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1 Marzo 2018

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[…] La protesta armata, che apparentemente non portò che a morti, non ebbe il seguito necessario per ricostruirsi una legittimità. Mise però in evidenza, per la prima volta, il vassallaggio italiano nei confronti della longa manus di servizi segreti italiani e stranieri. Chetate le acque si avviarono ragionamenti meno estremistici sebbene altrettanto illegali. Mi riferisco al finanziamento ai partiti, alla corruzione, all’evasione fiscale, alle mafie. L’importazione dell’edonismo reaganiano, esaltazione dell’individualismo, si propagò veloce come una miccia accesa verso le ideologie ancora apparentemente in salute della destra popolare e della sinistra, ma di fatto già minate. Per i politici, il ritrovo per l’happy hour era più sentito di quello in parlamento. Per molti i soldi erano facili e spenderli ostentatamente uno status symbol da sbattere in faccia a chi stava indietro.

 

Tangentopoli rase al suolo la classe politica, ma come Attila fece terra bruciata. Sotto l’egida dello slogan, lo stato come un’azienda, nacquero governi, piani finanziari e politiche estere all’ombra del bungabunga e di promesse spettacolari, nei confronti delle quali la sinistra, da tempo sterile, non aveva altro che freccette colpevolizzanti, di poco conto. Si iniziava a percepire che ciò che stavamo diventando, le modalità storiche con le quali avevamo in passato trattato il prossimo e osservato il mondo stavano venendo meno. I piani mondialistici delle cricche capitalistico-finanziarie ebreo-americane stavano pilotando bene la loro motonave anche in acque italiane. Internazionalmente parlando per mantenere la rotta egemonica suggerivano ai governi le opzioni da preferire, creavano guerre, pilotavano la comunicazione.  I paladini del liberismo sotto la bandiera della globalizzazione, avanzavano convincendo molti che le alternative erano tutte peggiori. Lo tsunami che provocarono, annegò gli ultimi scogli delle nazioni, delle ideologie, delle economie locali, della solidarietà, del comunitarismo, delle province e di tutte le dinamiche relazionali tra queste dimensioni […]

 

I non vedenti hanno utilizzato il termine complottisti per riferirsi a coloro che sostengono l’esistenza di deep state d’ordine vario. Avendo da anni delegato la politica – come tanto altro – a fare e pensare in nostra vece, abbiamo creduto alle promesse senza verifica alcuna. E con quelle ci siamo rivestiti. Abbiamo soprasseduto su un’Europa che, a pensarci bene, come per la democrazia, non è mai esistita, almeno per noi dell’ultima fila, così come ce l’avevano venduta. A qualunque partito si fosse guardato con simpatia, nelle tasche dei bei vestiti nuovi, non trovammo più le nostre cose. Né la morale del Vangelo, né la mappa delle conquiste dei lavoratori, né la nostalgia. C’erano i video dei radical chic. Parlavano di tutto ma non più di quello che ci interessava. Dedicati ai più popolari diritti individuali, difendevano tutto e tutti, mentre le banche, il debito pubblico, la disoccupazione, gli articoli 18, le mazzette, le privatizzazioni, l’immigrazione fuori controllo, la malasanità, i cappi della burocrazia, le carceri piene, i delinquenti fuori, le pene in prescrizione potevano battere bandiera panamense e attraccare a banchine un tempo off-limits. Non si occupavano del signoraggio bancario, del degrado sociale, della sudditanza militare, monetaria, nazionale, il progressismo lo esigeva, punto.

 

Lo iato tra chi comandava e chi lavorava era divenuto via via più radicale. La fiducia era bruciata e non servono metafore, né aggiunte per misurare quel tipo di disastro, tranne che chiamarlo delitto, lutto. Neppure le istituzioni godevano più della I maiuscola, se non per le partite dei partiti. Così è stato fecondato il populismo. Movimento silente di astensionisti. In crescita costante dall’epoca della questione morale di Berlinguer. Erano gli anni ‘70. […] Ma nella contrazione generale che tutto ha coinvolto, c’è uno spazio che si espande e respira sotto le macerie della post-modernità. […] Si tratta delle voci di coloro che in tutto questo decorso, che alcuni non esitano a chiamare catastrofico, riconoscono la presenza satanica di un comune genitore, il materialismo tout court. Con i suoi figli, il positivismo, il capitalismo, lo scientismo, l’imperialismo; con i suoi nipoti, l’opulenza, il culto della personalità e quello del denaro; con i suoi dogmi, per il progresso ad infinitum, per la tecnologia, per il tempo lineare, per l’apparire […] Nel tempo lineare il presente si allontana da noi e va verso il passato. Intanto ci sentiamo procedere verso il futuro, candidi e indenni nei confronti di ciò che abbiamo fatto. Al contrario, al bene comune corrisponde il tempo circolare. […] Un argomento che, in termini toltechi, riguarda il dominio del tempo. Più a oriente di chiama accettazione, perdono tra i cristiani. Quelle voci appartengono a uomini e donne, mute, antesignane dell’astensionismo. Da molto non hanno rappresentanza. Ognuno a loro modo opera per estendere quello spazio occulto affinché divenga forza comune. Parlano con circospezione di spiritualità, sanno che può essere facilmente fraintesa. Evitano di citare che stanno solo cavalcando le vie già tracciate dai Maya, dai Toltechi, dagli Egizi, dal Buddhismo, dalla Kabbalah e da altre tradizioni tra cui il Cristianesimo, quello vero non quello posticcio, populista, superficiale che la religione ci ha fatto conoscere. Sanno che per qualcuno, siccome non si può toccare, siccome la scienza dice che non c’è, non esiste, non è misurabile, è un tabù, meglio non toccarlo. Siccome non lo dice il metodo, né la regola, non va bene. […] Sanno anche di essere al cospetto di un lento, inesorabile switch storico prodotto del cambio di frequenze energetiche dell’universo, che implica cambi di paradigma al quale l’uomo non potrà sottrarsi. […] Sanno e sentono che è in atto un passo evolutivo verso una convivialità nuova. L’avvento della fisica quantistica ne è un segno […] Come nella fisica quantistica, ma l’avevano detto le Tradizioni da migliaia di anni, a secondo dell’interlocutore le particelle possono avere carattere ondulatorio o materico. Una magia, per chi non c’arriva, dalla quale è doveroso guardarsi. Una banalità per chi l’ha ricreata, dalla quale non può più prescindere. Perché quelle scoperte non riguardano solo i laboratori dell’infinitamente piccolo. Riguardano quello che pensiamo, che facciamo, che sentiamo. Se prima credevamo che le cose fossero separate, se prima potevamo usare la forza, forse anche la semplice intelligenza dialettica per sopraffare il prossimo, ora, dalla cima, le cose appaiono nella loro contiguità, gli altri sono dei noi a tutti gli effetti, prendiamo coscienza che pensare e fare del male al prossimo sia esattamente farlo a noi. Prendiamo coscienza che siamo totalmente i responsabili della realtà individuale e sociale che viviamo. Siamo consapevoli che senza il nostro lavoro, non potremo lasciare alle future generazioni qualcosa di meglio di quanto abbiamo finora realizzato. Siamo ora capaci di affermare che la politica dello scontro, quella delle opposte fazioni, della negazione del rispetto, perpetuerà la storia così come la conosciamo. Di conseguenza lavoriamo per andare oltre il dualismo dello scontro, per realizzare la realtà attraverso il modo della relazione. Non più oggettiva, ma relativa a me. […] Einstein fu il primo scienziato a prendere coscienza che la realtà dipende/è creata dall’osservatore.

 

Ci sono due livelli di consapevolezza. Uno, nel quale è come se ci si avvedesse di qualcosa che era sempre stato lì e che mai avevamo notato. Questo livello è il più diffuso, lo si potrebbe chiamare intellettuale. Siccome permette all’ego una certa soddisfazione, facilmente ci si ferma lì, come se quanto c’era da fare fosse stato fatto. L’altro potrebbe essere chiamato livello d’incarnazione. Oltre a quanto già dicano le parole utilizzate per nominarli, la differenza tra i due è ulteriormente semplice. La consapevolezza intellettuale corrisponde a un sapere che prima non avevamo. Come tutti i saperi riguarda la sfera dell’io. In sostanza è un avere. La consapevolezza intellettuale è però già un passo. Ci strappa dall’ottusità dell’ego e ci permette di vedere noi stessi al pari degli altri. Permette di riconoscere quale morale strumentalmente utilizziamo a nostro vantaggio per erigerci sopra gli altri. La consapevolezza incarnata riguarda invece la sfera dell’essere. Con l’avere noi maneggiamo quel nuovo dispositivo nelle relazioni, affinché l’io se ne giovi. In sostanza è una questione di autostima. Con l’essere non abbiamo più bisogno di mostrare quella consapevolezza come fosse qualcosa di prioritario, da esprimere e trasferire ad altri. Essa uscirà dal nostro fare non dal nostro dire. […] Ovvero, restando soddisfatti del livello intellettuale non si cambia nulla, al massimo si fa moda. Con la seconda consapevolezza non c’è niente da cambiare perché si è già cambiato tutto. Per mutare dalla prima alla seconda serve un pieno di umiltà, un cambio di abitudini. È qui il percorso nel quale immettersi. Così l’egoica pretesa di affermazione del verbo e l’emozione del vanto dialettico possono cessare […]  Ma ora che anche la fisica, nel suo step quantistico ha raggiunto le prospettive che necessariamente relegano la scienza classica a dato minore e niente più che autoreferenziale […] anche i signori scientisti, per restare fedeli al culto della scienza, dovrebbero avvedersi e rivedersi. Fu impugnando la torcia dei lumi che si credette di poter ridurre la vita a sola materia. Socialmente parlando fu facile trasferire quelle convinzioni e reificare via via ogni cosa.

 

Tutto ruotò e ancora ruota intorno al perno dell’economia. Niente ha finora potuto godere di più attenzioni di quanto non ne siano state date al Pil, alla produttività, al denaro. […] Ridurre tutto a economia è una specie di blasfemia nei confronti della vita. […] Il presuntuoso predominio sulla natura e su tutti gli esseri senzienti è una superstizione che sta culturalmente barcollando, come dopo Copernico, che aveva fatto notare che la Terra non era al centro dell’universo, l’uomo non è al centro di niente se non del proprio ego. Fu così che la natura, gli animali, la terra, l’ambiente, i loro cicli, furono messi da parte insieme alla conoscenza sottile proveniente da tutte le geografie del mondo e delle epoche passate. […] La cultura spirituale della destra tradizionale, [è] da sempre anticapitalista. Le sue altre espressioni, quali il razzismo e il nativismo, il paganesimo, modulate con maturità, non sono altro che l’attuale localismo, bioregionalismo, decrescita e recupero della sacralità della natura. […] Oggi siamo avveduti delle carte che abbiamo in mano. Non vogliamo più giocarle dietro consiglio di qualcuno o di qualcosa d’altro che non sia il nostro sentire. Non vogliamo più creare società, uomini dominati dalla paura che li obbliga ad anelare sicurezza, che gli impedisce di volare, che gli castra l’atteggiamento creativo, la sua potenza più infinita. Né individui e società alienate, psicopatiche, per le quali è ordinario e comprensibile lo sfogo della violenza sugli altri e su sé. Il progresso ci ha messo all’angolo di noi stessi. Ci ha comprato come con gli specchietti comprava i nativi e i colonizzati. È bastato un benefit o un mutuo per la tv al plasma. Ci ha devastato lo spirito creativo. È tempo di riprenderlo.

 

Lorenzo Merlo (da Victory Project)

 

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