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Tutte le guerre stupiscono PDF Stampa E-mail

22 Ottobre 2022

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 Da Comedonchisciotte del 17-10-2022 (N.d.d.)

Personalmente preferirei limitare l’espressione “guerra” alla situazione dove due eserciti si sparano, ma oramai il significato della parola si è allargato. L’impressione è quella di essere già ben dentro la terza guerra mondiale che per la maggior parte è economica, ma in Ucraina è anche combattuta militarmente. In fondo già ci chiamano a un’economia di guerra, prospettano razionamenti e coprifuoco perché, appunto, come dicono in televisione, “siamo in guerra”. Solo che io la guerra alla Russia, non la voglio fare. Come direbbero in un film di Hollywood, “non è la mia guerra” e i russi non sono i miei nemici. Oggi non si ha più nemmeno la buona educazione di dichiararla la guerra, ci si va e basta, forse per intorbidare ancora di più le responsabilità. Gli attori principali sono solo quattro, ma sono sparsi ai quattro angoli del pianeta, per questo gli si addice il qualificativo “mondiale”: gli Stati Uniti e l’Europa, potenze declinanti, la Cina e la Russia in ascesa.

Si sa che ogni volta la guerra stupisce, perché all’inizio tutti pensano che sarà combattuta in un certo modo, spesso simile a quello della guerra precedente, ma poi viene fuori che è tutto diverso dalle previsioni. Infine, quando si arriva alla conclusione, tutti pensano che non poteva che andare in quel modo per la solita illusione che danno gli eventi ex post di essere prevedibili. In realtà ad essere prevedibile è una serie di possibili svolgimenti ed esiti, ma nessuno sa dire prima quale di queste possibilità diventerà realtà, poiché si tratta di avvenimenti complessi e bastano piccole deviazioni in itinere per cambiare tutto. Ciò nonostante, state pur certi che  gli esperti sapranno ben dire, a risultato acquisito, perché le loro previsioni non si sono avverate. Dei quattro protagonisti principali il più lineare e prevedibile mi paiono in fondo gli Stati Uniti: fanno più o meno esattamente ciò che ci si aspetta da loro, i loro fini sono trasparenti e facili da capire. Per tornare ad Hollywood, che spesso esplicita in fiction la realtà della linea politica americana, il fine politico è quello del dominio del mondo, fine che nei film è attribuito ripetutamente (fino alla nausea), ai soli “spietati dittatori” che sono diventati stelle hollywoodiane di prima grandezza: Hitler, Stalin, Putin, Kim, Gheddafi, Saddam e più farsescamente, ma non troppo, il dottor Fu Man Chu, la Spectre, e tutto lo stuolo dei geni pazzi. Più esattamente questi brutti ceffi osano contestare il dominio del mondo a coloro che ne sono i legittimi titolari per decreto divino: gli Stati Uniti, la più grande, potente, giusta, etica e amabile nazione mai apparsa sulla faccia della terra, culmine dell’evoluzione statuale. Gli altri protagonisti sono più misteriosi. La Cina lo è per tradizione: è pur sempre una civiltà diversa, sviluppatasi con pochi contatti con la nostra, che rimane sempre un poco fuori portata della nostra comprensione. Il loro sistema di ipercontrollo sociale sui singoli ci appare piuttosto spaventoso, ma la loro politica estera non è aggressiva, per la verità non sembra esserlo mai stata. Almeno per il momento pare si vogliano limitare ad essere una potenza, non la sola potenza. Certo, ci si chiede cosa mai significhino queste ripetute follie covidiane che tanto sembrano piacere al governo, ma tutto sommato si ha la percezione che se ne staranno pazientemente ad aspettare gli eventi, straordinariamente sicuri di sé, sulla riva del loro proverbiale e taoistico fiume. L’Europa è veramente irriconoscibile da quella bonaria del trentennio d’oro nella quale sono cresciuto. Sono tornate ad essere possibili cose, come le guerre, i coprifuochi, le dittature, le carestie, cose che sembravano totalmente improponibili solo qualche decennio fa. Più di tutto sorprende, dopo tante ideologie e discussioni, lo straordinario svuotamento di ogni senso politico: sembra letteralmente che non ci sia più nessuno in grado non dico di portare avanti una politica razionale, ma neppure di reggere l’ordinaria amministrazione. Torme di figure insignificanti prive di cervello, di cultura, di carisma, di spessore ciondolano in giro apparentemente in grado solo di obbedire ai loro suggeritori nascosti, pronti a buttarsi anche nel fuoco con tutti i loro paesi se solo questi glielo ordinano. La Russia è l’unico paese di tradizione europea ad avere un capo degno di essere chiamato statista, ma sembra scontare un perenne complesso di inferiorità nei riguardi dell’occidente, come se in fondo fossero convinti di non essere alla loro altezza: che la loro immensa inerzia e prudenza, il loro non prendere mai l’iniziativa ma rispondere solo, e spesso in ritardo alle provocazioni altrui derivi anche da questo fattore? A ciò si somma il fatto che non riescono a considerare gli ucraini, neppure quelli dell’ovest, come nemici, ma solo come una parte del loro stesso popolo e della loro stessa terra, ma quasi rapiti dall’occidente e costretti a tradire la loro natura. Così, spesso in questa guerra, si sono comportati come fosse tutto un equivoco, un malinteso che si può spiegare e rimediare.

L’altro giorno ascoltavo un’intervista al dottor Meluzzi che parlava della situazione. Con quel suo aspetto da profeta e quel suo modo di parlare che fa di tutto per confermarlo, con quella sicurezza delle  proprie previsioni e quegli accenni che lasciano supporre ad ogni piè sospinto di come sia addentro alle segrete cose per esperienza personale, risulta indubbiamente affascinante, ma devo dire più affascinante che convincente. Forse un pelo esagerato anche con quei suoi ripetuti richiami devozionali: a quanto ho capito ha effettivamente una carica nella gerarchia ortodossa, ma sembra perfino più ecclesiastico di monsignor Viganò. Nell’intervista sosteneva una tesi abbastanza apocalittica sull’imminenza di un conflitto nucleare che secondo lui è estremamente probabile, soprattutto da qui all’otto di novembre, data delle elezioni parlamentari americane. La sua idea è che la Russia stia irrimediabilmente vincendo la guerra contro la Nato, cioè l’America globalista e neocon, e che quest’ultima non possa in alcun modo accettare un simile esito, per cui ricorrerà a qualsiasi cosa, anche alle armi nucleari pur di sventarlo. La finestra di opportunità per farlo, si dovrebbe ridurre, a detta del dottor Meluzzi, a partire dall’otto di novembre quando probabilmente l’attuale amministrazione perderà malamente il controllo del senato e del congresso a favore dell’opposizione repubblicana e trumpiana molto meno propensa, si dice, a trascinare il paese in guerra  con la Russia. Avrà ragione lui? Non posso escluderlo, anche se non ne sono convinto. Dipende da quanto sono pazzi alla fine questi neocon. Davvero non è rimasto nessuno a Washington con la testa sulle spalle? Da come hanno calcolato i piani per fomentare una guerra in Ucraina, cioè quasi una guerra civile russa senza intervenire direttamente, non si direbbe. Personalmente tendo di più a credere ad altre campane per esempio a quella dell’ex generale americano Mac Gregor che pure ho ascoltato in un’altra intervista. Questi non ha la presenza ieratica di Meluzzi, è meno coinvolgente e per nulla millenarista, non parla della necessità di aiuti trascendenti, né accenna troppo spesso le sue frequentazioni di ambienti che contano, pur avendone certamente avute molte. Ma non è solo per questa maggiore sobrietà,  ma per le sue tesi che mi appare più convincente. Anche lui, e da militare, pensa che una sconfitta militare dei russi in Ucraina è impensabile. Lo scopo degli americani sarebbe solo quello di indebolire il più possibile la Russia combattendola fino “all’ultimo ucraino”, ma entrare direttamente in guerra con l’esercito statunitense è per lui escluso. Per cui una volta che gli ucraini saranno, per così dire, finiti, forse già entro l’anno in corso, semplicemente lasceranno perdere e tenteranno di far danno in qualche altro modo. Tuttavia stavolta, probabilmente, non gli sarà facile uscirne, almeno non conservando l’egemonia. L’occidente non ha più le sue industrie, non ha più la sua superiorità tecnologica, non ha più la sua potenza militare, almeno convenzionale: basta vedere che per fare la guerra alla Russia occorre prendere in affitto un pezzo della Russia stessa, perché nessuno al di qua del fossato sembra in grado di mettere su un esercito che sia davvero capace di combattere. Il bello è che la paga per questo esercito e questo paese in affitto è fatta di carta (virtuale) e di illusioni, che poi sono diventati il prodotti di punta della maggior industria occidentale residua.

In realtà il nuovo assetto per l’Europa  dopo la caduta dell’Urss poteva essere qualcosa di ben semplice e naturale: finito il presunto pericolo da est, bastava sciogliere la Nato, far tornare a casa gli americani e ammettere la Russia da pari nel suo naturale contesto. Le materie prime russe e le industrie dell’Europa occidentale avrebbero fatto il resto e costruito nuovi decenni di prosperità per il cuore dell’occidente. Però gli americani avevano altri progetti, perché lasciando che ciò accadesse la nazione eletta avrebbe perso la sua egemonia sul mondo: erano convinti di aver “vinto” la guerra fredda e in effetti l’avevano vinta, ma così come avevano vinto le altre: senza combattere veramente, per abbandono dei nemici. Le guerre che hanno veramente combattuto sono quasi sempre finite male. A sentir loro, in forza della vittoria, la Russia avrebbe dovuto essere divisa in molti stati più piccoli (di cui i “giornalisti” occidentali si sarebbero compiaciuti di raccontare gli orrori, derivanti evidentemente dalla barbara natura degli indigeni), e diventare in sostanza una colonia da cui estrarre le materie prime.  Già la cosa si era avviata bene, con la separazione della Bielorussia e dell’Ucraina e in parte del Kazakhstan. Ma i russi hanno alla fine realizzato l’inganno (non subito a dire il vero, come sempre ci hanno messo il loro tempo) e si sono ribellati: non hanno voluto insomma impersonare gli indigeni del terzo millennio comprati con le perline. Questo ha procurato la guerra. Come si permettevano questi subumani di misconoscere l’evidente superiorità della cultura anglosassone? Come potevano non essere fieri di contribuire alla ricchezza del padrone? Ma la responsabilità non è solo americana: gli europei che avrebbero potuto fermare la guerra in qualsiasi momento e probabilmente procurarsi un nuovo periodo di benessere, hanno vergognosamente dato via qualunque indipendenza e autonomia di giudizio, come bambini viziati (e anche un poco ritardati), hanno lasciato ad altri la loro guida continuando ad appoggiare la stessa élite corrotta e stupida. Si sono persino fatti prendere in giro in massa dai piazzisti di vaccini e, tutto sommato, nella loro grande maggioranza, meritano la sorte che si avvicina e che verosimilmente non sarà un lampo di luce insostenibile, ma un lungo lamento. La situazione è reversibile? Non vedo perché non dovrebbe esserlo. Solo che questo popolo di bambini ritardati dovrebbe essere in grado di esprimere una classe politica adeguata al compito. I russi, a quanto pare, ci sono riusciti dopo un decennio di fame e di orrori, agli europei occorrerà altrettanto? Sentinella, che vedi?

Nestor Halak

 
Cambiamenti geopolitici PDF Stampa E-mail

20 Ottobre 2022

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 Da Comedonchisciotte del 15-10-2022 (N.d.d.)

Il 6 ottobre, quando l’Unione Europea (UE) ha deciso di imporre un tetto al prezzo del petrolio russo come parte di un nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca, 23 ministri del gruppo OPEC+ dei Paesi produttori di petrolio si sono espressi a favore di un forte taglio della loro quota di produzione comune. La loro decisione collettiva di diminuire la produzione di circa due milioni di barili di petrolio al giorno ha suscitato forti reazioni, soprattutto negli Stati Uniti, e si è parlato addirittura di “dichiarazioni di guerra.” L’UE si sente ingannata, in quanto i tagli alla produzione dell’OPEC+ potrebbero far salire i prezzi dei carburanti e smorzare gli effetti dei loro otto pacchetti di sanzioni. Nonostante la narrazione di un mondo che si avvia verso un'”era post-petrolifera,” sembra che il vecchio cagnaccio sia ancora vivo. L’OPEC e dieci produttori di energia non OPEC – tra cui la Russia – coordinano la loro politica di produzione dal dicembre 2016. All’epoca, gli analisti davano a questo formato “OPEC-plus” poche possibilità di poter cambiare le cose. All’epoca, ricordo lo scherno di molti che avevano dileggiato l’annuncio in sala stampa del Segretariato generale dell’OPEC a Vienna. Negli ultimi anni, però, l’OPEC ha superato la tempesta del mercato petrolifero globale ed è emerso come un attore chiave.

Ricordiamo la situazione eccezionale della primavera 2020, durante i lockdown a livello mondiale per la pandemia COVID-19, quando le contrattazioni dei futures per i vari tipi di petrolio statunitensi erano state, a volte, persino quotate a prezzi negativi, per poi risalire a nuove vette nell’aprile 2021. A differenza di ciò che era accaduto nel mercato petrolifero tra il 1973 e il 1985, quando il consenso tra i membri dell’OPEC era scarso e molti avevano già scritto il necrologio dell’organizzazione, oggi, ex rivali come l’Arabia Saudita e la Russia riescono a far convergere i loro interessi in un fronte comune. All’epoca, per Riyadh era una prassi normale tenere in considerazione ed eseguire all’interno dell’OPEC gli interessi di Washington, bastava una telefonata dalla capitale statunitense. Quando, all’inizio degli anni ’70, l’Arabia Saudita aveva nazionalizzato la compagnia petrolifera statunitense ARAMCO – che agiva come la longa manus degli Stati Uniti nel Regno – nell’ambito di una grossa spinta mondiale alla nazionalizzazione, agli Stati Uniti era stato promesso un risarcimento con una semplice stretta di mano. L’era delle “Sette Sorelle,” un cartello di compagnie petrolifere che si dividevano il mercato del petrolio, si era conclusa allora. Tuttavia, per i politici statunitensi – almeno dal punto di vista psicologico – quest’epoca esiste ancora. “È il nostro petrolio” è un’espressione che sento pronunciare spesso a Washington. Queste voci erano particolarmente forti durante l’invasione illegale dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti nel 2003.

Per capire veramente il nocciolo del conflitto in Ucraina – dove infuria una guerra per procura – bisogna scomporre il confronto in questo modo: gli Stati Uniti e i loro alleati europei, che rappresentano e sostengono il settore finanziario globale, sono essenzialmente impegnati in una battaglia contro il settore energetico mondiale. Negli ultimi 22 anni abbiamo visto quanto sia facile per i governi stampare carta moneta. Nel solo 2022, il dollaro USA ha stampato più cartamoneta che in tutta la sua storia. L’energia, invece, non può essere stampata. E qui sta un problema fondamentale per Washington: il settore delle materie prime può superare l’industria finanziaria. Quando, nel 2005, avevo pubblicato il mio libro “The Energy Poker,” mi ero occupata anche della questione valutaria, ovvero se nel lungo periodo il petrolio sarebbe stato prezzato in dollari. All’epoca, i miei interlocutori dei Paesi arabi dell’OPEC avevano detto all’unanimità che il dollaro USA avrebbe continuato ad essere usato nelle transazioni. Tuttavia, 17 anni dopo, questa opinione si è drasticamente ridimensionata. Riyadh si sta avvicinando all’idea di commerciare il petrolio in altre valute, come indicato quest’anno nelle discussioni con i Cinesi, che vorrebbero commerciare in yuan. I Sauditi continuano inoltre ad acquistare prodotti russi e, come altri Stati dell’Asia occidentale e del Sud globale, hanno scelto di ignorare le sanzioni occidentali contro Mosca e si stanno sempre più preparando alla nuova condizione internazionale di multipolarità. Washington, quindi, non ha più la capacità di esercitare un’influenza assoluta sull’OPEC, che ora si sta riposizionando geopoliticamente come OPEC+ allargato.

La riunione ministeriale dell’OPEC+ del 6 ottobre è stata una chiara anticipazione di queste nuove circostanze. Le tensioni intrinseche tra due visioni del mondo si sono manifestate, subito dopo la riunione, nella sala stampa, dove un ministro del petrolio saudita ha rimesso in riga l’agenzia di stampa occidentale Reuters e dove i giornalisti statunitensi hanno attaccato ferocemente l’OPEC, reo di “tenere in ostaggio l’economia mondiale.” Il giorno dopo, la Casa Bianca ha annunciato a malincuore una politica dura. I tagli alla produzione dell’OPEC+ hanno fatto vacillare Washington tra il mettere il broncio e la ricerca di vendetta, in particolare nei confronti dei Sauditi, un tempo compiacenti. Tra poche settimane si terranno negli Stati Uniti le elezioni di medio termine e le conseguenze dell’aumento dei prezzi dei carburanti si manifesteranno senza dubbio alle urne. Per quasi un anno, il Presidente Joe Biden ha ampliato le forniture di carburante degli Stati Uniti attingendo alla riserva strategica di petrolio, ma non è stato in grado di controllare né il prezzo alla pompa, né la crescente inflazione. Il Congresso degli Stati Uniti minaccia di utilizzare la cosiddetta legge “NOPEC” – con il pretesto legale di vietare i cartelli – per sequestrare i beni dei governi OPEC. L’idea circola da decenni a Capitol Hill, ma questa volta nuove emozioni irrazionali potrebbero avere il sopravvento. Ma le azioni ostili o minacciose degli Stati Uniti rischiano di ritorcersi contro e addirittura di accelerare i cambiamenti geopolitici in atto in Asia occidentale, dove, negli ultimi anni, molti Paesi sono usciti dall’orbita statunitense. Molte capitali arabe non hanno dimenticato la destituzione del presidente egiziano Hosni Mubarak, avvenuta nel 2011, e la rapidità con cui gli Stati  Uniti hanno abbandonato il loro alleato di lunga data. Il prezzo del petrolio è un sismografo dell’economia mondiale e anche della geopolitica globale. Con i tagli alla produzione, l’OPEC+ sta semplicemente anticipando le prossime conseguenze della recessione. Inoltre, alcuni Paesi produttori non riescono a incrementare la produzione a causa del divario di investimenti che persiste dal 2014: un prezzo basso del petrolio non può essere sostenuto se nel settore non ci sono grandi investimenti di capitale. Si prevede che la situazione dell’approvvigionamento energetico peggiorerà ulteriormente a partire dal 5 dicembre, quando entrerà in vigore l’embargo sul petrolio imposto dall’UE. Saranno alla fine le leggi fondamentali della domanda e dell’offerta le responsabili delle numerose distorsioni dei mercati delle materie prime e le sanzioni antirusse imposte dall’UE e da altri Paesi (per un totale di 42 Stati) hanno interferito pesantemente con l’offerta globale. Le due principali crisi finanziarie globali – quella immobiliare e bancaria nel 2008 e quella pandemica nel 2020 – hanno portato a un’eccessiva stampa di carta moneta. Ironia della sorte, era stata la Cina a far uscire l’economia globale paralizzata dalla prima crisi: Pechino aveva stabilizzato l’intero mercato delle materie prime nel 2009/10, fungendo da locomotiva globale e portando lo yuan negli schemi di cambio.

Fino all’inizio degli anni ’90, la Cina soddisfaceva il proprio consumo interno di petrolio con una produzione interna di 3-4 milioni di barili al giorno. Ma, quindici anni dopo e con un’economia in rapida espansione, la Cina è diventata il primo importatore di petrolio al mondo. Questo status rivela il ruolo cruciale di Pechino nel mercato petrolifero globale. Mentre l’Arabia Saudita e l’Angola sono importanti fornitori di petrolio, la Russia è il principale fornitore di gas per la Cina. Come ha giustamente osservato l’ex premier Wen Jiabao: “ogni piccolo problema moltiplicato per 1,3 miliardi finirà per essere un problema molto grande.” Negli ultimi 20 anni ho sostenuto che i gasdotti e le linee aeree si stavano spostando verso est e non verso ovest. Probabilmente, uno dei più grandi errori della Russia è stato quello di investire in infrastrutture e contratti per un mercato europeo promettente ma ingrato. La cancellazione del progetto South Stream nel 2014 avrebbe dovuto servire da lezione a Mosca per non raddoppiare il Nord Stream nel 2017. Tempi, nervi e denaro avrebbero potuto essere spesi meglio per espandere la rete verso est. Dall’inizio del conflitto militare in Ucraina nel febbraio 2022, abbiamo assistito alla guerra dell’industria finanziaria guidata dall’Occidente contro l’economia energetica dominata dall’Est. La spinta sarà sempre a favore di quest’ultima, perché, come già detto, a differenza del denaro, l’energia non può essere stampata. I volumi di petrolio e gas necessari per sostituire le fonti energetiche russe non possono essere reperiti sul mercato mondiale entro l’anno, e nessuna merce è più globale del petrolio. Qualsiasi cambiamento nel mercato del petrolio influenzerà sempre l’economia mondiale. “Il petrolio fa e disfa le nazioni.” È una citazione che incarna l’importanza del petrolio nel plasmare gli ordini globali e regionali, come era avvenuto in Asia occidentale nel periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale: prima gli oleodotti, poi i confini. Il defunto ex ministro del petrolio saudita Zaki Yamani una volta aveva descritto le alleanze petrolifere come più forti dei matrimoni cattolici. Se così fosse, il vecchio matrimonio USA-Saudita è attualmente in fase di disgregazione e la Russia ha chiesto il divorzio dall’Europa.

Karin Kneissl (tradotto da Markus) 

 
I valori dell'Occidente PDF Stampa E-mail

18 Ottobre 2022

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La Destra viene accusata di non aderire ai “valori dell’Occidente”. In effetti se i valori della Destra fossero Dio, Patria e Famiglia, sarebbero in antitesi con i “valori dell’Occidente” vigenti oggi: materialismo scientista, abbattimento delle frontiere in nome del cosmopolitismo, demolizione della famiglia attraverso teorie gender, conflitto fra i sessi, omofilia. Dio, Patria e Famiglia sono valori veri e antichi. La fede religiosa, purché non fanatica e superstiziosa, è veicolo di moralità e suggerisce comportamenti virtuosi; l’amor di patria è precondizione dell’indipendenza nazionale; la famiglia resta la struttura basilare del vivere civile e la prima agenzia educativa.

Il guaio è che questa Destra non è quella di Dio, Patria e Famiglia. Questa è la Destra dell’atlantismo, della flat tax, dell’ossequio al dio dei Mercati e delle Borse. Se fosse veramente neofascista, ricorderebbe che le nostre città furono bombardate non dai russi ma dagli anglo-americani e che l’Italia fu occupata da loro, non dai russi che noi avevamo aggredito; se fosse veramente neofascista sarebbe statalista, quindi subordinerebbe gli interessi privati a una programmazione dei poteri pubblici, come accadde in Italia almeno negli anni Trenta. Verrebbe da dire: magari fosse neofascista. Parallelamente, considerando che PD e sinistrismi vari sono oggi schierati dietro la NATO, l’americanismo, l’europeismo, il liberismo economico, la difesa di tutte le perversioni e gli eccessi di una civiltà decadente spacciati per “diritti dell’individuo”, verrebbe da dire: magari fosse neocomunista. Del resto, se Fratelli d’Italia fosse veramente il fascismo risorto, visto che è diventato il partito di maggioranza nell’Italia della Resistenza, della Costituzione “più democratica del mondo”, delle lotte sindacali, della Repubblica in cui prosperò il più forte e organizzato partito comunista dell’Occidente, qualcuno dovrebbe porsi un po’ di domande. Come mai in questa Italia un neofascismo è tornato maggioranza? Ci sarà la colpa di qualcuno? Chi ha gettato al macero un grande patrimonio di conquiste sindacali e democratiche?  Non sarà il PD a porsi queste domande. La discussione fra i piddini verterà su una sola alternativa. Allearsi con Renzi-Calenda o con Conte. Questo è il livello della politica nell’Italia dello sfacelo morale, civile, culturale.

La verità è che sull’essenziale Fratelli d’Italia e PD sono convergenti. Atlantismo, europeismo, soggezione al dio dei Mercati e delle Borse. C’è qualche differenza sul tema delle tasse, dell’immigrazione e dei cosiddetti diritti civili. Su tutto il resto c’è l’adesione allo stesso modello di civiltà che sta cadendo a pezzi e sta trascinando con sé il mondo nel baratro. Bisogna combattere il governo della Destra non per la sua presunta estraneità al sistema vigente ma proprio per la sua sostanziale adesione allo stesso modello che ispira il progressismo sinistroide.

Luciano Fuschini

 
Germania perdente PDF Stampa E-mail

17 Ottobre 2022

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 Da Rassegna di Arianna del 15-10-2022 (N.d.d.)

Abbiamo finalmente il primo perdente ufficiale del conflitto: la Germania (non sorprendentemente, il Paese europeo che "ospita" il maggior numero di truppe USA: circa 35.000 a fronte di un esercito tedesco che non supera i 90.000 effettivi).

Per anni la cancelliera Angela Merkel ha cercato di attuare una politica del doppio binario lavorando al contempo con Russia e Stati Uniti per trasformare la Germania nel principale centro di distribuzione del gas russo in Europa. A questo scopo, mentre assecondava i desideri di Washington di boicottare il corridoio meridionale (South Stream) che dalla Russia avrebbe dovuto portare il gas in Europa via Mar Nero, Turchia e Bulgaria, dall'altro lato, spingeva per la realizzazione del North Stream 2. A questo proposito bisogna ricordare che entrambi i corridoi (nord e sud) puntavano ad aggirare l'Europa orientale trasformata dai piani USA in antemurale atlantista contro la Russia. Già alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza del 2007 Vladimir Putin dichiarava: "E adesso, invece, loro stanno cercando di imporre a noi nuove linee di separazione e muri. Muri che, seppur virtuali, nondimeno tracciano divisioni nette, tagliando trasversalmente il nostro continente. Ci vorranno decenni, e diverse generazioni di diplomatici, per demolire questi muri." Va da sé che in quel periodo Putin parlava ancora di “grande famiglia europea”. Qualcosa che non si ritrova più nei suoi discorsi. Il 24 febbraio, infatti, si riferì agli europei occidentali in questi termini: “I loro satelliti [degli USA] non solo accettano docilmente ogni decisione e ripetono 'sì' come pappagalli, ma ne seguono i comportamenti e si conformano con entusiasmo alle regole che vengono loro imposte. Pertanto si può affermare con buona ragione che l'intero blocco occidentale, che gli Stati Uniti hanno plasmato a loro immagine e somiglianza, è intrinsecamente il medesimo impero delle menzogne”.

Tornando a Germania e Stati Uniti, il loro boicottaggio del South Stream ebbe iniziale successo. A seguito di un imponente attacco speculativo al sistema bancario bulgaro e di un incontro a porte chiuse tra i rappresentati del governo di Sofia ed una delegazione USA guidata dal fu John McCain (già protagonista di Euromaidan a Kiev con Victoria Nuland, addirittura raffigurata in un affresco nella cattedrale di Ternopil – giusto per dare un'idea della desacralizzazione dello spazio ortodosso orientale portata avanti a tappe forzate dal 1999 in poi), la Bulgaria optò per la sospensione dei lavori. A sua volta, il progetto sostitutivo (il TurkStream) dovette subire non pochi attacchi. In quel  periodo (15 novembre 2015) arrivarono l'abbattimento di un caccia russo da parte della Turchia (cosa che portò ad una immediata fuga di capitali da Mosca ed Ankara) ed il tentato golpe contro Erdogan (luglio 2016). L'obiettivo, naturalmente, era quello di favorire lo sviluppo di corridoi alternativi (TANAP, TAP, BTE) volti a garantire l'afflusso di gas azero in Europa (progetti comunque dal volume piuttosto basso che, al massimo, avrebbero potuto avere un ruolo complementare al South Stream). Già a partire dal settembre 2016, il riavvicinamento tra Russia e Turchia portò ad un rinnovato interesse per il TurkStream divenuto realtà tra 2017 e 2020. Il controllo russo sulla fascia settentrionale del Mar Nero, in questo senso, è fondamentale per mettere in sicurezza questo corridoio ed evitargli un destino in stile Nord Stream. Il controllo russo sulla Crimea (con la base navale di Sebastopoli), in particolare, consente alla flotta russa del Mar Nero di avere un prezioso punto di appoggio e rifornimento. Non a caso, l'ex generale USA, ex direttore della CIA ed ora direttore del KKR Global Institute (fondo di investimento al quale appartiene l'Axel Springer SE che possiede i giornali tedeschi Die Welt e Bild) David Petraeus ha suggerito di affondare completamente la flotta russa del Mar Nero in caso di utilizzo russo di armi nucleari tattiche anche a basso potenziale. Cosa che lascia presagire la non remota possibilità di operazioni “falsa bandiera” visto che difficilmente i russi utilizzerebbero armi nucleari in prossimità al loro territorio. Il KKR è anche famoso per aver finanziato l'Operazione Timber Sycamore con la quale la CIA riforniva i “ribelli moderati” in Siria. La Crimea e Mariupol in mani russe, inoltre, consentono a Mosca il pieno dominio sul sistema “cinque mari”: una rete idroviaria ideata da Stalin che, attraverso fiumi (Don e Volga) e canali artificiali connette le principali città interne della Russia ai mari del nord (Baltico e Bianco) ed a quelli del sud (Azov, Caspio, Mar Nero). L'avvento al potere dell'inetto Scholz, il sabotaggio del Nord Stream, ed il protagonismo di Erdogan (che scalzano la Germania dal ruolo che per essa pensò l'ex cancelliera) segnano il definitivo fallimento della strategia di Angela Merkel. Un fallimento di cui è comunque corresponsabile visto che nulla ha fatto realmente per vigilare sul rispetto degli accordi di Minsk negli anni passati. Di fatto, l'unica via che avrebbe potuto frenare il conflitto in corso.

P.S. Da non tralasciare il fatto che da quando il norvegese Jens Stoltenberg (uomo dei Clinton e di Tony Blair) è segretario della NATO (dal 2014, dice nulla?), il suo Paese, nonostante l'usura dei giacimenti e con tanto di nuovo collegamento verso la Polonia, ha enormemente aumentato i propri profitti derivati dalla vendita di gas e petrolio. Per il 2022 si parla di 109 miliardi di dollari di guadagni (un aumento di oltre 80 miliardi rispetto all'anno precedente).

Daniele Perra

 

 

 
Verità scomode PDF Stampa E-mail

16 Ottobre 2022

 Da Appelloalpopolo del 14-10-2022 (N.d.d.)

La pace o è l’esito di una vittoria (e della sconfitta) in una guerra oppure è la conseguenza di un accordo per non farsi la guerra. Quindi, la pace o presuppone una guerra conclusa o serve a non farne una concepita come possibile.

La guerra è la natura e la pace è cultura. La guerra è la norma e la pace l’eccezione; e tale rimane anche quando, come spesso accade, dura più della guerra.

Se dopo una sconfitta la pace dura molto, vuol dire che la servitù si è consolidata: che è accettata anche se mediaticamente rimossa. Dalla servitù si esce con una vittoria in una guerra o approfittando della sconfitta in una guerra dello Stato che ci vinse.

Stefano D’Andrea

 
L'ossessione di essere vincenti PDF Stampa E-mail

15 Ottobre 2022

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 Da Appelloalpopolo del 12-10-2022 (N.d.d.)

La cronaca ci riferisce dell’ennesimo suicidio di un giovane che non regge alla vergogna di un fallimento personale. Questi episodi drammatici ormai si verificano con una frequenza crescente e preoccupante. Solo negli ultimi dodici mesi due miei concittadini, un ventinovenne e un ventitreenne. In entrambi i casi ragazzi che non avevano avuto il coraggio di dire ai loro genitori e amici che non si sarebbero laureati per tempo. L’anno scorso ne parlavo con una collega, che mi diceva che questi casi si sono sempre verificati, a sua memoria, e che a suo dire sono il segno evidente della eccessiva fragilità emotiva dei ragazzi, che non sono più educati con la durezza di una volta. Io rifiuto questa lettura, a mio avviso semplicistica, e credo che il problema risieda in un altro aspetto degenere della contemporaneità. Un esempio eclatante spesso citato è quello giapponese, che è controfattuale. Di certo, infatti, non si può imputare alla società giapponese e alla tradizione pedagogica nipponica di essere troppo “lasca”. Al contrario, il Giappone è un paese in cui si pratica una disciplina dura, si educa alla repressione delle emozioni, alla dedizione totale ai doveri e al sacrificio finalizzato alla realizzazione individuale. Ecco, in comune col Giappone e con altri modelli sociali di differenti latitudini io ravviso un male diffuso in tutti i paesi del cosiddetto Occidente industrializzato. Uno spettro che permea lo spirito del tempo, l’ossessione di essere “vincenti”, di essere “i migliori”, di sentirsi “falliti” se non si eccelle, di provare vergogna se non si arriva.

Questa ossessione è ravvisabile già nei giovani adolescenti con cui ho a che fare ogni giorno. Un quindicenne dovrebbe essere un sognatore, un idealista, un folle che sogna di cambiare il mondo. Almeno io mi ricordo un’adolescenza vissuta con queste velleità e tutto ciò che ho studiato mi induce a pensare che io sia stato un adolescente non troppo lontano dagli standard, seppure forse più turbato di tanti amici. Oggi invece sento molti ragazzi parlare di “successo” e di “ricchezza”, li vedo misurarsi con l’ossessione della valutazione, che pare essere l’unica cosa che conta. Ravviso una debolissima motivazione intrinseca, una scarsa attitudine allo studio intrapreso per nutrire la propria curiosità e una potentissima forza che li spinge a raggiungere la prestazione, la performance, a riportare a casa “un numero”, il più alto possibile.

Questo postmodernismo senza valori, senza ideali, senza fede, che misura tutto in prestazioni e in valore monetario è la fine dell’umanità. Se a un certo punto sbatti contro un muro, quello della realtà, che ti dice che forse non vali quello che pensavi e che non performi come “dovresti”, cioè come gli altri si aspettano che tu renda, allora puoi pensare che non vali nulla e non hai le carte giuste per stare al mondo. E di questo devi solo vergognarti e soccombere, perché non hai gli strumenti cognitivi per superare questa spirale negativa e ti mancano anche le strutture argomentative per apprezzare la tua esistenza al di fuori del contesto di “mercato”. Questo pensiero degenere mi inquieta e mi motiva ancor più a comunicare ai ragazzi che la vita è altro. La performance, il rendimento, non misurano la persona. Siamo più che i nostri titoli e i nostri voti, non siamo mezzi di produzione che stanno sul mercato, concetto che ci viene più o meno direttamente comunicato quasi ogni giorno e che abbiamo ormai introiettato. Siamo persone dotate di un cuore e un cervello e le nostre vite valgono sempre la pena di essere vissute e di essere con-vissute, perché vivere vuoi dire condividere la propria esistenza con gli altri, aiutarsi, apprezzarti, amarsi e costruire insieme qualcosa: un’amicizia leale e duratura, una famiglia, una comunità di persone che condividono una esperienza di spiritualità, un’associazione sportiva o culturale in cui si coltiva una passione e, perché no, un partito politico in cui si metta in pratica la partecipazione all’organizzazione sociale ed economica della collettività. La vita è tanto di più di quello che oggi viene detto. E certi fallimenti non sono più la fine del mondo, se metti sul piatto della bilancia tutto ciò che può darti la vita.

Gianluca Baldini

 
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