29 Gennaio 2023 
Da Comedonchisciotte del 26-1-2023 (N.d.d.) […] La globalizzazione – economica, culturale, politica, produttiva, finanziaria- perseguita da molto tempo, vincitrice unica dopo il crollo del comunismo reale, ha portato alla crescita di un nuovo attore planetario dotato di un immenso potere. Si tratta del grumo di persone, imprese, visioni dell’economia e del mondo che detengono e possiedono la tecnologia informatica e digitale, motore e carburante della quarta rivoluzione industriale. Sono i giganti di Silicon Valley (e non solo), riuniti nell’acronimo GAFAM (Google, Amazon, Facebook/Meta- Apple, Microsoft), insieme con il conglomerato di aziende, conoscenze e tecnologie che hanno rivoluzionato il mondo attraverso la scoperta delle applicazioni tecnologiche legate all’informatica, all’automazione e in generale al mondo di Internet, una rivoluzione paragonabile alla scoperta delle tecnologie del ferro e alla macchina a vapore. All’universo GAFAM molti aggiungono i NATU, l’acronimo che riunisce Netflix (intrattenimento e spettacolo), Tesla (capofila della robotica e della cibernetica, la creazione di Elon Musk) e due piattaforme online – Airbnb e Uber, che hanno rivoluzionato l’una il mondo immobiliare, l’altra i trasporti e la mobilità. Questo gruppo di colossi- ampiamente integrato e con sede negli Usa, benché orientato alla deterritorializzazione – ha reso possibile il Nuovo Ordine Mondiale basato sul “capitalismo della sorveglianza”, la felice espressione coniata da Shoshana Zuboff. Ovvero, ha costituito una forma nuova di potere: la raccolta, accumulo, incrocio, uso, compravendita di dati e metadati, ossia informazioni su tutto e tutti. In parole chiare: lo spionaggio universale mascherato da “trasparenza”. Un altro nome collettivo di tale sistema è Big Data. Il potere si è fatto biopotere – ossia comando, controllo e sorveglianza sull’esistenza quotidiana di persone e istituzioni- e addirittura biocrazia, dispositivo organizzato di controllo sulla vita, a partire dal corpo fisico degli individui. Il programma del biopotere prevede il superamento della creatura umana attraverso l’ibridazione con la macchina – impianto di microchip, intelligenza artificiale, robotica, cibernetica- facilitato dalle straordinarie possibilità di alcune nuove conoscenze, riunite nell’acronimo NBIC, nanotecnologia, biotecnologia, tecnologia informatica e scienze cognitive o neuroscienze. Dall’interazione di questi strumenti tecnologici, posseduti in regime di oligopolio, protetti dall’intangibilità della (grande) proprietà privata con il sistema dei brevetti e delle privative industriali, discende la nuova, insidiosissima ideologia delle élite, il transumanesimo. La punta di lancia di questo progetto è il Forum Economico Mondiale diretto da Klaus Schwab, il cui teorico di riferimento è Yuval Harari, scrittore futurologo, strumento privilegiato dell’agenda dei vertici tecnologici e dei signori del denaro. Comanda un singolare ircocervo, la Mammona postmoderna: l’alleanza tra le grandi imprese tecnologiche post-industriali- che hanno rivoluzionato il commercio (Amazon), la comunicazione (Facebook, Twitter), dominano Internet (Google) e possiedono le competenze, le strutture di ricerca e i presidi industriali che hanno cambiato la mappa non solo economica del mondo (Apple, Microsoft, IBM). In pochi anni l’oligopolio tecnoscientifico è diventato il centro nevralgico della globalizzazione, dotato di una ideologia e di una governance globale ed è entrato a vele spiegate nel salotto buono dell’alta finanza. Quel mondo assolutamente nuovo non avrebbe potuto assurgere a braccio secolare e avanguardia del Dominio se non in sinergia ed alleanza con i signori del denaro, primi mentori e generosi finanziatori. Se oggi uomini come Bill Gates, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Elon Musk, Ray Kurzweil – guru di Google e transumanista convinto- Ray Dalio, Vinton Cerf e pochi altri sono ai vertici della ricchezza e del potere è perché il loro indiscutibile genio è stato utilizzato dalle cupole del denaro, dapprima al loro servizio, poi cooptato in un’alleanza strategica. È la tenaglia che stringe gli Stati, l’economia, i popoli e i singoli individui in un progetto totalitario fintamente morbido, il soft power che non usa la forza bruta ma l’immensa superiorità di risorse finanziare, moltiplicate dal controllo delle tecnologie di uso quotidiano e dal sapiente utilizzo delle neuroscienze. Mezzi che diventano fini; di qui una delle convinzioni popolari più difficili da smontare: l’obiettivo di costoro non è (più) il denaro, ma il dominio sull’umanità, sino alla modifica della condizione umana nel transumanesimo. Il denaro è uno strumento, non l’obiettivo: sarebbe riduttivo per chi si è appropriato dell’emissione monetaria e crea il denaro dal nulla, prestandolo agli Stati. Siamo al nocciolo: il mondo – o almeno l’Occidente collettivo di cui siamo una propaggine- è in mano ad un’alleanza strategica tra il Denaro- rappresentato dal sistema finanziario (banche centrali, fondi di investimento, corporazioni multi e transnazionali- TNC, un altro maledetto acronimo che non fa capire come stanno le cose) e le imprese di tecnologia avanzata. Poiché è l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende, la Mammona postmoderna ha una serie di strumenti operativi: gli eserciti occidentali, soprattutto quello americano, con le numerose agenzie riservate e organizzazioni di copertura (molte ONG lo sono) che integrano e rendono planetario il suo potere. Nel passato, misero in guardia da tale grumo onnipotente non paranoici complottisti ma almeno tre presidenti americani, Woodrow Wilson (che pure ne favorì l’ascesa e fu protagonista della nascita della banca centrale, la Federal Reserve), F.D. Roosevelt e Dwight Eisenhower, che nel 1961, nel discorso di congedo dalla Casa Bianca, così disse: “L’America deve vigilare contro l’acquisto di un’ingiustificata influenza da parte del complesso militare-industriale e il pericolo di diventare prigioniera di un’ élite scientifico-tecnologica.” Parole al vento, purtroppo. Ma se siamo in grado di individuare nomi e volti del biopotere tecnologico, ci è più difficile identificare i signori del denaro. Innanzitutto perché hanno a lungo coperto se stessi, evitando di apparire e comparire, burattinai dietro le quinte, come rilevò Benjamin Disraeli, primo ministro dell’Inghilterra imperiale, già nel secolo XIX. Si tratta prevalentemente di dinastie senza corona che si passano il testimone da generazioni; se ne fa parte per diritto di sangue e attraverso matrimoni tra rampolli delle grandi famiglie, come nelle casate nobiliari del passato. Il nome più conosciuto è quello dei Rothschild, israeliti di origine tedesca stanziati strategicamente da secoli nelle capitali politiche e finanziarie del mondo. La loro potenza e ricchezza non è calcolabile; hanno attraversato guerre e rivoluzioni finanziando spesso entrambe le parti in lotta; installato e rovesciato governi e regimi con l’arma del denaro e del debito, foraggiando fazioni o capi politici; dominano il mercato dell’oro, il cui prezzo è fissato presso di loro a Londra. Mesi fa, un Rothschild ha infranto il tradizionale riserbo della dinastia schierandosi in termini violenti a favore della guerra contro la Russia. Quelli dello Scudo Rosso (rot schild) non sono gli unici e con le altre dinastie e famiglie, Morgan, Sachs, Rockefeller, Warburg e poche altre costituiscono un formidabile cartello che ha in mano il mondo finanziario ma anche la filiera dei traffici industriali, energetici e alimentari del pianeta. Un esempio di riservatezza sono i Mc Kinley, proprietari della Cargill, gigante del grano: non figurano in Borsa, possiedono immensi territori coltivati nel mondo, navi, silos e porti. Da loro dipende se popoli interi possono sfamarsi e a quale prezzo. In molti gangli del sistema è rilevante la componente di ascendenza ebraica. Enorme è il potere dei fondi di investimento, conglomerati finanziari più potenti di gran parte degli Stati nazionali, che dominano e indirizzano i mercati; in larga misura essi “sono” il mercato. Il più grande, Black Rock, amministra attivi per diecimila miliardi di dollari (due volte e mezzo il Prodotto Interno Lordo della Germania, cinque volte quello dell’Italia). Il suo massimo dirigente – Larry Fink- è uno degli uomini più potenti del mondo e Black Rock si è ora impossessata di fatto dell’economia e delle risorse della sfortunata Ucraina. Nondimeno, i grandi fondi, di cui solo Allianz Group – galassia Rothschild- ha sede in Europa- Vanguard Group, Fidelity Investments, State Street Global, Capital Group, Goldman Sachs Group, restano strumenti, sia pure di primaria importanza. Il potere è nelle mani della cupola delle grandi famiglie del denaro e dei giganti tecnologici, all’ombra del Deep State, l’apparato militare e riservato dell’anglosfera. Un complicato, fittissimo intreccio di partecipazioni azionarie incrociate fa sì che Mammona – il nucleo dominante di finanza, imprese tecnologiche e corporazioni multinazionali (TNC)- sia costituita da un numero di soggetti incredibilmente basso. L’oligarchia è reticolare, assai ben strutturata, ma il livello apicale è formato da pochissime persone fisiche dal potere pressoché illimitato. Un capitolo essenziale riguarda, nel mondo contemporaneo, il potere di chi gestisce e controlla le reti di comunicazione e la struttura Internet, l’autostrada digitale su cui viaggiano tutti i dati, le transazioni, le idee, gli atti, le decisioni: il sistema nervoso centrale di un mondo dominato dalle informazioni e dalla velocità, il tempo reale. In quest’ambito, la cupola occidentale- nella solita sinergia tra grandi soggetti privati e strutture degli Stati guida, Usa, Israele, Gran Bretagna, mantiene un primato rilevante, insidiata dal più grande Stato nazionale, la Cina, all’avanguardia nella tecnologia delle comunicazioni su fibra 5G, semi monopolista nel possesso e nella lavorazione delle Terre Rare, i diciassette elementi della tavola periodica di Mendeleev da cui dipende lo sviluppo e la funzionalità del Moloch tecnologico, scientifico, elettronico e informatico. Chi controlla tutto ciò e le fonti energetiche che sostengono i modelli di sviluppo, di produzione e di riproduzione del dominio, comanda il mondo ed è destinato a improntarlo nelle idee, nei modi di vita, nella scelta di gusti, valori e principi. Le dinastie del denaro fanno la parte del leone, ma l’egemonia è oggi in discussione per l’emergere di nuovi soggetti radicati nell’est del mondo. L’osservazione empirica, prima ancora della ferrea logica geopolitica, mostra che le crisi odierne – anche il conflitto tra la Russia e la Nato per interposta Ucraina- sono mosse di scacchi nel “grande gioco” per il controllo delle risorse del mondo, dei flussi finanziari che le movimentano, delle rotte chiave del commercio. La nostra cartografia non può dimenticare che il potere del denaro è in sé inerte e deve essere alimentato costantemente da un sistema di relazioni, credenze e valori capace di mantenere e estendere, con la collaborazione di settori specializzati della popolazione –scienziati, economisti, intellettuali, militari, operatori della comunicazione- un consenso che permetta la perpetuazione delle scelte, l’obbedienza delle masse, l’influenza sui governi, l’orientamento, il controllo. A tale fine agisce una serie complessa di strumenti operativi, organizzazioni, associazioni, gruppi d’ influenza e poteri derivati che rispondono alla cupola, una sorta di pool di ministeri e assessorati di servizio divisi per settori e territori. Il sistema opera da alcuni secoli, si è rafforzato dopo le due guerre mondiale e con moto accelerato dopo la sconfitta del modello comunista sovietico. Il Dominio ha progressivamente raffinato e diversificato i suoi bracci operativi in tutti gli ambiti, sino a costruire una salda rete globale in cui pubblico e privato si confondono ed intersecano sotto la direzione dei “padroni universali”. Roberto Pecchioli
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28 Gennaio 2023 Da Rassegna di Arianna del 25-1-2023 (N.d.d.) La televisione ci avvezza sin da bambini a guardarla in uno stato di rilassamento e di non vigilanza, e a lasciarle il controllo della nostra attenzione, così ci abituiamo a sederci davanti allo schermo in condizione di ricettività acritica e tendiamo ad assorbire come vere le sue storie: È in corso un cambiamento climatico interamente dovuto all'uomo e non a processi naturali. Le automobili elettriche inquinano meno di quelle a motore termico. I mercati sono i migliori e naturali regolatori dell'economia, prevengono e correggono le crisi, inducono efficienza, occupazione ed equità. Il virus è nato da un pipistrello e da un pangolino, non è prodotto di laboratorio. Chi si vaccina non si ammala, chi non si vaccina si ammala e muore. Il vaccino era già stato testato per efficacia e innocuità quando è stato comperato dalla Commissione Europea. Il Pentagono è stato centrato da un aereo che subito si è smaterializzato senza lasciare rottami. “Mani pulite” combatteva la corruzione e le privatizzazioni hanno rafforzato la nostra economia. Con l'euro lavoriamo meno, guadagniamo di più, abbiamo tasse più leggere, siamo protetti dall'inflazione. Gli Stati Uniti rispettano una legalità internazionale ed esportano la democrazia, al contrario della Russia, che è una dittatura criminale. Zelensky è un difensore della libertà e del pluralismo. Possiamo spingere indefinitamente le escalation senza rischio di una guerra nucleare che ci elimini tutti. È indifferente per un bambino essere allevato da una coppia omosessuale o eterosessuale. L'Iraq era pieno di armi di distruzione di massa e aveva cooperato con Al Qaeda per l'attacco alle Torri Gemelle. Lo Stato per 30 anni non ha arrestato Matteo Messina Denaro perché ignorava dove fosse. Banca d'Italia non ha alcuna responsabilità in alcuno dei molti crack bancari degli ultimi anni. I banchi a rotelle servivano a combattere il contagio. Gli immigrati sono risorse che si possono integrare e non aumentano la criminalità né spesa pubblica. Eliminare il contante serve a combattere l'evasione fiscale. L'identità digitale ci rende liberi. Marco Della Luna
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Verità alogica e olistica |
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27 Gennaio 2023 Il dominio del razionalismo, quello della cosiddetta realtà oggettiva e del meccanicismo, ha alcuni inconvenienti. Qualcuno ne ha preso coscienza e ha maturato le consapevolezze utili per ridurre i danni affettivo-esistenziali che esso è destinato a generare, se mantenuto in ambito relazionale. Ma è una cultura che manca. Hai voglia di parlare di io e di sé. Di spiegare che uno è una struttura e l’altro una natura. Di spendere parole, discorsi e libri per raccontarlo. Non solo perché razionalmente non avviene alcuna comunicazione che non sia tra individui con pari competenze, ma anche perché – all’opposto – l’insistenza e la ripetizione razionale sono esattamente ciò che serve per alzare il muro che separa l’altro da noi, quando tra le parti non è presente né la medesima consapevolezza, né lo stesso punto di attenzione. Ma all’osservazione che razionalmente non avviene comunicazione ne va affiancata una seconda. Consiste nel riconoscere che l’esperienza non è replicabile, né trasmissibile. Sempre salvo tra parigrado. Ma a questo punto si deve parlare di memoria richiamata, non di trasmissione di esperienza. Un po’ come quando qualcuno ci imbocca con la parola che ci era rimasta sulla punta della lingua. Alla faccia dell’intento razionalista adottato – nonostante le evidenze contrarie – come se fosse giusto e il solo, la comunicazione passa attraverso canali emozionali. È per questo che un capo è un capo, un maestro un maestro, un eroe un eroe. Generalizzando, si può dire che quanto più accreditiamo la fonte del messaggio, tanto più il contenuto di questo è riconosciuto e fatto ideologia. È lo stesso meccanismo del miracolo e dell’oracolo. Il medesimo che McLuhan aveva magistralmente sintetizzato con “il medium è il messaggio”. Ma tutto ciò riguarda la cultura che manca. Dire che la comunicazione ci unisce transitando su ponti emozionali, a volte alogici, è anche dire che ne ricreiamo il contenuto con parole e soprattutto consapevolezze nostre. È a quel punto che il messaggio corrisponde alla verità. È un’esperienza diretta, di sentire e di carne, che allude ad un’altra verità. Ovvero che la conoscenza è già in noi. Richiede soltanto di essere sfiorata dove opportuno, per darci un eureka o un orgasmo, è la stessa cosa. Senza l’esperienza diretta, viviamo in mondi individuali. Nonostante ciò, la superstizione della logica e della ragione, quali sole depositarie della verità, è tale per cui ci impone di impiegarle in ogni circostanza, dunque anche inopportunamente. Esse funzionano in ambito amministrativo, quello in cui tutti sanno tutto, ma non sono altro che un danno, un’entrata a gamba tesa in contesto relazionale. Psicoterapeuti, certi didatti, certi pedagogisti e certi medici lo sanno. È il resto del mondo che avanza ignaro, con tutto il suo potere distruttivo, quando dovrebbe adottare la modalità dell’ascolto, della legittimazione, della reciprocità, in sostituzione di quella egoica dell’affermazione. Ma, a proposito di legittimazione, è un resto del mondo che ha tutto il diritto del suo ritardo in consapevolezza. Dalla sua c’è un lungo filo rosso che glielo consente. Parte da Euclide con la sua geometria piana e da Aristotele con la sua logica, prosegue con Galileo e il suo metodo, a sua volta unito a Descartes e il suo dualismo, fino a Newton e le sue leggi, per arrivare a congiungersi con le categorie di Kant e perfino con l’assolutismo della velocità della luce di Einstein. Come ci si poteva sottrarre a tale mole, il cui culmine sta nell’oggettività della realtà, nel legittimo predominio dell’analisi? Lo stesso che porta a credere di poter prendere un pezzo e di poterlo studiare, dando per certo che arriverà a trovare la verità. Con questo retroterra – vantatamente scientifico, al fine di sgombrare il campo da tutte le modalità di ricerca che non gli si confanno – come poter avere un’idea differente da quella che la realtà è lì davanti a noi? Come non avere tutti i diritti ad escludere che la realtà senza di noi non esiste e che, quando ci siamo, essa è una nostra creazione? Ma non basta. La mente di Bateson, il discorso di Foucault, l’evoluzione di Maturana, l’equilibrio di Prigogine, il linguaggio di Lacan confortano l’idea che il discorso di quella mole logico-razionale non poteva in alcun modo venire disatteso. Esso non era che una scelta tratta dal volume – l’infinito che precede la storia –, disposta strumentalmente entro il campo autoreferenziale a dimostrazione della supremazia del razionalismo. Già! Come infatti combattere contro l’idea da tutti eletta, scienza in primis? Quella di una realtà quantificabile, materiale, oggettiva, razionalmente indagabile, scientificamente autenticabile, deterministicamente prevedibile, riduzionisticamente ovvia, razionalisticamente comprensibile, meccanicisticamente progettabile. Quel popolo non era legittimato dalla narrazione che lo aveva orientato come la segatura di ferro al magnete? Come il Duce dal balcone e il potere del suo credito: chi tra i senza opportune consapevolezze poteva non esaltarsi? È la cultura che c’è. Per quella che manca, quella in grado di riconoscere che siamo universi diversi, che non c’è un solo cosmo, che la verità alogica e olistica non è ciarlatana, ognuno deve mettere in moto l’eros della vita creativa ed evolutiva, e prendere le distanze dal thanatos ripetitivo e spiritualmente mortificante. Lorenzo Merlo
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Alti livelli di irresponsabilità |
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26 Gennaio 2023 Da Rassegna di Arianna del 23-1-2023 (N.d.d.) Oggi ho curiosato sulla stampa mainstream (ogni tanto è utile fare una passeggiata dietro le linee nemiche) e mi sono imbattuto in un titolo interessante su "La Stampa" di Torino: TITOLO "La Russia ha più uomini, mezzi, risorse; o la Nato entra in campo o Kiev perderà." SOTTOTITOLO "Usa ed Europa sono davanti a scelte difficili: l’ipotesi di inviare truppe occidentali non può essere scartata." Questo titolo campeggia su un articolo nientepopodimeno del prestigioso analista Lucio Caracciolo. Ora, leggendo l'articolo, come c'era da aspettarsi, gli argomenti di Caracciolo sono di carattere analitico e descrittivo, pesati attentamente, e presentano tre scenari possibili: "(1) Ridurre il sostegno militare a Kiev fino a convincere Zelensky dell’impossibilità di vincere, dunque della necessità di compromettersi con Mosca; (2) entrare in guerra per salvare l’Ucraina e distruggere la Russia a rischio di distruggere anche sé stessi; (3) negoziare con i russi un cessate-il-fuoco alle spalle degli ucraini per imporlo agli aggrediti." Queste opzioni vengono considerate da Caracciolo: "Scenari molto improbabili (primo e terzo) o semplicemente assurdi (il secondo)." L'articolo prosegue e dice cose di buon senso, cose che, spiace per i prestigiosi analisti geopolitici, quelli che sono stati derisi come "complottisti putiniani" hanno sostenuto dal primo minuto del conflitto: la Russia non può perdere. Questo per due motivi: perché la sua superiorità in termini di risorse, mezzi e uomini è netta nonostante il fiume di armi e denaro fornito dalla Nato, e soprattutto perché si tratta per la Russia di un conflitto esistenziale, un conflitto letteralmente in casa propria, non un remoto conflitto imperialista come quelli che sono abituati a gestire gli USA in terre esotiche (dal Vietnam all'Afghanistan). Una sconfitta in un conflitto del genere vuol dire nel migliore dei casi, un ritorno agli anni orribili di Eltsin, in cui la Russia era impotente terreno di sfruttamento per oligarchi interni ed esterni, nel peggiore la disgregazione civile e il caos. Non è bello infierire sui vinti e dunque non ricorderemo la infinita trafila di besuaggini che le testate nazionali - quelle "serie", mica la controinformazione "complottista" - ci ha ammannito da nove mesi a questa parte. Non ricorderemo perciò come la Russia abbia già esaurito i missili una ventina di volte, come Putin sia in fin di vita dalla nascita, come i soldati russi siano dopati con tutte le droghe pazze che tipicamente usano gli Imperi del Male nei film di Hollywood, come la politica ucraina incarni esemplarmente i valori europei (invero chi potrebbe negare che il NASDAP sia stato un prodotto europeo), come la Russia sia isolata sul piano internazionale e distrutta su quello economico, come da questo conflitto l'Europa uscirà più forte di prima, e via delirando in caduta libera. No, lasciamo stare tutto questo, tralasciamo i primi segni di ingresso della realtà nella fantanarrativa ufficiale, e concentriamoci invece sul titolo. Già, perché come tutti sanno il titolo degli articoli sui giornali è scelto dal titolista, non dall'autore. E il titolo dice - come al solito - una cosa che nell'articolo non c'è: dice che un ingresso diretto in guerra della Nato (dunque anche dell'Italia) è la strada che dovremmo prendere, se non vogliamo che l'Ucraina perda (e noi non vogliamo che perda, nevvero?) Per chi avesse bisogno di un chiarimento, ci troviamo di fronte all'auspicio della Terza Guerra Mondiale, cui l'opinione pubblica deve trovarsi preparata. Ora, dopo gli anni della pandemia, in cui abbiamo imparato che l'unica regola affidabile della stampa mainstream è quella di mentire strumentalmente sempre, niente ci dovrebbe più stupire. E tuttavia un titolo di una testata nazionale che auspica serenamente un'opzione che nel migliore dei casi significherebbe una strage europea senza precedenti, nel peggiore la fine del mondo, rimane qualcosa su cui meditare. Fino a che punto, fino a quale livello di irresponsabilità sono disposti ad arrivare i sedicenti "professionisti dell'informazione" mainstream? Esiste ancora un limite morale non in vendita? Andrea Zhok
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24 Gennaio 2023 Da Rassegna di Arianna del 21-1-2023 (N.d.d.) Tutto si può dire delle oligarchie globaliste, fuorché manchino di chiarezza. Nessun complotto: è tutto alla luce del sole. Spiegano da anni a chi vuol ascoltare qual è il progetto che perseguono e lo mettono per iscritto in libri a disposizione di tutti. In particolare, spicca l’attivismo editoriale del Forum Economico Mondiale di Davos e del suo gran ciambellano, Klaus Schwab. Nel 2016 pubblicò “La quarta rivoluzione industriale”, seguita tre anni dopo da “Governare la Quarta Rivoluzione Industriale”. In quel lasso di tempo si è rafforzato il cosiddetto “partito di Davos”, dalla località alpina in cui si tengono gli incontri delle élite economiche, finanziare, tecnologiche e politiche del pianeta. Nel 2020 la svolta, in concomitanza con l’inizio dell’operazione pandemia. Il lancio in grande stile del Grande Reset, la grande cancellazione e il reinizio di tutto, sotto la direzione degli Illuminati di Davos, la montagna incantata del globalismo. Ecco dunque in libreria il terzo capitolo della saga mondialista, “Il Grande Reset”, l’annuncio e l’esposizione del gigantesco programma di ristrutturazione dell’ordine economico, finanziario e antropologico a favore dei super ricchi, diventati padroni universali, sintetizzato nello slogan “non avrai nulla e sarai felice” indirizzato ai sudditi del feudalesimo del Terzo Millennio. Dalla dittatura comunista del proletariato alla dittatura liberale del padronato. Quanto al dopo epidemia, il vegliardo di Davos – una sorta di Grande Inquisitore post moderno – è stato formale: non ci sarà alcun ritorno alla condizione pre Covid. È solo colpa nostra se non prestiamo ascolto a ciò che ci viene spiegato senza misteri. Restiamo indifferenti, uno sbadiglio e via, come se quanto accade sotto i nostri occhi fosse un gioco di vecchi signori con troppo tempo libero a disposizione. La quarta tappa del cammino dell’omino di burro del Nuovo Ordine Mondiale è la “grande narrativa”. È apparsa a fine 2021 in lingua inglese – e presto sarà certamente a disposizione in italiano – un’altra fatica letteraria di Klaus Schwab: The great narrative, la grande narrativa, o narrazione. Il Forum Economico Mondiale, spuria “organizzazione internazionale per la cooperazione pubblico – privato” ha lanciato la prossima fase dell’agenda del Grande Reset, detta appunto Grande Narrativa. Il piano alto del potere – quello di chi parla a tu per tu con gli iper ricchi padroni di tutto – avverte un limite, una falla nella propria azione. Capisce che, dopo avere lavorato ai fianchi e preparato il terreno, ora deve tirare definitivamente le reti. I pesci impigliati siamo tutti noi. Il globalismo, nella forma del Grande Reset, deve ammantarsi di un sistema di idee, una rappresentazione formale a uso dell’umanità da sottomettere, ma anche da convincere. Serve una “narrazione”, il nome postmoderno dell’ideologia. Ci pensa Klaus Schwab. Negli ultimi anni, alcuni concetti hanno plasmato l’ideologia dominante. Parole come inclusione, resilienza, sostenibilità, delle quali è stato riformulato il significato, sono entrate a far parte del glossario progressista benpensante, ripetuto come un mantra nei media, nelle università e nei dibattiti. Come predicatori di una religione New Age, attivisti, politici e uomini d’affari portano la parola non di Dio ma del Denaro. Il vocabolario uscito dalle multinazionali, promosso da miliardari falsi filantropi e veri sociopatici, è diventato il discorso dominante, la retorica obbligata, la Grande Narrazione. The great narrative è un compendio delle conversazioni tenute dal WEF a Dubai nel novembre 2021. Balza agli occhi l’assoluta mancanza, nella narrativa globalista, di qualsiasi afflato spirituale o soprassalto morale: tutto è declinato in termini di potenza. L’impegno è stabilire un discorso che convinca la popolazione non della giustezza, ma dell’inevitabilità della tabula rasa e del successivo reinizio sulle basi poste dall’oligarchia. Per Schwab, “un potente catalizzatore per modellare i contorni di un futuro più prospero e inclusivo per l’umanità e più rispettoso della natura.” Il globalismo è bravissimo a non sprecare le opportunità delle crisi che esso stesso dissemina; nella fattispecie intende imporre (pudicamente dicono guidare) una visione del futuro. “La Great Narrative Initiative [è] uno sforzo collaborativo dei principali pensatori del mondo per modellare prospettive a lungo termine e co-creare una narrativa che può aiutare a guidare la creazione di una visione più resiliente, inclusiva e sostenibile per il nostro futuro collettivo”. Iniziano dalle parole: inclusività, sostenibilità, resilienza. Sono tutti termini che il Forum ha introdotto allorché prese il via l’operazione “Grande Reset”. Modificati, stravolti i significati originari, le parole assumono il significato voluto dal potere. È questo l’obiettivo finale del politicamente corretto, “la forma più sofisticata di lavaggio del cervello che i governanti abbiano mai imposto ai propri sudditi, nella consapevolezza della corrispondenza pressoché automatica tra pensiero e linguaggio.” (Ida Magli). L’idea stessa di narrazione è alle origini del concetto di postmodernità formulato da Jean François Lyotard. Con il lessico del pensatore francese, essa altro non è se non una delle “funzioni per legittimare potere, autorità e costumi sociali”, ovvero tutto ciò che il grande reset sta cercando di ottenere. Siamo quindi di fronte a un autoritarismo impegnato a legittimare il proprio potere, spacciandolo per verità universale scaturita da una superiore conoscenza e comprensione della realtà. Il potere usa le narrazioni – pompose menzogne rivestite da un’aura di insindacabilità quasi magica – nel tentativo di tradurre resoconti alternativi nella propria lingua e per sopprimere tutte le obiezioni a ciò che essi stessi stanno dicendo. “Nient’altro che una sfacciata operazione di consenso attorno a pratiche e decisioni che non abbiamo il diritto di discutere, giacché vuolsi così dove si puote ciò che si vuole”. Per Lyotard la vera conoscenza è sempre stata in conflitto con le narrazioni, che si rivelano, a retto giudizio, favole. Ma la scienza, o meglio la tecnologia e la tecnica, sue ancelle, è stata elevata a dea e i suoi criteri – plastilina in mano a chi possiede ogni mezzo e determina ogni fine – sono l’unica logica possibile a cui deve affidarsi l’uomo postmoderno a cui sono cancellate cultura e natura. Per Il poeta indiano Tagore, “una mente tutta logica è come un coltello tutta lama. Fa sanguinare la mano che lo usa”. Seguendo gli avvertimenti di Lyotard, la cosiddetta grande iniziativa narrativa perde credibilità nel momento in cui è concepita, in quanto è una costruzione arbitraria, alla quale lavorano genetisti, scienziati, futurologi e perfino filosofi, tutti nel solco e nell’interesse di chi guida il gioco, l’oligarchia tecno finanziaria di cui il WEF è il privilegiato luogo d’incontro. Il lancio del libro The Great Narrative ha coinciso con l’incontro annuale del Forum del gennaio 2022 sul tema “Lavorare insieme, ripristinare la fiducia, accelerare il capitalismo degli azionisti, sfruttare le tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale e garantire un futuro più inclusivo”. Minaccioso, sincero. L’agenda del Reset era stata annunciata nel 2020 come apparente risposta al Covid. Il WEF ha trascorso l’ultimo anno a fare propaganda e collaborare con governi e potentati privati all’ obiettivo di un mondo gestito da tecnocrati che prendono decisioni per le masse, ma per il loro bene, per la diversità (di che cosa?) l’inclusività, la sostenibilità e l’immancabile resilienza, così amata dal loro agente a Roma, Mario Draghi, patrono del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza). Nel 2019 il WEF prese parte, con la Fondazione di Bill Gates e altri, a un’esercitazione pandemica chiamata Evento 201, che immaginava un’epidemia diffusa in tutto il pianeta. La simulazione ha previsto la morte di milioni di persone, blocchi, quarantene, censura di punti di vista alternativi con il pretesto di combattere la “disinformazione”, e ha lanciato l’idea di arrestare chi mette in discussione la narrativa ufficiale. Indovini o criminali? Conseguiti i loro obiettivi, gli uomini del Dominio si concentrano sulla “narrazione”, ossia su come ingannare l’opinione pubblica. Nel caso in specie, raccontare le delizie della quarta rivoluzione industriale, ovvero sostituire tutte le altre visioni del futuro dell’umanità ponendo l’oligarchia al centro di una narrazione che li dipinge come eroi del nostro tempo. Prevede un futuro in cui le grandi corporazioni private e i sedicenti filantropi usano la loro ricchezza, influenza e potere per progettare il futuro. La loro filosofia sfocia nell’ ideologia transumanista che considera l’uomo limitato, imperfetto e bisognoso di potenziamento attraverso la tecnologia, al fine di accelerare la Quarta Rivoluzione Industriale. L’obiettivo è gigantesco: a Dubai hanno affermato apertamente che “per la prima volta con la tecnologia stiamo unendo la nostra società, la nostra economia, il nostro governo, la nostra vita ed esiste un’unica piattaforma. Ciò che accadrà in futuro si baserà su ciò che progettiamo ora”. Vietato eccepire, solo applausi e gratitudine: è tutto deciso. Da loro e a favore loro. La missione del WEF è cambiare il ruolo dei governi e dei giganti privati sino a renderli indistinguibili: una fusione fredda sulle spalle dei popoli. L’idea di Quarta Rivoluzione Industriale di Schwab (4IR) è in sostanza il Panopticon del futuro, dove la sorveglianza è onnipresente e la tecnologia digitale cambia le nostre vite, associata a concetti come Internet delle Cose, Internet dei Corpi, Internet degli umani e Internet dei sensi, alimentato dalla tecnologia 5G e 6G. La 4IR si presta a una pianificazione centrale e al controllo dall’alto verso il basso. L’obiettivo è una società track-and-trace (tracciare e rintracciare) in cui tutte le transazioni sono registrate, ogni persona ha un’identità digitale (ID) e il malcontento è colpito attraverso punteggi di credito sociale alla cinese. A Dubai hanno parlato chiaro: l’economia “tradizionale” è finita. Quando la 4IR sarà generalizzata, ci sarà solo un’economia digitale. Comprendere l’Intelligenza Artificiale, la 4IR, la digitalizzazione della vita a partire dell’abolizione del denaro contante è decisivo per l’uomo della strada. I tecnocrati al servizio del Dominio, dietro la maschera di benevolenza, stanno rivelando la vera natura del futuro a cui stanno lavorando per i loro padroni: un autoritarismo tecnocratico nascosto da un linguaggio fiorito e fuorviante. Nella loro visione, non possiederai nulla e vivrai felice, però diventeranno privilegi avere un lavoro, accedere alla possibilità di viaggiare e finanche avere un conto dal quale prelevare denaro, a insindacabile giudizio del Dominio. Le prove generali sono state fatte in Canada, dove a duecento partecipanti al “convoglio della libertà” sono stati bloccati i conti bancari. In Italia a una cliente di origine russa è stato chiuso il conto corrente. Alle rimostranze, il funzionario incaricato ha opposto imprecisate ragioni politiche. Da un lato la realtà, dall’altro la Grande Narrazione, variante postmoderna della bugia programmatica. Abbiamo un decennio per adeguarci. O per aprire gli occhi e opporci. Schwab non è troppo ottimista: “le persone sono diventate molto più egocentriche e, in una certa misura, egoiste”. Chissà da chi avranno imparato. Il lato positivo è l’ammissione che la gente non crede ancora del tutto alla distopia tecnocratica. Lorsignori sono consapevoli che non sarà agevole costringere volontariamente le popolazioni a adottare la visione del Grande Reset e la Grande Narrativa. Ci saranno roccaforti dissidenti. La classe predatoria ha trascorso decenni a pianificare e investire denaro e intelligenza nel progetto di trasformazione planetaria. Sono attivi e consapevoli, noi no. Le minoranze che hanno capito la portata della sfida non riescono a concretizzare azioni di resistenza e contrattacco al piano tecnocratico-transumanista. La Grande Narrazione assomiglia sinistramente al mito della “nobile menzogna “espresso da Platone nel libro III della Repubblica. Secondo questa interpretazione, fatta propria da personalità come Leo Strauss, sarebbe lecito mentire “per il bene della polis”, noto solo a pochi illuminati. Il potere diventa franca subordinazione del debole al forte, i cui “guardiani” controllano le ombre proiettate sulla caverna che incatena la plebe, convinta che sia l’unica realtà. La Grande Narrazione è l’alfabeto Braille dell’umanità accecata. Roberto Pecchioli
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