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10 Aprile 2021

 Nonostante si sia prossimi a festeggiare il centenario del Principio di Indeterminazione e di Incompletezza, rispettivamente dal tedesco Werner Heisenberg, 1927, e dall’austriaco Kurt Gödel, 1930, la loro potenza rivoluzionaria nella concezione della natura e della realtà non è stata sufficiente ad aggiornare l’assolutismo razionalistico, materialistico ed economico delle culture del mondo.

Einstein, con Podolsky e Rosen, affermò che il senso comune – ben codificato nella Meccanica classica – fa a pugni con la conoscenza della materia/realtà affermata dalla Meccanica quantica. Non riusciva a inscrivere nella sua Relatività ristretta quanto affermato dalla cosiddetta interpretazione di Copenaghen, nella quale si sostenevano per la prima volta il principio di complementarità e quello di dualità. Il primo afferma che a livello subatomico non è possibile conoscere contemporaneamente posizione e velocità della particella; il secondo, afferma la natura corpuscolare e ondulatoria delle particelle elettromagnetiche. La nota lettera del 1935, detta EPR come dalle loro iniziali, esordisce così: “La descrizione quantica della realtà può essere considerata completa?” La perplessità di Einstein era del tutto plausibile, comprensibile e condivisibile se osservata in termini empirici, sensoriali, egocentrici. Che di una particella si potesse conoscere solo uno dei due dati fondamentali della Meccanica classica, posizione e velocità, non era accettabile. Che la materia potesse essere un’onda, neppure. La medesima perplessità si origina generando il proprio pensiero filtrato dal dominio assolutistico del razionalismo. Da questo discende l’idolatrata oggettività. Un plinto meccanicista che prevede la realtà come oggetto disponibile ad essere posto sul vetrino della conoscenza. Ma anche un cancello che impedisce di accedere alla verità affermata tanto dal Principio di indeterminazione di Heisenberg, quanto da quello di incompletezza che emerge dall’indagine dell’aritmetica attuata dal logico-matematico Kurt Gödel. Se il principio del fisico tedesco – in collaborazione con Niels Bohr – afferma che di una particella elementare è possibile misurare solo la velocità o solo la posizione e che il comportamento di questa è relativo all’osservatore, quello del matematico austriaco osserva che entro la sintassi aritmetica si possono verificare situazioni per le quali non è possibile affermare univocamente siano vere o siano false, per le quali non si può altro dire che non siano vere e non siano false. Ma se nel loro ambito tecnico il valore di Werner Heisenberg e di Kurt Gödel ha carattere dirompente rispetto allo stato della fisica e della logica a loro precedente, per il resto del mondo è altrettanto rivoluzionario per ragioni filosofiche, metafisiche, esistenziali. La valenza filosofica implica che la descrizione meccanicistica e logica della realtà, sulla quale abbiamo costruito la cultura dominante, e abbiamo fatto coincidere con la verità ultima – nonostante la scienza stessa sia la prima ad affermare la provvisorietà dei suoi enunciati – era un abbaglio. Che non tutto è misurabile dai rozzi strumenti dei tecnici; che c’è una realtà impalpabile ben più potente e capace di quanto non possano le note forze fisiche. La questione non riguarda infatti soltanto le microparticelle per Heisenberg e alcuni estremi ambiti della logica per Gödel, in quanto entrambi i Principi prendono massima forma nel mondo sottile delle relazioni. La realtà dipende infatti dal destinatario, è funzione del destinatario. E la relazione con il destinatario modula la natura dell’emissione, modula la verità, l’affermazione pronunciata dall’emittente. Ugualmente accade nella relazione con se stessi, dove la realtà è modulata da valori ed esigenze, tutte referenti di sentimenti ed emozioni. Nella rete del Tutto – che partecipiamo a fare e modificare, e che agisce su noi – tanto gli altri, quanto noi stessi, tendiamo a modificare nel tempo la posizione originaria. Ciò che prima stava in un modo, ora sta in un altro. Ciò che era intollerabile lo è divenuto. Ciò che prima era corpuscolo ora è onda. Ciò che credevamo vero, si mostra falso. Nella rete il tempo è di tipo circolare e sussultoriamente stocastico. È burrasca e bonaccia, buono e cattivo. Corrisponde a noi. I nostri sentimenti sono il solo orologio per misurare il tempo. Quello dei ragionieri della vita conta solo per i ragionieri della vita.

Perciò la questione perché onda o corpuscolo?, dilemma che assilla solo gli scienziati classici, è poca cosa rispetto alla verità dell’ontologico mutamento della realtà. Non solo. È l’evidenza della contiguità, o meglio, dell’unità tra fisica e metafisica. Rispettivamente espressione e matrice di una realtà-trinità in quanto per esistere ha bisogno di noi. Così, l’affermazione del mutamento in funzione dell’osservatore allude alla sostituzione dell’ego con la relazione, della realtà oggettiva con la realtà creata. È l’ultima spiaggia della laguna del mondo, dove il razionalismo dei marosi arriva spento, senza più forza per obbligarci a farci remare in un senso piuttosto che in un altro, pur di far sopravvivere il dominio del nostro io e il mondo che questo ci impone. Ma anche per evitare una patologica immobilità: l’indecisione porta alla morte fisica e metafisica. È la respirazione che, prima di altro, ce lo insegna. Il mutamento come sola verità afferma che la descrizione del reale che possiamo esprimere e sulla quale edifichiamo cultura, valori e politica, è autoreferenziale, arbitraria, strumentale. In sostanza truffaldina. È una descrizione che sussiste a causa della concezione egocentrica della realtà, fisiologicamente inetta a riconoscere come questa si avvalga di un autopoietico fermo immagine. Una costruzione del tutto idonea ad affermare la logicità, l’oggettività, la dignità e la legittimità del nostro pensiero. Un’istantanea dell’essere che distorce il divenire secondo lenti d’interesse personale.

La virtuale cornice di quell’immagine delinea un campo la cui natura è bidimensionale, dove le nostre esigenze atrofizzano la vitale e dinamica rete della realtà. È un campo in cui il tempo è lineare e proteso all’infinito, lo spazio è de-finito dalla nostra scientifica capacità d’indagine e noi non ne facciamo parte. Un terreno in cui, come impavidi registi, distribuiamo canovacci e tiriamo i fili secondo aulica logica, riconosciuta autorevolezza e competenza specializzata.

Da Heinsenberg e da Gödel possiamo cogliere il necessario per riconoscere i limiti di ciò che consideravamo definitivamente vero. Dal grande oceano cosmico fisica quantica e logica approdano alla medesima terra. Le osservazioni del matematico austriaco lo portano a concludere che se il razionalismo ci induce ad argomenti utili per sostenere la veridicità o meno di certe affermazioni, il principio di incompletezza giunge ad affermare che non possiamo sostenere siano definitivamente vere o definitivamente false nonostante la non contraddittorietà degli assiomi d’origine.  La potenza del logos, in quanto creatore di realtà, se costretto dalla logica aristotelica e dalla razionalistica, bidimensionale, matrice del nostro pensare – al quale è da aggiungere l’invadente principio moralistico della coerenza/senso di colpa quale virtù assoluta, senza lato B – a dispetto dell’imperante scientismo, non è sufficiente per comprimere la realtà – la cui natura è di per sé infinta, cangiante e relazionale – entro le sue piccole categorie, specializzazioni, classificazioni, distinzioni, giudizi. La natura della realtà non è semplicemente più complessa della nostra volontà di ordinarla, essa è inafferrabile, in particolar modo quando si cerca di prenderla con attrezzatura inadatta.

Tanto nel principio di indeterminazione quanto in quello di incompletezza troviamo dunque le verità prescientifiche, quelle del mondo magico, del Tutto e dell’Uno, quelle della conoscenza già in noi. È una conclusione accessibile ed accettabile soltanto a condizione che le energie necessarie ad avvedersene non vadano più ad alimentare la babelica impalcatura egoica con la quale crediamo di raggiungere Dio, ovvero di poter conoscere la natura attraverso la sua misurazione strumentale, attraverso la volontà egoica. Liberati dall’io, i dilemmi e la ricerca della verità svaniscono. L’interpretazione della storia, nella quale altro non vi è che determinazione, suggestione, superstizione e inconsapevoli congetture, da bidimensionale ritorna ad essere se stessa, volumetrica: una dimensione nella quale ciò che l’io sostiene è già accaduto ed è prevedibile, nella quale le babeliche verità e analitici distinguo del tutto mostrano la loro architettura da castelli di carta.

Dopo le tradizioni esoteriche, Heisenberg e Gödel rappresentano l’approdo della ricerca occidentale e cosiddetta scientifica ai lidi in cui tutte le tradizioni sapienziali della terra pazientemente la attendevano per la cerimonia del Sé, la cui natura sta in una riga. Non più ripetizione ma creazione, non più sopraffazione ma legittimazione, non più pena ma forza.

Lorenzo Merlo

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