Crollato un pilastro cede anche l'altro |
18 Settembre 2023 Da Comedonchisciotte del 15-9-2023 (N.d.d.) Dopo la caduta dell’Unione sovietica il clima politico italiano mutò di molto, il PCI, dopo qualche incertezza, provvide a cambiare radicalmente la sua linea politica e persino il nome del partito togliendo da esso qualsiasi riferimento al comunismo, dimostrando con ciò che nonostante si proclamasse da anni del tutto estraneo alla linea politica sovietica, non era poi così indipendente dalla stessa se non altro dal punto di vista geopolitico. Ricordo che all’epoca la Democrazia Cristiana, che si riteneva evidentemente la prima vincitrice di quel confronto ideologico che tanto aveva influito fino ad allora sulla vita politica italiana, fece uscire un manifesto azzurro con tanto di scudo crociato e una scritta che recitava “indietro non si torna”. Fatto sta che quando un sistema si regge su due pilastri e ne cade uno, è più probabile che crolli l’intero sistema piuttosto che il pilastro rimanente si rafforzi al punto di reggerne l’intero peso. Difatti, pochi anni dopo, neanche la Democrazia Cristiana esisteva più, travolta dal “nuovo che avanza”. Indietro non si torna, appunto. Mi pare che qualcosa di vagamente simile sia avvenuto su scala molto più ampia all’intero ordine politico mondiale che si era basato fino a quel momento sulla contrapposizione tra le “due superpotenze”. Gorbaciov, di fatto se non scientemente e volontariamente, aveva iniziato il processo che avrebbe portato allo smembramento del mondo russo e consegnato la Russia stessa nelle mani degli americani, che si comportarono con la nuova conquista allo stesso modo con cui si erano comportati in precedenza col resto del mondo non europeo: favorirono l’ascesa di una classe dirigente sostanzialmente venduta ai propri interessi che avrebbe consentito lo sfruttamento delle risorse russe con la sola spesa del suo mantenimento nel lusso e la prosecuzione dello smantellamento dello stato in entità più piccole e più controllabili. Per quanto riguardava il grosso della popolazione, abituata a tutta una serie di garanzie statali, che si trasformasse pure in quella massa miserabile e senza diritti che caratterizzava da sempre tutto o quasi il “terzo mondo”. Situazione che poi immagino sia piuttosto simile a quello che questi gentiluomini neoliberisti prospettano anche per quel che sarà l’ex primo mondo. Poiché la Guerra Fredda aveva avuto forti connotazioni ideologiche, l’ideologia vincitrice, quella liberal capitalista occidentale, si ritenne non solo trionfante sul socialismo, ma anche sostanzialmente l’unico sistema di governo possibile e giusto, anche in senso morale, assumendo forme sempre più intransigenti ed estreme e sentendosi in dovere di conformare tutto il mondo al proprio credo. Qualsiasi traccia di redistribuzione della ricchezza tra la popolazione era dannosa e doveva sparire, qualsiasi idea di giustizia sociale era da sostituire con la liberazione degli spiriti belluini del capitalismo e la “distruzione creativa”. Ciò ebbe serie conseguenze non solo in Russia, in Europa e nel resto del mondo, ma anche e soprattutto all’interno degli stessi Stati Uniti. La già labile differenza tra Repubblicani e Democratici prese a ridursi ulteriormente portando a termine la riduzione del sistema politico americano in uno a partito unico; l’influenza dei “portatori di interessi”, cioè dei lobbisti che già controllavano abbondantemente il congresso, crebbe sempre di più facendo della corruzione sistematica e legalizzata il motore vero del mondo politico americano; il complesso militare industriale, contro il quale aveva a suo tempo ammonito il presidente Eisenhower, aumentò a dismisura il proprio potere assieme alle varie “agenzie” governative che formano lo stato profondo. L’interesse nazionale americano inteso come il benessere della propria stessa popolazione, divenne sempre meno importante, se mai lo era stato, rispetto agli interessi ed ai profitti del grande potere economico e finanziario: era sempre più probabile che per semplice profitto si arrivasse a sacrificare non solo nazioni intere, ma gli stessi Stati Uniti. Ma quando il guadagno immediato e il potere a breve termine diventano gli obbiettivi esclusivi della politica, finiscono per intaccare le basi stesse sulle quali poggiano. Il capitalismo, specie se estremista, lasciato a sé stesso diventa una forza autodistruttiva. D’altra parte il profitto di uno, non si traduceva forse nel miglior guadagno per tutti? Era dunque sufficiente che ciascuno si occupasse esclusivamente dei propri interessi individuali e ciò si sarebbe tradotto automaticamente nel benessere generale. Be, a prima vista può sembrare una solenne cazzata, ma se lo fosse davvero non avremmo vinto la Guerra Fredda! O no? La politica, sempre più subordinata agli interessi dell’oligarchia, prese ad esprimere personalità sempre più ignoranti, insignificanti e mediocri: sostanzialmente dei lacchè. Gli Stati Uniti sono arrivati al punto di sacrificare quella base industriale che ne aveva decretato la potenza e a distruggere la classe media che in quella base industriale si era formata, per un pugno di dollari, semplicemente per permettere a meno dell’uno per cento della popolazione di diventare immensamente ricca. Il Pil americano finì per essere sempre meno rappresentato dalla produzione di cose reali e sempre più dalla finanza, dalle spese sanitarie, dalle parcelle degli avvocati: divenne un trucco, un falso, la Cina oramai raddoppiava la produzione industriale degli Usa. In un certo senso si potrebbe dire che, come la Democrazia Cristiana, gli americani non si sono mai più ripresi dalla vittoria nella Guerra Fredda. Qualcosa di molto simile, ma di ancora più paradossale, è accaduto in Europa. Ancora più paradossale perché la fine del “pericolo sovietico” avrebbe dovuto significare la riunificazione del continente, l’apertura ad est e la fine dell’occupazione militare americana: a cosa serviva adesso la Nato se la minaccia per la quale era stata costituita non esisteva più? A cosa serviva la subordinazione geopolitica agli americani se la divisione del mondo in blocchi contrapposti era scomparsa? Ma queste sono considerazioni politiche e la politica stava sempre più cedendo il passo all’interesse dell’oligarchia internazionale, ma particolarmente americana che non vedeva l’ora di porre fine a quella “via europea”, che sprecava risorse in attività inutili ed anzi dannose come la sanità pubblica, la sicurezza sociale, la pubblica istruzione. Proprio quando l’Europa avrebbe dovuto riprendere in mano il proprio destino, la sua dirigenza stupida, codarda e incapace si è appiattita sempre di più sulle posizioni degli americani distruggendo qualsiasi possibile autonomia, facendo sì che il potere passasse dalle mani degli eletti dal popolo in quelle di deliranti oligarchi. In questo clima di degenerazione politica, economica e alla fine anche etica, sono state possibili tutte le più arroganti follie che abbiamo visto in questi anni, come la “guerra perpetua al terrore islamico”, l’immigrazione di massa di elementi inconciliabili, l’”agenda verde”, la Grande Peste del 2020, la guerra alla Russia in Ucraina. Dall’altra parte del mondo la Cina non ha affatto accettato di essere solo il centro di produzione a basso costo dell’occidente, ma possedendo una vera guida politica con progetti a lungo termine, ha scelto di sviluppare il proprio paese e in pochi anni l’ha trasformato in una potenza paragonabile all’occidente attraverso una rivoluzione che per dimensioni non ha precedenti nella storia dell’umanità. In Russia, il grigio burocrate scelto da Eltsin per continuare la sua opera di distruzione del paese, si è rivelato essere un accorto uomo di stato di caratura infinitamente superiore a quella dei suoi omologhi occidentali. Eppure l’incredibile arroganza dell’occidente non accenna a smorzarsi e non è impossibile che ci conduca fino alla guerra nucleare. O forse sarebbe ancora possibile correggere la rotta, ribaltare la situazione, ma per far questo dovrebbe emergere una classe dirigente completamente nuova che facesse uscire l’occidente dal disastro che si è procurato con le sue stesse mani, ma di questa classe dirigente non si vede traccia alcuna né sembra diffusa la consapevolezza della situazione nelle popolazioni pressoché completamente rincoglionite dai telefonini e dal circo dei media. Una cosa è certa, di sicuro non sarà Joe Biden o chi ne tira i fili a salvarci. Nestor Halak |
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