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Resilienti cioč arrendevoli PDF Stampa E-mail

27 Marzo 2021

 Da Appelloalpopolo del 25-3-2021 (N.d.d.)

La parola resilienza è una bella parola? Per capirla meglio, ho letto varie definizioni e spiegazioni e sono giunta alla conclusione che non è una bella parola e che viene evocata con insistenza perché rispecchia i disvalori della società attuale. Se per resilienza intendiamo la capacità di assorbire le difficoltà e risollevarsi, è giusto che se ne occupi la psicologia, per aiutare l’individuo a rafforzarsi. Ma la società non va indirizzata verso la resilienza. La psicologia spiega che serve per trovare dentro di sé la forza di trasformare un momento di crisi in opportunità. Questo mi fa innanzitutto pensare alla colpevolizzazione che dall’alto viene fatta di chi è rimasto indietro. Quante volte abbiamo letto sui giornali esempi “esaltanti” di chi, caduto in disgrazia, grazie alla sua bravura si è rialzato riuscendo a stare meglio di prima! È un tranello. Non è sempre così, in un paese in difficoltà. Ed induce chi vive in condizione di privilegio, a crogiolarsi nella convinzione di esserselo meritato. Quindi il primo disvalore collegato con la resilienza è l’interpretazione distorta che viene data della realtà da parte della politica, che invece di dare il necessario sostegno, nei momenti di crisi, scarica le responsabilità sugli individui.

L’altro disvalore, implicito, è il darwinismo sociale. Oggi, riprendendo il concetto di distruzione creatrice di Schumpeter, viene detto che le imprese in difficoltà devono essere “accompagnate alla chiusura”. Questo si concreta nel ripudio di un “assistenzialismo” penalizzante per i suoi costi, che va sostituito con la distruzione, generatrice di nuove opportunità. Si propende per criteri selettivi-restrittivi degli aiuti e si profila il ripristino micidiale del Patto di stabilità. Gli italiani verranno convinti che sia un male necessario cui la società, resiliente, si dovrà adattare. Chi avrà le capacità di “reinventarsi” si salverà. Il concetto di resilienza è collegato a quelli di “flessibilità” e di “formazione permanente”, tanto auspicati per il mondo del lavoro. Per essere resiliente, infatti, devi saper assorbire l’urto e adattarti flettendoti (piegandoti) e devi essere sempre pronto a sfruttare ogni possibilità lavorativa con un processo continuo e senza fine di apprendimento (vita lavorativa precaria). In questo periodo di regressione dei diritti, la società non deve assorbire gli urti e piegarsi. Anzi occorre resistere lottando palmo a palmo contro le ingiustizie imposte da chi ci vorrebbe resilienti e cioè, in realtà, arrendevoli.

Claudia Vergella

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