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La lezione di Hannah PDF Stampa E-mail
14 novembre 2008
 

 
Mentre in Italia si consuma l'inutile e angosciosa e indecente agonia di Eluana Englaro, da Londra ci arriva una di quelle piccole, grandi storie che racchiudono in sè i problemi e il senso di un'epoca.
Hannah Jones è una ragazzina di 13 anni, affetta dall'età di cinque da una forma rara e gravissima di leucemia. Otto anni della sua breve vita li ha passati facendo su e giù con l'ospedale di Hereford. Le cure intensive e intrusive cui ha dovuto sottoporsi per sopravvivere le hanno spaccato il cuore. I medici hanno allora deciso di sottoporla a un trapianto. Ma Hannah ha detto no. Anche se il trapianto fosse riuscito le avrebbe dato solo qualche mese di vita in più dei sei che i medici le hanno pronosticato nel caso non si fosse sottoposta all'operazione. Ma Hannah ha deciso che non voleva più vivere una vita che non era più tale e la cui qualità, se si può usare questo termine, sarebbe ancora peggiorata per le ulteriori e pesantissime cure cui avrebbe dovuto sottoporsi per evitare il rigetto. Voleva passare quel poco che le restava da vivere a casa sua, con i genitori e i tre fratellini, e morire di morte sartificiale. E ha detto no. Il rifiuto della ragazzina, oltre che legittimo, era perfettamente legale perché la giurisprudenza inglese consente anche ai bambini di respingere le cure "se hanno un sufficiente grado di comprensione". In ogni caso i genitori, che hanno la tutela legale, erano d'accordo. Ma a non essere d'accordo, non si capisce in base a quale principio, erano i medici dell'ospedale di Hereford che hanno fatto ricorso all'Alta Corte chiedendo ai giudici di sottrarre la ragazzina alla custodia dei genitori e di restituirla all'ospedale.
Ma la piccola Hannah, indomita, si è allora rivolta a un'assistente sociale per spiegarle le sue ragioni, che l'assistente ha condiviso. Ciò ha convinto la direzione dell'ospedale di Hereford a ritirare il suo ricorso e la piccola Hannah Jones ha vinto la sua battaglia per poter morire in santa pace.
È una vittoria dolorosa ma molto importante perché va contro un diffusissimo, pernicioso, e interessato, principio dell'era tecnologica, che è andato sempre più imponendosi in questi anni, secondo il quale la lunghezza della vita, non importa a che condizioni è il bene supremo e che consegna il malato, privato di ogni autonomia e di ogni diritto, alla società e, attraverso questa alla congregazione degli scienziati e dei tecnici, in questo caso dei medici delle équipes ospedaliere.
L'uomo è sempre stato un essere oppresso, ma mai come in quest'epoca "liberale" ha finito per essere espropriato, dalla tecnica e dalla cultura che la tecnica ha generato, davvero di tutto, anche della propria morte. E non si è padroni nemmeno della propria vita se non si è padroni della propria morte. La tecnica è riuscita in un'impresa che sembrava impossibile, quella di spersonalizzare anche ciò che l'uomo ha di più privato, individuale e indivisibile: la sua morte.
Nella società preindustriale non era così. «L'uomo è stato, per millenni, il padrone assoluto della sua morte e delle circostanze della sua morte, oggi non lo è più» (Philippe Ariès, Storia della morte in Occidente). Un tempo si moriva a casa, circondati dai familiari e dagli amici, si presiedeva la propria morte e, dopo un'agonia breve, si rendeva l'anima a Dio. Oggi si muore soli, negli ospedali, in struttura disumanizzante, ridotti a numeri, a oggetto di esperimenti, irti d'aghi, intubati, monitorizzati, una povera cosa umiliata, privata della propria identità e dignità. In nome della lunghezza della vita e per non voler più accettare la morte l'uomo dell'era tecnologica è disposto a qualsiasi cosa. Ma, soprattutto, lo sono le équipes ospedaliere.
Hanna Jones, opponendosi a questo scempio, ci ha dato una grande lezione. Ha riaffermato il diritto di ognuno a vivere liberamente la propria vita; la propria malattia e la propria morte. Ha riaffermato il primato dell'individuo sulla società, dell'uomo sulla tecnica. Grazie, piccola, coraggiosa, commovente Hannah.

Massimo Fini


da www.ilgazzettino.it
Commenti
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Magmau64 (Registered) 14-11-2008 18:32


Pezzo bellissimo...
Il concetto "non esiste diritto alla morte" è un concetto confessionale..A questo potrei contrapporre un concetto laico del tipo "non esiste dovere di vivere"...
francescoferrari9@tin.it
Ferrari (Registered) 15-11-2008 09:20

Concordo. Articolo bellissimo e commovente.
Dopo averci tolto la gioia di vivere liberamente, limitando le nostre scelte individuali a colpi di norme europee ( vedasi casco in moto, in motorino, sugli sci, tra un pò in bicicletta e a piedi - cinture di sicurezza, ecc.) sulla base "dei costi per la società, ora provano anche a toglierci la libertà di scegliere come e quando morire.
Vorrei ricordare il caso, avvenuto due/tre anni orsono, di una anziana signora, gravemente ammalata (di diabete, mi pare), che rifiutava l'amputazione di una gamba.
I medici si rivolsero alla magistratura e la fecero interdire. Alla faccia della libera scelta.
I cittadini italiani sono liberi di scegliere, maturi e intelligenti solo quando devono recarsi alle urne; per il resto....
Comunque, per fortuna che c'è sempre l'Olanda. Che non ha, al suo interno, lo Stato del Vaticano.
h2otonic (Registered) 15-11-2008 12:48

Il superconsumatore moderno in realta' non solo non puo' scegliere alle urne (esendo i vari candidati comparse di una recita solo intuibile con protagonisti spesso dietro le qiuinte) ma deve sottostare a leggi fondamentalmente atte al mantenimento dello status quo, piuttosto che alle esigenze umane. Leggi che cercano di sopperire alla carenza di norme norali o di semplice buon senso caratteristiche del nichilismo odierno.
Eccoci quindi stupiti a riflettere su una tragica storia di coraggio che ai nostri giorni appare di un altro mondo.
Alba Kan (Registered) 17-11-2008 11:47

Articolo molto bello, dovrebbe far riflettere molto le persone contrarie all'eutanasia, perchè si definiscono "per la vita", sempre e comunque. Se c'è un diritto alla vita deve esserci anche il diritto a decidere cos'è la vita.
certamente imporre delle sofferenze atroci ad una bambina di 8 anni non è esempio di etica. Credo che questa bambina proprio a per la sua età farà riflettere molte persone, o almeno ci conto.
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