la lente cavernicola con la quale scambia le ombre per verità. Lo fa con determinazione e con un accanimento tale che considera erudizione e specializzazione, razionalità e scienza, tecnologia e logica i pilastri della conoscenza. Nei confronti dei quali, ogni critica lo irrita fino a sopprimerla con la forza, pur di difendere i suoi dogmi, ignari a lui stesso, come l’acqua per il pesce.

Così procedendo, non ha possibilità di volontà di potenza, cioè di vedere in sé, di vedere che la conoscenza cognitiva, in forma di dati da trattenere è un determinante diversivo alla conoscenza evolutiva, e che questa è già in noi. 

Per questa scoliotica condizione non può riconoscere il percorso della sua fortuna e della sua sfortuna, del suo benessere e della sua malattia. Non sospetta, infatti, che la responsabilità di qualunque sentimento lo attraversi, di qualunque fatto (lui crede davvero esistano i fatti indipendentemente da noi) lo investa, non può che essere sua. L’assunzione della responsabilità di tutto, quale elemento nodale della volontà di potenza, non solo gli è estranea, ma con i suoi rozzi strumenti crede di poterla dividere in percentuali tra le parti e così, di potersi sottrarre a ciò che invece lo guarirebbe. 

E neppure può vedere l’identicità di tutti noi, tantomeno riconoscere l’attendibilità dell’eterno ritorno dell’identico. Altra formula nietzschiana che allude alla storia come ruota in cui, in qualunque luogo e tempo, tutti stiamo ripetendo pedestremente quanto hanno già affermato tutti i piccoli uomini del passato e che affermeranno nel futuro. Una distinzione temporale, sostanzialmente senza valore emancipativo al fine di una evoluzione verso il superamento di se stessi. Ovvero verso quello stato in cui il nostro miglior potere si compie, portandoci a un immaginario foriero di relazioni, politiche, educazioni e società – in cui la democrazia potrebbe esistere solo a teatro – però più giuste e capaci di offrire una vita piena di significato, invece che di paure e alienazioni. 

Vedere corto gli compete, è la sua prima dote. È la prima espressione della sua psicologia eretta su un’incastellatura di dati, con i quali ha costruito la sua garitta per ergersi sopra chi ne dispone di meno. Non è per altro che davanti al concetto, ancora nietzschiano, della morte di Dio, il suo fraintendimento sia madornale. Egli crede infatti che il pensatore tedesco sia il responsabile dell’avvento del nichilismo oggi pervadente. Ma la questione sta in tutt’altro termine, opposto, direi. Il dio morto di Nietzsche è quello creduto esterno a noi. Non è un ente da noi separato. Non è, quindi, l’auspicato avvento dell’uomo compiuto il sicario dell’ente supremo, infatti Dio, cioè, la nostra ultima e prima salvazione, la nostra sola, autentica possibilità di annichilire l’inferno secolare, è ucciso dal piccolo uomo a matrice illuminista, che ha sviluppato un’esistenza assolutamente antropocentrica, con la quale ha tentato in tutti i modi di mettere in ridicolo quanto le sue maldestre pinze non riuscivano ad afferrare. Risiede quindi nel suo comportamento proto-onnipotente, nella sua filosofia analitica, nel mito della scienza, la morte di Dio. Nella sua convinzione di essere padrone di sé. Risiede, perciò, in se stesso la voragine nichilista nella quale stiamo precipitando.

Quando Dio è morto, sono venuti meno tutti quei valori che hanno generato e cresciuto il piccolo uomo, timorato da un dio che considera altro da sé, come del resto crede di qualunque altra forma della vita. Ma, contemporaneamente, avviene il momento per l’avvento dell’uomo compiuto.

Il piccolo uomo è l’oracolo vivente, è la più precisa e ferrea garanzia di quanto stiamo assistendo nel mondo ora più che mai. La morte di Dio, l’equiparazione tra sé e Lui o, meglio, l’ideologia che se ne possa fare a meno, ci ha portati dritti dentro il sacco nero del nichilismo passivo, disperatorio, perdittivo. (Di tutt’altra natura da quello che lui distingue in attivo, che altro non è che la consapevolezza di essere gli autori del mondo e della realtà, quindi per sua natura parziale e relativa, che, invece di annichilire, comporta forza, piena consapevolezza della realtà che viviamo). Un buio che equipara i valori, che elegge il relativismo a norma suprema e che porta con sé l’individualismo più sfrenato in quanto ignaro ai suoi innumerevoli adepti, cioè a tutti noi. 

È invece faccenda dell’oltre uomo vivere la consapevolezza che la morte di Dio non è che la rinascita dei valori capaci di unire gli uomini con il senso dell’umanità come comunità. Non è che il recupero del potere creativo liberato dalla morale del cristianesimo o, anzi, della morale mortificante e inibitoria, della vulgata del cristianesimo, sollevazione da un peso che gli permette di accedere a piene mani al suo potere di conoscenza apollinea o estetica ovvero, a mezzo del sentire e del vedere e a quella dell’azione dionisiaca, creatrice e distruttrice, ma questa volta compiuta nella più assoluta responsabilità e nella più assoluta mancanza di vittimismo e narcisismo. Non più con il jolly, perenne asso nella manica del piccolo uomo, da giocare per lavarsi le mani dalla responsabilità dello stato e della qualità della storia progressista, positivista, materialista e ora tecnologico-digitale in cui è immerso, compiuta in nome di quello che lui chiama progresso. Ma di cui non si sente responsabile in quanto, a suo dire, esiste, avanza e muta di per sé, indipendente dalle scelte dell’uomo. Così, invece di sentire la vergogna e il peso per quanto ha maldestramente realizzato, semplicemente ed innocentemente, estrae il secondo jolly, col quale pensa di liquidare serenamente il discorso: “Bellezza, la storia va avanti da sé”.

Il piccolo uomo crede che capire intellettualmente sia tutto, che la dimostrazione ripetibile non abbia rivali per distinguere il vero dal falso. Non sospetta che capire, così come l’ovvio, sono sentieri che si allontanano dalla conoscenza. 

Veleggia in poppa del buon senso che, naturalmente, lui ha e gli altri ne difettano. Che, invece, gli altri ne abbiano un altro a loro immagine e somiglianza, non è che non gli interessa, non lo sospetta proprio. Non si avvede che fare appello al buon senso è come dare dello stupido o del perspicace in quanto, ognuno lo è a modo suo e al suo momento opportuno. Il buon senso contiene ciò che si presta ad eleggere noi stessi ed esclude gli altri. Tuttavia anche costoro non fanno difficoltà ad appellarsi al buon senso, e anche costoro sono ignari della truffa che stanno compiendo.

Non sa che i suoi giudizi, con i quali vuole distanziarsi da quanto osserva, non sono che erbacce che prosperano soltanto nel suo giardinetto egocentrico. Alla medesima maniera con cui sfodera il suo richiamo al buon senso, non balbetta nel pronunciare altro di simile, per esempio, senza esagerare, assaggialo che è buono, e così via. Nonché tutta la perfetta morale, creduta una soltanto, alla quale ritiene di essersi avvicinato più di altri, ma a lui misconosciuta in quanto generata da noi stessi e messa al nostro servizio, la cui natura autoreferenziale non esprime il giusto e lo sbagliato – come vogliamo credere – ma nient’altro che noi stessi.

Dunque, la prevaricazione del giudizio si compie con l’identificazione in esso. Una trappola esistenziale per la quale l’oltre uomo ha un salvacondotto inestinguibile. Egli infatti dispone di uno sguardo sul mondo di carattere fenomenologico, non più interpretativo, cioè non egocentrico. Uno stato, quello dell’uomo compiuto, che non comporta l’elusione del giudizio – pressoché insopprimibile negli stati di coscienza – ma l’emancipazione da esso, a causa della piena consapevolezza della garantita parzialità e provvisorietà, e della sua natura corrispondente all’interesse personale. Una consapevolezza che, se superata la soglia morale e quella legislativa, e fatta carne e sentimento, comporta l’accettazione di sé e il rispetto del prossimo  in quanto in esso vediamo noi stessi e un frutto della stessa pianta alla quale siamo appesi noi. Una modalità non cognitiva, moralistica, né inclusiva, tutte dimensioni estremamente superficiali, facili da infrangere all’occorrenza egocentrica. 

L’uomo compiuto, nient’altro che l’oltre uomo, non nasconde i propri sentimenti, non teme, né risente dei piccoli giudizi dei consuetudinari, non nasconde sotto il tappeto le sue malefatte, non mente per proteggersi dagli strali dei probiviri. Non reagisce alla loro del tutto prevedibile incapacità di sfruttare prospettive che guardano fuori dalla loro scatoletta di conoscenze tecnico-amministrative, nonché sussidiarico-replicative.  

Il piccolo uomo è superstizioso. Per esempio, crede ciecamente che l’esperienza sia trasmissibile. Se provi a dirgli il contrario, salta sulla sedia. Sempre che arrivi a porsi la domanda, chissà, allora, come farà a spiegarsi perché non siamo saggi da millenni. Né come mai, nonostante sia disposto ad andare in piazza a gridare di ricordare affinché la storia non si ripeta, la storia non fa altro che ripetersi. 

La sua passione per le forme mondane – come detto, si crede differente da chiunque altro – gli impedisce di cogliere il solo spirito che produce le stesse realtà, le stesse dinamiche, le stesse sofferenze e gioie. Chissà come potrà mai capire l’eterno ritorno, senza vivere la sorpresa – con occhi spalancati e capelli sparati – di constatare d’aver sprecato l’esistenza correndo dietro a fantasmi, giocando tutto sui particolari e perdendo sempre l’intero.

Dentro il piccolo uomo nietzschiano, risiede l’ultimo uomo. Questa figura è una specie maschera della morte. Riferisce infatti di uno spirito adagiato sulle consuetudini ed esaurito in esse. Descrive un uomo che crede di non avere nulla a che fare con le stelle, tanto da non saperne creare. La sua vitalità mortificata non glielo permette. Il miracolo di schiudersi dall’ovetto che lo contiene, lo protegge, non può avvenire e, se stimolato, tranquillo sostiene non lo riguardi. Così ci troviamo nel degrado crescente e, pare, senza fondo, dentro una storia più simile ad un bolide guidato da pazzi che a un lento vascello diretto ai tropici. Messaggio al piccolo uomo:

«La cosa più misericordiosa al mondo» scrisse Lovecraft «è l’incapacità della mente umana di mettere in relazione tutto ciò che contiene. Viviamo in una placida isola di ignoranza in mezzo alle acque torbide dell’infinito, e non è nostro destino viaggiare lontano. Finora le scienze, perseguendo ognuna la propria strada, ci hanno danneggiato in minima parte, ma verrà il giorno in cui il mosaico di tutti i frammenti della conoscenza ci offrirà una visione talmente agghiacciante della realtà, e del posto che occupiamo al suo interno, che o impazziremo dinanzi a quella rivelazione, oppure rifuggiremo l’illuminazione rintanandoci nella pace e nella sicurezza di una nuova era oscura». Benjamin Labatut, La pietra della follia, Adelphi, 2021, p. 13-14.

Ci poniamo solo le domande che le costellazioni, che abbiamo scovato nei nostri piccoli cieli, ci suggeriscono, e noi, come attori con il gobbo, non tardiamo a ripetere il copione. Inconsapevoli di questo, facciamo di noi piccoli individui.

Non c’è crocevia cui si possa sfuggire come quando la strada è dritta, raddrizzata a forza di prepotenza razionalistica e di quel maledetto buon senso, vela gonfiata dal vento delle nostre concezioni. Succede, però, che le cose cambino forma e disposizione e tu lo percepisci, ma non ti capaciti, e non hai neppure il tempo di avvertire il precipitare della tempesta che ti annienterà, senza lasciarti neppure il tempo per i terzaroli, e perciò, neppure quello per salvarti dallo strazio della solitudine, e delle sue allucinazioni, che tutto trasformano in marosi paurosi, ma solo quello del bagliore di un lampo per pensare che era stata tutta una buffonata ciò in cui avevi creduto, prima di perire in una morte fredda, senza più il calore dell’umanità di cui avevi sempre creduto di potere fare a meno.

Lorenzo Merlo


 
Estinzione PDF Stampa E-mail

7 Gennaio 2025

 Da Rassegna di Arianna del 3-1-2025 (N.d.d.)

Il mio parroco ha informato i fedeli dei numeri del 2024. Battesimi: 21. Matrimoni 20. Funerali 74. Mi consulto con altre persone, a Milano e dintorni. I numeri sono molto simili.

Sono numeri da estinzione demografica. O meglio, da suicidio. Gli italiani, popolo senescente (i milanesi doc sono scomparsi da tempo) hanno da lungi scelto di morire. Come tutti gli europei. Economicizzati fino al midollo, eroticizzati fino alle unghie dei piedi, spiritualmente oscurati, massificati e atomizzati al contempo, hanno liberamente scelto di estinguersi in nome del miraggio del benessere materiale, dell’autorealizzazione individuale e del “vietato vietare”. Da noi hanno vinto, anzi stravinto, Pannella e Bonino con il loro dirittismo  liberal-egolatrico.  

Le chiese sono sempre più vuote, i centri commerciali, reali parodistici luoghi di culto, strapieni anche quando diminuiscono salari e stipendi. Lo spettacolo della merce attira quanto la merce. L'ignoranza spirituale sembra crescere in proporzione al titolo di studio, come la sterilità della mente e del grembo. L'erotismo contronatura, incapace di procreare, viene indefessamente pubblicizzato. I popoli poveri sono ricchi di prole. L'opulenza si rivela inseparabile dalla decadenza. Milioni di feti abortiti mancano all'appello.

Come volevasi dimostrare, settant’anni di sistema orgiastico mercantile americanista hanno fatto danni più profondi, all’ovest, di settant’anni di dittatura sovietica all’est.  Il materialismo più efficace si è dimostrato il peggiore. Con la fine delle credenze collettive, da noi rimangono solo le tre S: soldi, sesso e successo. Tre idolatrie dello stesso Ego.

La famiglia è in crisi totale, perché l'Ego ama solo se stesso. E al massimo il proprio inseparabile telefonino. L’occidentale  moderno ha scelto di non credere a nulla che non sia empirico o numerico, quantitativo. Ora che i numeri lo condannano, preferisce non pensarci. Come la Chiesa conciliare, che essendosi prostituita al mondo da sessant’anni, sembra ben lieta di suicidarsi.

Chi denuncia l’immigrazionismo senza regole ha ragione, ma se non fa  parole del capitalismo orgiastico che ha creato il baratro spirituale, culturale e demografico, o è ignorante o è in malafede. Non meno di chi, al culmine del nichilismo, dell’invasione se ne compiace.  Quest’ultimo è solo più ributtante.

Nel baratro demografico, con un sistema economico ipertrofico, qualcuno deve riempire la voragine spalancata. È nella logica delle cose. La forza lavoro degli immigrati è per giunta a buon mercato, e quindi avidamente richiesta.   Ovviamente si tratta di una immigrazione senza regole, perché la  decadenza non conosce regole. Una povera colonia servile  come l’Italia, del resto, non vuol far nulla contro la volontà della sua padrona: la plutocrazia d'oltreoceano, a stelle e strisce, e contro i suoi servi, con delega, di Bruxelles.

Non possiamo prendercela con gli immigrati, se colmano una voragine. E non possiamo prendercela  con l’Islam quando è stata Roma  - e non la Mecca, per ora - a perdere la fede. Quella vera. Prendiamocela innanzitutto con noi stessi, e poi con chi ci ha ingannato.

Martino Mora


 
Ogni azione conterą doppio PDF Stampa E-mail

4 Gennaio 2025

 Da Rassegna di Arianna del 3-1-2025 (N.d.d.)

Ieri, stando ai resoconti di stamane, sono stati uccisi 63 civili palestinesi dall'esercito israeliano. Nelle ultime 72 ore risultano morti di stenti e freddo 7 bambini nelle "safety zones" palestinesi. Ah, dimenticavo, buon anno a tutti.

Il primo impulso oggi sarebbe di dire che mi vergogno di essere italiano ed europeo. Ma francamente, oltre ad appartenere al novero delle dichiarazioni sterilmente patetiche, si tratterebbe di una proposizione profondamente ingiusta. Perché significherebbe lasciare alle nostre attuali classi dirigenti la titolarità di presentarsi come eredi di una storia e di una cultura grandi, di una storia e una cultura che essi ignorano e disprezzano. No, l'unica cosa di cui credo sia giusto provare davvero vergogna è di vivere in un protettorato americano, guidato da una classe politica (con destra o sinistra perfettamente equivalenti) composta di servi di bottega, di lacchè senza dignità, disponibili a svendere ogni briciola del proprio paese, del proprio popolo, della propria storia pur di mantenersi in sella per qualche mese in più, pur di godere delle genuflessioni untuose di greggi mediatici dipendenti dai medesimi padroni.

C'è chi dice che la classe politica agisce così perché cerca di preservare il benessere del proprio paese pur sotto condizioni di oggettivo ricatto. Solo che queste sono semplicemente balle autogiustificatorie. Ogni mese che passa, ogni decisione autolesionista che viene infilata come perline, una dietro l'altra, porta l'Europa, e l'Italia, come vaso di coccio tra vasi di latta, ad indebolirsi ulteriormente. E quanto più questa cessione di sovranità e indipendenza procede, tanto minore sarà il potere contrattuale per poter resistere alla pressione successiva. L'Europa che si è consegnata mani e piedi alle forniture energetiche americane si è evirata con le proprie mani. Poteva resistere, poteva capire, poteva negoziare, ma non lo ha fatto. E non lo ha fatto perché le sue classi dirigenti sono composte in misure bilanciate di imbecilli e di venduti, cioè di gente che pensa sul serio di vivere nel migliore dei mondi possibili (il giardino liberaldemocratico) e di gente il cui sogno esistenziale sarebbe di vendersi la Sicilia per un appartamento a Manhattan.

Ma visto che è l'inizio di un nuovo anno, cerchiamo di scorgere qualcosa di buono in questo disastro umano e civile. Ecco, l'elemento amaramente positivo di questa situazione è che il processo di decomposizione occidentale ha preso un passo accelerato, gli scricchiolii aumentano di frequenza come accade tipicamente nelle fasi che preludono ai crolli. Pensiamo solo a quel non banale dettaglio che è la sorte dell'ideologia del diritto. L'Occidente ha prodotto come sua principale sovrastruttura autogiustificativa globale l'idea di essere l'alfiere del Diritto contro la Volontà soggettiva: i "diritti umani", il "diritto internazionale", il "diritto di proprietà", il "sistema fondato sulle regole", ecc. Negli ultimi 4 anni ogni parvenza in questo senso si è dissolta come neve al sole. Non che in precedenza davvero i "diritti umani" potessero essere compatibili, per dire, con 600.000 morti in Iraq per "liberarli dalla dittatura". Ma la frequenza delle violazioni più manifeste era tale da consentire di dissimularle, di annegarle in altro notiziame brado di varia umanità. Ma cose come la complicità con l'eccidio palestinese in corso da parte degli eredi di Erode superano ogni livello di dissimulabilità: sono uno schiaffo in faccia ad ogni parvenza di umanità, sono una vergogna che rimarrà nella storia.

Similmente, ma su un piano differente, il rispetto sacrale della proprietà legittima è stata parte della struttura di diritto portante dell'Occidente. Può piacere o non piacere, ma l'idea di un diritto inscalfibile conferiva comunque una dimensione di affidabilità e non arbitrarietà al sistema occidentale. Anche questo si è dissolto nello spazio di un mattino, dapprima congelando conti correnti a contestatori politici, poi sequestrando beni di cittadini privati (russi), bloccando fondi finanziari in transito, cedendo gli interessi su quei fondi a entità statali terze, ed infine appropriandosi definitivamente di questi fondi stessi (unico passo su cui c'è ancora qualche resistenza in Europa). In un paio d’anni tutto il patrimonio secolare di affidabilità delle istituzioni finanziarie occidentali è finito giù per lo scarico.

O ancora, l'Occidente si è fatto vanto per lungo tempo di essere il luogo della libertà d'opinione e di parola. Ma anche qui, in tempi rapidissimi si è passati dalla persecuzione di Assange, alla chiusura di siti e pagine sgraditi, alla rimozione delle emittenti internazionali non allineate dalle piattaforme comunicative, all'arresto pretestuoso di Pavel Durov, patron dell'unico social riottoso ai desiderata della NSA, ai decreti censori del Digital Services Act, alla serena accettazione che l'ultimo anno abbia segnato il record di uccisioni di giornalisti sul campo, ecc. ecc. La lista dei segni di collasso potrebbe continuare a lungo.

Molto semplicemente, l'ideologia autogiustificativa dell'Occidente ha perduto in brevissimo tempo, all'interno ma soprattutto all'esterno, ogni credibilità, e ciò lascia campo libero al puro e semplice esercizio della forza. Ma quando si arriva al piano della forza, l'Occidente non ha più poi tante carte da giocare: le risorse naturali e demografiche lo vedono perdente, mentre il primato tecnologico non è più così netto (e verso alcuni paesi extraoccidentali non c'è proprio più).

Dunque qual è la buona novella di questo inizio d'anno? Ecco credo che la buona notizia sia soltanto una: la parabola del lungo tramonto dell'Occidente ha subito una brusca accelerazione, la stagnazione senza sbocco sta giungendo a conclusione, tempi nuovi sono alle porte. Come la storia del termine "apocalisse" ricorda, lo svelamento del nuovo tende ad avere caratteri cruenti, dunque l'avvento dei tempi nuovi non è una buona notizia per chi vive con agio il presente e brama solo una sua serena prosecuzione. Ma per tutti gli altri, si apre la stagione in cui ogni azione conterà doppio, la stagione in cui si gettano i semi dell'epoca a venire.

Andrea Zhok


 
Arresto ingiustificato PDF Stampa E-mail

3 Gennaio 2025

 Da Rassegna di Arianna dell’1-1-2025 (N.d.d.)

Apprendo in questo momento che nella sera del 31 dicembre scorso l'On. Gianni Alemanno già Ministro di questa fatiscente Repubblica e già Sindaco di Roma, è stato tratto in arresto e condotto nel carcere di Rebibbia dove ha trascorso il Capodanno e dove tuttora si trova. La motivazione è che l'On. Gianni Alemanno avrebbe disatteso gli obblighi relativi all'affidamento ai servizi sociali. Avrebbe, cioè, violato al massimo qualche limitazione oraria. Il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Roma è stato adottato "in via d'urgenza". Dio solo sa quale sarebbe l'urgenza per disporre l'arresto nella sera di Capodanno di un cittadino che, in più, nel caso dell'On. Gianni Alemanno, riflette una sua notorietà e dunque una sua "controllabilità" che non giustifica l'ingiusto provvedimento e non giustifica soprattutto la sua asserita "urgenza".

L'On. Gianni Alemanno, gravato di una condanna a 22 mesi di reclusione, si era giovato dell'affidamento in prova come prevede la legge. Peraltro, per quanto io conosca la vicenda giudiziaria, le pene non superiori a tre anni non comportano automaticamente la privazione della libertà personale. Mi riferisco alla famosa e benemerita legge "Simeone". Quando la "giustizia" perde il senso di sé stessa, si tramuta in gratuita violenza e lascia supporre in controluce la compiacenza a non ben definiti "poteri".

Ritengo, infatti, che questo inusitato e ingiustificato arresto di Gianni Alemanno sia determinato da ragioni strumentalmente e squallidamente politiche connesse al Movimento politico "Indipendenza" da lui creato e promosso, in forte e costante crescita, che si propone come suoi scopi prioritari la cessazione delle ostilità in Ucraina e in Medio Oriente, la condanna politica dello Stato di Israele per il genocidio in corso a Gaza e in altri territori palestinesi abusivamente occupati da Israele, l'uscita dell'Italia dalla NATO, dall'euro e dall'Unione europea, il ritorno a un vero Stato sociale in difesa dei lavoratori e delle ragioni del lavoro. Un progetto politico, dunque, diametralmente opposto all'attuale politica interna ed estera del governo.

Chi vuole, seguendo la logica, può ben immaginare dove si trovi la mano che muove i fili. Mi auguro che venga al più presto fatta vera giustizia per Gianni Alemanno al quale manifesto la mia convinta e affettuosa solidarietà in questo momento per lui molto difficile ma che egli, con la sua forza d'animo e il suo carattere, saprà ben superare e diventare più forte di prima. Faccio appello all'onestà intellettuale di tutti affinché tutti condannino questa ingiustizia e si associno, con una parola o un gesto, alla solidarietà che si deve a Gianni Alemanno e a chiunque altri viene riservata questa "giustizia".

Per chiarezza faccio presente che non faccio parte del Movimento politico "Indipendenza".

Augusto Sinagra


 
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