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Civiltà al paragone PDF Stampa E-mail

18 Giugno 2023

 Da Rassegna di Arianna del 13-6-2023 (N.d.d.)

“Civiltà al paragone “ è il testo pubblicato da Arnold Toynbee nel 1946 in cui esamina e confronta le civiltà nella storia , la loro ascesa , il successo e l’inesorabile declino . In questa illustrazione della storia Toynbee ritrova i corsi e ricorsi storici di G.B.Vico e la sequenza dei fatti che sempre accompagnano il ciclo storico delle civiltà che si sono alternate nella storia . Il suo ultimo lavoro “Il racconto dell’uomo “ (“ Mankind and mother Earth”) raccoglie le sue riflessioni sui tremila anni oggetto di studio concludendo l’opera con la seguente considerazione . “ L’uomo ucciderà la Madre Terra o la riscatterà ? Può ucciderla con il cattivo uso della sua potenza tecnologica. Ma può anche riscattarla , sconfiggendo quell’avidità suicida ed aggressiva che rappresenta il prezzo del dono della vita da parte della grande Madre . Questo è l’enigma che l’uomo si trova ad affrontare “. Parole che possono descrivere in pieno il dramma che ora stiamo vivendo dove due modelli di civiltà sono allo scontro : la civiltà occidentale nella sua fase di declino e quella dell’est e del sud del mondo che è in ascesa e pronta a sfidare la prima.

Per provare ad analizzare lo stato di vita delle due civiltà , in particolare quella occidentale, è utile fare un confronto storico con le civiltà che l’hanno preceduta ed hanno contribuito alla sua affermazione fino al mondo moderno nella  parte che più la rappresenta, gli USA . Il confronto con la civiltà romana e quella dei bizantini nella loro fase finale ci può aiutare a capire lo stato di declino degli Usa come massimi rappresentanti della civiltà occidentale. L’analisi dei fatti , seppur in tempi diversi , mostra una ricorrenza sistematica delle cause che creano il collasso di una civiltà costituito dallo scindersi della società che si disintegra fra un recalcitrante proletariato da una parte e dall’altra da una minoranza sempre meno dominante ma illusa dall’idea che il sole non finisca mai e che sia possibile perpetuare i modelli vecchi di risposta ad un mondo che cambia. […] Noi con questa riflessione ci chiediamo:” si ripete la storia ?”, intendiamo semplicemente chiederci : “ dimostra la storia di essersi ripetuta in altre occasioni nel passato ? “ o invece ci domandiamo se la storia sia governata da leggi inviolabili che, come hanno agito nel passato, agiscono anche oggi ? La Storia si ripete in modo simile ma non uguale e le variabili che portano al collasso una civiltà tendono a ripetersi perché a dominarle è sempre l’uomo la cui natura non cambia mai , noi però non siamo condannati a fare sì che la storia si ripeta ma se non riusciamo a trattenere la nostra civiltà occidentale dal seguire le orme di società precedenti non eviteremo un suicidio totale.

La prima civiltà di cui proviamo a tracciare le cause del suo collasso è la greco – romana per la forte inferenza della cultura greca in quella romana come scrive Virgilio :” Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio “; non v’è dubbio che molte opere latine furono una traduzione di quelle greche . La civiltà romana comincia verso il 200 a.C. ma poi diventa grande con Augusto imperatore a cui seguirono 105 imperatori dal 27 a.C. al 476 d.C. , una lunga storia che ha segnato fortemente la civiltà occidentale ; nel 330 d.C. Costantino porta la capitale del regno da Roma a Costantinopoli dando vita a quello che sarebbe diventato l’Impero Romano d’Oriente o anche l’impero bizantino che durò altri mille anni. […] Dal punto di vista politico-militare l’Impero Romano d’Occidente cadde definitivamente nel V secolo invaso da popoli non romani per mano delle truppe di Odoacre che misero fine alla lunga storia di quella che un tempo era chiamata la “ pax romana “; Odoacre fu un accidente perché l’impero era già finito al suo interno . La cause del dissolvimento possono essere sinteticamente descritte . -Il violento calo demografico dovuto alle guerre , alle carestie , alle epidemie ed a motivi economici ; nel periodo dei Cesari Roma aveva un milione di abitanti sotto Romolo Augustolo nel 470 i residenti erano scesi a cinquantamila; -la perdita della forza commerciale ed il crollo dei traffici che avevano arricchito Roma , un’inflazione galoppante, la produzione di monete fiat cioè senza sottostante , le monete nate interamente d’argento alla fine avevano solo il 5% di argento dunque la regressione dell’economia monetaria all’economia rurale; -la crisi e la fuga dalle città sempre più sporche ed a rischio epidemie ed oggetto di sistematici saccheggi ; -la dissoluzione sociale , la perdita di valori morali , il disinteresse per il bene comune a vantaggio del bene personale con una disuguaglianza devastante, un lusso eccessivo per pochissimi e povertà estrema per i contadini ed il proletariato urbano; -una crescente degenerazione burocratica che favoriva una sistematica corruzione ed un peso fiscale che finiva sui ceti meno abbienti; -la mancanza di una cultura della governance ed in generale un periodo molto orientato al culto del bene personale di tipo materialista ; -la mancanza di leader con creatività e coraggio capaci di sfidare la storia ed ancora un sistema costituzionale non più aderente alla realtà dominato dall’esercito ed asimmetrico tra il potere centrale e quello periferico. Alla fine l’impero si è dissolto da solo e sono bastati i barbari di Odoacre a fare cadere un regno che un tempo avrebbe reagito respingendoli ai loro paesi  .

L’Impero Romano d’Oriente che sopravvive a quello d’Occidente per mille anni, cadde per mano degli ottomani martedì 29 maggio 1453 , un lungo periodo caratterizzato dalla capacità della diplomazia realista nel dividere i suoi nemici ed evitare guerre sanguinose non avendo una forza militare in grado di sostenere campagne militari lunghe e costose. Questa politica di condivisione e di tolleranza consentì investimenti , una forza commerciale , un’attenzione ai beni sociali come acquedotti e cisterne , sistemi fognari e le più complesse e formidabili fortificazioni cittadine del mondo . L’ingegneria dei bizantini ha dato vantaggi continui non solo in campo militare come veloci galere e lanciafiamme simili all’attuale napalm ma anche nell’ingegneria urbanistica che diede prova della sua creatività specie con la Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli edificata da Giustiniano nel 532-537 d.C. copiata dagli ottomani solo 1000 anni dopo. Lo stesso imperatore Giustiniano codificò un precedente millennio di giurisprudenza romana  eppure questo gioiello cominciò a collassare lungo il tempo passando da 800.000 cittadini a cinquantamila quando cadde per mano degli ottomani che ribattezzarono Costantinopoli con il nome di Istanbul .Le cause del lungo collasso della civiltà bizantina possono essere in sintesi così riprese : -La guerra religiosa tra cristiani occidentali e orientali che si odiavano e nessun aiuto fu portato a Costantinopoli nel momento del bisogno; -La peste del XIV secolo devastò l’impero ma contribuì agli scontri interni ed alla loro conflittualità che indebolì dal di dentro il sistema economico ; -La perdita dei valori morali , civici, dibattendo su oscure tesi religiose ,rendendo la guida del governo sorda alle nuove difficoltà ed incapace di capire le nuove sfide; -Invece di guadagnare denaro con il loro commercio che li aveva sostenuti per quasi mille anni hanno gonfiato la loro stessa valuta arrivando a fondere gli impianti d’oro e d’argento dando luogo ad una crescente svalutazione ed inflazione; -la minore attenzione alla ricostituzione dell’esercito indotta dall’idea che le conquiste passate avessero lasciato una sorta di invincibilità, -Il calo demografico aveva spento il senso del futuro e li ha resi incapaci di capire la crescente debolezza sociale e quali reazioni fare verso il collasso che non riuscirono a percepire rimanendo chiusi nelle glorie passate; -Il sistema fiscale peggiorò la situazione della parte più debole della società aumentando in modo intollerabile la disuguaglianza e demotivando i cittadini a fare sacrifici per un bene che al loro non arrivava ; -l’impero si stava dissolvendo e gli ottomani furono aiutati dallo stato di debolezza di quello che era stato un impero fiorente.

L’impero americano ha preso il dominio dell’ecumene alla fine della Seconda guerra mondiale pensando di potere esistere per sempre anche se Arnold Toynbee nel 1962 scriveva : “ Dopo la guerra  gli Usa hanno preso il bastone di comando del mondo ma al momento in cui sto scrivendo non credo che durerà più dell’impero mongolo ( tre generazioni ndr ) , il futuro sarà scritto dall’Estremo Oriente “ mai parole furono così profetiche . Alla caduta del muro di Berlino Fukuyama arrivò a scrivere un po' stolidamente che la Storia era finita ed invece si sarebbe riaperta in modo imprevedibile con lo scontro , oggi , tra due civiltà quella occidentale al cui vertice si pongono gli Usa e la civiltà che fa capo al sud e all’est del mondo. La governance degli Stati uniti come la vediamo oggi è andata progressivamente peggiorando per colpa di una classe dirigente che si è ossificata sul potere del passato ed illusa da una storia di potere che pensava non si sarebbe mai fermata ; la debolezza attuale deriva dalla mancanza di cambiamento nelle élite che continuano a reiterare politiche di dominio basate sull’aggressione militare e finanziaria che hanno finito per ritorcersi contro di essa ed oggi siamo assistendo ad una decadenza che sembra essere sempre più veloce ed inarrestabile per l’incapacità del paese e dei suoi governanti di mettersi in discussione.

La cause del dissesto socio economico possono essere sinteticamente indicate : -La supponenza maschera la reale incompetenza della politica ostinata a reiterare una vecchia logica basata sulla prepotenza , incompetenza che grava anche sulla finanza razionale eretta a verità incontrovertibile la cui certezza di razionalità si fonda su un principio deterministico che non è più nemmeno accettato dalla meccanica quantistica che ora ragiona in termini di probabilità , figuriamo la razionalità dei mercati finanziari ; -Le divisioni sociali sono in tutto il paese e mostrano un degrado sociale e morale che divampa in violenze estreme continue ; i valori che un tempo definivano la cultura americana, incluso il senso di comunità , il duro lavoro e la civiltà non sono più importanti per le nuove generazioni; -Un sistema educativo allo sbando incapace di capire il bene ed il male soffocato da un liberalismo morale dei nuovi diktat morali e sessuali che portano alla dissoluzione della famiglia ; -Una disuguaglianza senza pari nella loro storia ed asimmetrica al loro mito del “ E pluribus unum “ stampato in ogni dove che contribuisce a creare continui scontri sociali anche tra le forze dell’ordine, -La forza militare risente del degrado sociale e fisico dei giovani mettendo a rischio le leve dell’esercito se il 73% dei giovani americani sono inidonei alla leva per obesità , precedenti penali ed uso di droghe; -Diminuzione della natività per l’insicurezza sociale , per il costo della vita e per l’apatia delle nuove generazioni che vedono il loro futuro peggiore di quello dei loro genitori; -Una politica cieca di fronte alle sfide della storia che continua a porre la sua strategia sull’aggressione politica e militare spendendo risorse infinite per guerre , spesso perse , che lasciano dietro distruzioni e morte generando una crescente avversione verso il paese a confronto con una Cina che non fa guerre ed entra sottotono nei paesi che vuole colonizzare ; -L’idea che il dollaro possa essere sempre la barriera agli sbagli di una politica miope , priva di cultura e di creatività , incapace di capire che il sogno della unipolarità sta arrivando al termine ; -Dal punto di vista economico la scelta di giocare tutto sulla finanza ha fatto delocalizzare  l’economia reale e con essa i posti di lavoro che ora servirebbero per alleviare il dramma sociale , il collasso della finanza ha generato un’inflazione difficile da combattere che sta erodendo dall’interno troppe imprese che grazie ai tassi vicino allo zero hanno preso rischi che , ora per il rialzo degli stessi , stanno erodendo la marginalità.

Come ai Romani si sono mostrati gli Unni a presentare il conto del collasso socioeconomico , così come ai bizantini si sono presentati gli ottomani, per lo stesso motivo agli Usa ed all’occidente che si è colpevolmente sottomesso alla politica Usa si presenta un nuovo mondo capitanato dalla Cina . Il sorgere ed il declino delle civiltà dipendono in sintesi dalla componente valoriale che caratterizza le classi al governo che si identifica nella capacità creativa . Grazie a questa componente le società si evolvono attraverso un meccanismo di sfida e risposta , come scrive A. Toynbee , ovvero di interazione tra ambiente esterno e capacità di sfruttare e/o dominare gli eventi esterni che consente di fare avanzare il progresso e migliorare le civiltà. Quando vengono meno queste qualità le civiltà cominciano a disgregarsi ed a collassare indipendentemente dalle condizioni materiali in cui si trovano perché è l’uomo con la sua storia che determina l’evolversi della natura. Allora comincia la decadenza e “La decadenza non è di origine tecnica ma spirituale e neppure il venire meno del pieno controllo politico ,amministrativo e militare può essere considerato causa sufficiente ed esauriente per spiegare il crollo di una società perché questo interviene quando la fase di decadenza è già iniziata: le civiltà non scompaiono mai per morte violenta ma per suicidio “ ( A. Toynbee, op.cit. . pag.356 ). […]

Fabrizio Pezzani

                                                                                                                            

 
Pochezza di berlusconismo e antiberlusconismo PDF Stampa E-mail

16 Giugno 2023

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 Da Rassegna di Arianna del 14-6-2023 (N.d.d.)

Silvio Berlusconi non va santificato né demonizzato. Silvio Berlusconi va studiato. O meglio, va studiata tutta la stagione politica che l'uomo di Arcore ha vissuto e spesso incarnato. Una stagione iniziata con il maledetto 1992: le stragi mafiose, il trattato di Maastricht, mani pulite, il Britannia, l'attacco alla Lira. E poi ancora le grandi privatizzazioni, l'entrata nell’euro, il massacro del mondo del lavoro, la guerra in Libia, il golpe finanziario, fino alle tribolazioni internazionali odierne. Berlusconi ha attraversato tutto questo, talvolta da protagonista, altre volte da oppositore all'acqua di rose, altre ancora da finto spettatore.

Berlusconismo e antiberlusconismo hanno spaccato in due lo stivale in un momento cruciale della Storia recente, quello che ha aperto le porte agli squali dell'alta finanza, ai burocrati europei e ai sicari del Moloch neoliberista. La spazzatura delle tv di Silvio ha lavorato a braccetto con chi puntava la lente sulle "cenette di Arcore" invece che sulle polverose stanze di Bruxelles. Una continua distrazione su tematiche più o meno serie, mai cruciali. Questa spaccatura è ancora talmente presente nell'opinione pubblica italiana da rendere difficoltoso, se non impossibile, analizzare la figura di Silvio Berlusconi senza finire per far infuriare qualcuno. Si ha la sensazione che per trent'anni milioni di italiani abbiano perso tempo dietro uno show a reti unificate: tonnellate di libri, ore di speciali, sketch comici, persino film. E sia Berlusconi che i suoi oppositori ne hanno tratto vantaggio. Nel frattempo, la nostra sovranità veniva fatta a pezzi, giorno dopo giorno. L'Italia finiva ridotta, come disse Paul Krugman, "allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera." Il tutto con il fanatismo del centrosinistra e la complicità del centrodestra, esattamente come oggi.

Dunque cosa o chi è stato Berlusconi? Uno spregiudicato imprenditore che ha usato la politica per i suoi interessi? Una scheggia impazzita considerata inaffidabile da certi ambienti euro-atlantici? Un'espressione della natura più verace degli italiani? Un piduista senza scrupoli? Un macchiettistico e scaltro mediatore internazionale? Cosa pesa di più, l'amicizia con Gheddafi o il silenzio post-Monti? Il lettone di Putin o il "kapò" a Schultz? Domande a cui ognuno può dare la sua risposta. Una sola cosa sembra certa: si chiude un'epoca e se ne apre un'altra. E qui risulta lampante tutta la pochezza di una classe politica che in trent'anni di berlusconismo e antiberlusconismo non ha saputo (né voluto) partorire un'idea di nazione degna di questo nome. Di questo dovremmo tutti parlare, su questo dovremmo interrogarci. O stiamo di nuovo guardando altrove?

Matteo Brandi

 
Le condizioni di un possibile cambiamento PDF Stampa E-mail

13 Giugno 2023

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 Da Rassegna di Arianna dell’11-6-2023 (N.d.d.)

In Italia, quando ci sarà (se ci sarà) un minimo sindacale di opposizione politica alla strategia USA in Ucraina? Conte, incoraggiato dal Vaticano, ha provato ad aprire timidamente bocca, è stato attenzionato e castigato (scissione Di Maio, sconfessione di Grillo). Ha dunque ritenuto che conviene fare (e perdere) lotta dura senza paura sul 110%, chi tocca l’Ucraina tocca i fili dell’alta tensione e se non muore stava sicuramente meglio prima. Previsione: in Italia (forse, speriamo, in Europa) ci sarà un minimo sindacale di opposizione politica alla strategia USA in Ucraina quando si saranno verificati due fatti madornali, impossibili da nascondere con il maquillage retorico e forse anche con la chirurgia plastica. (Si parva licet: gli italiani si opposero in massa alla nostra partecipazione alla IIGM quando gli cominciarono a piovere in testa le bombe Alleate, non prima). I due fatti madornali sono:

a) sconfitta della controffensiva che gli ucraini stanno preparando – per ragioni politiche più che militari – per il prossimo agosto-settembre. La sconfitta ucraina è probabile, perché il meglio dell’esercito ucraino sta subendo perdite gravissime nella battaglia di annientamento in corso nel Donbass, gli armamenti occidentali arrivano ma in misura insufficiente, e le truppe ucraine che saranno impiegate nella controffensiva saranno di scarsa qualità e male armate, mentre i russi avranno il vantaggio della difesa, e di una capacità di combattimento, potenza di fuoco e logistica superiore. Ci sarebbe anche il presupposto che i russi NON possono permettersi di perdere, e disponendo di risorse strategiche enormemente superiori alle ucraine prima o poi, in un modo o nell’altro vinceranno: ma questo fatto preliminare si poteva rilevare il giorno 1 dell’operazione militare speciale, e non è stato notato quasi da nessuno. b) crisi energetica (probabilmente i russi chiuderanno i rubinetti dopo la sconfitta della controffensiva ucraina); crisi economica patente e grave: chiusura di aziende, disoccupazione che cresce, prezzi che impennano, salari che non ce la fanno, in breve ci accorgiamo che la vita quotidiana non va più avanti come prima e farci i fatti nostri diventa assai complicato.

Se si verificheranno questi due fatti madornali (probabile) il problema sarà la capacità soggettiva delle forze politiche realmente esistenti di fare un’opposizione decente, motivandola in modo da farsi capire dalla popolazione. Sarà un grosso problema. Le forze politiche realmente esistenti sono quel che sono e la motivazione principale per opporsi alla strategia USA in Ucraina è realistica: parteciparvi è manifestamente contrario all’interesse nazionale italiano e ci può provocare danni colossali, irrimediabili.

Le argomentazioni realistiche sono decisamente indigeribili per il popolo italiano, per complesse ragioni culturali che non ho voglia di analizzare, ma che si possono riassumere in queste due frasi: a) la prospettiva realistica non prevede alcun lieto fine, e il lieto fine piace a tutti b) è largamente diffusa la bizzarra teoria che in Ucraina si svolge un conflitto tra autocrazie e democrazie, e “la democrazia” agli italiani piace molto, anche se ciascuno dà alla parola “democrazia” il significato che preferisce lui, di solito eleggendola a sinonimo di un suo personale Mulino Bianco, liberale, socialista, costituzionale, comunista, primorepubblicano, anni ‘80 con Jerry Calà & Umberto Smaila di “Colpo grosso”, etc. Rinunciare al Mulino Bianco è difficile.

C’è un altro fatto madornale che potrebbe verificarsi e aiutare: una sconfitta devastante dei Democrats alle elezioni di midterm statunitensi. I favorevoli all’attuale linea strategica USA si trovano anche nel partito repubblicano, ma l’opportunità di scaricare la colpa di tutto sull’avversario politico sconfitto potrebbe aprire qualche spiraglio di discussione negli Stati Uniti, che guidano questo treno su cui siamo incautamente saliti. Secondo me, stiamo messi così. No, non c’è il lieto fine, mi spiace. C’è una fine tutt’altro che lieta per l’Italia se non ci sganciamo da questa strategia, questo sì. That’s all, folks.

Roberto Buffagni

 
Remare contro corrente è troppo faticoso PDF Stampa E-mail

12 Giugno 2023

 Da Rassegna di Arianna dell’8-6-2023 (N.d.d.)

In fin dei conti la dinamica dell'accettazione della menzogna è sempre la stessa. Non è che il mondo sia fatto prevalentemente da stupidi. Non è che di fronte alle due contraddizioni al dì prodotte dalle "autorità sanitarie" nel periodo pandemico la maggioranza non percepisse niente di problematico. Così come non è che oggi i più non vedano le straordinarie contorsioni semantiche delle "autorità politiche" per accreditare una lettura a senso unico della guerra russo-ucraina. E parimenti, non è che i più non vedano le forme di censura, non vedano i pericoli della cancel culture, non vedano il carattere fuori proporzione delle presunte tutele dei "diritti civili" nella dimenticanza del diritti sociali. E ancora, non è che i più non vedano che il sistema culturale d'importazione americana abbia avuto un effetto catastrofico sull'Europa, o non vedano che aver abbracciato l'euro abbia rappresentato l'inizio della fine per l'economia italiana, ecc. ecc.

Tutte queste cose, che per una minuscola parte della popolazione rappresentano evidenze da cui partire, non è che siano celate alla maggior parte della gente. No, il problema è un altro. Il problema è il tasso di sopraffazione cui la popolazione media è sottoposta. I più percepiscono tutte quelle incongruenze e molte altre, ma non hanno le forze psichiche per trarne alcuna conseguenza, perché farlo significherebbe sostanzialmente cestinare in blocco il mondo in cui ufficialmente si presume tutti vivano. Significherebbe entrare in conflitto costante e durevole con le apparenze circostanti, presupposte dal discorso pubblico; significherebbe iniziare a dover sorvegliare ogni parola, ad essere disposti a trovare una nuova motivazione per ogni cosa; significherebbe mettersi nella disposizione di lungo periodo di remare contro corrente. E questo per una popolazione già stremata dalle difficoltà di una quotidianità obnubilante è insostenibile: sono semplicemente sopraffatti. E perciò è meglio credere all'assurdo, o fingere di crederci, o fingere che sia irrilevante crederci o non crederci, purché tutto possa continuare come prima, purché non debba assumermi un altro, l'ennesimo, onere.

Ed è così che un sistema fondato sulla menzogna trionfa. Non perché davvero abbia persuaso i più, ma perché l'anticipazione di quanta fatica, quanto stress costerebbe prendere una posizione differente dissuade quasi tutti dal fare alcunché.

Andrea Zhok

 
Questa volta Draghi ha ragione PDF Stampa E-mail

10 Giugno 2023

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 Da Rassegna di Arianna dell’8-6-2023 (N.d.d.)

MARIO DRAGHI CI SPIEGA PERCHE', TRA RUSSIA E UCRAINA, NON SI POSSA ESSERE EQUIDISTANTI. E HA PERFETTAMENTE RAGIONE. Intervenendo al MIT di Boston, Mario Draghi ha detto che non solo un'eventuale vittoria russa in Ucraina, ma anche un eventuale pareggio fra le parti in conflitto, risulterebbero esiziali per la tenuta dell'Unione Europea. Difatti, l'Unione Europea è ormai palesemente un nano economico, ovvero un'istituzione impegnata in politiche che - stando a quanto riferito proprio da Draghi nel medesimo intervento - offrono ai popoli un futuro d'inflazione e carovita duraturo e crescente. Oltre a questo, l'Unione Europea ha dimostrato di essere altresì un verme militare, nel senso di non possedere alcun tipo di soggettività politica e di visione dei rapporti internazionali che non sia l'obbedienza cieca e incondizionata ai diktat dell'asse anglo-americano. Un apparato eurofederale il cui governo non è elettivo e che è ormai disprezzato e odiato dalla maggioranza dei suoi cittadini-sudditi, non può perdere una partita geopolitica come quella contro la Russia senza che si generi, immediatamente dopo, un collasso interno simile a quello che ha travolto i paesi del Patto di Varsavia tre decenni fa.

Dunque, qualunque opinione si possa avere sul sistema istituzionale russo - e anche in caso di un'opinione altamente negativa su Vladimir Putin - chi combatte la tirannide ordoliberista della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea, non può essere equidistante di fronte al conflitto russo o ucraino. Chi combatte i poteri sovranazionali che stanno affossando il proprio paese deve, al contrario, augurarsi la sconfitta politica del fronte NATO, il conseguente collasso dell'Unione Europea, l'indebolimento e il divenire inconsistente dei legami atlantici. Tra chi combatte per la sovranità popolare nel proprio paese e chi - come la Russia e gli altri paesi Brics - propugna un sistema internazionale di tipo multipolare, non vi è oggi un'alleanza politico-militare, ma sussiste un'oggettiva, incontrovertibile, convergenza di interessi. Chi confonde le problematiche della politica estera col giudizio sui sistemi istituzionali di questo o quell'altro paese, è semplicemente un cretino.

Riccardo Paccosi

 
Monumentale errore di calcolo PDF Stampa E-mail

9 Giugno 2023 

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 Da Rassegna di Arianna dell’8-6-2023 (N.d.d.)

L’offensiva militare, economica, finanziaria e commerciale scatenata dal cosiddetto “Occidente collettivo” contro la Federazione Russa nasce da una palese sottovalutazione «della coesione sociale della Russia, del suo potenziale militare latente e della sua relativa immunità alle sanzioni economiche». L’intera campagna sanzionatoria imposta da Stati Uniti ed Unione Europea, in particolare, si fondava sulla previsione che la Russia non sarebbe stata in grado di reggere un lungo periodo di pressione economica e finanziaria esterna, in virtù della debolezza strutturale, dell’arretratezza e degli squilibri che caratterizzano il suo sistema produttivo.

I dati indicano che, alla fine del febbraio 2022, la Russia registrava un debito pubblico corrispondente ad appena il 12,5% del Pil, una posizione finanziaria netta fortemente positiva e riserve auree pari a circa 2.300 tonnellate. L’oro riveste una rilevanza particolare, trattandosi del tradizionale “bene rifugio” che tende sistematicamente a rivalutarsi proprio in presenza di congiunture critiche come quella delineatasi per effetto dell’attacco all’Ucraina. Stesso discorso vale per tutte le commodity di cui la Russia è produttrice di primissimo piano, dal petrolio al gas, dall’alluminio al cobalto, dal rame al nichel, dal palladio al titanio, dal ferro all’acciaio, dal platino ai cereali, dal legname all’uranio, dal carbone all’argento, dai mangimi ai fertilizzanti. L’incremento combinato dei prezzi delle materie prime e dei prodotti raffinati i cui mercati risultano fortemente presidiati dalla Federazione Russa – la cui posizione si è ulteriormente rafforzata con l’incorporazione dei giacimenti di carbone, ferro, titanio, manganese, mercurio, nichel, cobalto, uranio, terre rare di vario genere e idrocarburi non convenzionali presenti nei territori delle repubbliche secessioniste di Donec’k e Luhans’k – ha per un verso penalizzato enormemente la categoria dei Paesi importatori netti, in cui rientra gran parte dell’“Occidente collettivo”. Per l’altro, ha assicurato alla Russia un volume di proventi talmente imponente da attenuare in maniera sensibile l’impatto dirompente prodotto dal congelamento delle riserve russe detenute presso istituzioni finanziarie estere.

Le principali categorie merceologiche di cui si compone l’export russo (petrolio, gas, materie prime, prodotti agricoli) delineano i contorni di un’economia non all’avanguardia, ma il discorso cambia completamente se si tengono in debita considerazione sia le punte di eccellenza raggiunte dal Paese in campo nucleare, aerospaziale, informatico e militare, sia il volume assai considerevole di entrate assicurato allo Stato dalla vendita all’estero di macchinari ed equipaggiamenti. Le attuali economie avanzate, strutturatesi nella forma odierna sulla base degli indirizzi strategici affermatisi a partire dagli anni ’80, poggiano soprattutto su attività ad alto valore aggiunto riconducibili al settore terziario, che apportano un contributo alla formazione del Pil di gran lunga superiore a quello assicurato dai comparti ricompresi nei settori primario e secondario. Nelle economie moderne, servizi finanziari e assicurativi, consulenze, nuovi sistemi di comunicazione e design risultano predominanti rispetto ad agricoltura, manifattura, estrazione di idrocarburi e minerali. Un Paese come gli Stati Uniti può quindi contare sul colossale apporto alla “produzione di ricchezza” fornito dalle spese sanitarie gonfiate a dismisura, dalla crescita esorbitante delle cause legali fittizie che arricchiscono interi eserciti di avvocati, dal sistema carcerario privatizzato che fa lobby al Congresso per ottenere leggi in grado di garantire il maggior numero di detenuti possibile, ecc. Alcuni economisti sia europei che statunitensi si sono addirittura spinti a sostenere l’integrazione della prostituzione e del traffico di stupefacenti nel paniere dei servizi che concorrono alla formazione del Pil.

Se, come evidenziano i dati della Banca Mondiale, in termini di Pil nominale l’economia russa (1.779 miliardi di dollari nel 2022) risulta paragonabile per dimensioni a quella italiana (2.108 miliardi), sotto il profilo della parità di potere d’acquisto (4.808 miliardi, contro i 2.741 dell’Italia) tende invece ad avvicinarsi a quella tedesca (4.848 miliardi). Ma, evidenzia l’economista Jacques Sapir, neppure il Ppa riflette appieno la rilevanza della Federazione Russa, i cui vantaggi strategici connessi a “stazza”, posizione geografica e struttura economica a trazione agricolo-industriale-edilizia le conferiscono una capacità di resistenza pressoché inconcepibile per ogni altro Paese. L’economia della Russia, che con una popolazione universitaria di 2,2 volte inferiore rispetto a quella degli Stati Uniti forma il 30% di ingegneri in più, si incardina infatti su produzioni fondamentali, perché necessarie alla soddisfazione dei bisogni primari. Idrocarburi, metalli, cereali, fertilizzanti, mangimi sono risorse imprescindibili per garantire riscaldamento e sicurezza sia alimentare che energetica. Condizioni assicurate in periodi di stabilità, ma che divengono improvvisamente vacillanti in presenza di congiunture geopolitiche altamente conflittuali, in cui si riscopre il primato di petrolio, gas, alluminio, nichel, grano, ecc. rispetto a tutto il resto. La rivista «The American Conservative» nota in proposito che: «la spettacolare crescita dei settori ad alta intensità di capitale, insieme alla loro ricchezza nominale e produttività, ha portato molti a Washington e in varie capitali occidentali non solo ad abbracciarli, ma anche a preferirli politicamente, culturalmente e ideologicamente. Noi americani siamo particolarmente orgogliosi, ad esempio, del successo dei nostri giganti della tecnologia come motori di innovazione, crescita e prestigio nazionale. Internet e le varie applicazioni per gli smartphone sono considerate da molti intrinsecamente democratizzanti, fungendo effettivamente da canale di diffusione per i valori americani e di promozione degli interessi nazionali statunitensi. Questo amore per i settori dei servizi si traduce in una tendenza a identificare le industrie ad alta intensità di manodopera del passato – energia, agricoltura, estrazione di risorse, produzione – come reliquie del passato. Ma questa prospettiva distorta ci ha lasciato impreparati per un mondo in cui i beni tangibili sono ancora una volta di vitale importanza, come dimostrato plasticamente dalla guerra in Ucraina».

Come ha dichiarato nel febbraio 2023 il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, lo schieramento atlantista aveva fino a quel momento assicurato all’Ucraina un’assistenza militare, finanziaria e umanitaria senza precedenti, quantificata in 120 miliardi di dollari. Il trasferimento di materiale bellico a Kiev si è rivelato talmente ingente da svuotare letteralmente gli arsenali di molti Paesi membri della Nato. La Danimarca ha consegnato tutti e 19 gli obici semoventi di fabbricazione francese Caesar in proprio possesso. Il Ministero della Difesa tedesco ha ammesso che, qualora si fosse ritrovata a combattere una guerra ad alta intensità come quella russo-ucraina, la Germania avrebbe esaurito le munizioni nell’arco di appena due giorni. Stesso discorso vale per Francia e Gran Bretagna, mentre il Pentagono ha avanzato dubbi circa la capacità degli Stati Uniti di continuare a rifornire l’Ucraina senza distogliere armi ed equipaggiamenti da teatri di primario interesse quali quello del Mar Cinese meridionale. Alla fine del 2022, rilevava il Royal United Services Institute britannico, il Dipartimento della Difesa statunitense aveva ceduto all’Ucraina «circa un terzo delle riserve di missili anticarro Javelin e di quelli antiaerei Stinger: ripianare tali scorte richiederà rispettivamente 5 e 13 anni». Per quanto concerne le munizioni dei lanciarazzi campali multipli Himars, «a fronte di una produzione di 9.000 razzi all’anno, le forze armate ucraine ne consumano almeno 5.000 al mese». Nemmeno il rapido e imponente incremento (500%) della produzione di proiettili d’artiglieria realizzato dal “complesso militar-industriale” è risultato sufficiente a compensare l’erosione delle riserve strategiche di armi e munizioni a disposizione degli Usa. Al punto da indurre Washington a rivolgersi alla Corea del Sud, il cui governo ha «accettato di fornire in prestito agli Stati Uniti 500.000 proiettili di artiglieria da 155mm che non saranno però forniti a Kiev ma consentiranno all’Us Army di non depauperare troppo le sue riserve di munizioni ridottesi in seguito alle massicce forniture all’Ucraina». Come ha riconosciuto Stoltenberg, «il nostro attuale ritmo di produzione delle munizioni è di molte volte inferiore al livello di consumo da parte dell’Ucraina», che risulta a sua volta enormemente ridotto rispetto a quello della Russia. La quale è riuscita a sparare fino a 50.000-60.000 proiettili d’artiglieria al giorno a fronte dei 5.000-6.000 esplosi dall’Ucraina e – secondo fonti di intelligence britanniche riportate dal «Washington Post» – a produrne nell’arco del 2022 qualcosa come 1,7 milioni di unità, contro le 180.000 fabbricate dagli Usa. Segno di una capacità industriale notevolissima, supportata da catene di approvvigionamento di materiali critici e componentistica solide e perfettamente funzionanti. Il finanziamento dello sforzo bellico, per di più, non ha comportato alcuna distorsione della struttura economica russa; lo si evince da una stima formulata da una fonte “al di sopra di ogni sospetto” come l’«Economist», secondo cui le spese militari sostenute da Mosca nel corso del primo anno di guerra avrebbero assorbito circa 67 miliardi di dollari, pari ad “appena” il 3% del Pil russo. Una percentuale tutto sommato modesta, specialmente se raffrontata a quelle raggiunte sia dall’Unione Sovietica (61%) che dagli Stati Uniti (53%) nelle fasi più acute della Seconda Guerra Mondiale.

La vera forza dell’arsenale difensivo a disposizione della Russia risiede quindi nelle caratteristiche della sua struttura economica, nella centralità che il Paese riveste rispetto al commercio internazionale, oltre che nell’indisponibilità del resto del mondo ad aderire alla campagna sanzionatoria imposta dal cosiddetto “Occidente collettivo”. Nonché dall’attivismo della Repubblica Popolare Cinese; di fronte al deflusso delle multinazionali occidentali dal Paese, Mosca ha reagito non soltanto nazionalizzandone gli asset e affidando la gestione degli stabilimenti sottoposti a confisca ad amministratori esterni secondo una logica di preservazione della continuità aziendale implicante necessariamente anche il sequestro dei brevetti (in assenza dei quali la produzione rimane pressoché impossibile), ma anche schiudendo le porte del mercato nazionale alle società sia pubbliche che private cinesi. Le quali hanno prontamente occupato gli spazi lasciati vuoti – soltanto parzialmente – dalle aziende europee e statunitensi, e costituito allo stesso tempo alleanze strategiche con le imprese locali operanti nei cruciali settori energetico, minerario e metallurgico. Tutti aspetti, questi ultimi, che politici e specialisti di spicco del cosiddetto “Occidente collettivo”, persuasi che le misure punitive “da fine del mondo” avrebbero condannato la Russia all’isolamento e alla bancarotta nell’arco di poche settimane, non sono stati minimamente in grado di prevedere, nell’ambito di quello che l’economista Patricia Adams considera «il più monumentale errore di calcolo della storia moderna».

Giacomo Gabellini

 
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