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Quell'affondamento è una metafora PDF Stampa E-mail

27 Agosto 2024

 Da Rassegna di Arianna del 25-8-2024 (N.d.d.)

Un capolavoro ingegneristico, apparentemente indistruttibile, che in un battito di ciglia viene inghiottito dalla bocca del mare, mentre altre imbarcazioni assai più piccole, benché toccati dai tumulti della medesima tempesta rimangono illesi, a malapena scossi, a malapena sollevati dalla banchisa, non è solo la trama di chissà quale oscuro intrigo internazionale: essa è anzitutto la metafora di una civiltà. La nostra. E che si tratti di un complotto o meno, di morte certa o di una messa in scena per chissà quale misterioso fine, non importa. La metafora persiste. Anzi, più le ambivalenze si moltiplicano, più essa si fortifica, mantenendo intatta la sua validità. Quella mastodontica creatura che affonda è, in tutto e per tutto, l'Occidente. E anche noi, colti come di sorpresa, noi che in una tale opalescenza cerchiamo a ogni costo di decriptare le ombre ormai naufragate tra illazioni e deliri, siamo Occidente che precipita. Quanto accaduto a quella imbarcazione è infatti ciò che sta, giorno per giorno, minuto per minuto, accadendo a noi tutti. E, nello specifico, ciò che accadrà a questa civiltà se continuerà a dar seguito all'incoscienza, all'incuria o al malcelato delirio di onnipotenza dell'apparato che governa - o che ha preteso di governare - quest'epoca, giunta ormai alla sua fine.

Da cogliere c'è questo: che l'anatomia comportamentale di chi stava su quella nave è la medesima dell'oligarchia che domina il nostro tempo. Essi, infatti, ne erano una parte. Imbottiti di ricchezza, securizzati, ipertecnologizzati, hanno creduto o hanno lasciato credere che quella campana di vetro fosse indistruttibile. Eppure, qualcosa, ha creato una breccia. O, semplicemente, qualcuno è saltato, svanendo nel nulla. Lasciando, tuttavia, che i più deboli della catena morissero davvero. Un collasso tra le incognite, sotto gli occhi increduli di tutti coloro i quali credevano che quella struttura fosse invincibile fu ciò che, analogamente, accadde all'URSS nell'89, con una sostanziale differenza: a Mosca risiedevano i bacilli di un potere politico che consentì in poco tempo una ripresa alla quale noi non possiamo - almeno nel breve termine - realisticamente lambire. Giacché a queste latitudini il potere è via via andato nelle mani di entità gassose, quasi eteree, che hanno eroso, smembrato, depauperato l'intero paesaggio ove per consuetudine si coltivano le resistenze.

Giancarlo Cutrona

 
O sovranisti o globalisti PDF Stampa E-mail

26 Agosto 2024

 Da Rassegna di Arianna del 24-8-2024 (N.d.d.)

Il primo settembre, in Germania, si voterà in tre regioni. La vicenda chiama in causa una questione politica cruciale per tutti i paesi occidentali e che è riassumibile nella seguente domanda: è possibile che, anche nel campo delle formazioni politico-istituzionali, si replichi quanto già sta avvenendo a livello sociale e di corpo elettorale, ovvero che la polarizzazione destra-sinistra venga sostituita dalla contrapposizione tra sovranismo e globalismo?

I sondaggi relativi alla Turingia danno i due partiti tedeschi di tendenza sovranista - AdF e BSW - rispettivamente al 30 e al 17%. Anche in caso i risultati finali fossero inferiori a queste rilevazioni, dunque, si conferma che la sommatoria fra le due formazioni potrebbe concretamente aspirare alla maggioranza assoluta. Stando così le cose, c'è allora da chiedersi se sia possibile o meno una coalizione tra AdF e BSW, malgrado la candidata a governatrice in Turingia del secondo abbia già escluso tale eventualità.

Le posizioni del partito BSW di Sahra Wagenknecht potrebbero essere definite marxiste popolari o marxiste comunitariste ma, in ogni caso, esse sono totalmente contrapposte a quelle della sinistra odierna in quanto il partito di Sarah Wagenknecht si pone contro la guerra alla Russia, contro il deregolazionismo sui flussi migratori, contro quel Green Deal con cui i potentati economici vogliono distruggere la classe media occidentale, contro le politiche bio-securitarie messe in atto durante l'emergenza pandemica e quindi, in buona sostanza, BSW avversa TUTTI i punti che costituiscono l'attuale agenda della Commissione Europea. Il partito Alternative fur Deutschland, invece, viene definito da tutti i media d'Europa come "di estrema destra" nonché come una "minaccia per la democrazia". In realtà, si tratta di un partito liberal-conservatore, che ha espulso le figure al proprio interno più spostate verso l'estrema destra (come il proprio portavoce nel Brandeburgo, reo di aver partecipato a un convegno con gruppi neonazisti). Dunque, se oggi AdF viene dipinta da media e istituzioni come formazione para-hitleriana, il motivo è uno e soltanto uno: l'aver dichiarato esplicitamente di puntare allo smantellamento della UE per sostituirla con una confederazione di Stati sovrani.

Questa situazione sta ora facendo sì che l'iniziale aggressione mediatica ai danni del partito "rossobruno" della Wagenknecht, venga pian piano sostituita da locali aperture di credito da parte della CDU nonché dalla narrazione secondo cui BSW starebbe facendo da "argine all'estrema destra". A questo punto, dinanzi a Sarah Wagenknecht si pone quindi un bivio. Ella ha a disposizione la scelta fra due sole e specifiche opzioni:

a) puntare alla crisi istituzionale e sistemica creando una coalizione sovranista con AfD giacché una simile prospettiva, oggi, rappresenta l'unica possibilità di rinascita per un paese che ha visto negli ultimi due anni azzerarsi la propria sovranità e che rischia di essere spazzato via da una nuova guerra mondiale; b) coalizzarsi coi partiti europeisti-globalisti, puntando a qualche parziale risultato riformista - che però si è rivelato essere, grazie a esperienze come quella di Tsipras, obiettivo del tutto impraticabile nel contesto eurofederale - e, quindi, assumere di fatto un ruolo da gate keeper della protesta sociale.

In Francia, nel frattempo, un altro leader che viene considerato d'impostazione marxista-popolare, Melenchon, si ritrova con una coalizione di sinistra divisa su tutte le questioni strategiche e, quindi, in completo stallo. Questo perché "unire la sinistra" o "fermare l'avanzata della destra", oggi, sono categorie che non significano più assolutamente nulla, mentre unire i sovranisti, al contrario, è l'unica opzione che può sperare di fermare l'unica minaccia reale, mortale e concreta che è di fronte ai popoli: quella rappresentata dalle forze liberiste-globaliste che guidano l'Unione Europea e che intendono far precipitare il continente in una guerra devastante.

Riccardo Paccosi

 
Fotocopie PDF Stampa E-mail

25 Agosto 2024

 Mi impressiona aver creduto nella favola delle donne quali nature che avrebbero potuto cambiare la storia di sangue, oppressione, controllo e vergogna cui oggi assistiamo forse come mai prima d’ora. L’accelerazione e la caduta di umanesimo insito nella idolatrata tecnologia digitale, ha rotto le acque e partorito un cambio di paradigma mortifero, in cui le donne sono tragicamente protagoniste. Avevo infatti creduto che il senso della maternità, cioè dell’avere in sé ed esprimere il significato universale della creazione – una dote complementare ma, in qualche modo, ben più profonda di quella maschile e seminale – non sarebbe mai venuto meno. La prima, quella femminile a carattere universale, o capace di tenere il legame con il cosmo, l’altra, quella mascolina, prevalentemente a proiezione secolare. Una fondata sull’amore e da questo governata, l’altra sulla supremazia nei confronti del prossimo, in tutte le sue forme.

Nelle donne viveva il senso protettivo della vita, fisicamente e simbolicamente riflessi sul neonato, sul bimbo, sul ragazzino, e anche sull’uomo, la cui indole vanesia gli nega spesso la piena maturità, ovvero il senso del sacrificio e del dono.  Viveva in esse anche il principio dell’ascolto, necessariamente coniugato ad una maieutica capace di favorire la quiete e quindi la libera espressione del prossimo. Una specie di bullismo al rovescio. C’era in esse la consapevolezza che accettare comporta bellezza e favorisce relazioni senza sofferenza e altamente taumaturgiche.

Non si tratta di un’idealizzazione della donna, ammesso che si possa parlare della realtà senza in qualche misura renderla idea, cioè un’entità senza sbavature. Ho conosciuto, esperito, vissuto il calore di una carezza e il suo potere guaritore, nonché quello di uno schiaffo, e il suo potere di generare rancore e soprattutto di perpetuarlo. Una conteneva epifania d’umanità, l’altro, separazione e barriere.

Mi impressiona osservare che la caduca ideologia liberista e il fascino del potere hanno dimostrato di possedere una forza superiore a quella immortale del femminino. Credevo che le donne avrebbero avuto in sé quella forza che non avrebbe mai spento in esse il senso profondo della vita. Pensavo che solo loro avrebbero cambiato il mondo. Osservare il loro non sospettato adeguamento al modello maschile e marziale, ha il carattere del dolore infernale. Ora spadroneggiano, come i loro i maestri maschi hanno ben insegnato loro. Avverto tutto ciò come un tradimento che ferisce l’umanità intera, che annienta una parte di questa e ne favorisce l’altra. L’amore sostituito dal ragionamento e dalla strategia. Tra tutti i segni della fatiscenza dell’antico caravanserraglio europeo-occidentale, quello della rinnegazione del proprio ruolo e della misconoscenza di se stesse è forse tra i più tragici ai quali stiamo assistendo. Un tradimento che esse elevano a valore e, buco nero energetico, a diritto. Così, le donne al potere non realizzano nelle loro politiche alcuna scelta che veicoli prospettive alternative a quelle perseguite dai maschi. Quelle sotto il vertice e, fino alla base della piramide, ne sono educate. L’apparire nel loro piccolo ambito è il loro scopo, anche a scapito delle fondamenta di loro stesse e dei loro poteri naturali. Non portano più il messaggio materno. Sono fotocopie perfettamente riuscite dei loro opposti uomini. Vestire un’uniforme vale oggi di più che prendersi cura di una famiglia.

L’adeguamento alle direttive transumaniste non è costato loro alcuno sforzo. Con naturalezza, hanno accettato di vedere l’ideologia imposta dai padroni, mettere da parte la natura, le tradizioni, le identità, i costumi. Hanno abbracciato le leggi e buttato la conoscenza che era in loro. Ora dispongono di platee e possono finalmente dettare l’ordine del giorno. Ogni volta ne sento il dolore.

Nella corsa all’emancipazione fasulla, di facciata, le fotocopie, dopo aver gioito per poter guidare un cingolato, per poter andare in prima linea, per avere ottenuto che i piatti li lavi qualcun altro, dopo avere tralasciato di coltivare tutte le arti femminili delle tradizioni, relegato l’educazione famigliare per il diritto di andare a lavorare, essersi prestate alla gestazioni di feti di cui non sarebbero state madri perché buttandoli non urlano o perché già venduti, sono ora accondiscendentemente mute e coautrici della disumana rivoluzione di costumi, opportunamente messa in campo dagli stessi autori delle rivoluzioni colorate.

La loro carriera è sostanzialmente all’inizio. Temo, oltre a quanto hanno già dimostrato di saper fare, che ne vedremo di ancor più belle. La vanità della fotocopia vorrà essere superiore a quella dell’originale. Credevo nelle donne, ora ne ho paura come di un demone assetato di rivalsa.

 

Lorenzo Merlo

 

 
Incongruenze PDF Stampa E-mail

24 Agosto 2024

 Da Appelloalpopolo del 12-8-2024 (N.d.d.)

Il potere dei mass media e dei moderni canali di diffusione delle informazioni risiede in gran parte nella possibilità di plasmare inconsciamente le menti e conseguentemente gli atteggiamenti di coloro cui essi si rivolgono. Tutto ciò espone chi ne viene investito a un sotterraneo ma inesorabile processo di “strutturazione” del pensiero, il quale conduce a sviluppare una forma mentis gradita al sistema. Quando il potenziale tecnologico e informativo di un’epoca non è proporzionato a quello cognitivo della maggioranza degli esemplari che la popolano, il pericolo di produrre mostri è dietro l’angolo.

A partire dagli anni ‘80, ovvero dall’inizio della controffensiva neoliberista e globalista a guida anglosassone, le generazioni che si sono susseguite sono state infarcite di alcuni efficaci quanto superficiali principi: grande è meglio; l’interconnessione genera automaticamente cooperazione; la competizione è il motore delle società e dello sviluppo umano; l’individualismo dei diritti è superiore al solidarismo dei doveri ecc. Ora, taluni di questi principi meriterebbero di essere sottoposti a un’attenta analisi, perché sono lo specchio delle incongruenze che stanno facendo implodere parti del nostro mondo a causa di intrinseche quanto evidenti contraddizioni logiche. Prendiamo ad esempio un binomio quasi grottesco, quello del supposto connubio tra pace e competizione, che ha trovato una delle sue più perniciose cristallizzazioni proprio in seno ai trattati europei e che è diventato uno strano mantra che pochi sembrano intendere in tutta la sua illogicità. Il mantra è il seguente: l’Unione europea ha prodotto, anzi è nata per produrre, pace e cooperazione, ma affinché queste possano essere mantenute occorre declinarle attraverso la competizione economica tra i membri che la compongono, concetto condensato nella bizzarra locuzione «economia sociale di mercato fortemente competitiva» (art. 3, c. 3 del TUE). Tralasciando analisi di stampo più prettamente economicistico, che qui non competono, si noti perlomeno l’evidente forzatura derivante dall’accostamento di concetti intuitivamente antitetici. La competizione, il cui esito finale è da intendere sostanzialmente come l’affermazione della legge del più forte, è il motore di una natura spietata, la quale fagocita i suoi figli come il Saturno di Goya. Non c’è pace né cooperazione in un approccio alla vita puramente competitivo, allorché qualcuno, nell’agone della competizione, deve necessariamente soccombere. Insomma, parafrasando una nozione desunta dalla celebre teoria dei giochi di Nash, il gioco competitivo non è un gioco a somma positiva. Ci si chiede allora come possa un tale principio – quello della competizione – generare il suo esatto opposto, ovvero quello della cooperazione, cosa di cui la retorica europeista e ipocritamente cosmopolitica e globalista degli ultimi quarant’anni ha convinto intere generazioni.

I risultati sono tuttavia piuttosto evidenti: il mondo è un campo di battaglia animato dagli interessi egoistici delle grandi potenze (come invero è sempre stato); l’Unione europea è quanto di più disfunzionale possa esistere sotto il profilo socio-economico a causa delle assurde regole che si auto-impone ormai da tempo immemore, con i suoi membri che si fanno una guerra sotterranea per racimolare qualche briciola di supremazia su uno scacchiere internazionale che li vede ormai ridotti a mere comparse; gli individui, atomizzati e convinti di essere loro stessi l’unico universo che conta davvero preservare, replicano in scala ridotta i comportamenti aggressivi posti in essere dai grandi organismi istituzionali planetari. Lo scenario, tutt’altro che cooperativo, appare improntato al più puro darwinismo sociale, portato di quel liberismo oltranzista che in Europa ha preso il nome di ordoliberismo (che, tradotto, vuol dire che le regole ci sono, ma sono fatte dai più forti per favorire se stessi). Eppure viene affermato in maniera quasi ossessiva che l’Occidente, il quale ha prodotto, insieme a tante cose belle e piacevoli, anche questi meccanismi infernali di sopraffazione camuffati da umanitarismo solidaristico, avrebbe prodotto il migliore dei mondi possibili. Ergo, noi viviamo la migliore delle vite possibili. Pertanto, non ha alcun senso pensare di modificare l’esistente, non essendovi alcuna possibilità che esso possa essere migliore di com’è. Arriviamo per direttissima all’altro grande mantra postmoderno: l’assetto sistemico esistente è irreversibile – quante volte, negli ultimi anni, ci è toccato ascoltare questa sciocchezza.

Neoliberismo, ordoliberismo, competizione su scala sovranazionale, nazionale e individuale, irreversibilità dell’ordine postmoderno sono tra i dogmi più granitici che dettano legge nell’epoca che ci è toccata in sorte. Un’epoca in cui si fa terribilmente fatica a pensare un futuro diverso, un sistema diverso, un’umanità diversa, al netto del vuoto panegirico di una diversità di facciata, cosmetica, a tratti tediosa e patetica, strettamente funzionale al mantenimento di un regime di desideri individuali di stampo ultra-liberale. Ci si limiti sommessamente a ricordare che il divenire – come saggiamente avevano compreso gli antichi filosofi greci – è la reale cifra del mondo e dell’esistenza, è la reale sostanza dell’Essere. Tutto è soggetto a trasformazione, e lo sarà anche ciò che oggi viene spacciato come immodificabile. È solo una questione di tempo. Per ora, a restare immutabile è solo l’inconsapevole dabbenaggine di una mediocre maggioranza che crede a dogmi costruiti e plasmati a tavolino per controllare e dirigere esistenze fatte di cieca e acritica ubbidienza.

Davide Parascandolo
 
Controllo culturale, non egemonia PDF Stampa E-mail

23 Agosto 2024

 Da Comedonchisciotte del 15-8-2024 (N.d.d.)

Qualche giorno fa un amico mi ha fatto pervenire lo screenshot di un libro che probabilmente stava leggendo in quel momento. La sua lettura agostana erano i “Quaderni dal Carcere” di Antonio Gramsci (sì, lo so, ho amici strani). La citazione era questa:

“Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte ‘originali’, significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte, ‘socializzarle’ per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali, elemento di coordinamento di ordine intellettuale e morale. Che una massa di uomini sia condotta a pensare coerentemente e in modo unitario il reale presente è fatto ‘filosofico’ ben più importante e ‘originale’ che non sia il ritrovamento da parte di un’genio’ di una nuova verità che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali. La frase può essere anche considerata la premessa necessaria per l’affermazione di quello che poi sarebbe diventato uno dei concetti più usati del pensiero del filosofo sardo, quello di “Egemonia Culturale”. […]

Questa visione del mondo, di cui Gramsci era giustamente consapevole nel suo tempo, andava diffusa in modo da diventare la più ampia possibile e creare la “massa critica” di persone consapevoli su cui si sarebbe potuto, a un certo punto, fare leva per cambiare le cose. Perché ciò avvenisse, appunto, bisognava che i “consapevoli” diventassero sempre di più ed occupassero man mano tutti i posti chiave di diffusione del pensiero per canalizzare i “giusti” concetti al maggior numero possibile di persone. Per questo fondò un giornale, e su questo si sarebbe dovuta fondare l’Egemonia Culturale dei suoi pari, forti della Verità e portatori del Bene a tutto il Popolo. Poi che cosa è successo? Nei decenni del dopoguerra, molti anni dopo la morte di Gramsci, una lunga serie di circostanze ed eventi sia a livello mondiale che nazionale ha portato un consistente numero di persone che si riconoscevano (più o meno a ragione) nella parte politico-culturale erede di Gramsci ad occupare molti dei posti chiave nella sempre più ampia ed influente macchina dei Mass Media italiani. E non solo: persone più o meno riconducibili (alcuni per convinzione, altri per convenienza) a quell’area sono diventati magistrati, funzionari, dirigenti delle varie articolazioni della complessa macchina pubblica, al punto che negli ultimi decenni del secolo scorso e ancor più marcatamente nel nuovo millennio, la Sinistra autoproclamatasi erede di Gramsci può certamente dire di avere realizzato proprio quell’Egemonia Culturale che lui auspicava cento anni fa.

Tuttavia, facendo leva sull’aggettivo “criticamente” che Gramsci pone al centro del suo pensiero, è lecito porsi due domande: l’Egemonia è rimasta tale, cioè una forza magari preponderante nel campo culturale, ma non unica, o si è trasformata in qualcosa d’altro? La “Verità” degli eredi di Gramsci che ora è egemonica, è quella che Gramsci proponeva, oppure l’egemonia è stata messa al servizio di qualcosa di differente? Riguardo alla prima domanda, è evidente a chiunque osservi con un minimo di distacco il dibattito pubblico che oggi la così detta Sinistra sembra essere andata ben oltre l’Egemonia, ed è passata al Controllo Culturale. Di fatto, è la Sinistra ad ispirare, in Italia come altrove in Occidente, il così detto “pensiero unico”, tanto da determinare giorno per giorno i temi del dibattito pubblico, determinando ampiezza ed estensione del “regime di ragione” (come lo definisce Andrea Zhok nella sua “Critica della Ragione Liberale“) in vigore tempo per tempo, ovvero il novero di argomenti di cui si può discutere e, soprattutto, di cui NON E’ PERMESSO farlo. Esempi? Solo per limitarci agli ultimi tre anni: Covid, vaccini, riscaldamento globale, guerra in Ucraina, invasione di Gaza. E, risalendo un po’ più indietro, Euro, Unione Europea, Welfare, Debito Pubblico, immigrazione. Tutti questi argomenti hanno in comune il fatto di avere trovato, a un certo punto, una loro definizione di base (più avanti vedremo perché proprio quella), che poi è stata rimbalzata in migliaia di rivoli in tutti i canali del dibattito pubblico, diventando così INDISCUTIBILE. Il Covid era terribile e solo i vaccini potevano sconfiggerlo, mentre i vaccini stessi erano “sicuri per definizione”, il cambiamento climatico è “sotto gli occhi di tutti”, in Ucraina senza dubbio “c’è un aggredito e un aggressore”, l’Euro è “irreversibile” e “ci fa lavorare un giorno in meno guadagnando come un giorno in più”, il debito pubblico è “brutto brutto” perché “lo Stato è come una famiglia” (oppure, variante berlusconiana, “lo Stato è “come un’impresa”) etc. etc. Questo è solo un breve e limitato elenco di temi sui quali da anni (decenni?) anche la più flebile voce critica o semplicemente dubbiosa viene immediatamente bollata con l’aggettivo che prima era riservato all’Olocausto nazista, simbolo di qualcosa talmente evidente che non si poteva negare, ma oggi è ormai sulla bocca di tutti: negazionista. Ormai non si può parlare in pubblico su uno di quei temi se non si premette qualcosa tipo “non sono un negazionista del XXX, ma…” oppure “l’Euro è stata una conquista per il nostro paese, ma…” oppure ancora “non mi sta simpatico Putin, ma…”. Eppure, ognuno di questi temi è il risultato di un insieme molto complesso di fattori, che ha posto e pone tuttora problemi di enorme rilevanza, diremmo quasi di sopravvivenza per il nostro modello sociale, temi che andrebbero discussi pubblicamente e sviscerati da molti diversi punti di vista prima di prendere una direzione o l’altra, prima di decidere da che parte stare (o SE stare da una parte). Sono temi complessi, carichi di conseguenze, che avrebbero un disperato bisogno di essere esaminati, valutati, discussi, soppesati tramite una pluralità di voci, e invece… invece niente. Nell’Euro “irreversibile” siamo entrati alla chetichella, senza nessun referendum e dopo un dibattito parlamentare semiclandestino, sul Covid si è viaggiato per due anni a colpi di Decreti del Presidente del Consiglio, così come pochi minuti dopo l’inizio dell’Operazione Speciale in Ucraina o l’attacco di Hamas a Gaza sono partite le dichiarazioni pubbliche “senza se e senza ma” che diventano poi il regime di ragione sull’evento stesso. Senza approfondimento, senza riflessione, senza valutazioni delle conseguenze di prendere una strada o l’altra, niente. Come i cani di Pavlov. Con tanto di decreti “anti fake news”, algoritmi che bloccano le fonti meno allineate e commissioni di “esperti” a certificare cosa si può dire e cosa no. […] Questa non è “Egemonia”, questo è CONTROLLO. Non credo che Gramsci avrebbe approvato.

Venendo alla seconda domanda, sarebbe già preoccupante se gli argomenti egemonici imposti dal regime di ragione della Sinistra fossero ancora del tipo di quelli che trattava Gramsci, cioè, semplificando, temi “di Sinistra” che, citando l’ultimo libro di Sahra Wagenknecht (prefazione di Giacché), “Sinistra” era un tempo sinonimo di ricerca della giustizia e della sicurezza sociale, di resistenza, di rivolta contro la classe medio-alta e di impegno a favore di coloro che non erano nati in una famiglia agiata (…). Essere di sinistra voleva dire perseguire l’obiettivo di proteggere queste persone dalla povertà, dall’umiliazione e dallo sfruttamento, dischiudere loro possibilità di formazione e di ascesa sociale, rendere loro la vita più facile, più organizzata e pianificabile. Chi era di sinistra credeva nella capacità della politica di plasmare la società all’interno di uno Stato nazionale democratico e che questo Stato potesse e dovesse correggere gli esiti del mercato. […] Naturalmente ci sono sempre state grandi differenze anche tra i sostenitori della sinistra. […] Ma nel complesso una cosa era chiara: i partiti di sinistra, che fossero socialdemocratici, socialisti o, in molti paesi dell’Europa occidentale, comunisti, non rappresentavano le élite, ma i più svantaggiati.

Sarebbe “giusto”, ma comunque sarebbe preoccupante se fosse così, perché l’assenza di dibattito è un male in sé di qualunque sistema politico, anche il meglio intenzionato. Peccato che oggi i portatori (insani) di Egemonia Culturale non portino più avanti temi di quel genere, ma praticamente l’opposto. Tutti i temi sopra ricordati, su cui è incardinata l’egemonia odierna, realizzano, infatti, uno o più interessi delle élites o di parti di esse, sia attraverso la determinazione di vantaggi materiali tangibili (ad es. le industrie farmaceutiche che si arricchiscono coi vaccini) sia attraverso la realizzazione di “stati di fatto” che, pur danneggiando il proprio paese, poi possono essere usati in loro favore (ad es. fare carriera nelle istituzioni europee dopo avere “servito” l’Euro fedelmente). […] Gli Egemoni sono dei veri e propri “cavalieri del Male”, portatori di idee del tutto opposte a quelle di Gramsci, idee che, al momento, a sinistra solo la ricordata Sarah Wagenknecht sembra criticare. È paradossale, ma è così. Gramsci aveva ragione, l’Egemonia Culturale era necessaria per far cambiare rotta alla società, peccato però che l’Egemonia che lui auspicava è stata sì realizzata dai suoi presunti eredi, mettendola, però, al servizio di finalità opposte a quelle che avrebbe voluto lui. La società sta cambiando rotta, ma non va dove sperava Gramsci. Va dall’altra parte, in sostanza – date le numerose ed insanabili aporie di cui è portatrice – va contro al muro. Speriamo che il muro regga, in modo che, dopo lo schianto, si possano almeno raccogliere i cocci per ripartire, sperabilmente non verso una qualche forma di nuova Egemonia.

Franco Ferrè 

 
Rifiuto di destra e sinistra PDF Stampa E-mail

22 Agosto 2024

 Da Rassegna di Arianna del 20-8-2024 (N.d.d.)

Cominciamo con l'esporre tre dichiarazioni a titolo esemplificativo: due rilevanti e internazionali, una di portata soltanto italiana.

1) Il 18 gennaio, durante la riunione annuale del World Economic Forum a Davos, il presidente dell'Argentina Javier Milei prende la parola attaccando politicamente l'istituzione ospite e affermando che "l'Occidente è in pericolo" perché starebbe imboccando la "strada del socialismo". Tale strada, secondo Milei, prevede sempre più Stato e sempre più regolamentazione laddove, invece, sarebbe necessario lasciare che il mercato si governi da solo. 2) Il 18 agosto, durante una conferenza stampa, Donald Trump afferma che, in caso di vittoria di Kamala Harris, tutti saranno gettati entro "un sistema comunista" nel quale si correrebbe il rischio che chiunque possa ottenere assistenza sanitaria gratuita. 3) Venendo al piccolo esempio italiano, nella giornata di ieri 19 agosto il giornalista Mario Giordano scrive su La Verità un editoriale sotto forma di lettera rivolta al direttore dell'OMS Tedros Ghebreyesus, nella quale quest'ultimo viene accusato di essere "comunista".

La destra, storicamente, non ha mai elaborato una critica alla matrice neoliberista del mondo occidentale. Ha contestato il nichilismo, la decadenza, la modernità, ma non il neoliberismo. Quest'ultimo è oggi analizzato criticamente soltanto da filosofi come Alain De Benoist che provengono sì da destra ma che, non a caso, non si riconoscono più in tale categoria.

Negli ultimi decenni, come si sa, la sinistra è divenuta la più estremista sostenitrice dell'assoggettamento della società al mercato e della dissoluzione della sovranità popolare in favore del conferimento di ogni potere a organismi sovranazionali. Il crescente dissenso popolare che questo processo ha generato ha posto quindi la destra nella non scelta condizione di aggregatore del dissenso, con conseguente incertezza di auto-definizione rispetto a tale ruolo. Gli esempi di cui sopra, ebbene, indicano chiaramente che l'incertezza è finita e che la destra ha scelto di mettere in atto - in modo opposto ma esattamente speculare - lo stesso dispositivo retorico-ideologico della sinistra, ovvero cavalcare, amplificare all'estremo, la polarizzazione fra le categorie di destra e di sinistra, come se queste fossero l'unica chiave interpretativa della storia e della società. La conseguenza di questa scelta risulta esiziale per ogni ipotesi di opposizione politica e sociale giacché entrambe le polarità spostano l'attenzione dell'opinione pubblica dal neoliberismo - che è sistema vigente e ideologia egemone - per focalizzarla verso la memoria spettrale di "fascismo" e "comunismo". Così, da una parte abbiamo un inganno di sinistra che bombarda l'opinione pubblica sulla minaccia del "fascismo", mentre le grandi multinazionali assumono il controllo totale degli organismi sovranazionali ed eliminano il potere decisionale dei Parlamenti. Dall'altra, abbiamo un inganno di destra che straparla di comunismo, laddove stiamo invece assistendo alla privatizzazione non solo di ogni bene comune e di ogni spazio di socialità, ma anche della stessa nuda vita attraverso i dati genetici che, presto, andranno a implementare i Big Data delle corporation.

Forse, non c'è niente che possa avversare e rovesciare il duplice inganno ideologico messo in atto dai neoliberisti di sinistra e dai neoliberisti di destra. Come per tutti gli altri aspetti di questa fase storica, però, il problema non riguarda solo il fare ma anche il testimoniare, ovvero il piantarsi dritti a testa alta testimoniando il proprio rifiuto non solo del sistema esistente ma anche delle sue categorie di pensiero. L'autonomia di ciascuna singola persona, oggi più che mai, si esprime solo attraverso la capacità e il coraggio di sentirsi e dichiararsi - pienamente, senza infingimenti - CONTRO LA DESTRA E CONTRO LA SINISTRA. Solo coltivando singolarmente ed eticamente questo rifiuto duplice e assoluto, si può sperare che un giorno l'autonomia dei singoli si possa tramutare in Autonomia Popolare.

Riccardo Paccosi

 
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