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Chi ci guadagna dal terrorismo PDF Stampa E-mail

18 Gennaio 2015

 

Mi rendo conto che quello che vado a scrivere è a forte rischio di complottismo e dietrologia, e vorrei premettere che le mie intenzioni sono ben lontane da questo. Trovo però inevitabile, se si vuole sollevarsi appena al di sopra degli eventi francesi di questi giorni e guadagnare una debole possibilità di comprensione, analizzare i fatti sul piano degli effetti.

Il primo effetto del terrorismo, che è anche la sua ragion d’essere, è la produzione d’insicurezza. Il terrorismo è una fabbrica d’insicurezza che spinge e i cittadini fra le braccia di chi si è assunto il compito storico di garantire la pubblica sicurezza: lo Stato. In un momento di grave crisi della forma Stato, soprattutto in Europa, sintagmi come “unità nazionale” o addirittura europea (impronunciabili fino a pochi giorni fa) riacquistano terreno, rendendo possibile l’insperato: la diminuzione del conflitto sociale e del malcontento verso la classe dirigente.

La paura e il disorientamento spingono le persone ad abbandonare eccessivi desideri di libertà, persino dal giogo fiscale, e legittimano maggiori controlli, maggiori restrizioni della privacy individuale. Sull’onda dell’assunto che l’uomo onesto nulla ha da temere, la vita sociale e civile di un Paese viene disseminata di nuovi strumenti di controllo e di drenaggio d’informazioni strategiche su ogni singolo membro.

Detto chiaramente: un atto terroristico sferrato da un nemico della nazione, è un’ottima notizia per uno Stato e il suo apparato di governo. Come per una casa farmaceutica una nuova malattia. O per un affamato un chiosco di hot dog. Non nasce forse, lo Stato moderno, per rispondere al bisogno di pubblica sicurezza?

Perché l’azione dello Stato trovi e giustificazione, le persone devono percepire una sensazione d’insicurezza che le convinca sia ad accettare che qualcuno detenga il Monopolio della Forza sia a sostenerne le politiche di controllo sociale, prelievo fiscale e intervento repressivo.

Un altro punto di vista decisivo è quello del complesso militare-industriale: ad esso giova certamente il “terrorismo”, non solo direttamente grazie a maggiori commesse, ma anche indirettamente: è attraverso la guerra – sia essa tradizionale, fredda o nella più recente forma della guerra al terrore – che la tecnologia progredisce. È ora nelle sale il meraviglioso film su Alan Turing, l’inglese inventore del primo prototipo di computer, nato per scardinare il prodigioso “Enigma” e decriptare i messaggi tedeschi. Internet stesso nasce come tecnologia militare prima di essere impiegato per usi civili e diventare motore dell’attuale società dei consumi. È corretto, quindi, sostenere che la guerra o la minaccia di una guerra produce sviluppo e crescita? Assolutamente Si: la così detta spesa militare è uno dei migliori incentivi alla crescita economica brutalmente intesa.

Poiché, come premesso, non intendo fare dietrologia e sposare questa o quella teoria del complotto, non voglio assolutamente minimizzare le responsabilità morali dei terroristi (che si sono consegnati liberamente alla mostruosità dei propri gesti) e neanche ignorare come l’Islam sia un terreno particolarmente fertile per la diffusione del fondamentalismo e un elemento fortemente sollecitante per una società de-sacralizzata come la nostra.

Sul piano degli effetti, però, la verità è che un atto terroristico (o meglio un atto di guerra all’ Occidente in quanto civiltà costruita sull’idea di una società umana come soggetto in perpetuo Sviluppo), è uno straordinario motore di ri-organizzazione delle masse, di crescita e di progresso materiale.

La verità è che la Storia Umana in quanto Storia dell’Occidente è una macchina il cui principale carburante è il sangue umano. E questo da prima che nascesse il fondamentalismo islamico, che è solo la nuova (efficiente) fabbrica di questo prezioso distillato.

Gian Maria Bavestrello 

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